Kingdom Hearts Forum

Posts written by Mr.Bianconiglio

  1. .
    Pendleton allargò di scatto una zampa, lo sguardo cremisi pieno di fredda determinazione.
    “Molto bene” disse. “Mostratemi la vostra vera pasta e diamo a questo combattimento il suo vero inizio”
    Una delle sue quattro antenne si estese di scatto, schizzando verso l’ammasso di ferraglia a cui il Ciccio era ormai ridotto. Il poderoso, ma ormai morente, Shadowgear allargò l’unico braccio rimastogli e lasciò che avvenisse ciò che il Lord voleva; il tentacolo gli attraversò la pelle metallica come se fosse acqua e penetrò in profondità, fondendosi con il suo corpo..
    Un’ondata di Oscurità invase tutto il suo essere, facendolo tremare di pur potere.
    Con un ruggito cavernoso e il braccio mozzato che gli ricresceva, il Ciccio si risollevò in piedi, facendo tremare l’aria attorno a sè.
    Due pozzi di tenebra infinita avevano sostituito le iridi cremisi, due pozzi in cui Doye non riusciva a scorgere nessuna fine e nessun senso.
    Non era provocato dall’assenza della luce quel buio, era pura e semplice Oscurità, fine a sè stessa e vuota di ogni altra cosa.
    “Ammirate il coraggio di questo valente soldato, messer nano” Non erano che un sussurro le parole di Pendleton, ma risuonarono nel fragore causato dai passi del suo mostruoso servitore come se stesse urlando. “A differenza di esseri patetici come gli Heartless, noi Shadowgear abbiamo una coscienza: essa è il nostro bene più prezioso...per noi non esiste nulla pari alla consapevolezza della propria esistenza” Intrecciò gli artigli dietro la schiena, mentre il Ciccio camminava pesantemente verso Doye. Il palco tremava sotto i suoi passi.
    “Questo valente soldato vi ha rinunciato”
    Il Ciccio sollevò il braccio per colpire. Doye ne fu sovrastato, ma non fuggì nè cercò di spostarsi.
    “Le Tenebre hanno distrutto completamente la sua mente ed adesso in lui non c’è altro che potere ed Oscurità”
    Il colpo si abbattè con una violenza devastante: il palco ne fu scosso completamente e tremò con violenza. La superficie si incurvò verso il basso, crepandosi come uno specchio sul punto di andare in pezzi. Il robot inferiore che sosteneva tutta la struttura, grande come un palazzo a tre piani, venne percorso da una crepa larga più di un metro per tutta la sua altezza; uno delle braccia si spezzò e cadde, frantumandosi con fragore assordante alla fine dell’area inferiore.
    “La sua forza è stata aumentata di dieci volte” concluse serio Pendleton, parlando alla nube di fumo in cui il braccio del Ciccio affondava e in cui Doye era scomparso.
    “Credete, messer nano, di poter resistere di fronte a questo potere nato dalla volontà e dal sacrificio?”
    Tacque, attendendo una risposta che probabilmente non sarebbe mai giunta.
    Ma che, inaspettatamente, arrivò.
    “Ehi, ma quanto parli, tu”
    Le braccia tese in avanti, un ghigno ironico stampato in volto, Doye bloccava con le mani il pugno grande quanto lui del Ciccio Shadowgear. L’aura dorata gli danzava attorno come una fiamma vivida e fuoco dello stesso colore gli bruciava nello sguardo.
    “E’ proprio vero, questo ciccione è diventato più forte di almeno dieci volte” Il nano fischiò in cenno di apprezzamento, poi con il tono di chi vuole fare una confessione tra amici: “Allora, lascia che ti dica una cosa anche io, mostriciattolo. Fino ad adesso ti ho mostrato Zan, la Runa dell’Esplosione e Walthour, la Runa del Teletrasporto, adesso guarda Megingjord, la Runa della Potenza!” Prese fiato e si spinse in avanti di un passo, facendo retrocedere appena l’enorme mole del uso avversario. “Dieci volte più forte, dici? Peccato, perchè io adesso sono venti più volte più forte di prima!!!”
    Spalancò la bocca e con un urlo belluino respinse indietro il Ciccio, scaraventandolo a terra.
    “Una forza nata dal sacrificio, dici? Bene, la mia Runa converte la mia forza di volontà di energia fisica, che ne dici, siamo pari, adesso?” chiese affaticato, ma sorridente, a Pendleton, che osservava in silenzio. “Bello il tuo discorsetto, complimenti, ma dimmi una cosa”
    Il nano raccolse le gambe e spiccò un balzo contro Pendleton.
    “Per cosa la usate questa forza, eh?” gridò, mentre il suo pugno schizzava contro il volto dell’ impassibile Shadowgear.
    Il colpo impattò contro il braccio levato a difesa del Ciccio, prontamente messosi a difesa del suo Lord.
    Doye digrignò i denti per il contraccolpo che gli riverberò per tutto il braccio, ma continuò a spingere.
    “Per cosa avete fatto tutto questo disastro qui, eh?” gridò, mentre la pressione tra la sua forza e quella del Ciccio generava un impulsi circolari di energia dorata e nera. “Per divertirvi? Per far vedere quanto siete forti? Per conquistare? Perchè????”
    Sollevò l’altro braccio di scatto, imitato dal suo avversario.
    I pugni dei due collisero in una detonazione e un’onda d’urto che li respinse entrambi e spazzò impetuosamente il palco, sollevando polvere e detriti e sbilanciando ancora la struttura già instabile.
    “Avete una coscienza? Siete consapevoli di voi stessi?“ Doye digrignò i denti mentre veniva spinto indietro disegnando due solchi nel terreno. “E allora perchè?”
    Immagini di ricordi antichi gli tornarono alla memoria; frammenti di una storia antica e tragica che lo aveva segnato profondamente e che avrebbe voluto mai più rivedere danzarono di fronte alla sua coscienza offesa dalle azioni degli Shadowgear.
    Se sono cosciente di me stessa posso decidere
    “Perchè???”
    Schizzò di nuovo a tutta velocità verso Pendleton, mandando in frantumi il terreno dietro di sè.
    Per un istante, il suo sguardo infuriato si incrociò con quello freddo del Lord: oro e cremisi si fronteggiarono in un silenzio eterno.
    Entrambi che si facevano carico di pesi non detti, entrambi disposti a tutto per portare avanti i propri obiettivi, quello fu il suggello della loro rivalità.
    Poi Pendleton rispose.
    “Per giustizia”
    Al sentire quelle due, semplici parole Doye sgranò gli occhi, incapace di comprenderne il senso.
    Aprì la bocca per chiedere, per sbraitare ancora, ma quel contatto si estinse bruscamente come era cominciato: il Ciccio travolse Doye prima che potesse raggiungere il Lord ed entrambi caddero aggrovigliati in una lotta serrata.
    Doye imprecò nel vedere il bordo del palco avvicinarsi. Si dimenò e spinse con forza per liberarsi dall’abbraccio mortale del Ciccio, opponendosi furiosamente al proprio mastodontico nemico.
    E anche se era preso da quel confronto all’ultimo sangue, ancora riportò lo sguardo su Pendleton.
    “Che diavolo significa? Cosa diamine c’entra questo con la giustizia?”
    Pendleton non rispose subito.
    Voltò le spalle allo scontro in atto e, con la calma di una passeggiata, cominciò a camminare verso la seconda sezione del palco, dove la lotta non si era mai spostata fisicamente.
    “Sapete come è nato questo mondo, messer nano?”
    Doye avrebbe voluto rispondere, ma la foga con cui il Ciccio lo attaccava glielo impedì.
    Ciò non sembrò disturbare il Lord.
    ”Probabilmente no, ma non ha importanza. E‘ un fatto davvero comune”
    Sospirò. Uno dei suoi artigli tracciò una traiettoria nell’aria e di colpo una larga porzione dello spazio sovrastante alla metà del palco prese a tremare.
    “Lasciate dunque che vi educhi” disse il Lord, tornando a voltarsi verso il nano e il gigante avvinghiati nella lotta.
    Tutt’attorno a lui sembrò esplodere una macchia d’inchiostro: il vuoto venne sostituito da un nero profondo che andò a formare qualcosa di voluminoso e spigoloso.
    Doye si sentì afferrare il cuore da un profondo senso di inquietudine: lo stesso strano carro sbuffante vapore che lui e il moccioso avevano visto al molo era apparso dal nulle di fronte ai suoi occhi.
    “Come se me ne fregasse qualcosa!” Doye spinse via il Ciccio con un calcio e si gettò contro Pendleton. Un oscuro senso di pericolo gli urlava nelle orecchie come una tromba: quell’affare andava distrutto il più presto possibile.
    Stava quasi per raggiungerlo, ma prima che vi riuscisse una mano lo afferrò per la testa da dietro e lo sollevò in aria.
    Doye scalciò, imprecò, si spinse a terra con un colpo di reni e si voltò di scatto, afferrando a sua volta la testa del Ciccio, costretto ad abbassarsi per non perdere a sua volta la presa.
    Entrambi rimasero bloccati nel tentativo di spezzarsi il cranio a vicenda.
    “Merda..“ imprecò Doye, ignorando il dolore che gli martellava nei timpani. Il brutto presentimento lo rodeva sempre più forte, ma era impotente a fare qualsiasi cosa per colpa di quel ciccione ostinato.
    Indifferente alla lotta furiosa che gli si stava svolgendo di fronte, Pendleton esordì con tranquillità:
    “Non mi dilungherò in lunghe spiegazioni, poichè non vi è nè il modo nè la necessità di approfondire l’argomento. Sappiate solo questo: questo mondo è stato generato dall’Oscurità”
    “Ma di che diavolo stai parlando?”
    “Ma della verità, ovviamente” Pendleton allargò le braccia in un gesto quasi allegro. “Dell’unica, vera storia di questo universo e di tutti i mondi che lo infestano come parassiti...all’inizio vi era solo l’Oscurità, poichè l’Oscurità si estendeva su tutto. Essa era nata dall’ordine naturale e viveva in perfetto ordine; era lo stato naturale nato dall’eternità in cui si trovavano tutte le cose e non vi era nient’altro che non fosse l’Oscurità. Tutto era perfetto ed unito, logico e naturale come avrebbe dovuto essere, ma poi, un giorno giunse la fine di tanta perfezione...” Una nota di disgusto incrinò il self-control. “La Luce...a causa di quella obbrobriosa fonte di male l’ordine naturale dell’universo andò in pezzi. Essa incrinò il perfetto mondo dell’Oscurità e diede vita al proprio grande mondo, nient‘altro che una copia grottesca della perfezione che l‘aveva preceduto. Apparvero gli uomini e tute le razze, e con essi giunsero anche tutte le calamità insite nella loro natura: superbia, odio, egoismo, invidia, caos. La loro stolida presenza impedì all’Oscurità di tornare a regnare come sarebbe dovuto invece accadere e portò alla nascita di un nuovo universo, imbrattato di frammenti di Luce e costellato di tutti i loro peccati”
    Pendleton scosse la testa.
    “E’ ironico, non trovate? Se lasciassimo che questi stolti popoli della Luce continuassero per la propria strada, finirebbero solo per annientarsi. Quanto occorre essere stolti per ricercare la propria rovina e quella del proprio mondo, io mi domando?”
    “Dove cavolo...” Doye spiccò un balzo e colpì il Ciccio sul petto, atterrandolo. “Vuoi andare a parare?” gridò, tempestandolo di pugni violenti come tuoni. Domandava, ma temeva già di sapere la risposta.
    Pendleton sembrò lievemente deluso, eppure non sorpreso. “Dunque ciò sfugge alla vostra comprensione, messer nano...” Annuì. “Molto bene, allora sarò io chiarirvi le cose...questo vostro mondo, nato nella Luce so sostenuto dall Luce”
    Un enorme sorriso dentato squarciò la faccia di Pendleton.
    “E’ fasullo.”
    Doye sgranò gli occhi.
    Quella distrazione gli costò cara: il Ciccio ne lo afferrò per il collo e lo schiacciò a terra, per poi schiantarlo un pugno che gli coprì tutto il tronco. Per l’impatto, il robot inferiore, grande come un palazzo artesiani, si spaccò in due.
    “Guah” Doye tossì e sputò sangue, ma si morse la lingua e si costrinse a resistere e a continuare ad ascoltare.
    “Tutto falso!” Pendleton sollevò una zampa, indicando tutto lo stadio devastato attorno a sè. “Le persone, i palazzi, gli alberi, gli animali, l’aria, il cielo! E‘ tutto falso! Tutto costruito nell‘universo che appartiene all‘Oscurità fin dall‘inizio dei tempi! Tutto costruito alterando il naturale flusso delle cose! Tutto falso”
    L’Aspetto di Pendleton era tremendo mentre declamava con foga. Gli occhi rossi accesi, la bocca spalancata e i gesti ampi.
    Eppure la sua voce continuava ad essere calma e controllata, fredda come il ghiaccio più gelido.
    Doye lo fissava con il sangue alla bocca, cercando di respingere il dolore.
    “Usurpatori...” concluse lo Shadowgear, calmandosi. “Noi, gli Shadowgear, non vi perdoneremo. Noi siamo il popolo dell’Oscurità. Più degli Heartless, semplici burattini che esitano anche di fronte a una porta chiusa. Più dei Nessuno, esseri patetici alla ricerca del nulla. Più di ogni altro, noi Shadowgear abbatteremo ogni vostra patetica esistenza e riporteremo l’universo alla sua vera forma. Solo allora l’ordine naturale e la giustizia, verso cui questi obbrobri che voi chiamati mondi sono solo un’offesa, saranno ristabilite”
    Detto ciò, il Lord tacque.
    Schiacciato sotto la forza del Cicco, Doye ristette. Lo sguardo era indecifrabile, ma teneva la mascella serrata.
    La grandezza di quella rivelazione riverberava dentro di lui con uno strascico di ricordi ed immagini passate.
    Ogni più piccola memoria dei giorni che aveva trascorso nel suo mondo, ogni sorriso che aveva visto, ogni lacrima che aveva condiviso, ogni secondo che aveva vissuto...
    Cosa diavolo voleva dire con le sue parole quella sottospecie di scarafaggio nero?
    Che era tutto...
    “Fasullo?” sibilò. Le sue mani si strinsero attorno al pugno dello Shadowgear. Il ferro di cui era composto crepitò minacciosamente.
    “Stai dicendo che questo mondo è falso?” Le dita del nano affondarono nell’acciaio come coltelli nel burro. Sprizzi di Oscurità schizzarono dalle ferite.
    “Stai dicendo...” Doye sbarrò gli occhi, furioso. L’aura blu che lo circondava raddoppiò di dimensioni, ruggendo furiosa. “Che la mia vita è solo una bugia?!!” gridò, spezzando di netto l’avambraccio del Ciccio.
    Lo Shadowgear cadde, tenendosi il moncherino e stridendo di dolore.
    Ma Doye lo aveva già superato.
    Correva verso Pendleton, con rabbia e orgoglio nei suoi pugni. Deciso a difendere le proprie esperienze, per quanto dolorose esse fossero state, il nano scattò in avanti, portando con sè tutte le sue convinzioni.
    Il Lord rimase impassibile ad osservarlo.
    “Esattamente questo intendevo, messere” sussurrò. Tutte le sue antenne rimaste si allungarono, saldandosi al ripiano dello strano macchinario su cui posava i piedi, che cominciò a tremare. “Una bugia...” continuò, mentre l’acciaio del mezzo si contorceva e sollevava, prendendo una nuova forma.
    Sbarre si agganciarono, ruote fischiarono, pistoni lanciarono il loro spettrale richiamo, in una cacofonia di fischi e ingranaggi.
    “Una bugia a cui, però, abbiamo trovato rimedio...”
    Con un ultimo sibilo, la mostruosità meccanica si arrestò: un voluminoso cannone, formato da tre bocche che si attorcigliavano assieme in un ammasso disordinato, si sollevò verso il cielo. Bolle di Oscurità ne contorcevano la struttura, esplodendo e raggrumandosi con la vitalità di esseri vivi. Un ammasso confuso di antenne fuoriusciva dalla sua sommità, ondeggiando lascivamente al ritmo di un vento inesistente.
    “Order Seed...” disse Pendleton, lo sguardo basso. “Il seme che porterà al ritorno dell’ordine; il primo passo per la giustizia...”
    La sola vista di quell’orrore fece venire il voltastomaco a Doye.
    “Come se te lo lasciassi fare!” gridò, scagliandosi in avanti con determinazione.
    “Ciò che volete voi non ha nessuna importanza, messer nano” Pendleton gli voltò le spalle. Lentamente, sollevò una zampa e la puntò verso la parete dello stadio. “Nessuno può fermare la corsa inarrestabile del destino”
    Doye spiccò un balzo per raggiungerlo. Le sue gambe si erano staccate da terra quando sentì qualcosa afferrargliele. Imprecando, ricadde a terra duramente.
    Guardandosi indietro, vide il Ciccio che, trascinatosi con le ultime forze, lo aveva afferrato con l’unico braccio rimasto.
    “Dannazione! Levati di mezzo, ciccione!” sbottò, prendendolo inutilmente a calci in faccia.
    Con il cuore in tumulto e un senso di destino ineluttabile, lottò per liberarsi, ma ogni suo tentativo sembrava destinato a cadere nel vuoto.
    Pendleton emise un lieve verso divertito nel percepire i suoi sforzi inutili e mosse di lato la zampa di fronte a sè. Tutta la parete dello stadio svanì con un tremolio.
    Doye sgranò gli occhi.
    Vedere le luci di Luka, la grande città gremita di persone accorse per il concorso, fu ai suoi occhi come un segnale di condanna: il mostruoso cannone era puntato proprio in quella direzione.
    “Merda!” digrignò tra sè, riprendendo i suoi sforzi con rinnovato vigore, ma era lento, troppo lento.
    “Alla fine tutti i nodi vengono al pettine, amico mio” disse Pendleton, estraendo dal proprio cilindro una piccola chiave nera ed avvicinandola ad un foro che si apriva in quello che sembrava il pannello di controllo dell’arma. “Non importa se vecchi di ere, infine riemergono...”
    “Merda!” Doye allungò il braccio, come se quello bastasse per fermare tutto quello. “Fermatelo!” sibilò tra i denti. “Fermate questo bastardo!”
    “..e il giudizio che portano con sè è impietoso”
    La chiave sfiorò l’incavo.
    Uno sparo.
    Il rumore di un oggetto che va in pezzi.
    “Scusa” disse Yuna, brandendo la pistola fumante. “Ma non te lo permetteremo”
    Doye sentì la stretta sulle gambe allentarsi di colpo. Un secondo dopo la figura del Ciccio lo superò volando e andò a schiantarsi ai piedi di Pendleton.
    Il nano ci mise qualche istante a capire cosa stava succedendo. Tempo che non terminò senza che una faccia da moccioso fin troppo familiare entrasse nel suo campo visivo.
    “Scusa se ti abbiamo fatto aspettare” disse Tidus, aiutandolo ad alzarsi.
    Doye lo guardò incredulo.
    Incredulità che divenne furia rabbiosa, idrofoba.
    “Che cavolo ci fate voi due qua?!!”
    Tidus ne rimase sorpreso, e anche un po’ intimorito. “Beh...pe-pensavamo ti servisse aiuto”
    Il CONK del pugno del nano che cozzava sulla testa del ragazzo mise a tacere ogni giustificazione. “Quale parte di *Andate via! Non pensate a me!* Non ti è chiara, moccioso? Già mi faccio schifo a dire robe cosi fuori moda! Ci manca solo che me le fai ripetere!”
    “Ehm, a me non sembra”
    Parole avventate quelle di Tidus. Parole che diedero vita ad un altro CONK.
    “Stà zitto, scemo!” gli urlò addosso un Doye imbufalito come un toro e col fumo che gli usciva dalle orecchie.
    “Ehm, scusatemi” Yuna li richiamò più delicatamente che potè, anche se si avvertiva un certo filo di disagio nella sua voce.
    “Ah, giusto, giusto, prima il dovere” la liquidò Doye. Il nano avanzò tra i due, ragazzo e ragazza, ostentando la dignità di un generale. “Ok, voi ragazzi siete inutili, ma per stavolta chiuderò un occhio e vi lascerò come comparse. Comunque nei titoli di coda non ci sarete, ok?”
    Tidus e Yuna si guardarono, sorridendo lei e afflitto lui, prima di puntare gli sguardi seri su Pendleton. “D’accordo”
    Doye ghignò famelico, l’aura blu che gli danzava attorno.
    “Se non sbaglio tu ed io stavamo amichevolmente parlando, no, Lord?” disse, rivolto a Pendleton. “Che ne pensi di dare una bella accelerata a questo tuo destino cosi noioso?”
    Pendleton lo guardò un istante in silenzio, prima di rispondere. “Molto bene” commentò. Il moncherino della chiave rimastogli in mano finì schiacciato tra i suoi artigli.
    “Accetto la vostra sfida, messer nano, ma temo di dover declinare il vostro invito”
    La sua antenna, collegata ancora al Ciccio, si gonfiò di colpo, come se qualcosa di troppo voluminoso stesse cercando di attraversarla. Il rigonfiamento viaggiò per tutta la conduttura e affondò nel corpo dello Shadowgear gigante, che si risollevò con un ruggito, avvolto anche lui da un’aura, ma oscura come la notte.
    “Non esistono né accelerazioni né rallentamenti per il destino, solo passaggi necessari” riprese Pendleton e le sue parole sembrarono prendere conferma quando spalancò la mano, mostrando sul palmo la chiave perfettamente integra.
    “L’ha ricostruita?” chiese Tidus, esterrefatto.
    Un proiettile strappò l’oggetto di mano al Lord mandandola a cadere tra le macerie.
    “Lo vedremo subito” disse minacciosamente Yuna, abbassando la pistola.
    “A-ah, bel colpo!“ lo sbeffeggiò Doye, poi rivolto a Tidus e Yuna. “Mocciosi! Non importa come, ma impeditegli di far fuoco con quell’affare. Io distruggo questo ciccione e torno!”
    Schizzò in avanti contro il Ciccio in avanzata. Lo scontro dei loro pugni scatenò un’onda d’urto, cosi come tutti quelli seguenti.
    “Wow!” si lasciò sfuggire Tidus, con un misto di ammirazione e stupore, cercando di proteggersi dai violenti spostamenti d‘aria. “Che razza di potenza!”
    “Presto!” lo richiamò Yuna.
    Entrambi corsero verso il punto in cui la chiave era caduta.
    La ragazza gettò uno sguardo verso Pendleton. Con sua grande sorpresa, il Lord non si era mosso di un centimetro dalla sua posizione, anzi, non sembrava neanche prestare attenzione a loro due e alla chiave, dato che era completamente concentrato sullo scontro tra Doye e il gigante.
    Quello strano comportamento la turbò: a prima vista la chiave serviva per attivare quell’arma, no? E allora perché non correva a recuperarla?
    “È laggiù!”
    Il grido di Tidus la richiamò dai suoi pensieri: il ragazzo le stava indicando una rientranza nella superficie del palco ormai prossima allo spezzarsi. La chiave era lì, stesa tra i mucchi di frammenti.
    “Interessante come un oggetto cosi piccolo risulti importante, non trovate?”
    Tidus e Yuna si irrigidirono: Pendleton era di fronte a loro e li guardava bonariamente.
    Esterrefatta, Yuna spostò lo sguardo tra lui e il macchinario ora deserto. Non l’aveva neanche visto muoversi.
    Deglutì. Se poteva muoversi cosi velocemente...
    “No, non posso tentennare adesso” si disse. Non dopo aver corso tutti quei pericoli e non quando c’era in gioco il destino di tante persone innocenti.
    Rivolse uno sguardo a Tidus e gli vide negli occhi la stessa determinazione. Lui la guardò e lei annuì.
    Un secondo dopo, erano in azione.
    Tidus scattò verso la chiave e quando Pendleton fece per intercettarlo, Yuna gli sparò contro una raffica di proiettili.
    Vedendoseli venire addosso, lo Shadowgear sospirò; sollevò la zampa e la mosse di fronte o sé, facendoli svanire tutti quanti come fumo dissolto dal vento.
    “Vi consiglio di provare ben altro, signorina” consigliò garbatamente.
    Yuna non demorse: puntò i piedi a terra, strinse i denti e premette i grilletti a raffica, inondandolo di pallottole.
    Pendleton rimase impassibile: poco prima di toccarlo i proiettili svanivano uno dopo l‘altro.“A piacer vostro, ma resta perfettamente inutile” disse tranquillo. Benchè fossero un flusso costante, le pallottole non lo sfioravano minimamente
    Yuna continuò ad attaccarlo con determinazione finchè un lugubre click le rintoccò nelle orecchie.
    Le pallottole erano finite.
    Premette ancora un paio di volte i grilletti prima di arrendersi e gettare via le due armi ormai inutili.
    “Oh? Sono terminate?” chiese Pendleton con quella che sembrava sincera sorpresa.
    “Ho altre armi!” rispose Yuna, caricandolo. Una luce gentile la circondò, per poi dissiparsi subito dopo, rivelandola nel suo nuovo Look Cavaliere Oscuro.
    “Oh?” fece Pendleton, senza muoversi.
    A gran velocità la ragazza azzerò la distanza che li separava e calò la spada sulla testa dello Shadowgear con tutta la forza che aveva. Uno scoppio di polvere e frammenti esplose a causa del suo attacco.
    “L’ho colpito?” si chiese.
    Era certa di esservi riuscita, ma si ritrovò di fronte nient’altro che l’aria.
    Con gli occhi sgranati per la sorpresa, sentì una piccola mano artigliata posarsi sulla sua schiena.
    “Nobile tentativo” le disse la voce di Pendleton. Una sensazione di totale vuoto le afferrò le membra. Le sembrava di stare...svanendo. “Ora, vi prego, svanite”
    Non sapeva cosa stesse succedendo e per sua fortuna non lo seppe mai.
    Doye e il Ciccio piombarono là dove si trovava un istante dopo, aggrovigliati in una lotta senza quartiere.
    Il contraccolpo del loro atterraggio la sbalzò via, mandandola a sbattere contro i lato del cannone Shadowgear.
    Appena toccata terra, sentì respiro e cuore tornare a funzionare regolarmente. Respirò più e più volte per essere sicura di esistere ancora. Il vuoto che aveva sentito afferrarla era svanito, ma al suo posto adesso una sgradevole sensazione di debolezza la permeava.
    “Yuna! Stai bene?” Vedere Tidus correre al suo fianco le fu d’aiuto.
    Sorrise, cercando di non far trapelare lo stato in cui si trovava. “La chiave...” Lasciò la domanda interrotta a metà. Non aveva la forza di completarla.
    Per fortuna, Tidus sembrò capire.
    “Eccola” disse il ragazzo, mostrando la piccola chiave nera.
    “Distruggetela, che aspettate?” gridò loro Doye, mentre era impegnato a combattere con il Ciccio. Un sorriso spavaldo affiorò sul volto del nano.
    Non gli importava di sapere cosa stava macchinando quel dannato Lord chiacchierone, non gli importava di conoscere il perché né quale fosse il suo obiettivo, non gli importava di sapere un bel niente, ma sapeva che doveva essere fermato ad ogni costo. Lo sentiva più di ogni altra cosa.
    “Distruggete quell’affare!” gridò ancora, menando un pugno al fianco del Ciccio e strappandogli un verso di dolore.
    Yuna annuì, risoluta.
    Anche lei condivideva i pensieri del nano. Proprio per questo non avrebbe permesso che quell’occasione andasse perduta.
    Vide Tidus porgerle la spada cadutale con uno sguardo fiducioso.
    Sorrise.
    “Non io” gli disse, scuotendo la testa. Appoggiò la sua mano su quella del ragazzo. “Insieme”
    Come insieme erano giunti in quel luogo, come insieme li aveva portati a stare la strada che avevano percorso, cosi insieme dovevano fare anche quello.
    Tidus annuì a sua volta. Solo in quel momento gli sembrava di capire finalmente appieno quanto fosse stato fortunato ad incontrare proprio Yuna in quel vasto mondo, quanto la sua presenza fosse veramente fondamentale per la sua vita.
    Insieme, sollevarono la spada.
    Insieme, la infusero di energia magica, facendola brillare di luce bianca, cosi che distruggesse quel piccolo pernicioso oggetto delle tenebre senza lasciarne neanche una briciola.
    Insieme, la calarono con tutta la forza che avevano.
    Sotto il loro colpo, la chiave si spezzò seccamente in due tronconi, che vennero avvolti da un fuoco magico che li consumò completamente, senza lasciare nessun residuo della loro esistenza.
    Solo quando anche il più piccolo frammento della chiave fu svanito nel nulla, si lasciarono andare ad un sorriso reciproco.
    Ce l’avevano fatta.
    “Ben fatto!” ruggì Doye, superando gli echi dello scontro con il Ciccio.
    Yuna sorrise dolcemente, mentre Tidus incoraggiava il nano con un grido.
    Ce l’avevano fatta.
    Per degli attimi aveva temuto che non sarebbero riusciti ad impedire a quei mostri di seminare ulteriore distruzione, ma alla fine tutto sembrava stare per aggiustarsi in modo...
    “Perfetto”
    Yuna si irrigidì. Un’ondata di paura tornò ad invaderla e vide lo stesso sentimento offuscare l’azzurro cristallino dello sguardo di Tidus.
    No, come avevano potuto dimenticarlo?
    “Assolutamente perfetto”
    Si voltarono in direzione della voce, fin troppo conosciuta e ciò che videro li riempì di terrore.
    In tutta la sua perfetta calma e compostezza, Pendleton si ergeva di fronte al pannello di controllo dell’arma. Nell’artiglio, stringeva una copia perfetta della chiave che avevano appena distrutto.
    “No, non è possibile!” urlò mentalmente Yuna. Non avevano lasciato nulla di quell’oggetto. Come faceva ad averlo di nuovo?
    Mentre pensava questo, Tidus scattò in avanti.
    Accadde tutto in un lampo.
    Lei non ebbe il tempo di richiamarlo.
    Lo vide riuscire appena fare appena qualche passo prima di venire schiantato indietro da una forza invisibile e crollare pesantemente a terra con un gemito.
    “Tidus!” gridò, disperata.
    “Moccioso!” le fece eco Doye, ma il combattimento era troppo serrato perchè potesse accorrere.
    Yuna cercò di alzarsi, ma le ginocchia le cedettero e ricadde.
    Non si fermò neanche un attimo a pensare: con la forza della disperazione, si trascinò fino al ragazzo inerte e gli sollevò la testa, un mortale terrore ad attanagliarla.
    Con suo grande sollievo, lui tossì e socchiuse gli occhi.
    “Yu...na...” riuscì appena a mormorare.
    Yuna ringraziò tutti i Dei di tutte le razze e di tutti i tempi. Era malconcio e ferito, ma almeno era vivo. Vivo.
    Lo strinse a sè, colma di gratitudine.
    Per un attimo, aveva davvero temuto di averlo perso.
    Il pensiero l’aveva scossa profondamente e profonda allo stesso modo fu la rabbia che provò verso colui che era stato il responsabile di quell’orribile attimo di incertezza. .
    “Oh?” Pendleton inclinò la testa leggermente di lato quando lei lo trafisse con uno sguardo di pura furia.
    Il Lord ne sembrò divertito e incurante allo stesso modo.
    “Vedete, messer nano?” chiese, rivolgendosi a Doye. “Esattamente ciò di cui vi parlavo. Emozioni, avventatezza, stoltezza. Ecco i grandi vincoli del vostro mondo. Essi sono la via per il Caos, per l’instabilità, il disordine più assoluto. Guardate questa fanciulla e questo ragazzo” Indicò Yuna, che lo guardava furiosa, e Tidus, semi svenuto, con un leggero movimento della zampa. “Non pensiate che non riesca a capire cosa proviate entrambi. Il legame che vi unisce è qualcosa di grande, prezioso, ma siete consapevoli di quali sono le sue conseguenze? Amare qualcuno significa essere pronti a sacrificare tutto il resto per esso. Questo è quello che viene comunemente chiamato egoismo, amici miei” Pedleton scosse la testa. “Riuscite a capirlo? Riuscite ad afferrare la verità? Non dovrebbe essere possibile che qualcosa di cosi forte e che trovate cosi bello crei tanta sofferenza. Per questo, anche questi vostri forti sentimenti sono un malvagia illusione, come lo è tutto questo mondo illuminato dalla Luce. Solo la profonda Oscurità è priva di queste false illusioni”
    “Non è...vero...” Gli occhi stretti per contenere il dolore, Tidus fece presa per risollevarsi. Yuna lo aiutò, ma le parole la tradivano. In quel momento di profonda incertezza e rabbia, non sapeva cosa dire.
    “Non è...falso...” ansimò per lei il ragazzo, provato. “Non è falso! Io...so che è vero! Non è falso!”
    Sentire sforzarsi cosi tanto le strinse il cuore. Yuna avrebbe voluto piangere ed urlare, ma la gola si ostinava a restarle serrata.
    Come poteva succedere tutto quello?
    “Non ti sforzare, ragazzo, non cambierà le cose” Pendleton si accostò al pannello di controllo, scuotendo il capo. “E’ una scena già vista, nevvero?” chiese, tranquillo.
    Yuna sapeva che non si stava riferendo unicamente al fatto che stava per attivare l’arma, bensì che non potevano fare nulla per fermarlo. Tidus sembrava sul punto di svenire e lei non aveva neppure la forza di alzarsi. Per di più, sentiva ancora chiaramente le grida di guerra di Doye impegnato nella battaglia con il Ciccio, chiaro segno che neanche da parte del nano poteva arrivare aiuto.
    “Una menzogna, amici miei. E’ in questo che vivete, ma non abbiate paura, noi vi libereremo...” Con un movimento deciso, il Lord infilò la chiave nella serratura. Appena lo ebbe fatto, la mostruosa arma cominciò a tremare e a distorcersi famelicamente.
    “Che tutto torni all’Oscurità” recitò il Lord, arretrando di qualche passo.
    Le tre canne attorcigliate presero a sibilare e a torcersi come spettri affamati. L’intero grottesco macchinario gracchiò e fischiò, per poi sollevarsi e puntare verso l’enorme apertura nelle mura dello stadio e, oltre quella, verso la città di Luka.
    “No!” gridò Yuna, ma il suo grido rimase inascoltato.
    “Solleviamo il sipario su un’altra purificazione!” disse Pendleton, mentre le bolle di Oscurità si staccavano una dopo l’altra dalla superficie ribollente dell’arma, galleggiando pigramente nell’aria.
    Le tre canne diedero un ultimo stridio prima di assestarsi del tutto, piegandosi e puntandosi a vicenda nella forma di una cuspide. Come richiamata, l’Oscurità prese ad addensarsi alla punta formatasi, condensandosi in una densa sfera nerastra.
    Terrorizzata, Yuna vide il proiettile oscuro gonfiarsi di dimensioni sempre di più sotto lo sguardo compiaciuto di Pendleton. Si guardò intorno, alla disperata ricerca di una soluzione, di qualsiasi cosa che potesse impedire la tragedia che stava per abbattersi sulla città.
    Non ne trovò nessuna.
    Anche Doye si era accorto del disastro incombente, e infuriava con una valanga di colpi ed imprecazioni sul viso del Cicico che lo tratteneva strenuamente. Si sarebbe liberato, era solo questione di tempo, ma non abbastanza in fretta.
    Forse assieme a Tidus avrebbero potuto fermarlo, ma il ragazzo sembrava appena cosciente e Yuna non aveva nessuna intenzione di esporlo ancora ad altri pericoli.
    Rimaneva solo lei...
    “Rimango solo io...” ripetè a sè stessa.
    Un’idea la folgorò.
    Era un progetto folle, pazzo, ma sentiva che era l’unica possibilità rimasta.
    Un lampo di determinazione le illuminò gli occhi.
    Per tutto ciò che amava e in cui credeva, sapeva che andava fatto.
    Aveva solo un piccolo rimpianto.
    “Tidus” sussurrò, volgendo il ragazzo verso di sè. Lui la guardò, non comprendendo il perchè del suo sorriso gentile.
    “Sono felice di essere stata con te”
    Tidus sgranò gli occhi. “No...” sussurrò. “No” ripetè, ma Yuna l’aveva già lasciato.
    Come se le lancette del tempo avessero deciso di rallentare per permettergli di imprimersi per l’ultima volta il suo viso nella mente, la vide correre via, verso il cannone in procinto di sparare.
    “YUNA!” gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
    Yuna lo sentì, ma non si fermò. Non poteva fermarsi.
    Pendleton la notò.
    “Ferma!” ordinò imperioso, e le puntò una mano contro.
    Ma neanche lui riuscì a fermarla.
    Yuna spiccò il volo, appena un attimo prima che il suolo su cui poggiava i piedi svanisse nel nulla come se non fosse mai esistito.
    Il tempo sembrò fermarsi.
    Pendleton, Tidus, perfino Doye ed il Ciccio interruppero il loro furioso scontro per vederla innalzata di fronte alla bocca dell’arma Shadowgear quasi caricata completamente.
    Di fronte a quella mostruosità, di fronte alla morte, Yuna non mostrava altro che uno sguardo determinato.
    Sensazioni contrastanti, felicità per i momenti trascorsi, rimpianto per i momenti futuri, la avvolsero.
    Tidus le stava gridando qualcosa, ma il rimbombo emesso dell’arma era troppo forte e non riusciva a sentirlo.
    Gli sorrise, chiedendogli scusa.
    Gli chiese scusa per tutte le sofferenze attraverso cui era stato costretto a passare per causa sua, per tutti i dubbi, per tutte le più piccole cose che potevano avergli arrecato danno per causa sua.
    Poi lo ringraziò.
    “Grazie”
    Puntò i palmi in avanti, l’uno sopra l’altro. Un globo di elettricità li avvolse.
    “Grazie a tutti”
    La sua magia colpì uno dei supporti principali del cannone, facendolo in mille pezzi. Senza l’appoggio necessario per sostenere la sua immensa energia, la mostruosa arma si impennò, rivolgendosi verso il cielo.
    “Grazie Wakka, per avermi fatto da fratello maggiore. Grazie Lulu, per essermi stata sempre vicina. Grazie Kimarhi, per avermi protetta. Grazie Auron, per avermi mostrato la strada. Grazie Rikku, per avermi ascoltata. Grazie Paine, per avermi rimproverata”
    Vide i tentacoli di Pendleton afferrare saldamente le tre canne e rivolgerle di nuovo verso il basso.
    Dritte verso di lei.
    Mentre si lasciava cadere, privata di ogni energia, guardò verso Doye: il nano ancora combatteva per raggiungerla.
    Non ci sarebbe riuscito, ma ugualmente gli sorrise.
    “Grazie anche a te, signor Doye, per avermi fatto incontrare con lui un’ultima volta”
    Sollevò lo sguardo sereno verso di lui.
    La stava osservando con una foga sgomenta e disperata.
    “E grazie a te” sussurrò Yuna. “Per essere stato la mia Luce”
    Perchè se di qualcosa lei era mai stata certa era che ciò che li legava non era fasullo.
    Era vero, scintillante come il sole di mezzogiorno e chiaro come il cielo azzurro.
    Vero come la vita che avevano trascorso assieme.
    Il cannone sparò.
    Yuna non sentì nessun dolore, solo qualcuno che gridava il suo nome in lontananza.
    Poi rimasero solo il buio assoluto e un inno lontano ad un‘ombra senza tempo.
  2. .
    Aaaaaargh!!! Che è sta roba? :orrid:
    No! Ci sono rimasto malissimo! :orrid:
    Un autore nella propria storia? :gya:
    Inaudito! :gya:
    Vabbè. :heho:
    Non apprezzo molto, ma complimenti per l'originalità.
    Dark resta un buon personaggio, ma è un po' troppo Gary Stu per i miei gusti :addit:
    Ha un curicino molto più tenero di quel che dia a vedere e anche di quanto pensass, e anche di quanto trapeli dalle sue stesse parole.
    Presto diventerà uno zuccherino, me lo sento. :ghgh:
    Beh, cosa dire. L'avvenimento centrale di questo cap è la tua apparizione e quella mi ha lasciato molto sorpreso.
    Siamo senza amore, mh? Non metto bocca, ma credo che non sia vero, e ti invito a non esagerare ^___^ Prendilo come un consiglio a uomo a uomo :addit: (ti appoggio tantissimo il resto, però, tranne la cosa della fine del mondo)
    Ma torniamo alla fic.
    Come "collega" posso capire quella roba delle visioni, (però a me non viene il mal di testa quando invento muahahahah) e concordo: a volte sembra che sia la storia a scriversi da sola :asd:
    Beh, non so che altro dire. Se continuassi si scenderebbe troppo sul piano personale e non ne ho nessuna voglia.
    Troppo pigro :heho:
    Alla prossima.
  3. .
    Il rombo causato dal pugno del Ciccio rimbombò con la violenza di un tuono. Doye strinse i denti mentre l’onda d’aria causata dall’impatto lo colpiva in faccia come un muro di mattoni; si fece trasportare all’indietro per diversi metri, afferrò una sporgenza nel pavimento ormai crivellato di crateri e rotolò via, evitando per un soffio di finire schiacciato sotto un altro colpo.
    “Oh, un’agilità encomiabile, bravo” commentò Pendleton con sorpresa sincera, o almeno, era ciò che sembrava. Lo Shadowgear seguiva lo scontro come uno spettatore ad una partita di golf. Se ne stava fermo in perfetta tranquillità ad osservare ogni mossa, ma senza mai partecipare nè mostrare un interesse maggiore che non fosse quello adatto ad uno spettacolo divertente.
    “Vi piace?” chiese, mentre Doye schivava un altro pugno. “Questo valente soldato viene utilizzato nel nostro esercito per affrontare grandi masse di nemici, per compiere le manovre di sfondamento e per coprire i punti più “caldi“ del campo di battaglia, perdoni la semplicità dell’espressione” Pendleton si dondolò sulle punte. Sembrava un padre che parla fiero dei voti presi dal figlio a scuola. “Ho ritenuto sufficiente portare una singola unità per portare a termine la conquista di un pianeta periferico come questo, ma a quanto pare il destino ha voluto darmi il suo assenso”
    “Ma quanto parli! Stà zitto!”
    Doye avrebbe tanto voluto strangolarlo.
    Peccato che fosse troppo impegnato ad impedire a due tonnellate di acciaio ed argento sbuffante e stantuffante di trasformarlo in una frittata con le cipolle e lo stracchino, altrimenti avrebbe assecondato il suo impulso con enorme piacere.
    Si gettò in uno dei tanti crateri che ormai costellavano tutta la superficie luminescente del palco. Mentre ansimava per riprendere fiato, maledisse ancora una volta chiunque avesse costruito quel posto.
    Non bastavano le gradinate ripidissime, non bastava l’abisso che bisognava valicare per arrivare al centro dello stadio,non bastavano i pop corn schifosi e le luci inguardabili.
    Eh, no, dovevano aggiungerci anche un palco con un pavimento luminoso e trasparente.
    Come diavolo faceva a trovare una copertura decente dietro una roba del genere?
    Meditava ciò il nano, mentre faceva correre lo sguardo alla ricerca del suo mastodontico avversario.
    Ad attirare la sua attenzione fu una strana ombra che gli si andava allargando intorno.
    Perplesso, sollevò lo sguardo verso l’alto.
    Sgranò gli occhi: un enorme sedere di ferro stava piombandogli addosso. Tutto normale se non fosse stato per l’odiosa voce di Pendleton.
    “Fate attenzione, messere, il Ciccio sa saltare molto in alto”
    “Me ne sono accorto da solo, cogl...!” gridò Doye, un attimo prima che l’immensa mole dello Shadowgear gli crollasse addosso, seppellendolo senza scampo.
    Riapparve una decina di metri più in là uscendo, o meglio, cadendo da un portale runico sospeso in aria in orizzontale, assieme ad una nuvola di polvere e detriti.
    Crollò in ginocchio, ansimando con forza.
    “Dannazione” ringhiò, la fronte imperlata di sudore. Affrontare tutti quei dannati mostriciattoli cominciava a farlo stancare e quei dannati portali consumavano un sacco di energia ogni dannata volta che li usava.
    E il peggio era che aveva urgente bisogno di farsi una pisciata.
    Gettò uno sguardo rapido al Ciccio, chiedendosi perchè non avesse continuato ad attaccare.
    Lo vide fermo dove era atterrato.
    Lo Shadowgear stava piegando le ginocchia come un lottatore di sumo. La sua enorme massa si abbassava lentamente sopra i grossi stantuffi sulle ginocchia, che si piegavano sbuffando vapore e gemendo come dannati.
    “Ti metti a fare la cacca adesso, ciccione?” ringhiò il nano, afferrando al volo una manciata di sassi ed imprimendoli della Runa esplosiva. Li strinse nel pugno e tirò indietro il braccio. Puntò il Ciccio, che, da parte sua, continuò nel suo movimento.
    “Ti faccio saltare in aria!!” gridò, e li scagliò di fronte a sè in un ampio ventaglio.
    Dieci esplosioni avvolsero il Ciccio, nascondendolo alla vista.
    Per un attimo, Doye pensò di avercela fatta.
    “Vi prego di non distogliere lo sguardo, messere” lo richiamò Pendleton. “La potenza di salto va considerata sia in verticale che in orizzontale”
    Doye sgranò gli occhi. Qualcosa di enorme schizzò fuori dal fumo generato dalle esplosioni e lo travolse con una violenza tremenda. Il mondo svanì in un esplosione di stelle luminose. Quando ritrovò la visuale, si ritrovò con la schiena a terra, con il Ciccio che osservava dall’alto con i suoi grandi ed inespressivi occhi rossi, mentre lo teneva bloccato con una delle sue grosse mani, abbastanza grandi da avvolgergli completamente il tronco.
    “Questo bastardo...” pensò rabbiosamente. “Ha respinto le mie esplosioni solo con la sua massa in movimento? Ma di che diavolo è fatto...?”
    Si dimenò, ma la forza del mostro lo teneva inchiodato in una morsa d‘acciaio.
    Digrignò i denti per la rabbia e la frustrazione. Se solo fosse riuscito a liberare un braccio...
    “E’ inutile”
    Doye interruppe i suoi sforzi, sorpreso nel sentire quel tono quasi pietoso.
    Lord Pendleton entrò nel suo campo visivo.
    “Cosa è inutile?” chiese con un ghigno feroce.
    Pendleton lo guardò in silenzio per un istante prima di rispondere. “Perchè siete qui, Doye?” chiese, senza curarsi della sua domanda. “Vi prego di dirmi perchè, tra tutti, proprio voi siete venuto ad ostacolarci. Pensavo vi foste lasciato alle spalle le faccende del nostro universo”
    “Mi ha mandato un amico, problemi?” ghignò Doye, muovendosi per quel poco che gli permetteva la scomoda posizione. Le dita del Ciccio gli serravano le braccia al corpo: riusciva a malapena a sollevare il petto per respirare. “E poi” disse, in vena di chiacchiere. “Alla fine uno si annoia pure a stare sempre dentro casa, serve prendere un po’ d’aria”
    “Comprendo” commentò Pendleton. “Non vi credo, ma non vi chiederò altro. Ora vi prego di dirmi quale motivo vi ha portato proprio su questo pianeta e come avete saputo che sarebbe stato il nostro obiettivo”
    Doye fece spallucce, movimento che gli permise di sgusciare in avanti di un millimetro dalla presa dello Shadowgear e di liberare un dito, l’indice, che prese a muovere sul pavimento, tracciando qualcosa.
    Il primo passo.
    “Nah” interloquì “ E’ che mi piace bazzicare nelle città da schifo come questa nei week-end e cosi, dato che c’ero, mi sono chiesto *vediamo se c’è qualche mostro oscuro che cerca di compiere qualche misterioso piano malvagio*” Sorrise, mettendo in mostra tutta la dentatura. “E cosi eccomi qua! Ovvio, no?”
    “No”
    Il monosillabo di Pendleton coincise con la stretta della mano del Ciccio.
    Doye grugnì quando le pesanti dita lo strinsero fin quasi a stritolarlo, ma riuscì in qualche modo ancora a sorridere.
    “Ehi, non vorrei fare il maleducato, Lord, ma questo tuo amico qui non è un po’ troppo espansivo? Non che abbia niente contro i ciccioni, si intende”
    Rise per la sua stessa battuta. Il movimento sussultorio del petto gli permise di scivolare di un altro paio di millimetri.
    Riuscì ad allungare un altro dito, il medio, e sfiorò ancora una volta il freddo del pavimento sotto di sè.
    Mancava il terzo.
    Ancora un piccolo sforzo...
    Pendleton lo osservò per un lungo istante. Se si era reso conto dei suoi tentativi, non lo dava a vedere.
    “Vedere qualcuno come voi qui aveva portato al sottoscritto un notevole impulso di curiosità, ma vedo che siete ritroso a parlare e d‘altra parte sarebbe maleducato da parte mia insistere ulteriormente su domande a cui non volete dare risposte, quindi, in onore alle regole di buona educazione...” La stretta del Ciccio si serrò ulteriormente, avvolgendo Doye in un mare di dolore. “Vi accompagnerò all’uscita, che in questo caso coincide con la vostra dipartita”
    Doye strinse i denti, mentre fitte violente lo trafiggevano da capo a piedi. Adesso capiva cosa significasse sentirsi stritolati.
    Fece una smorfia che voleva essere un sorriso. Diamine, doveva vantarsene con qualcuno. Ci si facevano i milioni con le storie di gente uscita dal coma, chissà quanto poteva venirne con la storia di uno uscito da uno stritolamento?
    “Bah, mi vengono le idee idiote pure quando mi stanno ammazzando” pensò con ironia.
    Usando tutta la forza che gli rimaneva, torse di scatto il polso. Uno schiocco secco e un dolore acuto lo informò della slogatura che cercava, ma quello non era nulla rispetto al male dello stritolamento.
    Le dita gli caddero, inerti.
    Quella che voleva, l’anulare, toccò il pavimento.
    La rete era completata.
    Doye ghignò, mentre evocava il simbolo esplosivo.
    L’esplosione avvolse completamente lui e la faccia del Ciccio, che lasciò la presa e si rizzò in piedi, stringendosi la faccia ustionata con un ruggito di dolore.
    “Si è fatto esplodere?” esclamò Pendleton, sbigottito.
    Doye rotolò fuori dall’esplosione e si fermò in ginocchio di fronte ai due mostri, tenendosi la fronte da cui scendeva un rivolo di sangue. Sulle ustioni del volto, il suo sorriso era spaventoso.
    “Bevetevi questo alla mia salute, bastardi” gridò trionfante, sollevando il braccio.
    Un tuono e una scintilla di luce balenarono quando il palmo del nano battè contro il pavimento. Linee rossastre fuoriuscirono dalle dita, ramificandosi rapidamente. Man mano che avanzavano, sigilli rossastri rispondevano al loro tocco, illuminandosi uno dopo l‘altro, finchè una grande tela di luce rossa pulsante circondò completamente sia Pendleton che il Ciccio.
    Il Lord osservò quell’evento con un misto di confusione e perplessità. Lo sguardo gli si riempì della comprensione di un momento e i suoi occhi sbarrati si puntarono sul nano, ma ormai era troppo tardi.
    Ghignando, Doye sollevò entrambi le mani aperte e le battè una contro l’altra.
    “Attivati, Explosion Net”
    Pendleton e il suo servitore svanirono nelle esplosioni.
    Nello spazio in cui si trovavano i due, le fiamme si innalzarono con un ruggito rabbioso, scuotendosi come bestie selvagge ad ognuno dei boati. L’intero palco venne coinvolto nella raffica delle deflagrazioni, tremando violentemente. Frammenti di roccia schizzarono in tutte le dirazioni, spinti dall’aria sprigionata che spazzò lo stadio come un’onda di marea.
    Doye la incassava con le braccia di fronte al volto e un ginocchio a terra. Una grossa scheggia gli colpì il fianco, facendolo grugnire di dolore, ma si costrinse a restare fermo, perchè sapeva che se il vento lo avesse preso l’unico destino sarebbe stato di finire spiaccicato da qualche parte in quel buco.
    Se possibile, voleva evitarlo. Era un po’ contrario allo sfracellarsi.
    “Uff, ce l’ho fatta?” borbottò, ansimando pesantemente di fronte a quello spettacolo fiammeggiante.
    Per quanto fosse efficace, per lui l’Explosion Net era veramente fastidioso.
    Un reticolato di rune esplosive posizionate precedentemente ed attivate tutte assieme in modo da far convergere e concentrare il loro effetto su di un’area ristretta. Il problema non era sistemarle, bastavano tre dita per farlo: riuscire a farle conflagrarle tutte insieme, quello era il vero problema.
    Doye si guardò la mano: un’ampia bruciatura campeggiava al centro del palmo, nel punto in cui aveva emesso l’energia per attivare le rune.
    Strinse il pugno e l‘ustione svanì tra le pieghe grinzose della carne.
    “Questo corpo non è più abituato a robe del genere” borbottò tra i denti.
    Le fiamme continuavano a guadagnare in altezza, alimentate dal rimbombante tuono delle esplosioni.
    All’improvviso, Doye notò un’irregolarità.
    Alla base delle fiamme, nel centro esatto di quel vero e proprio uragano di fuoco, c’era una macchia scura.
    Doye aggrottò la fronte per capire di cosa si trattasse.
    L’irregolarità si allargò, allargandosi come una macchia d’olio nell’acqua. Man mano che si estendeva, le fiamme presero a contorcersi e a rattrappirsi; si spinsero verso la macchia, irresistibilmente risucchiate da essa.
    Doye strinse i denti. Non era riuscito a distruggerlo.
    “Sei dannatamente resistente, signor Lord” ansimò, ormai esausto.
    Due occhi, più rossi del fuoco che li circondava, portatori di uno sguardo proveniente dal più buio degli abissi, affiorarono nell’incendio.
    “Ne sono estremamente lusingato” ringraziò Pendleton, inchinandosi leggermente. La forma dello Shadowgear risaltava nella danza delle fiamme come un’ombra confusa, ritta e tranquilla come se fosse immersa in acqua fresca.
    La colonna di fuoco si restrinse ancora, fino a dimezzare di dimensioni; Pendleton mosse repentinamente una zampa, quasi a voler scacciare una mosca, e la disperse totalmente. Il suo gesto rilasciò un’ondata d’aria bollente che si propagò con violenza, arroventando le pietre e dando fuoco al resto.
    Doye se la vide venire addosso; cercò di difendersi, ma le ustioni tornarono a colpirlo con una fitta violenta che lo fece barcollare.
    “Dannazione...” maledì, digrignando i denti.
    Barcollò proprio nel momento i cui l’onda lo investì e lo scagliò in aria con prepotenza. Mentre veniva strappato da terra, il suo orgoglio gli urlava con forza di difendersi, ma l’urlo del suo corpo, più forte, gli impediva di fare qualsiasi cosa.
    L’urto col terreno gli strappò un grugnito. Rotolò per parecchi metri prima di fermarsi, dolorante, sul ciglio del palco.
    “Merda...” mormorò, facendo presa per sollevarsi. Le braccia gli cedettero e ricadde miseramente.
    “Merda...” disse, più forte, tentando di nuovo.
    Stava per issarsi sulle braccia, quando un piede gli calpestò la nuca, costringendolo nuovamente faccia a terra.
    Con il gelo del pavimento che gli artigliava la guancia e il dolore che gli urlava nelle orecchie, Doye sollevò la faccia quel poco che bastava per vedere la sagoma di Pendleton sopra di sè.
    “Merda...” ripetè ancora, stavolta a gran voce. Mise tutta la forza che aveva nel tentativo di rialzarsi, ma inutilmente. Pendleton aveva una forza terrificante, anche più del Ciccio, che pure era immensamente più grande di lui.
    “Ve l’ho detto...” esordì lo Shadowgear. “E’ inutile...” Non c’era derisione nella sua voce, solo una muta comprensione mista a gelido realismo.
    “Stà zitto...” sibilò Doye. Ancora una volta, cercò di rialzarsi. Ancora una volta, ricadde a terra sotto il piede di Pendleton.
    “Comprendo la vostra determinazione...” disse il Lord. “Ma non capisco perchè la indirizziate proprio verso questo pianeta”
    “Stà zitto e toglimi questo schifoso piede dalla testa!” Doye scalciò; sollevò un pugno e menò più e più volte sulla gamba che lo teneva inchiodato, con il solo risultato di spellarsi le nocche.
    Incurante dei suoi sforzi, Pendleton lo scrutò con freddezza. “Io vi conosco, Doye...”
    Al sentire quelle parole, Doye si bloccò, gli occhi sgranati, i pugni serrati.
    “Ma chi cazzo vuoi conoscere tu???” gridò a pieni polmoni, evocando la runa esplosiva sotto di sè. L’esplosione li avvolse entrambi con uno scoppio fragoroso e, quando sparì, Pendleton non si era spostato di un millimetro.
    Ringhiando di frustrazione, Doye ne evocò un’altra e un’altra ancora quando questa fallì ed un’altra, tutte inutilmente e procurandosi continue ferite e senza infliggerne nessuna allo Shadowgear.
    “Ti distruggo, mostriciattolo! Riprendo un po’ di fiato e ti distruggo!” ruggì, furibondo.
    “Nascondervi di nuovo dietro questo vostro velo di spacconeria non vi salverà, messer nano” commentò Pendleton, impassibile di fronte a quell’attacco cosi serrato. “Assumere un’aria spavalda anche di fronte a questa situazione non cambierà le cose, servirà solo a nascondere a voi stesso la realtà”
    Doye strinse i denti e strinse gli occhi, concentrandosi solo sulle rune che evocava una dopo l’altra. Sapeva che lo Shadowgear aveva ragione, ma i suoi sforzi non diminuirono neanche per un istante.
    “Proprio perchè vi conosco...” proseguì Pendleton, imperterrito. “Mi risulta sorprendente vedere una persona come voi mostrare un tale attaccamento a un pianeta cosi piccolo e periferico”
    L’ultima esplosione, evocata con un guizzo di orgoglio piuttosto che per servire realmente, lasciò Doye privato di ogni residua stilla di energia.
    Il nano si lasciò andare a terra; le braccia gli ricaddero e rimase ad ansimare, esausto e con cuore e mente in tumulto.
    “Chi se ne frega di questo pianeta di merda...” mormorò.
    “Come?” Penledeton si piegò appena. La mano di Doye scattò e gli si serrò attorno al polpaccio nero pece.
    “Ho detto...” Il nano cominciò, lentamente, a risollevarsi. “Che non me ne frega assolutamente niente di questo pianeta di merda” Mentre parlava, un’impalpabile aura dorata cominciò a delinearsi attorno al suo corpo. Una lieve incredulità apparve sul volto di Pendleton mentre il suo piede veniva spinto indietro, a dispetto della forza che vi metteva.
    Doye gridò. Un’onda di energia esplose da lui.
    Pendleton ne fu violentemente spinto via. Atterrò a diversi metri di distanza, fronteggiando il nano che si rimetteva in piedi.
    “Preoccuparmi per questo pianetucolo che non ho manco mai visto? Pfui, stronzate!” rise Doye, sollevando un pugno chiuso. Una luce dorata, la stessa che lo avvolgeva, gli invadeva gli occhi, riempiendoli di potere e minaccia.
    “Può anche sfondarsi subito per quel che mi riguarda” Fece un passo in avanti, crepando il pavimento sotto i suo piede. Fili di fumo si innalzarono dalla pietra, che iniziò a sfrigolare.
    “Ma quel ragazzo, che idiota, a credere di dover andare a farsi ammazzare per delle aspettative che si è inventato solo lui...e anche quella ragazza, cosi scema da fidarsi ciecamente di quel ragazzo stupido e perdonargli tutto, basta che torni da lei: due mocciosi che credono ancora nell‘amore eterno e altre cazzate del genere” Si afferrò la maglia con una stretta forte, sorridendo ferocemente. “Bene, quei due mocciosi mi piacciono e questo mi basta per difenderli”
    Con un gesto secco si strappò la maglia di dosso, mandandola a perdersi nel vento che aveva cominciato a spazzare il palco. Sul petto, all’altezza del cuore, una runa dorata brillava radiosamente: una stella di oro puro che spandeva la sua luce tutt’attorno a sè.
    Doye allargò le braccia, lo sguardo sollevato verso l’alto.
    “Sono tutti e due degli stupidi, ma che figura ci farei se scappassi di fronte a voi quattro mezze tacche come voialtri? Qua mi pare che sono l’unico a potervi massacrare tutti e, d’altronde, qualcuno dovrà pur farlo mentre gli altri si mettono in salvo, no?”
    Il nano sbattè le mani una contro l’altra. Il riverbero di quel semplice movimento fu cosi forte da far tremare l’intero palco.
    “E poi...” disse, ghignando. “Io ho un’immagine da difendere....se mi dai dello sbruffone, devo farti capire che non è vero”
  4. .
    Riaprì gli occhi dopo un tempo che non seppe definire.
    Un viso delicato e bellissimo, due iridi di colore diverso, uno smeraldo e uno zaffiro, entrambe afflitte da una luce preoccupata.
    Tidus sapeva di esserne la causa e avrebbe voluto prendersi a schiaffi per questo, ma il suo corpo non doveva essere della sua stessa opinione perchè non si mosse.
    “Che vergogna” sussurrò il ragazzo con la poca voce che gli restava e una smorfia che voleva essere ironica. “Sono io che avrei dovuto salvarti”
    Il sorriso che illuminò il volto di Yuna gli sembrò la cosa più bella del mondo.
    “Mi hai fatto spaventare...” la sentì sussurrare dolcemente.
    Il non sentire nessun rimprovero, ma solo una profonda preoccupazione, lo intenerì e nel contempo lo fece sprofondare nella vergogna.
    L’abbraccio di Yuna arrivò inaspettato e gli strappò il fiato dal petto in una stretta tanto forte quanto confortante.
    Sorrise tristemente, assaporando il suo odore ed ascoltando il battito dei loro cuori.
    “Scusami...” mormorò.
    La felicità per averla ritrovata sana e salva si frammischiavano all’odio che provava per sè stesso per non essere stato all’altezza della situazione. La frustrazione e la consapevolezza di non meritarla, di non essere degno di essere lì, stretto tra le sue braccia, gli strinsero il cuore in una morsa dolorosa.
    “Sei uno stupido...”
    Le parole di Yuna lo colsero di sorpresa.
    “Non devi salvarmi per farmi capire” disse l’ex-evocatrice, stringendolo a sè. “Io so già cosa sono per te e tu sai cosa sei per me”
    Tidus sentì gli occhi inumidirsi.
    Yuna sciolse l’abbraccio e gli rivolse uno sguardo gentile.
    “Finchè continui a cercarmi, non mi servono altre conferme, non trovi?”
    Tidus aprì la bocca per parlare, ma un groppo gli serrava la gola e nessuna delle migliaia, milioni di cose che avrebbe voluto dirle fu in grado di uscire.
    La certezza di avere di fronte a sè la creatura più bella, comprensiva, - qualsiasi cosa!- era cosi forte da travolgerlo come un‘onda di marea. Lo scuoteva, fin nei più profondi recessi dell’anima, un sentimento cosi forte, potente ed alto da essere impossibile da spiegare.
    Yuna lo abbracciò ancora, ponendo fine a tutte le inutili parole che sarebbero seguite. Non era qualcosa che poteva essere detto.
    “D-da chi...” balbettò Tidus contro la sua spalla, un velo di lacrime a velargli gli occhi.
    Yuna ridacchiò. “Ho incontrato quel nanetto” disse, divertita. “Mi ha detto tutto...” Fece una pausa, Tidus capì che stava cercando le parole. “E’ davvero forte”
    Il ragazzo sorrise.
    “Lo so” sussurrò. “Però dobbiamo andare ad aiutarlo” Poggiò una mano a terra, ma quando tentò di rialzarsi il ginocchio gli si piegò e ricadde. “Non può farcela da solo” ansimò.
    Yuna lo sorresse. “Se vuoi...” cominciò a dire.
    “No!” La interruppe. “Devo...devo venire anche io”
    Tentò ancora di rialzarsi solo per finire nello stesso modo.
    Digrignò i denti per la frustrazione. Si sentiva il corpo rigido come legno per colpa della scarica elettrice che gli aveva lanciato contro quel...
    Trasalì. Non aveva abbattuto quel mostro!
    “Dove...” cominciò a dire, ma Yuna lo interruppe con un tocco gentile sulla guancia.
    “Non preoccuparti” disse la ragazza, stringendolo a sè, lo sguardo basso e velato.
    Tidus spostò istintivamente lo sguardo oltre le spalle di lei.
    Sgranò gli occhi.
    Steso sul pavimento, il corpo senza vita del Taurus andava disintegrandosi in migliaia di frammenti minuscoli. Decine di grossi fori lo crivellavano da capo a piedi, e a Tidus bastò quello per capire in che modo e da chi doveva essere stato abbattuto.
    “Ti ha fatto del male?”
    Il tono sussurrato di Yuna lo fece rabbrividire e divertire nel contempo.
    “Doye non è l’unico forte qui, vero?” Tentò ancora di rialzarsi e stavolta, con l’aiuto premuroso di Yuna, riuscì a reggersi sulle gambe malferme. “Lo sei anche tu, eh?” le sorrise, divertito.
    Yuna abbassò lo sguardo, le labbra incurvate leggermente verso l’alto.
    “Solo se mi arrabbio”
    Tidus non voleva proprio trovarsi nei panni di chi lo avesse fatto.

    Gli artigli dello Shadowgear fendettero l’aria.
    Doye si abbassò giusto in tempo perchè gli falciassero una manciata di capelli al posto della testa.
    “Ehi! Dal parrucchiere ci sono andato ieri, brutto bastardo!” sbottò, per poi scagliarsi contro l’essere oscuro con tutto i suo peso.
    Lo Shadowgear ruggì ed arretrò artigliandosi il petto.
    Quel momento bastò a Doye per fargli lo sgambetto e fargli perdere definitivamente l’equilibrio.
    L’essere oscuro cadde all’indietro e precipitò. Sarebbe svanito nella folla sottostante dei suoi simili se un Taurus non lo avesse afferrato al volo con le mani massicce, per poi rilanciarlo contro il nano assieme ad altri quattro uguali.
    Doye imprecò nel vederseli arrivare addosso come proiettili e raccolse una lastra di roccia grande come un piatto staccatasi assieme a metà della gradinata.
    “E che cavolo! Se dico che qui non salirete, non-sa-li-re-te!” sillabò, usandola come mazza da baseball e dedicando una sillaba ad ognuno degli Shadowgear che tornava da dove era venuto con la testa fracassata.
    Con un gesto rapido, disegnò un altro simbolo esplosivo sulla lastra e la scagliò, centrando in pieno il volto del Taurus, che cadde all‘indietro, dritto nel mucchio dei suoi simili.
    Vi scomparve in mezzo, travolto dalla massa, ma la luce che brillava sul pezzo di roccia era visibile come una torcia nel buio.
    L’ennesima esplosione squassò le gradinate.
    Riparandosi dietro una ringhiera semidistrutta per proteggersi vento sprigionato dal attacco, Doye si tolse il sudore dagli occhi con il dorso della mano.
    Si toccò il punto in cui adesso campeggiava una bella ciocca tagliata e fece una smorfia.
    “Uff, dovrò mettermi un cappello” borbottò col fiato corto.
    Cercando di riprendere fiato, gettò uno sguardo verso il paesaggio sottostante.
    La gradinata inferiore a cui si trovava, assieme alle due seguenti, erano invase da un mare brulicante di mostri desiderosi di fargli la pelle. Gli Shadowgears si arrampicavano come uno sciame di cavallette affamate e sembrava non esserci fine al loro numero.
    L’unico spazio libero dalla loro presenza, l’ultima gradinata sui Doye stava asserragliato, spiccava come uno scoglio in mezzo a un mare di petrolio.
    “Ma che bella situazione” commentò il nano strofinandosi il naso con un ghigno feroce.
    Altri Shadowgear stavano prendendo il posto del gruppo che aveva appena carbonizzato, emergendo da ogni pietra ed ogni angolo come ombre. Tra di loro, vi erano anche parecchi energumeni con le corna da toro che mugghiavano come tori e rompevano come scoiattoli, almeno dal punto di vista di Doye, perchè resistevano anche alle sue esplosioni.
    “Venite, venite, c‘è abbastanza Doye per tutti” sogghignò il nano, arretrando cautamente.
    Combattendo, si era lentamente portato sempre più in alto, fino ad avere il muro dello stadio dietro di sè, e da lì, grazie al vantaggio dell’altezza e al fatto che gli Shadowgears dovevano arrampicarsi per raggiungerlo, aveva opposto resistenza con successo.
    Ma quegli stupidi tori erano peggio della gramigna!
    Non morivano se non li faceva esplodere almeno due volte e per di più facevano da scudo a quelli più piccoli facendosi usare come scale o lanciandoli come proiettili.
    “Diamine, apprezzo il gioco di squadra, ma usatelo in qualche cos‘altro! Il calcio per esempio! E tu stattene di sotto!” sbottò il nano, e, per dar credito ed esempio delle proprie parole, respinse con un calcio uno Shadowgear che aveva cercato di arrampicarsi sul suo baluardo.
    Uno dei Taurus cercò di approfittare dell’occasione per colpirlo con una scarica elettrica e fu solo per un colpo di fortuna che Doye riuscì a schivarla saltando all’indietro. La scarica gli si infranse di fronte, lanciando scintille e frammenti in tutte le direzioni.
    Il nano ne incassò parecchi sul petto senza vacillare.
    “Tutto qua, pivello?” gridò facendo un gestaccio, lo sguardo che vagava oltre la marea di creature oscure che lo assediavano dal basso.
    Imprecò. Ce l’avevano fatta quegli storditi degli spettatori a mettersi in salvo finalmente!
    Per qualche motivo, gli Shadowgears avevano cominciato a puntarlo man mano che ne abbatteva. Anche quelli già impegnati nella caccia di un fuggitivo o anche sul punto di uccidere una guardia abbattuta lasciavano perdere per venire a cercare di fargli la pelle.
    Grazie a questo, parecchie delle persone presenti erano riuscite a mettersi in salvo ed ormai non restava più nessuno sugli spalti dello stadio a parte lui e gli Shadowgears.
    “Vi piace il mio dopobarba, eh?” li prese in giro il nano.
    Si sentiva il sangue ribollire nelle vene, il cuore battergli nel petto e un brivido di esaltazione solcargli la schiena.
    Quella situazione aveva risvegliato dentro di lui una sensazione antica, un fuoco che gli bruciava fin dalle profondità delle viscere, facendolo sentire più vivo che mai.
    Rise. Si stava decisamente divertendo.
    “D’accordo” pensò. “Vediamo che ne pensate di questo”.
    Smise di tentare di respingere gli Shadowgears, uno sforzo inutile per quel che aveva visto fino a quel momento, e si riparò dentro uno dei tanti crateri causati dagli attacchi elettrici dei Taurus e che costellavano la gradinata.
    Con un ghigno stampato in volto, afferrò un pezzo di roccia largo abbastanza da potervi stare sopra e vi impresse un simbolo sopra. Il frammento fu avvolto dalla ragnatela di linee e sembrò rattrappirsi, quasi la sua materia fosse attirata versoi il centro.
    Il cambiamento era quasi impercettibile, ma Doye sapeva che ora era molto più resistente di prima.
    Il nano vi si sedette sopra proprio nel momento in cui decine di Shadowgears si affacciavano oltre il bordo della gradinata.
    Li degnò di un largo ghigno.
    “Adesso facciamo a chi arriva più in alto” li derise.
    E battè il palmo sulla porzione di pavimento accanto a sè. Il simbolo dell’esplosione vi comparve sopra al suo tocco, ma stavolta prese ad allargarsi ed a illuminarsi fino a diventare accecante.
    Doye strinse le dita attorno ai bordi del proprio improvvisato mezzo di trasporto e sorrise.
    L’intera gradinata venne avvolta dall’esplosione e il nano venne sparato i naria dall’onda d’urto come il proiettile di una catapulta.
    “YAUUUUU!!!!” Gridò esaltato, mentre il contraccolpo lo colpiva con la violenza di un maglio e il fragore del vento gli riempiva le orecchie. Vide il pavimento allontanarsi a velocità pazzesca, finchè non si ritrovò ad osservare dall’alto tutto l’interno dello stadio, fermo nella stasi dell’apice del suo balzo temerario.
    Si godette il momento di calma con un’espressione critica.
    Era sicuro di aver calcolato perfettamente la traiettoria verso cui l’avrebbe spedito l’onda d’urto dell’esplosione, ma adesso che aveva una visuale più chiara capì di aver commesso dei piccoli errori di distanza: il palco centrale, su cui voleva cadere, era una ventina di metri più in là.
    Mentre rimuginava su calcoli e traiettorie, la spinta si esaurì e sia lui che la sua pietra cominciarono a cadere sempre più velocemente.
    Doye si grattò il mento coperto dalla barba svolazzante, pensoso.
    Di quel passo sarebbe caduto nel grosso spazio vuoto che c’era tra quel palco inguardabile e le tribune, andandosi a spiccicare come un vasetto di marmellata in fondo...
    Aggrottò la fronte. In fondo a cosa?
    Che diavolo c’era là sotto? Ma sopratutto, a che diavolo serviva tutto quello spazio vuoto?
    Scosse la testa. Il geometra che aveva progettato quello stadio doveva essere uno psicopatico.
    Doveva farsi dire dove viveva...
    “Bah” mugugnò, facendo spallucce, il momento dell’impatto che si faceva sempre più vicino.
    Mentre aspettava, il ricordo gli volò alla ragazza che aveva incontrato poco prima e tornò con la memoria a ciò che aveva detto e sentito da lei.

    “Ehi, ragazzina! Ehi, dico a te!”
    L’aveva trovata al centro di un anello di macerie, intenta a fare a pezzi a suon di pallottole mucchi di Shadowgears.
    Lei l’aveva guardato come fosse un alieno danzante.
    “E’ pericoloso stare qui!” aveva detto. “Scappi, signor...ehm...”
    Doye l’aveva liquidata con un cenno della mano.
    “Si, sono un nano, lo so, lo so. Apprezzo il signor, ma chiamami Doye, ok?”
    Lei aveva annuito con incertezza, lanciando occhiate nervose verso l’orda di Shadowgears avanzante.
    Doye aveva compreso i suoi dubbi e li aveva risolti lanciando una manciata di pietre esplosive contro la massa di creature oscure, falciandole come fili d’erba.
    “Dì un po’, ragazza” le disse, mentre lei lo guardava a metà tra la stranita e l‘intimorita. “Eri tu quella che faceva il concerto qui, vero? Ti ho visto sulle locandine all’entrata”
    Lei annuì, dandogli la risposta che cercava.
    “Uff, e che cavolo, non ci speravo più” sospirò, prima di rivolgere un’occhiata in tralice. “E per caso il tuo ragazzo è uno scemotto biondo dall’aria svanita?”
    Lei aveva aggrottato le sopracciglia, guardandolo male.
    “Scemotto? Tidus non è scemotto e non ha l‘aria svanita”
    “Si, si, lo penso anche io” Doye aveva annuito annoiato. “Ma adesso stammi a sentire”
    Le aveva raccontato tutto, dall’incontro sull’isola al primo attacco degli Shadowgears. dal loro arrivo a Luka a come erano entrati nello stadio, dalla minaccia degli Shadowgear fino al mistero che aveva portato a quel invasione. Aveva omesso di parlare della ragazza che avevano slavato ,però, non si poteva mai prevedere come avrebbe reagito a certe notizie una ragazza gelosa.
    “In sintesi” aveva concluso. “Devi correre da lui”
    Con sua grande sorpresa lei aveva scosso la testa, sorridendo.
    “Ti ringrazio per i tuoi sforzi, signor Doye, ma non ce ne è bisogno” Aveva sollevato lo sguardo, una calma fiducia riflessa nelle iridi di colore diseguale. “Mi fido di Tidus, non avrà nessun problema a raggiungerci, io devo rimanere qui a coprire la fuga dei civili”
    Si era inchinata in un gesto di grande cortesia che Doye aveva trovato snervante.
    “Ti ringrazio comunque per l’aiuto che gli hai dato. Grazie”
    Doye aveva resistito all’impulso di strapparsi di capelli solo ricacciando indietro gli Shadowgears con altre pietre esplosive.
    “Non hai capito” le aveva detto. “Non è questione di può farcela o no, lui non può farcela”
    Lei lo aveva guardato seria.
    “In che senso?”
    Doye si era battuto una manata in fronte ed aveva abbassato lo sguardo a terra.
    “Il portale che ho aperto per entrare nello stadio era instabile. Le energie che lo permeavano non hanno avuto effetto su di me perchè ero stato io ad infonderle, ma sul moccioso avranno avuto sicuramente un effetto tremendo. Sarà già tanto se riuscirà a camminare da qui ad una settimana”
    Ammettere il proprio fallimento era stato più difficile che affrontare l’orda degli Shadowgears, ma on poteva farsi prendere dall’orgoglio, almeno non in quel momento.
    “Capisco...” aveva detto Yuna con una calma innaturale.
    “Capisco un corno” Doye aveva sbottato. “Corri da lui e poi tutti e due scappate da questo buco”
    “Aspetta, signor Doye, tu cosa farai?”
    “Io li farò tutti quanti a pezzi e poi ci si rivedrà fuori per una tazza di tè, ma adesso vai!”
    Yuna aveva esitato.
    “Vai, ho detto!” le aveva urlato contro.
    Un’espressione decisa le si era dipinta in volto.
    “Due mie amiche stanno collaborando per far uscire gli spettatori, non dovrai aspettare molto, signor Doye”
    In tutta risposta, Doye aveva riso.
    “Ancora a preoccuparvi? Sei proprio come quel moccioso tu, lo volete capire che io sono fortissimo? Questi li faccio secchi tutti da solo”
    Yuna non aveva risposto, si era inchinata ed era corsa via, lasciandolo solo a combattere contro gli Shadowgears e a maledire il proprio cuore di pastafrolla, nemmeno in grado di spezzare le speranze di un ragazzo innamorato.

    “Oh, al diavolo me e questi merda di portali” sbottò, gettando bruscamente da parte tutti quei pensieri inutili.
    Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma non si sarebbe perdonato facilmente se quel biondino avesse perso le penne per colpa sua e della sua mancanza di decisione.
    Aveva superato da un pezzo le volute di fumo ed ormai il palco era vicinissimo. Ancora pochi secondi e si sarebbe schiantato.
    Borbottando tra sè, Doye sollevò un braccio e creò un portale sotto di sè.
    Ci si buttò dentro e riapparve con un saltello sul palco, proprio nell’istante in cui la pietra che aveva usato come mezzo andava a conficcarsi nella fronte del grosso robot batterista sottostante.
    Ansimando vistosamente, si guardò intorno.
    Neanche questo avrebbe mai ammesso, neanche con sè stesso, ma gli scontri di poco prima lo avevano stremato. Probabilmente non avrebbe avuto la forza di sostenerne altri.
    Nascosta molto in fondo, accanto all’immagine di un divano morbido e confortante, dietro tonnellate di arroganza e amor proprio, sosteneva la piccola speranza che almeno lì non ci fossero Shadowgear.
    Speranza subito delusa dai passi lenti di una delle creature oscure, che emerse dal fumo che avvolgeva metà dello spazio rotondo che formava il palco.
    Doye lo guardò con sospetto. Fece qualche passo verso destra, senza staccargli gli occhi di dosso.
    Rispetto a tutti quelli che aveva incontrato fino a quel momento, questo gli sembrò in qualche modo...diverso.
    A parte il fatto che portava cilindro e monocolo e già di per sè questo era strano. Un’aura di autorità sembrava emanarsi da lui ed una sorta di potere sopito che Doye non riuscì ad identificare con precisione.
    Notò che, rispetto ai suoi frenetici simili, lo Shadowgear esibiva uno sguardo calmo e freddo, cosa che lo rendeva cento volte più minaccioso, perchè nascondeva ogni sua possibile intenzione.
    Di sicuro, non prometteva nulla di buono.
    Muovendosi cautamente e senza mai perderlo di vista, Doye raccolse un sasso grande quanto un pugno, lo impresse del simbolo esplosivo e glielo scagliò contro.
    Lo Shadowgear non si mosse dalla traiettoria nè accennò un qualsiasi tentativo di difesa. Semplicemente, strinse gli occhi verso il proiettile, come se cercasse di metterlo a fuoco. Come rispondendo ad un comando, la pietra si fermò a mezz’aria, roteò per un istante su sè stesso e poi si disintegrò silenziosamente.
    Doye la vide svanire nel nulla con un’espressione corrucciata.
    “Bel trucco” commentò secco, afferrandone un’altra da terra.
    Lo Shadowgear si inchinò. “I miei ringraziamenti” disse, rivolgendosi con un tono di perfetta cortesia a chi aveva cercato di farlo saltare in aria.
    Doye sogghignò. “Tu sei quello di Besaid...” Non era una domanda. “Pendleton, giusto?”
    “Sono onorato che vi ricordiate di me, messer nano”
    “Niente assegni stavolta?” lo prese in giro, continuando a muoversi cautamente.
    Pendleton sospirò. “Temo che... Il tempo dei giochi sia finito, amico mio” Senza mostrare la minima preoccupazione, lo Shadowgear volse lo sguardo in direzione delle gradinate distrutte. “Ho assistito alle vostre imprese da qui. Davvero impressionante, non c’è che dire, resistere da solo contro tutta la massa dei miei fratelli ed abbatterne anche un gran numero, per giunta”
    “Pfui, mi sto solo riscaldando” sputò Doye, ma sapeva bene che il tremore dei suoi movimenti e l’ansimare della sua voce tradiva lo stato in cui si trovava.
    Pendleton lo osservò in tralice per un istante, abbastanza da fargli capire che non credeva d una sola delle sue parole, prima di tornare a guardare l’orizzonte.
    “Ho notato la tecnica che avete utilizzato per affrontare i miei confratelli, messer nano. Tutti quei simboli luminosi, non ho mai avuto una buona memoria, ma mi è sembrato di riconoscerli”
    Doye sbuffò d’impazienza.
    “Si, sono Rune, congratulazioni per la scoperta. E lo stile che uso si chiama Arte Runica dell‘Assalto Implacabile, vuoi sapere qualcos’altro?”
    “No, non ho particolare interesse riguardo ciò” Benchè fosse stato chiaramente preceduto, il tono della voce di Pendleton non perse una virgola della sua sfumatura neutra. “La cosa che mi lascia più perplesso è che pensavo ci fossero solo due persone in grado di utilizzarle al di fuori di quel pianeta”
    Doye sbarrò gli occhi.
    “E poichè una di esse non può essere, allora voi dovete essere...”
    Una scarica di esplosioni devastò tutta la zona circostante lo Shadowgear. Tutte quelle indirizzate a colpirlo furono deflesse o annullate da qualcosa di invisibile all’occhio umano, ma i crateri che lasciarono quelle esplose ne testimoniarono la potenza rabbiosa.
    “Questa vostra reazione mi fa dedurre di aver indovinato” commentò Pendleton. “Siete proprio voi...Doye...”
    La mascella stretta fino a farsi scricchiolare i denti, i pugni stretti e luminosi di energia Runica, gli occhi sbarrati e infiammati di pura furia, Doye teneva il braccio teso, fermo nel gesto con cui aveva scagliato dieci pietre in un colpo.
    “Stai zitto!” urlò. “Non parlare più...” Fiamme guizzanti gli percorsero la pelle delle braccia, man mano che vi apparivano sopra decine di simboli ognuno diverso dall’altro ed ognuno ribollente di energia.
    Tre parole pronunciò il nano, dense di una rabbia spaventosa e belluina.
    “O ti uccido”
    Pendleton fronteggiò la furia del nano con una calma stoica.
    “Capisco...” disse. “Non volete che si venga a sapere la vostra vera identità...rispetterò la vostra decisione”
    L’ombra di Pendleton si sollevò, innalzandosi enorme di fronte alla luce di Doye. Prese la forma di uno Shadowgear gigantesco, con una pancia enorme, braccia massicce e gambe larghe e tozze. Una corazza d’argento gli ricopriva spalle e stomaco, inerpicandosi fino ai pugni grandi come massi, dove si arcuava in larghi spuntoni, uno per ogni nocca. Pistoni e meccanismi la costellavano esalando sbuffi di vapore e clangore d’acciaio ad ogni movimento.
    Il Ciccio Shadowgear spalancò la mascella di ferro in un ruggito che scosse ogni pietra dello stadio.
    “Ora, però. devo distruggervi” disse Pendleton, glaciale.
    Al comando della sua voce, il mostro scagliò un pugno a terra e fu come se una valanga di massi si schiantasse al suolo.
    Doye fu colpito dall’onda d’urto e sbalzato a metri di distanza. Rotolò per attutire la caduta e si fermò in ginocchio, volgendosi di nuovo verso il suo nuovo, mastodontico avversario.
    “Vi distruggo, bastardi!”
    Mentre il Ciccio tornava a sollevare il braccio, il nano si scagliò in avanti con un furibondo grido di battaglia.
    Spinto dalla furia e dalla rabbia, non aveva esitazioni nel lasciarsi avvolgere dalla frenesia dello scontro, sopratutto perchè era convinto che ormai il biondino e la ragazza dovevano essersi messi in salvo.
    Non sapeva che entrambi si stavano affrettando verso il palco attraverso un passaggio sotterraneo. Troppo coraggiosi per lasciarlo da solo, si affrettavano verso la battaglia in cui avrebbero trovato il loro destino.
  5. .
    “Mio Lord, siamo pronti ad agire!”
    Le parole dello Shadowgear messaggero erano musica per le orecchie di Pendleton.
    Il Lord gettò un rapido sguardo tutt’attorno a sè, impassibile, prima che un lungo, profondo sospiro di apprezzamento gli attraversasse la gola.
    Era un suo piccolo vezzo: amava il pensiero di essere stato l’ultimo ad aver assaporato l’odore di un pianeta cosparso di Luce.
    E sarebbe stato l’ultimo.
    Tutto era pronto. Nell’atmosfera allegra, immersa nella musica vivace che andava a ritmo con la voce della cantante, tutto era pronto. Nascosti dietro ogni ombra, le squadre di incursori avevano completamente circondato il perimetro esterno dello stadio. Confusi in ogni brandello di oscurità rimasto tra le luci cangianti del concerto, dozzine di soldati oscuri erano sparsi in ogni angolo del perimetro interno. Immerso nell’ombra di uno degli spettatori della folla scalpitante, ogni Shadowgear affilava gli artigli e le zanne. E infine, schierati dietro di lui attorno all‘essere oscuro gigante, il restante dei suoi sottoposti attendeva con trepidazione.
    Tutti non aspettavano che un suo cenno per agire.
    Pendleton si toccò la tesa del cilindro con un artiglio, calandoselo leggermente sugli occhi. Un piccolo ghigno gli si allargò sulla faccia nera.
    Come poteva deluderli?
    Lentamente, molto lentamente, gustando ogni secondo di quel momento intriso di trionfo, Pendleton sollevò il braccio verso l’alto. Tutti gli Shadowgear presenti nell’arena si tesero, pronti a scattare al comando della volontà del Lord.
    La musica del destino andava secondo il loro volere, non c’era nulla che potesse fermarli.
    Pendleton sorrise.
    E all’improvviso, un esplosione squarciò la sinfonia perfetta degli Shadowgear. La folla festante si bloccò di colpo, inorridita dalla sorpresa. La cantante tacque, il concerto si spense in un silenzio completo.
    Lo sguardo del Lord si mosse in ogni direzione, appena allarmato, alla ricerca della fonte di quella stonatura che rischiava di mandare all‘aria ogni cosa..
    “Che sa succedendo, poffarbacco?” chiese, senza perdere un briciolo di calma, mentre mormorii stupiti e preoccupati traversavano la folla come onde nel mare.
    Richiamato all‘istante, lo Shadowgear messaggero emerse dall‘ombra. “Mio Lord, tutta la tribuna 13 è stata colpita da un esplosione improvvisa!” riferì trafelato, conscio di come un simile imprevisto incidesse sul loro successo.
    Pendleton aggrottò la fronte. “Tutto ciò è frustrante” commentò, sempre calmo ed impeccabile. “Come è potuto succedere?”
    “Non lo sappiamo, mio Lord, per colpa del fumo non riusciamo ad individuare la fonte dell’esplosione”
    “Poffarbacco!” La nota d’ira, quasi impercettibile, nel tono di Pendleton fece arretrare il messaggero, terrorizzato. “Non possiamo permettere a niente di ostacolarci! Date l’ordine che tutte le squadre si mettano in azione! Immediatamente!”
    “Ma...mio Lord!” Cercò di protestare il messaggero. “In questo modo l’ordine dell’operazione non può essere rispettato!”
    “Mi permetto di insistere, mio amico” disse Pendleton, assottigliando gli occhi cremisi e la minaccia insita nella sua voce bastò al messaggero per abbassare la testa in un rapido saluto e scomparire di nuovo, diretto a portare gli ordini.
    Quando fu svanito, Pendleton scosse la testa con disappunto. No, non era infuriato, nè preoccupato, forse prima lo era stato, ma adesso non più. Gli sciocchi umani erano allarmati e, dove prima c’era una confusione ideale per un azione rapida e mirata, adesso c’era solo un silenzio attonito che non avrebbe permesso ai soldati oscuri di muoversi a proprio piacimento.
    “Ciò non cambierà nulla” borbottò Pendleton. Non cambiava nulla. Senza l’effetto sorpresa, sarebbe stato più difficile eliminare tutti gli umani per impedire che qualcuno potesse dare l’allarme al resto della città, ma questo non precludeva l’esito della missione.
    Pendleton annuì. Li avrebbero bloccati tutti prima che la voce diffondesse, dovevano solo agire in fretta.
    L’unica incognita dipendeva da ciò che aveva causato l’esplosione. Il Lord poteva immaginarne la causa, anzi gli autori, e anche se andava contro ogni concezione logica, si convinceva sempre di più che doveva trattarsi di quel irritante nano e di quel moccioso biondo.
    “Beh, che vengano” mormorò tra sè. Fece un gesto agli Shadowgear schierati di dietro di lui. Quelli spalancarono le bocche e si scagliarono in avanti, gettandosi uno dopo l’altro dalle aperture che li avrebbero condotti sugli spalti.
    Pendleton rimase fermo mentre dozzine di essi lo superavano correndo e ruggendo, lo sguardo cremisi fisso nel punto in cui il fumo oscurava la visione di parte della tribuna.
    “La vostra maleducata interruzione è una stonatura che ne ha precluso la perfezione, messer nano, ma la nostra sinfonia non è stata ancora spezzata”
    L’enorme creatura d’ombra gli si mise accanto, in attesa. Due occhi rosso sangue brillarono nell’Oscurità.
    Lo sguardo di un predatore che attende, paziente.

    A Tidus sembrava di essere stato passato in un frullatore.
    Dopo aver attraversato il portale, una luce accecante lo aveva avvolto assieme a una sensazione di freddo cosi forte che aveva temuto di morire assiderato come un pesce surgelato. Subito dopo, le orecchie gli si erano riempite di un fragore violento e si era sentito tirare da ogni direzione, quasi come se il suo corpo avesse improvvisamente deciso di smontarsi di propria volontà. Infine, quando tutto era svanito in un silenzio completo e aveva cominciato a pensare di essere morto, era stato aggredito dal calore.
    Una vampata bollente, bruciante, lo aveva travolto, aggredendogli il corpo con centinaia fitte violente; bagliori di luce gli erano balenati di fronte agli occhi e un dolore lancinante gli aveva invaso il corpo come migliaia di piccoli uncini che strappavano la carne.
    Per un attimo lungo quanto un‘esistenza, si era sentito come un filo d’erba in un incendio. Non riusciva a muoversi e il dolore gli impediva anche solo di provare a pensare a qualcosa. Con solamente un profondo terrore a cui aggrapparsi, si era lasciato andare, travolto dal tormento.
    Poi, di colpo, tutto era cessato. Il calore, la paura, la sofferenza, tutto era svanito ed era giunta una calma cosi piacevole che avrebbe potuto urlare dalla felicità se avesse avuto abbastanza voce.
    Era ancora lì, ansimante e con il cuore e la mente in tumulto. Rimase fermo per quelle che gli parvero ore, con la terrorizzante prospettiva che il tormento stesse per riprendere da un momento all’altro.
    Passarono secondi lunghissimi, scanditi solo dal suo respiro veloce e spaventato. Lentamente, mentre la consapevolezza che il dolore non sarebbe tornato prendeva piede in lui, riprese il controllo delle proprie emozioni e la calma riprese, almeno in parte, il sopravvento.
    Il pensiero di Yuna in pericolo lo travolse come un’onda di maremoto.
    Agitato e con il cuore che batteva a mille, cercò di capire se il portale creato da Doye li aveva inviati davvero dentro lo stadio.
    La prima cosa che percepì fu qualcosa di freddo e liscio sotto di sè.
    La seconda che era rimasto tutto il tempo ad occhi chiusi.
    Dandosi dello sciocco, li aprì.
    Nero. Il mondo era coperto dal nero. Non riusciva a vedere nulla, solo la completa Oscurità.
    Allarmato, battè le palpebre e cercò di mettere a fuoco, ma il risultato non cambiò Stava per sfregarsi gli occhi, quando qualcosa gli afferrò saldamente il polso.
    Tidus gridò per la sorpresa e cercò vanamente di divincolarsi. Tutto inutile, la presa dell’altro era una morsa d’acciaio. Il ragazzo digrignò i denti per la rabbia di non riuscire a vedere di chi si trattasse e cominciò a menare calci e pugni verso i punti in cui riteneva trovarsi il suo assalitore.
    “Dannazione, stà buono! Stà buono, accidenti a te! Sono io! Sono Doy...ARGH!!!”
    Tidus comprese chi aveva di fronte proprio nel momento in cui il suo piede colpiva qualcosa. Trasalì.
    Non era la gamba.
    “Oddio! Brutto grandissimo figlio di una Argh! Che maleee!!!”
    La conferma venuta dalla voce strozzata del nano lo fece vergognare fin nel profondo.
    “Ehm, prova a battere i piedi per terra” provò a consigliare, sentendosi colpevole.
    Pessimo tentativo.
    “Ma lo sai dove te li puoi ficcare i piedi?!?!? Accidenti a te, brutto...”
    Non riuscì a cogliere l’ultima parola, perchè un paio di mani callose gli serrarono bruscamente la testa, tappandogli le orecchie.
    “Ma che...” stava per chiedere, ma il grugnito assassino di Doye lo fece tacere.
    “Stà zitto, e fammi fare”
    La voce di Doye fendeva con decisione il buio che lo circondava, però non seppe dire da dover proveniva con precisione. Turbato, mantenne per sè le proprie domande e, anche se la preoccupazione per Yuna rischiava di farlo scoppiare, fece di tutto per tenerla a bada ancor aun po’.
    Per fortuna, non dovette attendere molto. Era passata appena una manciata di secondi che sentì un calore piacevole cominciare a diffondersi dalle mani tozze del nano. Come un’onda confortante, gli lenì la mente e il cuore, per poi concentrarsi sulla zona all’altezza degli occhi e lì affondare e disperdersi. Appena svanì, le mani del nano lo lasciarono e Tidus aprì gli occhi.
    Fu quasi con sollevò che accolse la visione della brutta faccia di Doye che lo osservava con un‘espressione imperturbabile. Gli era quasi mancato...molto poco, però.
    “Adesso piega la testa in diagonale e schiva verso destra” disse il nano.
    ”Eh?”
    Istintivamente, Tidus obbedì. Un paio di artigli solcarono il punto in cui si trovava la sua testa un secondo prima, gli tagliarono una ciocca di capelli e affondarono nella pietra per un palmo, sollevando polvere e frammenti.
    Tidus ci mise un po’ a capire la situaizone. Lui de Doye si guardarono, spostarono lo sguardo all’unisono sul mucchio di Shadowgear sbavanti ed urlanti che stava per assalirli, tornarono a guardarsi, poi scapparono veloci come razzi.
    “Siamo dentro lo stadio, vero?” chiese, anzi gridò Tidus, lui e il nano correvano paralleli sulle gradinate con un’orda di Shadowgear alle calcagna.
    “Diavolo! E io che pensavo di aver aperto il portale sul club di golf!” rispose di rimando Doye, dribblando un mucchio di pietre cadute.
    Tidus gettò una rapida occhiata tutt’attorno. All’inizio il fumo e le condizioni disastrate gli avevano fatto pensare di trovarsi in qualche altro posto, ma adesso che lo vedeva meglio quello era proprio lo stadio di Luka.
    Non poteva credere ai suoi occhi. Il luogo in cui le persone di tutta Spira si riunivano per divertirsi, testimone delle più importanti manifestazioni, sembrava un campo di battaglia. Polvere e fumo ammorbavano l’aria, mentre le urla degli spettatori in fuga si mischiavano ai ruggiti e ai sibili degli Shadowgear. Le creature oscure mietevano vittime con una brutalità spaventosa, uccidendo e dilaniando senza distinzioni uomini, donne o bambini e chiunque fosse cosi sfortunato da cadere loro preda. Alcune guardie tentavano di opporre resistenza, ma erano poche e deboli, e venivano sopraffatte rapidamente dalla furia degli invasori.
    Al vedere quella scena, Tidus si morse il labbro.
    “Ti fanno incazzare, vero?”
    Le parole di Doye lo presero alla sprovvista. Si voltò a guardarlo e rimase sconvolto da ciò che vide. Un ghigno feroce si allargava sul volto del nano e uno strano luccichio gli brillava negli occhi, donandogli un inquietante sfumatura cremisi.
    Tidus deglutì, avvertendo una stretta al cuore nel guardarlo. La rabbia e il timore gli impedirono di parlare, cosi si limitò ad annuire.
    “Già, anche a me...” continuò Doye. La sua mano scattò ad afferrare uno dei sassi caduti dalle tribune soprastanti, prima che si voltasse verso l’ondata di Shadowgear avanzanti.
    “Mi hanno proprio stufato questi mostriciattoli!!!!”
    Colto di sorpresa da quel improvviso mutamento, Tidus inciampò nel tentativo di fermarsi a sua volta e cadde. Una fitta di dolore gli dardeggiò lungo il braccio quando picchiò contro uno spigolo dei grossi gradini della tribuna, ma quasi non vi fece caso, assorbito dalla scena che gli si presentava di fronte.
    Doye fronteggiava da solo la massa di Shadowgear avanzante. Senza smettere di sorridere, sollevò il sasso e vi picchiò le nocche sopra. Immediatamente, sulla superficie liscia della pietra comparve un simbolo, lo stesso, notò Tidus con stupore, che aveva fatto esplodere il molo.
    “Avete sentito, mostricciattoli?” gridò Doye, sollevando il pugno verso gli Shadowgear che stavano per avventarsi su di lui. “Mi avete proprio stufato!!” gridò ancora più forte, e scagli la sua amra improvvisata.
    La pietra schizzò in avanti come un proiettile. La luce emanata dal simbolo aumentò man mano che avanzava e quando colpì in fronte lo Shadowgear di fronte agli altri era abbagliante.
    Un esplosione violentissima spazzò la tribuna. La conflagrazione spazzò via le creature oscure come fossero coriandoli. Alcuni volarono giù dalla gradinata e si schiantarono al suolo, centinaia di metri più in basso, altri strillarono e caddero, reggendosi monconi di braccia e gambe, ma la maggior parte venne semplicemente spazzata via e si disintegrò in un coro di strepiti di dolore e sbuffi di fumo nero.
    L’onda d’urto colpì Tidus con la forza di uno schiaffo. Digrignando i denti, si riparò con le braccia dall’impetuosità del vento e afferrò nel contempo il bordo della scalinata per evitare di essere sbalzato via.
    A pochi metri di stanza, Doye si era piegato su un ginocchio per resistere, la barba e i vestiti troppo larghi che gli frustavano addosso come serpenti impazziti. Il suo ghigno non era scomparso e Tidus si ritrovò a chiedersi se in quel momento fossero più pericolosi gli Shadowgear o il nano..
    Non ebbe il tempo di rispondersi, perchè appena tornata la calma, decine di ombre nero pece strisciarono giù dai muri, mentre altre risalivano dalle gradinate inferiori ed altre ancora spuntavano dalle crepe nella pietra. Era una vera e propria invasione oscura, e una dopo l’altra cominciarono a contrarsi verso l’alto, come se qualcosa spingesse da sotto per uscire, qualcosa che si concretizzò come altrettanti Shadowgear che emergevano alla luce.
    Tidus osservava con un misto di emozioni contrastanti. Era uno spettacolo incredibile, terribile, eppure anche affascinante in quanto spezzava ogni logica ed ogni legge.
    Innaturale.
    “Ehi, moccioso!” gridò Doye, strappandolo dalla trance in cui era caduto. Sollevò lo sguardo verso di lui e notò che sembrava combattuto. “Mi faccio schifo da solo a dirlo...ma ...li trattengo io! Tu vai dalla tua ragazza!” gridò, mentre la gradinata tornava a brulicare di Shadowgear, e continuavano ad aggiungersene sempre di più.
    Il cuore di Tidus ebbe un sobbalzo. Il trepestio formicolante degli Shadowgear, l’agitarsi dei loro arti e lo schioccare delle mandibole li rendevano spaventosi solo a guardarli, figuriamoci affrontarli.
    “Aspetta, Doye! Non puoi affrontarli da solo!”
    Il nano emise un verso di disprezzo.
    “Puah! Non provare a dirmi quello che devo fare, mocciosetto! Queste mezze calzette me le mangio quattro a quattro quando sono arrabbiato!”
    Uno Shadowgear ballò fuori dalla massa dei suoi consimili per lanciarsi su Doye, la mascella abnormemente spalancata a mostrare una spaventosa chiostra di denti.
    Senza scomporsi, il nano schivò il morso con un saltello laterale e, nel momento in cui lo sorpassava, picchiò il palmo aperto sulla schiena della creatura oscura.
    Il simbolo esplosivo apparve sullo Shadowgear, che cominciò a dimenarsi nel tentativo di staccarselo di dosso.
    Inutilmente. Tidus lo vide esplodere appena pochi secondi dopo in una vampa rossa e svanire, consumato dal calore, in una pioggerellina di cenere nera che cadde sulla pietra, prima che un piede la calpestasse seccamente.
    “E ADESSO SONO ARRABBIATO COME UNA IENA!!”
    Doye spalancò le braccia e gridò in faccia agli Shadowgear, che, ammoniti dalla fine del loro compagno, indietreggiarono.
    “Cosa te ne stai a fare ancora là come uno stoccafisso? Muoviti!” ordinò Doye furibondo.
    Tidus, rimasto imbambolato a guardare, si riscosse e si morse il labbro, combattuto.
    Se lasciava solo Doye contro quell’armata di mostri, c’era il rischio che facesse una brutta fine, ma se non lo faceva, allora Yuna...
    La voce furiosa di Doye si insinuò nei suo dubbi.
    “Dannazione! Vuoi muoverti o no?” gridò il nano, saltando per schivare gli artigli di un altro Shadowgear. Ricadde sul gradino superiore, mentre le creature oscure gli si avvicinavano, insidiandolo da tre lati.
    “Doye...” mormorò Tidus. Si odiò per quello che stava per fare, ma non aveva altra scelta.
    Il palco fluttuante al centro dello stadio, da dove Yuna teneva il concerto, brulicava di Shadowgear e, anche se il fumo che saliva dal macchinario inferiore a forma di robot batterista oscurava la visuale, si sentivano lampi e schianti fragorosi che non lasciavano presagire nulla di buono.
    Tidus era preoccupato oltre ogni limite.
    “Doye...“ ripetè. “Non morire, mi hai capito? Non morire!”
    Il nano respinse uno Shadowgear con un calcio troppo audace, prima di rispondergli con un ghigno.
    “Te l’ho detto, moccioso! Non devi dirmi quello che devo fare! E comunque non sprecare il fiato, io non muoio neanche se mi uccidono!”
    Con l’ombra di un sorriso per quell’ennesima spacconata, Tidus corse via. Sentiva riecheggiare dietro di sè le sfide e e parolacce che Doye lanciava agli Shadowgear, ma si costrinse a proseguire.
    Yuna aveva bisogno di aiuto.
    Un lampo di determinazione gli illuminò gli occhi azzurri, mentre attraversava rapidamente la tribuna.
    Il percorso, poco prima liscio e perfettamente agibile, era invaso dalle macerie e dalla polvere.
    Per sua fortuna, Tidus si venne venire in aiuto il proprio allenamento da Blitzballer. Saltare blocchi di pietra caduti, aggirare fiamme che si protendevano verso l’alto con fitti tentacoli di fiamma e superare barriere di fumo era nulla per chi era abituato ad immergersi fin nelle profondità nell’oceano e a resistere contro le pugnalate del gelo intenso e la sofferenza della mancanza d’aria.
    Se poi, oltre all’allenamento, quel qualcuno vedeva anche un pericolo la Luce che lo guidava il risultato era la determinazione più resistente del ferro.
    Tidus emerse ricoperto di polvere e ansimante dal caos scatenato dagli Shadowgear e si gettò precipitosamente per la scalinata che lo avrebbe portato ai passaggi inferiori da cui si accedeva allo stadio.
    Non incontrò nessuno.
    Probabilmente tutti gli occupanti delle tribune superiori erano fuggiti....oppure erano morti.
    Tidus serrò i denti dalla rabbia.
    Mentre superava la seconda rampa di scale, tre Shadowgears emersero dalle ombre, sibilando, diretti verso l‘uscita.
    Senza fermarsi ed approfittando del fatto che non l‘avessero visto, il ragazzo estrasse la spada e spiccò un salto.
    “Dannati mostri!” gridò, mentre azzerava la distanza che lo separava dagli oggetti della sua rabbia.
    Lo Shadowgear più vicino ebbe appena il tempo di voltarsi prima che il fendente lo tagliasse a metà.
    Tidus pose di nuovo piede a terra, nel momento in cui i due tronconi cadevano a terra, prima uno poi l’altro.
    Ma ormai l’effetto sorpresa era sfumato.
    Gli altri due Shadowgears, infuriati per la fine del loro compagno, sguainarono le zanne e partirono alla carica ad artigli sguainati.
    Tidus non stette ad aspettare che lo raggiungessero. Accecato dall’ira, gridò a sua volta e balzò in avanti, facendo roteare la spada in un tondo furente che squarciò il ventre del più veloce dei due avversari. Il ragazzo non fermò il proprio movimento, però, e lasciandosi trascinare dal proprio stesso impeto, roteò su sè stesso e mollò un calcio allo Shadowgear ferito, scagliandolo contro il suo stesso compagno.
    Le due creature caddero in un groviglio di arti e soffi irati e non ebbero modo di difendersi dalla spada di Tidus, che li trapassò entrambi ed eruppe dalla parte opposta, piantandosi nel pavimento.
    “Maledetti mostri...” sibilò il ragazzo, estraendo l’arma dai corpi che scomparvero subito dopo in migliaia di frammenti oscuri.
    La rapidità con cui li aveva eliminati lo sorprese e lo turbò assieme.
    Sull’isola riusciva a malapena a vedere i movimenti di quei mostri tanto erano veloci. Per quanto si fosse sforzato fino al limite delle forze, la sua spada non riusciva a colpirli, quasi fossero esseri incorporei impossibili da toccare.
    Adesso invece...
    Un dolore improvviso lo trafisse.
    Crollò in ginocchio, e dovette usare la spada come appoggio per non cadere.
    “Ma...cosa...?” chiese a nessuno in particolare. Si scoprì ad ansimare e fradicio di sudore.
    Eppure non credeva di essersi stancato tanto.
    Una nuova fitta lo assalì, strappandogli un gemito. Stavolta crollò a terra. Un’altra fitta gli trafisse il naso quando cozzò violentemente contro il pavimento, ma non era nulla in confronto al dolore che gli percorreva la testa.
    Un bruciore violento e selvaggio gli invase gli occhi e dovette sforzarsi per non urlare.
    Tremante, sollevò una mano per toccarsi e sentì qualcosa di viscido scivolargli tra le dita. Aprì gli occhi quel poco che gli permetteva il dolore e vide che si trattava di sangue.
    Un’ondata di panico lo travolse al ricordo del tormento che lo aveva colpito poco prima di entrare nello stadio.
    Forse dipendeva in qualche modo dal portale creato da Doye?
    Non seppe dirlo, e neanche gli interessava.
    Appena il dolore diminuì, sbattè entrambi le mani sulla fredda pietra del pavimento e spinse per sollevarsi. Il suo corpo protestò con una serie di fitte violente alla testa, ma si sforzò di ignorarle.
    “Yuna...”mormorò tra i denti serrati, combattendo contro la vista che si annebbiava. “Yuna...”
    Con grande fatica, riuscì a rimettersi in piedi.
    “Yuna...”
    Riuscì appena a fare un passo in avanti prima che le gambe gli si piegassero rischiando di farlo cadere di nuovo. Fu solo con un colpo di reni dettato più dalla disperazione che per un movimento calcolato che evitò di baciare ancora il pavimento e si accasciò contro la parete, ansimante.
    Lì attese, tormentato da fitte improvvise e ridondanti, che il dolore cessasse.
    I secondi passarono rapidi, febbrili, cosi veloci da dare quasi l’impressione che il tempo gli si fosse rivoltato contro.
    Tidus attese solo quel poco che bastava. Appena la visuale smise appena di traballare, spinse con la parete con mano e guancia insieme e si buttò al centro del corridoio.
    Barcollò come un ubriaco ed ebbe un altro capogiro, ma il voler smettere di perdere tempo era più forte di ogni altra cosa.
    Con un guizzo di rabbia, strinse i denti e si costrinse a camminare. L’uscita sembrava più lontana che mai, una macchia indistinta che si prendeva gioco di lui e della sua debolezza.
    Ogni passo era un’agonia: un tremore bruciante gli si diffondeva su per le gambe e riverberava in lui ogni volta che il la fredda pietra cozzava contro i suoi piedi. Era come se fosse diventato un fantoccio di paglia. Non più di carne ed ossa, sarebbe bastato uno spiffero di vento troppo forte per farlo crollare.
    “Yuna...” pronunciò di nuovo.
    Mentre avanzava a fatica, vide i ricordi farglisi incontro. Uno dopo l’altro, cominciarono a danzargli di fronte, ognuno una maschera portatrice di un momento diverso.
    Rivide sè stesso, il viziato, sciocco giocatore di Blitzball, avvelenato dall’ossessione e l’odio per suo padre e in perenne ricerca dell’approvazione che solo la folla sapeva dargli.
    Un sorriso amaro gli si stirò sul viso. Solo adesso capiva quanto era stato patetico.
    L’invidia -perchè di questo e solo questo si trattava- lo aveva roso come l’osso di un cane, spingendolo ad affogare la sua frustrazione nell’appoggio che il pubblico gli tributava. Come un buffone si era messo in mostra di fronte a milioni di persone, come un bambino in cerca di un affetto mai ottenuto da un padre troppo irraggiungibile.
    Ma ci aveva mai provato?
    Aveva mai provato a pensare a Jecht come a qualcuno da invidiare?
    Aveva mai pensato a lui come un padre?
    Ora ne era sicuro...no, non lo aveva mai fatto.
    La dura consapevolezza di quanto si fosse comportato da bambino viziato lo colpì come una stoccata al cuore, ma all’orgoglio ferito si mischiò una sorta di dolce tristezza per averlo finalmente capito.
    In fondo, presto o tardi, l’importante era arrivarci, no?
    Dopo Zanarkand e le sue luci, rivide il pellegrinaggio attraverso le terre di Spira. Rivide le battaglie, le vittorie, le sconfitte, gli intrighi, tutte le avventure che avevano attraversato in quei pericolosi momenti.
    Era un carosello di immagini ed emozioni, ognuna unica ed importantissima nella sua irripetibilità, ognuna un passo che li aveva portati avanti.
    Tutti loro. I suoi compagni di viaggio.
    Wakka, con la sua testardaggine, la sua fede bigotta e la squadra di Blitzball.
    Lulu, con il nero dei suoi abiti e dei suoi rimorsi.
    Kimarhi, il gigante silenzioso dal corno spezzato, simbolo dell’infamia del passato e delle promesse per il futuro.
    Rikku, bionda, allegra e battagliera Albhed.
    Auron, l’orgoglioso guerriero che continuava a lottare anche dopo la morte.
    E poi...lei.
    Lei cosi bella, lei cosi dolce, preziosa, insostituibile, fondamentale.
    Lei, lei, lei...
    Il muro venne dilaniato da un esplosione.
    Un mostro sbuffante e ruggente emerse con impeto dai detriti agitando un enorme paio di corna. Mosse la testa nera di quà e di là un paio di volte, prima che il suo inquietante sguardo cremisi si posasse sul ragazzo ferito.
    A fatica, Tidus si destreggiò tra le maglie del dolore quel poco per riuscire a sollevare di nuovo la spada. Le mani gli tremavano e la visuale gli oscillava di fronte, ma l’immagine di lei lo sosteneva come uno scoglio per un naufrago perso in un mare in tempesta.
    Il Taurus mugghiò e raspò a terra con uno degli zoccoli che gli sostituivano le zampe inferiori. Una scintilla elettrica balenò dal contatto con il pavimento nel momento in cui il mostro oscuro si lanciò alla carica a testa bassa, facendo tremare la terra con i suoi passi.
    “Yuna...”
    Tidus lo attese, la testa vuota di ogni altro pensiero che non fosse lei.
    Schivò la carica con un balzo laterale e menò un fendente al fianco del mostro. Il Taurus mugghiò di dolore e sferzò con il pugno verso la testa del ragazzo che l’aveva colpito.
    Tidus evitò per un pelo di ritrovarsi con il cranio spaccato saltando all’indietro. Strinse i denti talmente tanto da sentirli stridere quando la pelle coriacea delle nocche gli sfregò con violenza sul petto. Arretrò, una vistosa escoriazione all’altezza del cuore, e il dolore tornò ad invaderlo sottoforma di mille aghi che gli artigliavano il respiro.
    Lo scacciò con rabbia.
    No, non poteva perdere. Non poteva non rivederla. Non poteva.
    Ansimante, si appoggiò su un ginocchio e cercò di concentrarsi sul suo avversario.
    Il Taurus, spinto dalla sua stessa carica, aveva proseguito, ma ciò non bastava per una pausa. Infatti, il mostro allargò il braccio e lo affondò nel muro utilizzandolo come freno. Un solco lungo sei metri attraversò l’acciaio della parete prima che riuscisse a fermarsi e con un mugghio rabbioso tornasse alla carica.
    Stavolta, Tidus si lanciò alla carica a sua volta.
    “Yuna...” mormorò, nell’urlo assetato di sangue dello Shadowgear.
    Gridò e spiccò un balzo. Le corna del Taurus gli sfiorarono le ginocchia e graffiarono la pelle, mentre il loro proprietario lo osservava ad occhi spalancati innalzarsi su di lui.
    Tidus rispose con uno sguardo furente e menò un colpo dall’alto verso il basso con tutta la forza che aveva. La spada calò verso la testa scoperta del Taurus con tanta forza che avrebbe potuto tranciare l’acciaio. Se l’avesse colpito non gli avrebbe lasciato scampo.
    Ma non lo raggiunse.
    Il braccio dello Shadowgear scattò e colpì l’arma proprio nel mezzo. La spada si spezzò con uno schianto secco disseminandosi nell’aria in migliaia di frammenti.
    Per un istante infinito, Tidus li osservò danzare e fluttuare come petali di un fiore caduto. Una profonda tristezza gli offuscò gli occhi azzurri.
    Ogni frammento lo rifletteva in centinaia, migliaia di modi ed angolazioni diversi ed in ognuno di essi rivide tutti gli errori, tutti gli sbagli che aveva commesso, ognuno un immagine di condanna.
    Vide, come al rallentatore, scariche azzurrine contorcersi tra le corna del Taurus e scagliarsi contro di lui in una violenta scarica elettrica che lo avvolse completamente. Il dolore lo avvolse ancora, bruciante, completo, ma solo per un istante.
    Un vacuo torpore prese il suo posto. Non una sensazione, non un sentimento, non era nulla, niente di niente.
    Sentì qualcosa impattargli contro la schiena e pensò che si trattasse del pavimento, ma non ne era certo.
    “Yuna...” mormorò con un filo di voce, mentre un filo di sangue gli scendeva sul mento.
    La visuale gli si offuscò. Su di sè, vedeva una grande ombra nera e due pozzi di lava che lo osservavano, ma nient’altro.
    “E’ la fine?” pensò. “E’ questa la mia fine?”
    Un velo di rimpianto si tese sui suoi pensieri.
    “Yuna...”
    Poi l’ombra calò su di lui.
  6. .
    Mare aperto.
    Quella sera, una barca stranamente rumorosa solcava le acque. Due tizi sospetti, infatti, arrocati sulla tolda, si stavano insultando e urlando addosso come assatanati dalla partenza dalla spiaggia di Besaid, ovvero da cinque ore tonde tonde: il primo, un ometto bassissimo e dall’aspetto massiccio sgridava il suo compagno di non averlo avvertito prima che la sua dannata ragazza era andata in una dannata città a fare un dannato concerto e inveiva contro di lui con espressioni signorili che partivano dalla passione per il baseball di sua sorella fino a meravigliarsi di che gran cavallerizza fosse stata la sua bisnonna.
    Da parte sua, l’altro, un ragazzetto biondo dall’aspetto infantile, rispondeva a tono, argomentando che lui non aveva nessuna colpa se Yuna non lo aveva messo al corrente del concerto e che, poi, era colpa sua se non era riuscito a tornare al villaggio con una buona idea per farsi perdonare, lui e quei stramaledetti cosi nerastri assassini che si era portato dietro.
    L’equipaggio della nave al momento disoccupato, rispettivamente il primo ufficiale e il capitano, si erano appassionati particolarmente a quella disputa; avevano ascoltato ogni parola con un occhio puntato all’ultima rivista de “La mia Vicina” e l’altro alla rotta, alternando la loro solidarietà dall’uno all’altro dei due contendenti, a seconda della validità degli argomenti.
    Alla fine, dopo aver visto sfondare il tetto di due ore e quarantaquattro minuti di furiosa conversazione e il passaggio al tafferuglio furioso, la prevedibile noia per l’impicciarsi di fatti altrui sempre uguali aveva preso il posto della curiosità e avevano smesso di seguire le vicende di quel bizzarro duo. Che nano e ragazzo se la sbrigassero pure da soli per risolvere i contrasti, loro non avevano nè la forza militare nè la voglia mentale di separarli.
    Cosi, si limitarono a mettere un cartello all’uscita dalla sottocoperta che avvertisse i passeggeri che una tempesta particolarmente violenta infuriava all’esterno e non era il caso di uscire. Risolto il problema, si congratularono per l’ottima trovata e scesero a controllare le cabine.
    In fondo, la compagnia a cui appartenevano aveva grande fama per il trattamento di riguardo che riservava ai propri ospiti, e non potevano mica permettersi di intaccarla.
    Sopratutto, non quel giorno che trasportavano ospiti di particolare interesse, nonchè di sostanziosa generosità.
    Come invocato, i capo dei clienti venne verso di loro. Aveva un aspetto decisamente poco umano, con quel suo corpo piccolo e completamente nero, gli occhi cremisi e la bocca piena di denti, ma il grosso cilindro e il monocolo sull’occhio gli conferivano un’aura di austera solennità.
    Ma anche se fosse stato un gigante ricoperto di vermi a salire sulla nave, lo avrebbero accolto allo stesso modo di un re, l’importante era che pagasse profumatamente come aveva fatto quel piccoletto nero. E poi, ne avevano viste troppe sui quei mari, ai tempi di Sin, per stupirsi ancora.
    “Mi perdoni, messere” esordì Lord Pendleton con perfetto bon-ton nobiliare. “Manca ancora molto per l’attracco?”
    Il capitano si profuse in un largo sorriso di ordinanza prima di rispondere, ringraziando il vecchio Yevon che quei due sul ponte fossero troppo impegnati a fare a botte per accorgersi di chi viaggiava con loro. Poi, però, si ricordò che Yevon non esisteva più e si limitò a farsi i complimenti per la propria intraprendenza commerciale e ringraziare il poco controllo sui trasporti marittimi.

    “Allora, siamo d’accordo, tre mesi e 4 giorni”
    “Ovvio, ma fatti più vicino, amico, voglio raccontarti una barzelletta”
    Doye liquidò la questione sul pagamento sparando una testata al capitano della nave che li aveva traghettati fino a Luka e mandandolo lungo sul pontile. Il nano sbuffò d’approvazione di fronte al pover’uomo con la testa attorniata da tante stelline e fece per andarsene, ma all’ultimo minuto ci ripensò; guardò a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra, poi, veloce come una serpe, rubò il portafoglio della sua vittima e sgattaiolò via sghignazzando mefistofelicamente.
    Aveva appena messo piede sulla banchina di pietra di Luka, che una voce ben conosciuta lo richiamò con una nota di disappunto.
    “Uff, non ho capito perchè sono io quello che si è dovuto offrire di lavorare per ripagare sulla nave”
    Doye non si interessò per vedere a chi apparteneva, dato che lo sapeva già, si mise a contare i soldi trafugati. “Te l’ho già detto, Dixan” rispose monotono. “Perchè tu eri quello più prestante e se mi offrivo io non si fidavano e ci lasciavano su quella dannata spiaggia” Si leccò il pollice e riprese a sfogliare la mazzetta di banconote. “E poi io ho la sciatica, non vorrai far lavorare un povero invalido”
    “Se, come se fosse vero” sospirò Tidus, apparendo al fianco del nano. Ormai si era abituato ai discorsi astrusi di quel misterioso individuo e sapeva che, se non voleva ritrovarsi a che fare con un lavaggio del cervello, l’unica era tacere e dargli ragione.
    “Tsè, giovani diffidenti” Doye chiuse i soldi in un rotolino e, dopo averli fatti svanire nella propria barba, in un modo del tutto sconosciuto, si rivolse al ragazzo. “Allora” disse burbero come un comandante militare. “Riepiloghiamo perchè siamo qui, dobbiamo chiedere alla tua fidanzata che ci dia una mano per battere gli Shadowgear che minacciano quello sputo di terra in mezzo al mare che chiamate casa, tutto chiaro?”
    “Si, si, tutto chiaro come è sicuro che Yuna mi farà a fettine per essere venuto a disturbarla proprio il giorno del concerto, e senza neanche un regalo per giunta” sospirò di nuovo Tidus, sempre più afflitto. Non era bello presentarsi in quel modo alla propria ragazza, dopo averci appena litigato e per di più per portargli notizia di mostri sconosciuti, se poi aggiungeva il fatto che quella ragazza era Yuna, allora era finita. Tidus poteva già immaginarsi il disastro: mezza isola distrutta e lui appeso ad un albero per essersi ripresentato senza una scusa decente.
    Magari poteva approfittare della confusione, mentre Yuna massacrava i mostriciattoli neri, per squagliarsela all’inglese...
    Doye non sembrava condividere i suoi dubbi, come se gliene fregasse qualcosa, e gli battè la mano sulla spalla con noncuranza. “Su, su, tranquillo, ragazzo, anche se non ho capito perchè non potevamo chiederlo direttamente a quelli del villaggio, sono sicuro che questa signorina non si arrabbierà se glielo chiedi con gentilezza, perciò su con la vita!”
    Tanto, a lui non fregava nulla, l’isola poteva anche affondare e portarsi dietro gabbiani e isolani: se la sarebbe squagliata in ogni caso. L’importante era affibbiare quel compito a qualcun altro e tirarsi fuori da quella storia, poi poteva pure venire un’epidemia di vaiolo.
    Tidus sospirò per la terza volta. Non ricordava di essere un tipo cosi propenso ai sospiri. “Uff, ma che ci posso fare se Lulu ha pensato che fosse solo una scusa per fare pace con Yuna? Almeno mi ha fatto i complimenti per l’originalità...”
    “Si, prima di darti quella simpatica mazzata in testa” completò Doye, sempre con noncuranza. “Ma su, su, non importa! La ragazza l’abbiamo lasciata a loro, quindi noi abbiamo piena libertà d’azione, non sei contento?”
    “Contentissimo...” Nel dire quella parola, Tidus avrebbe voluto che una pietra cadesse dal cielo e lo facesse sprofondare fino al centro della terra.
    “Ne era sicuro! E adesso andiamo a sto benedetto concerto!” Doye si incamminò lungo il grande viale di pietra coperto che fungeva da punto d’approdo per le barche; si guardò intorno per qualche istante.
    “Da che parte è che lo fanno?” chiese, voltandosi.
    “Da questa parte” rispose Tidus, incamminandosi a destra, seguito subito dal trotterellare del nano. La strada svaniva oltre una stretta curva. Oltre di essa, sapeva che si stendeva il grande stadio utilizzato per il Blitzball e adesso adibito anche per i concerti. Abncora stentava a crederci che la sua Yuna, la seria, riservata Evocatrice con cui aveva condiviso tante avventure, si fosse esibita in quel posto.
    Prima di vederla, avrebbe creduto più facilmente a un nano caduto dal cielo. Dopo averla vista per la prima volta, era stato troppo impegnato ad impedire alla bava di affogarlo per stupirsi.
    Eh, si, era proprio cresciuta la sua Yuna.
    “Ehi, ciccio”
    La voce di Doye lo riscosse dai suoi pensieri. Con pura ira rabbiosa, si voltò di scatto a guardarlo .
    “Eh, no!! Va bene tutto, ma “ciccio” no!!!!” gli gridò addosso, beccandosi, in risposta, un colpo di badile in testa, che lo spedì a capitombolare per terra.
    “Non urlare. Scemo” lo rimbrottò Doye, con l’arma del delitto sulla spalla, per poi far correre lo sguardo su tutto lo spazio circostante. “E’ da un po’ che l’ho notato...è sempre cosi deserto questo posto?”
    Con un bernoccolone in fronte, Tidus si rese conto che il nano aveva, stranamente, ragione: tutto il molo era completamente deserto nè si sentivano tracce di suoni in lontananza. Le barche attraccate ondeggiavano placidamente sul mare calmo e tutto era immerso in un silenzio innaturale, rotto unicamente dal sibilare del vento.
    “Che strano...” Tidus si rialzò in piedi, guardandosi intorno. “Forse sono tutti al concerto”
    “tutta la città?” Doye inarcò un sopracciglio, la mano appoggiata su un fianco. “Se fossi in te molto, molto attento alla tua fidanzata...”
    “E CON QUESTO CHE VORRESTI INSINUARE??”

    SDONG

    Altra badilata. Altro bernoccolo. Altra scena di Tidus agonizzante.
    “Ti ho detto di non urlare, scemo” ripetè Doye, annoiato. “Tsè, voi giovinastri avete sempre questo brutto vizio di urlare tutto, cosa siete, delle scimmie? Oppure siete solo def...” Si interruppe di colpo, voltandosi a guardare verso la curva in cui il molo svoltava.
    Massaggiandosi il secondo bernoccolo, Tidus lo squadrò malamente. “Che diavolo ti prende ade...” Non riuscì a terminare la frase, perchè il nano lo afferrò per il bavero e lo trascinò bruscamente fino ai mucchi di casse che riempivano la parte del molo adibita allo scarico delle navi. Prima di potersene rendere conto, il ragazzo si ritrovò buttato come un sacco di patate dietro una montagna di barili e l’odore di sardine sott’olio che gli aggrediva ferocemente il naso.
    “Ouch! Ma che diav...”
    Doye gli fece cenno di tacere, accompagnato dalla terza badilata quando lui non lo ascoltò, e sbirciò la via dove si erano trovati fino a un secondo prima attraverso uno spiraglio tra le merci accatastate.
    “Ouch!” fece Tidus, accostandosi dolorante. “Non serviva essere cosi brutali, diamine”
    “Colpa tua che non chiudi mai il becco, moccioso” lo fulminò Doye con un’occhiataccia. “Ricorda. Chi parla sempre a voce alta o è un gran maleducato o è un politico o è sordo, in tutti quanti i casi è meglio che stia zitto” disse, agitando un dito come se fosse una bacchetta da professore.
    “Tu è da tre capitoli che urli, perchè per questo non vale la regola?” sbuffò Tidus, mettendo il broncio.
    Doye lo liquidò con un gesto noncurante. “Quello era uno sfogo innocente, andava fatto”
    “Lo sai che ti odio con tutto il cuore, vero?”
    ”Non puoi nemmeno immaginare quanto ciò mi affligga, Girugan”
    Mentre Tidus azzannava per la rabbia una delle legature di cuoio che tenevano fermi i barili, Doye tornò ad osservare la strada. Ancora non si vedeva nessuno. Eppure era convinto che...
    “Orsù, miei validi sottoposti, siate più celeri nel trasporto! Il tempo, implacabile tiranno, ci corre alle calcagna con la velocità del vento!”
    Come sospettava, numerose figure apparvero oltre la curva. Erano tutti Shadowgear e, notò Doye, portavano con loro qualcosa di grosso. Sembrava una specie di locomotiva in miniatura, con grosse ruote irte di spuntoni e un enorme ciminiera terminante in un grosso imbuto che sbuffava vapore. Un grosso telo nero impediva di vederne il contenuto, anche se Doye immaginò che dovesse trattarsi di qualcosa di importante, a giudicare da come gli esseri oscuri lo sorvegliavano, schierati attorno ad esso in una granitica formazione quadrata.
    Di fronte al grosso gruppo, uno Shadowgear con cilindro e monocolo, che aveva tutta l’aria di essere il capo, esortava i suoi simili a sbrigarsi con gesticoli e brevi parole. Questi si affannavano ad eseguire, spingendo e trascinando lo strano macchinario con operosità quasi furente.
    “Che stanno trasportando?” chiese sottovoce Tidus, affiancandosi al nano ed osservando a sua volta.
    “Non lo so, ma non mi sembra niente di buono” rispose Doye, senza notare che parte dello stupore del biondino era rivolto anche verso di lui. Tidus, infatti, non riusciva a spiegarsi come avesse fatto quel nano arrogante a sapere che gli Shadowgear stavano arrivando proprio verso di loro, ma, poichè non c’era tempo per le domande, decise di tenersi i propri dubbi per sè.
    “Che facciamo?” chiese. “Sono in troppi per poterli affondare qui”
    Doye assunse un’aria pensosa. “Che c’è da quella parte?” chiese, indicando la direzione in cui il gruppo di Shadowgear si stava dirigendo precipitosamente.
    Tidus seguì il dito del nano con lo sguardo e sentì il sangue gelarsi nelle vene.
    “Di là c’è lo stadio” pronunciò con un filo di voce, mentre la preoccupazione lo assaliva con violenza. Era là che Yuna si stava esibendo in quel momento. Se quei mostri lo avessero raggiunto...
    “Dobbiamo fermarli!” Tidus scattò violentemente in piedi, cogliendo di sorpresa Doye. La mano gli volò alla spada, ma nel farlo tirò una manata al nano, che volò all’indietro e crollò pesantemente contro dei barili. Le funi che li sostenevano si spezzarono con uno schianto sotto il suo peso. I barili caddero a terra e si sfasciarono con uno schianto assordante, riversando per terra e sul povero nano una valanga di sardine ed olio tale che neanche l’Arca di Noè lo salvava.
    “Oh, cavoli” disse Tidus, rendendosi conto del disastro.
    “Poffare, cos’è stato quel rumore oltremodo sospetto?”
    Il ragazzo sgranò gli occhi nel sentire la voce del capo degli Shadowgear. Li avevano scoperti! E tutto per colpa sua!
    “Gianni! Girolamo! Estenualdo! Numero 1 e Numero 2! Suvvia, andate a controllare, mentre noi ci avviamo verso l’obiettivo”
    Tidus cominciò a sudare freddo. Che diavolo aveva combinato? Non c’era posto per scappare e il ricordo dei suoi inutili sforzi per sconfiggere anche solo uno di quei mostri era ancora vivo nella sua mente. Era impossibile, non poteva affrontarli e vincere!
    “Dannazione! Non stare lì impalato!” La voce rabbiosa di Doye lo riscosse. Ancora mezzo intontito e semi-sepolto dalle sardine, il nano stava cercando furiosamente di rialzarsi, ma continuava a scivolare sull’olio sparso dappertutto.
    “Vieni a darmi una mano, moccioso! Dobbiamo toglierci di qui!”
    Prima di capire cosa fare, Tidus era già in movimento. Dopo esseri guardato rapidamente attorno per cercare qualcosa di utile, afferrò un remo rimasto tra le merci, forse dimenticato da qualche marinaio distratto e lo tese a Doye. Appena il nano riuscì a divincolarsi dai pesci che lo ricoprivano abbastanza da afferrarlo saldamente, cominciò a tirare con forza. Agire lo tirò fuori dalla paura gelante che l’aveva inchiodato e quasi fu sul punto di ringraziare Doye, ma poi pensò che in risposta lui gli avrebbe dato un’altra badilata e ci ripensò.
    Da dietro la montagna di casse che li separava dalla strada sentì provenire una serie di sibili e schiocchi minacciosi. Comprese che gli Shadowgear inviati a controllare si stavano avvicinando e presto li avrebbero scoperti.
    “Dannazione, moccioso! Datti una mossa!” lo esortò Doye.
    Senza indugio, prese a tirare con rinnovato vigore. Per fortuna, l’olio che aveva reso scivoloso il terreno gli rese più facile il lavoro e cosi bastarono solo pochi, rapidi strattoni per far uscire Doye da sotto il mucchio di sardine e solo un altro per farlo uscire dalla pozza oleosa.
    “Ti ucciderò dopo per questo! Adesso nascondiamoci!” disse il nano affrettandosi a rimettersi in piedi.
    Tidus non poteva essere più contento.
    Rapidamente, si gettarono nello stretto percorso formato dalle merci accatastate. Per loro fortuna, erano state scaricate in modo confusionario e i posti dove si poteva rimanere senza essere visti abbondavano. Si accucciarono dietro una cassa particolarmente grossa; Doye avrebbe preferito qualcosa di più sicuro, possibilmente in alto e senza il mare a solo quindici centimetri dai piedi, ma c’era poca scelta.
    Mentre pensava questo, gli Shadowgear spuntassero oltre la prima fila di barili e si avvicinassero alla montagna di sardine rovesciata.
    Dal loro riparo improvvisato, i nostri due eroi osservarono le creature oscure brancolare in giro annusando l’aria in cerca di tracce sospette. Un paio di loro, troppo intraprendenti, scivolarono sull’olio e si spiaccicarono pietosamente contro il muretto di pietra che delimitava il molo. I restanti sospirarono e scossero le teste in segno di afflizione, per poi continuare la ricerca.
    Ad un tratto, uno Shadowgear alzò la zampa: “L’odore di sardine continua da questa parte” annunciò, indicando proprio il luogo dove Tidus e Doye se ne stavano nascosti. Chiaramente, i nostri due eroi bestemmiarono mentalmente e cominciarono a lanciare tutte le maledizioni possibili contro quel impiccione.
    “E’ vero, anche le impronte lo confermano!” disse un altro, armato di lente d’ingrandimento, e la lista di insultati raddoppiò.
    Con sommo orrore, Tidus vide gli Shadowgear seguire la pista con la circospezione e la professionalità di un detective privato, dato che si fermavano anche a rilevare le impronte digitali.
    Era solo questione di tempo perchè li trovassero.
    “Dannazione, ma questi sono peggio di cani da caccia!” esclamò cercando di non farsi sentire. “Siamo fregati!”
    Doye scosse la testa. “No, forse no” disse, e nella sua voce Tidus sentì una nota enigmatica che non seppe decifrare.
    Sicurezza?
    Tristezza?
    Arroganza?
    Rassegnazione?
    Non sapeva quale fosse il suo vero significato.
    Il nano si afferrò la manica destra e cominciò ad arrotolarla per scoprirsi il braccio.
    Borbottava tra sè mentre compiva questa operazione, cosi piano che Tidus riuscì a stento cogliere le parole.
    “Cosi presto...al diavolo, non pensavo che avrei dovuto usare questa roba...”
    All’incirca a metà del braccio muscoloso, stava tatuato uno strano simbolo: un cerchio perfetto, contenente un intricato motivo di linee curve che si intrecciavano in un complicato arabesco. Sembrava risplendere di una lieve luminescenza nel buio della notte, ma Tidus lo attribuì ai strani giochi di luce creati dalla luna.
    Nell’osservarlo, il ragazzo sentì una strana sensazione farsi strada nello stomaco. Un timore silenzioso, che lo rese dubbioso ed insicuro verso quel simbolo dall’aspetto misterioso. Ebbe l’impressione che emanasse...qualcosa...non sapeva descriverlo con precisione, ma sentì solo una sorta di aura, e seppe istintivamente che era qualcosa da temere ed usare con estrema cautela.
    Improvvisamente titubante, sollevò lo sguardo per incrociarlo con quello di Doye, e rimase sorpreso nel vedere il nano ammiccargli con aria furba, un’espressione che sul suo volto legnoso e sempre burbero assunse lo stesso aspetto del sorriso di una belva feroce.
    Inquietante.
    “Guarda, adesso ti insegno un trucchetto, ma, mi raccomando, non raccontarlo a nessuno”
    Delicatamente, Doye appoggiò il palmo aperto sul lato della cassa che aveva di fronte. Appena lo ebbe sfiorato, una perfetta copia del suo tatuaggio vi comparve sopra, illuminandosi di luce bluastra.
    Lo stupore di Tidus aumentò con l’aumentare di quella luce, che si fece sempre più brillante, sempre più forte, fino a divenire sfavillante e a offuscare ogni altra cosa...
    “Oh, cacchio...”
    Un esplosione fragorosa avvolse tutto il molo. Le casse e i barili vennero spazzati via e fatti a pezzi quasi istantaneamente. Colti alla sprovvista, i poveri Shadowgear ebbero appena il tempo di fare “eh?”, prima che l’onda d’urto li sparasse ad incassarsi nel muro di pietra di fronte come moscerini sul parabrezza di una gummyship.
    Un polverone enorme ricoprì tutta la zona, offuscandola completamente.
    Bruciacchiati, acciaccati, ammaccati, ridotti malissimo, Doye e Tidus ne vennero fuori correndo veloci come razzi.
    “Ok, lo ammetto, forse ho sbagliato qualcosa” disse il nano, in uno stato a dir poco pietoso.
    “NON PARLARE! NON TI VOGLIO PIU’ SENTIRE!!” gli urlò di rimando addosso il biondo, talmente ricoperto di polvere e fuliggine da poterlo scambiare per un brasiliano immigrato.
    “Eh, adesso non si può neanche più sbagliare, ma come siamo nervosi”
    “MI ASTENGO DAL COMMENTARE! SI ERA DETTO DI SCAPPARE, NON DI SUICIDARSI!!!”
    “Beh, meglio, no? E’ un’esperienza in più”
    “STA’ ZITTOOOOO!!!”
    In questo clima di perfetta concordia, lasciandosi dietro gli Shadowgear piantati di testa nel muro che si agitavano a scatti, i nostri due eroi andarono di gran carriera verso lo stadio di Luka.

    Pendleton era preoccupato.
    Benchè il suo granitico self-control e i modi impeccabili non vacillassero di una virgola, il Lord era tutt’altro che tranquillo; temeva che qualcosa potesse andare storto e assieme a quel pensiero angoscioso, per qualche motivo che non sapeva spiegarsi, non poteva fare a meno di associare i due intrusi incontrati sull’isola.
    Per la millesima volta biasimò sè stesso e la propria indecisione: era impossibile che sapessero qualcosa del loro piano, nessuno poteva saperlo, nè d’altronde avrebbero potuto seguirli fino a Luka, per il semplice fatto che avevano preso l’unica nave disponile per il viaggio.
    Cercando di scacciare l’inquietudine, esaminò che i lavori filassero nel modo giusto. In quel momento, tutti gli Shadowgear al suo comando, lui compreso, erano radunati in un largo spazio vuoto. Non c’erano luci, ma ciò non era che un particolare irrilevante per creature nate dall’Oscuirità più pura come loro. Pendleton poteva sentire chiaramente la voce della cantante riecheggiare sopra di sè attraverso il basso soffitto, e dovette ammettere che ci sapeva fare.
    Anche se, presto non avrebbe avuto più nessuna importanza.
    Il Lord spostò lo sguardo rossastro su un gruppo di Shadowgear, più grandi degli altri, che avevano spalancato il carro d’acciaio e stavano disponendo tutti i componenti al suo interno in posizione. Nessuno Shadowgear poteva essere paragonato in forza fisica ai deboli e patetici Heartless, ma questi mostravano toraci larghi e muscolature possenti, costellati da pezzi di armatura biancastra saldati in modo irregolare ai loro stessi corpi; sulle teste spuntavano un paio di massicce corna da toro, terminanti in una punta a spirale.
    Nell’osservarli al lavoro, Pendleton non riuscì a reprimere un moto d’orgoglio.
    I Taurus, questo era il nome di quella specie di Shadowgear, sollevavano e si passavano pezzi di metallo grossi come tronchi d’albero con la stessa facilità con cui avrebbero spostato uno stuzzicadenti.
    Una visione che, almeno in parte, lo rassicurò: se si fossero presentati inconvenienti, non avrebbero avuto problemi ad eliminarli, non con quella forza a disposizione.
    “E poi, c’è sempre lui” pensò il Lord, gettando un rapido sguardo all’enorme sagoma accucciata in un angolo, talmente grande da doversi ripiegare su sè stessa per entrare in quello spazio angusto.
    Sospirò soddisfatto. No, non c’era davvero nulla di cui preoccuparsi.
    Mentre pensava questo, notò uno Shadowgear farsi largo tra i presenti, diretto verso di lui, probabilmente recante le notizie che aspettava.
    “Dunque, quale è la situazione, mio valido subordinato?” chiese.
    “La squadra inviata a sistemare le bombe è tornata, mio Lord” esclamò lo Shadogear, con un saluto militare.
    Pendleton annuì. Tutto stava andando come previsto.
    “Perfetto, l’orologio batte il tempo e la vittoria cavalca al nostro fianco” disse soddisfatto, poi lo colse un dubbio. “Ma toglimi una curiosità, o messaggero, questo compito, per quanto arduo, non avrebbe dovuto prendere solo mezz’ora, invece delle due ore che vedo qui trascorse?”
    “Ehm, avrebbe dovuto, mio Lord” si schermì il soldato oscuro, un po’ imbarazzato. “Ma i ragazzi della squadra hanno detto che il concerto è cosi bello che era un peccato perderselo, poi c’è stato l’intervallo e, tra la fila per comprare i pop-corn e la pausa digestione sindacale, hanno perso un po’ di tempo”
    Pendleton si mollò una manata in fronte. “Ahimè, sono queste le disgrazie che ci spingono a chiederci perchè degli sciagurati abbiano voluto abolire i lavori forzati” Sospirò. “Ebbene oggi sono magnanimo, dì loro che da stasera dovranno solo pulire la camerata a testa in giù e con uno spazzolino da denti in bocca per i prossimi settantaquattro giorni”
    Un po’ perplesso, lo Shadowgear messaggero si grattò la nuca. “Ehm, con tutto il rispetto, mio Lord, questa non è propria quella che chiamano magnanimità”
    “Devo dedurre da cotali parole che desideri unirti a loro?”
    “Vado a riferire...”
    “Bravo, mio fido, apprezzo questa tua pronta solerzia” Il Lord seguì con lo sguardo il messaggero finchè non scomparve, assorbito nell’Oscurità. Sarebbe riapparso sugli spalti, da un’altra pozza d’ombra e il suo messaggio sarebbe stato recapitato.
    Fugati ormai anche le ultime preoccupazioni, Pendleton si rivolse alla massa di Shadowgear in attesa.
    “Miei fidi!” disse, e tutti, come figli che accorrono al richiamo del padre, compreso l’enorme essere nascosto nell’ombra, interruppero le loro attività per ascoltarlo. “I preparativi principali sono stati ormai completati! L’ora è giunta per compiere ancora una volta il nostro dovere! Concediamo la gloriosa Rinascita anche per questo pianeta infestato dalla Luce! Mostriamo a questi ciechi umani il potere dell’Oscurità!”
    Bastarono quelle poche parole per far infiammare i cuori oscuri di tutti gli Shadowgear, che, come un solo essere, sollevarono gli artigli e li incrociarono in una stretta uncinata, lasciandosi andare a un grido carico di fanatica determinazione.
    “Tutto deve tornare all’Oscurità!!!”
    Nel caos delle strida, Pendleton sorrise. Tutto stava andando al suo posto. Che i patetici umani si godessero quel loro misero divertimento.
    L’ironia della situazione lo divertì.
    Proprio quella musica cosi vitale, che li aveva attirati con la prospettiva del divertimento, avrebbe fatto da requiem alle loro vite...

    Tidus e Doye giunsero a destinazione dopo alcuni, rapidi minuti: l’enorme struttura circolare si stagliava di fronte a loro in tutta la sua mole. Proveniente dall’interno, la voce di Yuna risuonava chiara, accompagnata da una musica vivace.
    “Uff, puff, ci siamo?” chiese Doye, con il fiatone.
    “Accidenti, il concerto deve essere già iniziato” disse Tidus, in agitazione per le sorti della sua ragazza. Se le fosse accaduto qualcosa, non sarebbe mai riuscito a perdonarselo. “Presto, muoviamoci! Dobbiamo entrare!”
    Stava già per riprendere la corsa, ma si fermò nel vedere Doye che gli faceva ceno di fermarsi.
    “Puff, calma, uff...prima mi riposo, uff”
    “LO FAI DOPO, VA BENE??”
    “Puff, te l’ho già detto che devi stare calmo, moccioso?”
    “NON VOGLIO STARE CALMO! DOBBIAMO ENTRARE! YUNA POTREBBE ESSERE IN PERICOLO!”
    “D’accordo...” Doye prese un lungo respiro e si raddrizzò. “Comincia a metterti in fila, vai”
    Tidus si bloccò nell’atto di tirare un cazzotto in testa a quel testone e lo guardò stupito.
    “Quale fila?”
    “Quella fila” precisò Doye, indicando la titanica fila di persone di fronte all’ingresso dello stadio, in attesa di poter entrare.
    Si sentì un chiaro e cristallino clonk: era la mascella di Tidus che cadeva per terra.
    “M-ma da dove viene tutta questa gente? Pensavo che il concerto fosse già iniziato” chiese a tutti e a nessuno con un misto di incredulità e orrore.
    “Beh, supponiamo che sia iniziato da poco e che questi siano i ritardatari, questo direi che avrebbe senso” assodò Doye con noncuranza, guardandosi le unghie.
    “E-e che si può fare?” chiese Tidus. Non sapeva più che pesci prendere.
    “Mah, non so, non mi intendo di concerti” rispose Doye sempre con la stessa noncuranza.
    Disperato, Tidus si afferrò la testa tra le mani.
    Che poteva fare? Che poteva fare? Che poteva fare?
    Era i ncasi come quelli che avrebbe voluto mettersi a urlare.
    “Ehi, moccioso, tranquillizzati” lo richiamò Doye. “Adesso facciamo una telefonata al servizio di sicurezza e gli diciamo di tenere gli occhi aperti perchè c’è il pericolo di un incidente. Considerato quanti caproni ha richiamato qua sto concerto, faranno il diavolo a quattro per controllare che tutto vada bene, beccheranno i mostriciattoli e noi dovremo solo goderci lo spettacolo da qualche parte”
    “No! Tu non capisci!” sbottò Tidus.
    Doye inarcò un sopracciglio. “Cosa non capisco? Non dare di matto, eh?”
    “Non do per niente di matto! “ gridò il ragazzo. Era teso come una corda di violino, ma un’espressione furiosa gli brillava negli occhi. “Yuna è la mia fidanzata! Sono io che devo salvarla! Io e nessun’altro! Se fosse qualcun altro a farlo, io...io...” Strinse i pugni ed abbassò lo sguardo, mentre la voce gli si spegneva. “Io mi sentirei inutile...”
    “...”
    Tidus digrignò i denti. “Io....so di non meritarla...lei aveva deciso di sacrificare sè stessa per salvare questo mondo, mentre io ero cosi stupido da non riuscire nemmeno a vedere mio padre oltre l‘invidia che provavo per lui...lei...lei è tutto ciò a cui tengo, non potrei lasciarla andare, non potrei sopportare di vederla tra le braccia di un altro” Tidus tremava mentre parlava, ogni parola intrisa di passione disperata. Si sentì immensamente ridicolo a parlare cosi apertamente proprio a quel nano bizzarro, ma credeva anche nella più piccolo di quei pensieri al punto che avrebbe preferito morire piuttosto che rinnegarle.
    Tre parole, tre piccoli sospiri indugiarono nella sua mente.
    “Io la...”
    Yuna...lei era la sua luce...
    Oltre l’amicizia, oltre l’affetto, un sentimento fortissimo lo legava a lei, cosi impetuoso che sarebbe stata follia anche solo pensare di poterlo frenare, un legame cosi fondamentale, cosi indispensabile che non sarebbe riuscito a vederlo spezzarsi e sopravvivere per piangere ciò che aveva perduto. Piuttosto che quello, piuttosto che perdere la sua luce, il suo cuore sarebbe andato in mille pezzi e si sarebbe disperso nella brezza marina.
    Tre parole, tre piccoli sospiri indugiarono nel suo cuore, troppo grandi perchè riuscissero a uscire dalla gola.
    “Io la...io la am...”
    Doye rise. La sua fu una risata di pura allegria, senza nessuna malizia nè ironia; fu unicamente lo sfogarsi di un misto di emozioni e risuonò nella notte più forte delle note del concerto.
    “Sei troppo forte, ragazzo” spizzicò il nano tra le risate.
    Tidus lo guardò, offeso, e con il cuore in tumulto. Si stava prendendo gioco di lui?
    Fece per ribattere, ma, un attimo prima che potesse farlo, una consapevolezza gli affiorò in testa, facendolo tacere. Per la prima volta, Doye non l’aveva chiamato “moccioso”.
    “Bene, bene, bene, l’avevo capito che eri un ingenuo, ma cosi mi fai sentire uno che sopravvaluta”
    Il nano aveva un gran sorriso sul volto quando si afferrò la manica del braccio opposto a quello che aveva scoperto al molo e la sollevò.
    Un altro simbolo arcano, stavolta di un giallo puro come il miele, brillò cupamente nell’aria notturna.
    “Cosa...” fece per dire Tidus, sentendosi di nuovo assalito dallo stesso timore di poco prima, ma venne zittito all’istante.
    “Taci, scemo” Doye distolse lo sguardo da lui e lo puntò verso lo stadio, cominciando a studiarlo con occhi critico. “Non voglio nemmeno provare ad entrarci dalla porta principale, tanto già si sa che sarà solo una gran perdita di tempo...”
    Con un rapido gesto, mosse l’indice nell’aria. Mentre faceva questo, la stessa luce del simbolo apparve sulla punta del dito e si impresse dove questo passava, creando delle tremolanti linee dorate che presero a svilupparsi e ad intrecciarsi come le radici di un albero.
    “E q-quindi?” balbettò Tidus, gli occhi puntati su quello spettacolo stupefacente.
    “E quindi si entra con un altro trucchetto” gli fece eco Doye, guardandolo con un sorriso, mentre di fronte a lui le linee dorate si legavano in una trama fitta. “Occhio, non dirlo a nessuno, eh?”
    Il disegno luminescente si allargò in larghezza e lunghezza finchè fu abbastanza grande da poter contenere una persona eretta. A quel punto, si illuminò di una luce intensa e forte, tanto che Tidus dovette ripararsi gli occhi per non rimanere accecato, poi sembrò quietarsi.
    Stupefatto, Tidus abbassò il braccio. Di fronte ai suoi occhi sgranati, una riproduzione dieci volte più grande del disegno sul braccio di Doye galleggiava pigramente nell’aria. Ogni linea che ne formava il complesso schema sembrava avere vita propria, si muoveva, ondeggiava, ma senza mai che il disegno nel suo complesso svanisse o cambiasse. Dava l’impressione di essere disegnata nel cielo, oppure ne fuoriusciva, era impossibile descriverlo con precisione.
    Per un breve istante, Doye squadrò il simbolo con aria critica. “Uhm, fa assolutamente schifo” ponderò, pensoso. “ma chi se ne frega, per un passaggio solo va benissimo”
    Quelle parole risuonarono come colpi di cannone alle orecchie di Tidus.
    “Un passaggio?” esclamò. “Vuoi dire che questo coso può portarci dentro lo stadio?”
    “Ma no, serve come decorazione, è che è troppo buia sta notte e mi pareva bello metterci qualche lucina...e certo che serve per entrare dentro sto cacchio di stadio! Sennò che lo facevo a fare sto spettacolo?”
    Tidus si riparò con le mani dalla furia nanesca che lo aggrediva. “Va bene! Va bene! Scusa!”
    “Ad ogni modo...” A dispetto di tutto, non venne nessuno colpo da Doye, che, anzi, si fece serio. “Adesso non perdo tempo a spiegarti che cos’è questo affare che ho disegnato, tanto non lo capisci”
    “Grazie della fiducia...”
    “Zitto. Dicevo, questo coso vale solo per l’andata, poi si chiude e addio a qualunque possibilità di ritorno”
    Tidus comprese a cosa volesse arrivare il nano. “Non mi importa” affermò, determinato. “Mi basta entrare là dentro, poi il resto non ha nessuna importanza”
    Doye osservò il ragazzo che gli stava di fronte con espressione indecifrabile, prima di lasciarsi andare a un largo sorriso. “Accidenti...” mormorò, grattandosi la testa. “Non mi pagano abbastanza per fare questa roba” Sollevò lo sguardo, una luce arrogante che gli brillava negli occhi. “Allora, moccioso, penso sia ora di andare a calciare qualche sedere di mostro oscuro, vero?”
    Tidus sbattè il pugno contro il palmo. “Puoi dirlo forte, dannazione” disse, rispondendo al sorriso del nano. Iniziò a camminare verso il portale luminoso, ma all’improvviso si fermò.
    “Ah, Doye?” chiamò, una nota di incertezza nella voce.
    “Mh? Cosa c’è ancora?”
    “Per questo...per l’aiuto che mi stai dando...” Tidus articolò le parole con imbarazzo. Non era abituato a cose del genere.
    “Grazie...”
    La risata aspra di Doye si estese nella notte. “Tieniteli per te i tuoi stronzi ringraziamenti, moccioso, di te non me frega nulla, questo lo faccio per me”
    Un’ondata di curiosità e confusione colse Tidus. “Cosa significa?” chiese, perplesso.
    “Niente che ti riguardi” ghignò Doye. “Sappi solo che mi hai fatto ricordare qualcuno che pensavo di non poter rivedere”
    Tidus fece per chiedere ancora, cosa significasse, chi avesse mai ricordato al nano, cosa significasse, ma non ne ebbe mai la possibilità. La mano di Doye gli si abbattè sulla schiena, spingendolo con violenza verso il varco.
    Colto di sorpresa, cadde in avanti, dritto dentro il simbolo dorato.
    La luce riempì il mondo e, mentre ogni cosa svaniva sopraffatta da essa, il ragazzo ebbe appena il tempo di sentire ancora la voce di Doye il nano.
    “Stupido moccioso...non capisci proprio niente”
  7. .
    “AAAAARGH!!” urlano terrorizzati i due sfigati, per poi sfrecciare via a tutta velocità.
    O meglio, ci provarono, perchè la più vicina delle tigri colma la distanza che li separa da lei con un unico balzo e taglia loro la strada con il suo corpo smisurato.
    AAAAARGH! SFIGAAAA!!!”
    I due fanno rapidamente dietrofront, solo per ritrovarsi in faccia l’alito della seconda tigre.
    “AAAARGH!!! SFIGAAAA!!!”
    Senza più vie di fuga, restano fermi dove sono, schiena contro schiena. Tidus sguaina la spada e quella sembra essere una minaccia sufficiente alla prudenza per i due felini, che, sinuosamente, cominciano a girare attorno alle loro prede, azzardando di tanto in tanto passi in avanti, sventati dal sibilare della spada di Tidus.
    “Ehi, ragazzo” chiede Doye sudando freddo, gli occhi fissi e sbarrati sui movimenti della tigre di fronte. “Non so tu, ma a me non intriga molto che quattro righe sopra c’abbiano chiamato prede. Come ne usciamo?”
    Nelle stesse condizioni del nano, Tidus respinge la tigre che si era avvicinata troppo, prima di rispondere: “Stavo per chiedertelo io! Non rubarmi la battuta!”
    “Oh, diavolo! Ma possibile che non sai fare un cavolo? Ma che ci sei venuto a fare, io mi chiedo!!!”
    “Senti chi parla! Sei stato tu a chiederlo per prima, caro il mio nanetto!”
    “Tsè, come se non stessi per fare lo stesso anche tu! Ti ho solo bruciato sul tempo!”
    “Non è vero! Io...ehm...stavo pensando ad alta voce...!”
    “Non è vero! E poi non c’entra! L’importante è l’intenzione inconscia!”
    Le due tigri guardano perplesse i due bipedi apparsi nel loro territorio mettersi a bisticciare tra loro e cominciare ad azzuffarsi. Una goccia di perplessità scende dai colli massicci dei due grossi felini.
    Ma quei due capivano in che situazione si trovavano?
    Il primo felino getta uno sguardo interrogativo al secondo, ottenendo in risposta una scrollata di spalle.
    Vabbè, tanto valeva chiuderla lì.
    Tidus e Doye si bloccarono di botto nel sentire i ruggiti degli animali e voltarono di scatto le teste in quella direzione, rispettivamente il ragazzo con il pugno del nano affondato nella guancia e il nano con le dita del ragazzo infilate nel naso.
    “Oh, mamma...” E’ tutto quello che dicono mentre le due massicce tigri piombano su di loro a bocche spalancate. In un gesto istintivo, si abbracciano e chiudono gli occhi, in attesa della fine imminente.
    Che, sorprendentemente, non giunge.
    Al posto del dolore atroce che si aspettava, arti staccati eccetera, Doye sente un‘atmosfera di profonda calma calare su di lui come un delicato abbraccio. Un soffio impalpabile gli sfiora il volto legnoso, carezzevole come la brezza di primavera sull‘acqua profonda, ed assieme ad esso la voce di delicati sussurri accarezza la sua mente. Una profonda pace si diffonde in lui, allontanando tutta la paura. Timoroso, apre gli occhi.
    E la vede.
    Alta, delicata come i petali di una rosa, bella come l’aurora; i capelli le ricadevano in una cascata dorata lungo la schiena; il volto sottile era di un candore niveo, benchè l’espressione dipinta su di esso fosse seria ed inflessibile. Doye osserva stupefatto quella ragazza, che si ergeva con sicurezza tra loro e le due tigri. Fa per aprire la bocca e gridarle di spostarsi, che è pericoloso, ma lei si volta lentamente e con un dito affusolato gli fa segno di rimanere in silenzio.
    Il nano tace, confuso, e vede rilucere in quegli occhi color nocciola, intrisi di un’espressione di profonda dolcezza, un lampo del sentimento chiamato tristezza. E se ne chiede il perchè.
    Senza far caso ai suoi dubbi, la ragazza cammina verso le due tigri, che, con sommo stupore di Doye, arretrano, impaurite; ringhiano, scoprono le zanne, ma arretrano, come se quella piccola figura, minuscola in confronto a loro, incutesse nei loro cuori un terrore abissale.
    Doye vede la ragazza avanzare: tranquilla, solleva le mani verso gli enormi felini. Con orrore, è costretto a guardare uno di essi, il più grosso, riscuotersi a quel gesto e scagliarsi in avanti ruggendo. Proprio quando sembra che stia per calare sulla piccola figura della ragazza, uno scoppio di luce avvolge la radura. Doye si ripara gli occhi con il braccio per non restare accecato, mentre venti improvvisi lo sferzano con furia e scariche di energia saettano in ogni direzione.
    Poi, il silenzio.
    La luce cessa di colpo e tutto torna tranquillo, come se non fosse mai successo nulla.
    Doye riapre gli occhi e, con immensa sorpresa, vede i felini fuggire e svanire nella foresta. Dietro di loro, la terra è devastata: l’erba è scomparsa, per lasciare il posto a un tratto circolare di terra brulla e sfondata. E al centro di questa devastazione, lei.
    Si volta lentamente, spostando lo sguardo sul nano stupefatto. I loro sguardi si incrociano. In un attimo infinito, il nano scruta nell’anima di quel apparizione cosi misteriosa. Di nuovo, vede quel barlume di tristezza. Di nuovo, la testa gli si riempie di domande, ma nessuno giunge a dare le risposte.
    Forse intuendo i suoi pensieri, la ragazza annuisce, un gesto lento e armonioso, poi, senza preavviso, crolla a terra senza un gemito.
    Colto di sorpresa, Doye lancia un grido e corre rapido verso di lei.
    “Ma che succede?” sente chiedere dietro di sè la voce di Tidus. Probabilmente il ragazzo doveva essere rimasto tutto il tempo con gli occhi chiusi e non aveva visto nulla, ma in quel momento a Doye non può fregare di meno.
    Arriva nel centro della porzione di terreno devastata, accanto alla ragazza esanime, e comincia ad esaminarla trafelato. Il panico lo invade. Che deve fare? Lei sta bene? Sta male? Non ne ha idea! Vede che respira affannosamente, il petto si solleva e si abbassa ad un ritmo veloce, ma a parte quello non sa cosa fare. Cerca di scuoterla per farla svegliare, ma tutti i tentativi si rivelano vani. Benchè chiusi, gli occhi della ragazza is muovono sotto le palpebre, come se fosse preda di un grande dolore. Geme lievemente, si lamenta e un sudore freddo le ricopre il volto.
    Maledicendosi per non aver frequentato la lezione di medicina al campus estivo per nani, la prende tra le braccia: “Ehi, moccioso!” esclama rivolto a Tidus, accorso al suo fianco in quel momento con un espressione a metà tra lo sbigottito e il costernato. “Dobbiamo subito portarla in un posto sicuro! Da che parte si va per casa tua?”
    A quelle parole, il biondino sbianca: “Aspetta! Aspetta! Aspetta! Forse possiamo fare in un altro modo!” esclama, frenetico.
    Doye apre la bocca per urlargli che non possono perdere tempo, ma la richiude subito nel vederlo tirare fuori da una tasca una piccola ampolla.
    “Questa è una Granpozione” spiega rapidamente il ragazzo. “Qui a Besaid non abbiamo medicina migliore, se questa non funziona c’è poco da fare”
    “Allora sbrigati ad usarla!” lo incalza il nano con rabbia. Sta già esaurendo la poca pazienza che ha e la situazione pericolosa non fa altro che innervosirlo maggiormente. Ancora tre secondi e gli vengono i bubboni sul deretano!!!
    Tidus non risponde, si china sulla ragazza e le appoggia il beccuccio dell’ampolla alle labbra. I due la fissano bere il contenuto; nessuno apre bocca. Alla fine, Tidus getta via il contenitore ormai vuoto.
    Cala un silenzio carico di tensione.
    Doye ha l’impressione che il cuore possa saltargli fuori dal petto da un momento all’altro, mentre sente i secondi trascorrere con lentezza snervante, al ritmo dell’ansare della fanciulla.
    Forse per il fatto che li ha salvati, forse per chissà cos’altro, prova uno strano senso di affinità per quella ragazza misteriosa, una preoccupazione per la salvezza di qualcuno che non provava da molto, molto tempo...
    Scaccia quei pensieri con forza, per tornare a concentrarsi su di lei. Semplicemente, non vuole che muoia qualcuno di fronte ai suoi occhi, ecco il motivo, dice a sè stesso, e intanto prega.
    Alla fine, le sue speranze vengono esaudite: il respiro della fanciulla si fa regolare e il pallore che si era impossessato del suo viso scompare. Adesso sembra quasi che dorma.
    Doye sospira di sollievo, sentendo tutta la tensione accumulata sciogliersi in un’atmosfera più serena.
    “Fiuuu, c’è mancato poco” esclama in un soffio, poi si rivolge con noncuranza a Tidus. “Attento a quando giri con quella roba, se ti beccano le cinofile, sono affari tuoi”
    Il ragazzo, che andava calmandosi, si scandalizza: “CHE?”
    “Ti insegno un trucco, metti la merce dentro uno zaino, accanto a un fazzoletto pieno di caffè...”
    “NON E’ DROGA!! NON INIZIARE AD IMMAGINARTI LE COSE SOLO CON LE TUE SUPPOSIZIONI!”
    “Ok, non serve arrabbiarsi tanto, eh...guarda che ti fa male al cuore”
    “Grrrr.!!”
    “...” Doye guarda Tidus.
    “...” Tidus guarda Doye.
    “Se però...”
    “NON E’ WISKY!!!”
    “Ah, si? Vabbè, aspettami un secondo...” Doye si allontana di corsa, e dopo qualche secondo, torna con tre grosse foglie, grandi abbastanza da poter contenere un uomo. “Ma che diavolo gli date da mangiare alle piante su quest’isola?” Chiede, mentre le sistema in terra una sopra l’altra. “Sembra di stare in una giungla tropicale”
    Capendo le intenzioni del nano, Tidus solleva delicatamente la ragazza svenuta tra le braccia. “Ma questa E’ una giungla tropicale e poi non è che le nutriamo noi le piante
    “Ero ironico, se non si è notato” Dye strappa il bordo estremo delle foglie, lo arrotola e accartoccia un po’ e lo appoggia sulla parte superiore, come un cuscino. “Appoggiala qua, và” dice, indicando il rozzo giaciglio.
    Usando più delicatezza che può, Tidus obbedisce. “Ma prima...” chiede. “Cos’è successo?”
    “Lascia perdere, Giugiumaru” Doye si lascia cadere di fianco al corpo dormiente e incrocia le braccia, corrucciato. “E’ troppo incredibile” E non mi va di avere altri inconvenienti al mio piano, completa mentalmente. Si accorge che Tidus lo sta indicando con un dito tremante.
    “Che c’è?”
    “C-che cavolo era quello??”
    “Quello cosa?”
    “Giu-giu-giu-giu...”
    “Che c’è? Canti adesso? Sbloccati, scemo”
    “Non ne posso più!!!!”
    E mentre urla questo, Doye gli molla un calcio al ginocchio e lo fa schiantare per terra.
    “Non urlare, potrebbero sentirci, scemo” lo rimprovera il nano con noncuranza. “Piuttosto, che problema avevi prima? Tua mamma non vuole che porti le ragazze a casa?”
    “Mia madre è morta molto tempo fa...” la risposta di Tidus è laconica.
    Doye lo guarda serio. “Pure la mia, vogliamo darci un pacca sulle spalle a vicenda o piangiamo a dirotto?”
    “Ma perchè devi essere cosi bastardo??????” chiede Tidus rialzandosi di scatto.
    “Scusa, deformazione professionale”
    “Ma che c’entra???”
    “Ancora non mi ha risposto”
    Con un sospiro sconfortato, Tidus si lascia cadere accanto al nano. “Ho litigato con la mia fidanzata”
    “O-oh, ora capisco tutto” Doye fischia ed estrae la sua pipa dalla barba.
    Sconfortato, Tidus china la testa. “Proprio cosi, e se porto una ragazza a casa adesso, sono bello che è finito, capisci, vero?”
    Capisco, capisco” Doye accende il tabacco, prima di continuare. “ Com’è successo? Stavi per raccontarmelo nella grotta, se non sbaglio”
    “Si...” Tidus esita. “Però prometti che ci crederai”
    “Parola di nano” promette Doye sollevando una mano in un gesto solenne.
    “Non so se mi basta...”
    “Parla e falla finita..altrimenti scrivo su un cartello che te la fai con le ragazze svenute e corro in giro per tutta l‘isola”
    “Va bene, va bene, va bene, racconto! Racconto, ma non farlo!”
    “Vedi che ci intendiamo? Che bella cosa il dialogo” Doye onora la bellezza della diplomazia con uno sbuffo di fumo e un sorriso soddisfatto.
    Tidus sospira, chiedendosi per la seconda volta perchè non ha dato retta all’oroscopo quella mattina, per poi cominciare a raccontare. “E’ cominciato tutto ieri notte, stavo tornando dagli allenamenti di Blitzball, quando...”

    [Flashback]

    Tidus cammina distrattamente nella notte di Besaid. La sabbia risuona dei suoi passi mentre percorre la spiaggia immersa nel buio.
    “Accidenti a Wakka” esclama soprappensiero, senza vera ostilità. “Si è fatto tardissimo a forza di provare quella formazione, speriamo che Yuna non si arrabbi”
    Ha epoche speranze verso quella prospettiva ottimistica: la sua ragazza non era un tipo paziente per quanto riguardava gli orari; l’ultima volta l’aveva lasciato fuori per tutta la notte, cosi che potesse “riflettere sulle proprie sconsideratezze” e “agire in modo più responsabile in futuro”.
    Sorride al pensiero della coperta che si era trovato addosso al momento del risveglio e alla mitezza delle notti su Besaid.
    “Beh, comunque sarà meglio sbrigarsi”
    E sta già per cominciare a correre, quando qualcosa attira la sua attenzione: una grossa forma scura adagiata sulla spiaggia, brulicante di piccoli esseri in movimento.
    Aguzza lo sguardo per capire di cosa si tratta: non aveva avuto notizia dell’arrivo di un carico dalla nave per quel giorno e soprattutto non era mai capitato che avvenisse di notte.
    “Guarda, guarda, e tu che ci fai qui?”
    Quella voce gli gela il sangue nelle vene. Era solo una sua impressione o aveva una sfumatura...sensuale?
    “Ecco...io stavo solo...”. Le parole gli vengono mozzate in bocca assieme al suo tentativo di voltarsi dal tocco delicato di dita sottili all’altezza del collo.
    “Sssh, sssh, non serve che ti scusi...”
    Le dita sconosciute si muovono leggere sulla sua pelle e a quel contatto sente le guance avvampare e un calore proibito risvegliarsi dove non avrebbe dovuto mai risvegliarsi.
    “M-ma...e-e...!” Si morde la lingua per la frustrazione e l’imbarazzo. Fantastico! Adesso balbettava pure!
    Un soffio caldo e una risatina musicale gli sfiorano l’orecchio, facendogli balzare il cuore nel petto.
    “Che carino che sei quando balbetti...come ti chiami, carino?”
    Rosso come un pomodoro, con i pensieri confusi come un vortice, con il cuore che batteva come un martello pneumatico, apre la bocca per dare una balbettante, patetica risposta.
    “TIDUS!!!”
    Furibonda, irata, spaventosa Yuna a passo carica nella sua direzione.
    Deglutisce. Perchè non era rimasto a letto?

    [Fine Flashback]

    “...e quando ho cercato di spiegare cos’era successo, mi sono accorto che quella ragazza era svanita nel nulla e con lei era sparito anche quello strano oggetto sulla spiaggia”
    Doye fissa Tidus in silenzio, soffiando di tanto in tanto nuvole di fumo.
    “Ecco tutto.” conclude il ragazzo. “Mi ha svuotato addosso due caricatori di pallottole, prima che riuscissi a scappare. E’ stato allora che ci siamo, ehm, incrociati”
    “Capisco, capisco” Il nano batte la pipa contro una roccia per far cadere il tabacco. “Immagino che sia abbastanza scontato che questa tua esperienza e quei mostriciattoli neri che hanno provato a farci le scarpe siano collegati, vero?”
    “Penso di si”
    “Pensalo pure, perchè è sicuramente cosi, ad ogni modo penso che la cosa più importante adesso di tornare al tuo villaggio”
    “Cosa? Ma se ti ho appena detto che se metto piede là dentro Yuna mi spara!”
    “Comprendo il tuo dramma, mio abbronzato amico, ma per prima cosa abbiamo un ferito” Doye indica la ragazza svenuta. “E secondo, ci serve aiuto per investigare su quello che sta succedendo qui”
    “Perchè parli al plurale?” chiede Tidus, inarcando un sopracciglio.
    “Questa è la tua isola o sbaglio?”
    “Beh, certo”
    “Ci tieni a quelli che abitano qui?”
    “Ovvio, ma...che c’entra?”
    “E se quei mostri incrociassero qualcuno dei tuoi amici?”
    Doye sorride intimamente nel vedere un espressione seria apparire sul volto di Tidus.
    “Allora” prosegue. “Vogliamo capire chi sono questi cosiddetti Shadowgear e cacciarli da quest’isola una volta per tutte?”
    “Fammi strada”
    Il sorriso di Doye si allarga. “Bene, che ne pensi di presentarmi la tua fidanzata, adesso?” Se riesco a convincere anche lei, sto a cavallo, completa tra sè.
    “COME SAREBBE A DIRE E’ PARTITA???” Doye scuote come una bottiglia di sciroppo il tizio dagli improbabili capelli rossi alzati a pennacchio alitandogli in faccia il suo fiato infernale.
    “S-si, è andata a Luka per u-un c-concerto, y-ya” farfuglia quello in risposta, riprendendosi quel tanto che basta per parlare.
    “Al diavolo!” esclama il nano, buttandolo via come un strofinaccio. “Presto, Taidargor! A Luka! Dovunque sia! Andiamoci!! La ragazza viene con noi!!”
    “Urrà...” Confinato in un angolino, Tidus è l’immagine della felicità...ironicamente parlando.
    “E-e’ u-una brutta g-giornata, y-ya?”
    “Bruttissima, Wakka, bruttissima, e può solo peggiorare”

    “Abbiamo setacciato l’isola, mio Lord! Ma non abbiamo trovato traccia dei due intrusi!” Lo Shadowgear riporta il risultato delle lunghe ricerche con la morte nel cuore.
    Pendleton fa scorrere un ultima volta lo sguardo sulla grande forma scura di fronte a sè, prima di rispondere: “D’accordo...speravo di poterli catturare, ma a questo punto non possiamo più attendere, iniziate i prearativi per il viaggio a Luka! Il piano avrà inizio durante il concerto!”
    “Si, signore” Lo Shadowgear scatta sull’attenti, ma si attarda ancora un attimo. “Mi perdoni, signore, ma non pensa che quei due potrebbero in qualche modo esserci d’intralcio?”
    Una piccola risatina sorge dalla gola del Lord. “E’ molto probabile, mio caro amico, è molto probabile” Mentre parla, un enorme ombra lo sovrasta. Due occhi gialli appaiono su una grande sagoma nera. Impaurito, lo Shadowgear arretra. “Ma d’altronde” prosegue Pendleton. “Un lavoro grande ed importante come il nostro è inevitabile che incontri problemi durante i suo svolgimento, nevvero?”
    Due braccia massicce si allargano da un corpo altrettanto gigantesco. Una bocca si spalanca in un ruggito belluino, proveniente dal più profondo degli abissi, facendo fuggire il soldato Shadowgear in preda al panico.
    Pendleton sorride. “Per fortuna abbiamo i nostri mezzi, i nostri piccoli mezzi”


    Edited by Mr.Bianconiglio - 28/10/2011, 04:03
  8. .
    Titolo:Dvergar
    Autore:Mr.Bianconiglio
    Fandom:Cross-over
    Rating:Arancione
    Warning:Het, spoiler
    Pairing:Vari
    Trama:Doye, uno scorbutico nano che odia videogiochi, manga e bambini, viene spedito dall'Autore in una missione per salvare il destino proprio delle cose che lui odia di più. Riuscirà a compiere la sua missione?
    Quasi sicuramente no.
    Doye: Che diavolo vi aspettavate? io non ci voglio stare qua dentro!
    Note:Nessuna
    Wordcounter://
  9. .
    Non è che possiamo evitare queste citazioni colte?
    Grazie. -.-
  10. .
    Un grazie a Nyx (vecchio furfante, Tidus DEVE essere ridicolizzato, se lo merita) per la recensione e un grazie a tutti coloro che leggono questa piccola storiella.
    Gommenasai Gozaimasu. *si inchina*
    Proseguiamo. :wosd:

    Fermo sul ciglio del dirupo, con una luce irata negli occhi cremisi e i lunghi artigli chiusi a pugno, Lord Pendleton muove con rabbia lo sguardo sullo scorrere ribollente del fiume sottostante, maledicendo sè stesso per essersi fatto beffare in quel modo cosi scontato da due mocciosi con ancora il puzzo del latte addosso.
    Anche se, ci ripensa, il nano sapeva di qualcos’altro, di cui preferiva non ricordare nulla, ma quello era un altro discorso.
    I suoi sottoposti si accalcano come formiche sul ciglio del burrone, e il Lord li osserva accigliato, mentre agitano smarriti da una parte all’altra le teste munite di antenne.
    “Quale è il problema, Alfonso?” chiede, anche se già conosce la risposta.
    Alla sua chiamata, uno Shadowgear con una coppola in testa si stacca dagli altri e barcolla fino a lui: “Miii, l’acqua cancellato ha ogni odore, boss” afferma l’essere con uno spiccato accento siciliano, lisciandosi un paio di folti baffoni. “Nun pozziamo seguirli per adezzo, i ragazzi non sanno da che parte andare”
    Pendleton sbuffa: “Lo supponevo, mio mafioso amico...a questo punto ritengo che il provvedimento più adeguato a questa situazione sia inviare il nostro esploratore migliore lungo la corrente del fiume per localizzare l‘oggetto delle nostre preoccupazioni. Provvedi immediatamente, Alfonso.”
    “Miii, questa si che è una buona idea, boss! C’avevo pensato pure io, però Jonnhy dice che c’ha paura dell’acqua e non c’è verso di smuoverlo” E nel dire cosi, il siciliano indica uno Shadowgear abbracciato come un koala al tronco di una palma, con altri tre suoi simili che cercano inutilmente di staccarlo armati di piedi di porco e cacciacopertoni.
    Pendleton osserva per un attimo la scena pietosa, poi prende coraggio e ci riprova: “Capisco...e il nostro secondo migliore esploratore?” chiede, speranzoso, ma sempre mantenendo un perfetto self-control.
    Alfonso non risponde; si limita ad indicare l’altro Shadowgear, stavolta abbarbicato alla radice sporgente della palma, con una fila di altri esseri oscuri che cercano di staccarlo tirandolo per i piedi.
    Con la testa abbassata in segno di sconfitta, Pendleton ha un sospiro di avvilimento: “Beh, immagino che sarebbe davvero poco cortese costringere questi signori ad avere a che fare con un elemento da loro cosi odiato, nevvero?”
    “Nun sarebbe carino per niente, boss” dà l’assenso Alfonso con fare da saggio.
    “Benchè si trattasse di una domanda retorica, mio meridionale amico, devo prendere atto della cosa. Per cortesia, dai ordine che vengano inviati...”
    Le parole muoiono in gola al Lord, nel vedere una figura apparire sulla sommità del crinale. Immediatamente, come richiamati da una voce invisibile, tutti gli Shadowgear sospendono la loro attività frenetica e volgono gli sguardi verso quel unico essere, che, lentamente, sta camminando verso di loro. Cala un silenzio di pesante tensione.
    La figura avanza tranquilla, ogni passo scandito dalla rilassatezza di chi sta compiendo una semplice passeggiata in un parco. Gli Shadowgear fuggono rapidi al suo passaggio e, assiepandosi ai bordi del sentiero per non intralciargli il passo, lo osservano con timorosa soggezione; come cani di fronte all’arrivo del padrone, stanno attenti anche a non sfiorare i bordi del suo impermeabile grigio. Mentre anche Alfonso si dà a una prudente ritirata, solo Pendleton resta ad attenderlo, il mento sollevato e un espressione indecifrabile sul viso quasi privo di lineamenti.
    “Allora, Lord?” chiede la figura, e la sua è una voce di giovane uomo, colma di arroganza ed irrisione. “Come dunque procede codesta caccia ai topi? E’ fonte di tedio per la vostra buona persona a causa della sua elevata semplicità oppure la vostra rete è colma di buchi da cui i pesci sfuggono rapidi?”
    L’uomo accompagna il suo pomposo discorso con svolazzanti gesti del braccio, come un attore che declama un monologo in platea, per poi terminare portandosi il pugno chiuso all’altezza del petto e inchinandosi lievemente in avanti con un largo sorriso, in una derisoria parodia di inchino rivolta allo Shadowgear.
    “Padrone...” sospira Pendleton, abbassando il capo. “Questo vostro atteggiamento irrisorio nei miei confronti è per me fonte di grande depressione”
    Al sentire quelle parole, il sorriso sul volto dell’uomo svapora lentamente, sostituito da un‘espressione di apparente sorpresa: osserva la creatura d’ombra in silenzio, dando l’impressione che stia cercando un modo per dire qualcosa, ma poi, uno scatto improvviso d’ilarità lo coglie e scoppia in una risata sguaiata. Tutt’attorno gli Shadowgear si agitano, inquieti, ma basta un sibilo accennato da parte di Pendleton per riportare immediatamente l’ordine.
    L‘uomo non sembra curarsi di ciò e continua: “Andiamo, Lord! Non ti facevo cosi permaloso!” grida, la voce spezzata dalle risate. Picchia con la mano aperta sul cilindro di Pendleton, divertendosi a farglielo sprofondare sempre più sul viso ad ogni colpo. “Toc toc?” gli chiede. “C’è qualcuno in casa? O è tutto vuoto come sembra?”
    Pendleton assentisce, imperturbabile: “Si, mio signore...”
    L‘uomo si piega in avanti e lo osserva dritto negli occhi, gli occhi sprizzanti ilarità. “Ah? Si, signore? Si, signore cosa? Che c’è qualcosa dentro la tua piccola testolina o che è tutta vuota?” chiede come stesse parlando con un bambino stupido.
    Un brivido sembra percorrere la massa di Shadowgear che affolla tutta la zona circostante: le creature appaiono combattute, alcuni aprono e chiudono gli artigli ritmicamente, altri snudano le zanne, eppure nessuno osa muoversi.
    “C’è qualcosa, padrone...” risponde Pendleton, con freddezza.
    “Ah, si?” chiede l’uomo, con il tono carico di derisione. “E se c’è qualcosa, forse riesci anche a ricordarti quali erano gli ordini, vero? Dai, se ti sforzi ce la fai, lo so”
    Benchè il cappello sia calato fino a coprirgli gli occhi, la risposta di Pendleton è ferma e decisa: “Controllare il perimetro circolare circostante il luogo dell’operazione in un raggio di 1.5 chilometri, impedire a qualsiasi essere vivente di penetrare nel perimetro, cacciare ed eliminare ad ogni costo tutti gli intrusi, evitare assolutamente ogni tipo di fuga di notizie fino al completamento dell‘operazione. Questi ordini hanno precedenza assoluta e devono essere portati a termine.”
    Con una mano sull’orecchio, l’uomo ascolta tutto assentendo esageratamente e ostentando falsa soddisfazione. “E...?” chiede alla fine, quasi deluso. “Non manca qualcosa...?”
    Per la prima volta, il Lord Shadowgear ha un’esitazione: apre la bocca e la richiude subito dopo, in difficoltà.
    “E...?” lo incalza l’uomo, gongolando del turbamento dell‘essere oscuro.
    “E....” Pendleton deglutisce. “Trovare e ricondurre alla base...Lei...” scandisce con fatica, le parole che gli cadono di bocca come barre di piombo.
    Lo stesso disagio si ripercuote su tutti gli Shadowgear presenti, che, al solo sentire quella frase apparentemente cosi innocua, arretrano, quasi temessero di vedere qualcosa di spaventoso calare su di loro da un momento all’altro.
    “Molto bene! Molto bene!” Lontano dal turbamento generale, l’uomo applaude vigorosamente, un ghigno dipinto sul volto. “E’ strano, ma alla fine anche uno scarto come te riesce a ricordare le cose più semplici” Con noncuranza, si appoggia le mani sui fianchi e squadra il suo sottoposto con divertita sufficienza. “E quindi...? Adesso cosa bisogna fare...?”
    Ancora scosso, Pendleton si limita a chinare il capo in un titubante segno di obbedienza: “Li troveremo, padrone”
    “Eh, me lo auguro, me lo auguro, caro il mio mostriciattolo...” L’uomo scuote la testa e sospira, un largo sorriso stampato in volto. “Me lo auguro...per te...” Nel pronunciare le ultime due parole, il suo sguardo dorato sembra brillare per un istante di una sfumatura indecifrabile; passa veloce e scompare con la stessa rapidità con cui è apparsa, ma non abbastanza per sfuggire a Pendleton, che vi scorge una tacita minaccia.
    “Sarà fatto, padrone” ripete, riprendendo il controllo delle proprie emozioni e della propria voce.
    Quasi non l’avesse sentito, l’uomo gli volta le spalle e, in completa disinvoltura, comincia a tornare da dove è venuto.
    “Lo spero per te...Lord!” dice allegramente, agitando una mano dietro di sè a mò di saluto, con il lungo impermeabile che gli ondeggia leggero sulla schiena.
    Pendleton lo osserva andare via in un silenzio pieno di dubbi. Per un lungo attimo, lo Shadowgear si ritrova combattuto tra un impulso istintivo e la decisione dettata dalla ragione. Turbato, soppesa i dubbi che lo attanagliano, per poi prendere una decisione.
    “Padrone!” chiama a gran voce, attirandosi gli sguardi generali.
    L’uomo si ferma. Benchè non accenni nemmeno a voltarsi, la sua voce giunge decisa in risposta: “Cosa vuoi?”
    Pendleton digrigna la mascella, per poi declamare con voce ferma e possente: “Gli ordini saranno eseguiti, Lei vi sarà riportata in tempo per l’operazione e gli intrusi saranno annientati! lo giuro sul mo onore di Lord!”
    “Il tuo onore di Lord?”
    Sorpreso da quella domanda, lo Shadowgear non ha il tempo di ribadire i suoi propositi che una risata sguaiata lo costringe a ingoiare di nuovo ciò che aveva intenzione di dire.
    “Il tuo onore di Lord?” Sotto gli occhi sbigottiti di tutte le creature oscure, l’uomo ride senza controllo. “Il tuo onore? Il tuo onore? Vuoi davvero farmi morire dal ridere, mostriciattolo?” spizzica tra le lacrime. “Hai un onore? Un mostro come te? Davvero? E quanto vale? Quanto una scarpa rotta? Un verme morto? Di meno? Smettila di fare queste battute o va a finire che ci rimango sul serio!”
    La profonda offesa che permea quelle parole è tale che persino le creature oscure se ne sentono ffese per il proprio Lord.
    Eppure, nonostante gli sguardi preoccupati scoccatigli dai suoi subordinati, Pendleton non si muove di un centimetro di fronte a quella offesa, limitandosi ad osservare a petto in fuori e attorniato dal silenzio.
    “Ahahaha, siete veramente troppo forti, veramente troppo forti!” L’uomo ride e ride, e senza aggiungere l’altro, se ne va, abbandonando tutto il crinale a un silenzio teso.
    Con cauta circospezione, Alfonso si avvicina al Lord, rimasto fermo lì dov’era, simile ad una statua di pietra.
    “B-boss?” chiede, titubante.
    “Trovateli, Alfonso” Il comando di Pendleton è un sussurro appena percettibile, eppure ognuno degli esseri presenti lo sente chiaro come se gli venisse sussurrato direttamente nell’orecchio, e non c’è Shadowgear che non tremi nel sentire l’immensa furia che lo permea, appena celata in un tono calmo e controllato e per questo ancor più spaventosa.
    “B-boss?” si azzarda a chiedere di nuovo Alfonso.
    Gli occhi rossi del Lord bruciano intensamente, mentre fissano il punto in cui il padrone è scomparso oltre il crinale: “Trovateli, Alfonso, trovateli e portateli da me. Lei non deve essere toccata. Uccidete i nostri amici intrusi e portatemi i loro cuori, sono stato abbastanza chiaro?”
    “Chiarissimo, boss!” Uno squillo di trombe non avrebbe dato ad Alfonso la stessa motivazione del vedere la furia gelida del Lord. “De corsa, ragazzi! Sparpagliateve e trovateli, capito che ha detto il Lord? Setacciate tutto! Rivoltate ogni pietra! Usate il Ciccio del Boss, se serve! Ma trovateli, capito? Trovateli!!!” urla, correndo su e giù di fronte alla schiera di Shadowgear, che va confusamente riorganizzandosi.
    Spinta dall’urgenza di quegli ordini perentori, la grande massa di esseri oscuri si mette in moto con incredibile rapidità: in una cacofonia di zanne e artigli, sibili e richiami, le creature si dividono in una miriade di gruppi più piccoli, che, uno dopo l’altro, svaniscono, sparpagliandosi in ogni direzione come tante cavallette affamate.
    Alla fine, resta solo Lord Pendleton: una piccola figura oscura con un inquietante luce ad illuminargli lo sguardo cremisi.
    “Non fuggirete da noi...“ sussurra, avanzando lentamente sull’erba. “Nessuno può fuggire dall’Oscurità...“ Sotto i suoi passi, un‘ombra comincia ad allargarsi sul terreno; diventa sempre più grande, sempre più grande. “Nano e ragazzo...affonderete anche voi nella morsa infinita dell’Oscurità...assieme a tutto questo mondo...”
    L’ombra si increspa verso l’alto, percorsa da un sussulto, prima di iniziare a sollevarsi, come se qualcosa sotto di essa cercasse di uscire. E più tentava, più ci riusciva. Prima un braccio, poi un altro, due arti neri come la notte fuoriuscirono dalla massa liquida, si ancorarono al terreno e cominciarono a tirare per fare emergere il resto.
    Un espressione compita apparve sul volto di Pendleton: “Ma d’altronde, è inutile stare qui a fare scene” afferma, con perfetto self-control da lord inglese. “In fondo, questo non è nient’altro che il nostro lavoro”.

    A parecchia distanza dal luogo in cui sta accadendo tutto ciò, dopo aver turbinato impetuosamente nelle rapide ed essersi fatto strada rombando in curve strette e tortuose attraverso le rocce dell’isola, il fiume perde la sua violenza e rallenta la sua velocità, fino a formare un grande stagno tranquillo.
    Numerosi animali vi vivono in pace, dai Sahagin pensionati ai Budini allo stato liquido, ed oltre al tranquillo mormorare della corrente, solo i versi di uccelli e di animali ne punteggiano la profonda tranquillità.
    La luce del sole riluce allegra sulla superficie dell’acqua, divertendosi a farla splendere di riflessi dorati, che si spandono nell’aria tersa come le risate di un bambino felice.
    E’ un posto stupendo per prendersi una vacanza.
    Solo che Doye e Tidus non sono lì.
    Continuando a procedere versoi il mare, il fiume si stacca dal grande stagno e prosegue il suo corso in un letto ancora più stretto. Brontolando cupamente, si abbatte contro alte pareti rocciose e selve di rocce appuntite; parecchie esibiscono la sagoma stampata di un nano a braccia aperte. In questo tratto, la corrente è violenta, per colpa della forte pendenza del suolo e, nonostante i parecchi impedimenti segnati da tracce di colpi di zucca, si fa strada con forza.
    Proseguendo ancora, si arriva ad una cascata che precipita in un burrone alto 15 metri e svanisce in una nuvola di vapore denso. Poco prima del precipizio, accanto al corso del fiume, c’è una piccola radura piena di simpatiche farfalline, fiori colorati e spifferi piacevoli di vento.
    Ma Doye e Tidus non sono lì.
    Parecchi rami sporgenti sull’acqua, che qualcuno caduto nel fiume avrebbe potuto usare come appiglio, purtroppo sono stati colpiti proprio in quella stagione da una rarissima malattia che li ha indeboliti e, per chissà quale motivo, sono infatti tutti spezzati, tranne l’ultimo, un tronco nodoso piegato dal vento, che reca incisa sulla corteccia una perfetta sagoma nanesca e i segni di unghie e denti lasciati da qualcuno che cerca disperatamente di aggrapparsi.
    Ancora più giù, dopo la cascata e gli scogli, prima di arrivare in vista del mare, il fiume precipita in un tunnel. Questo percorso sotterraneo ha la particolarità di essere abitato da piccoli pesciolini dall’aria carina che si divertono a cercare di sbranare in gruppi non inferiori al milione tutto ciò che passa; oggi, si possono anche osservare, parecchi pezzi di mutandoni di taglia larga nell’acqua cristallina.
    Dopo un lungo tratto costellato di curve a gomito, cascate sotterrane, zone di pesca con uso di reti d’acciaio ricoperte di aculei e pescioni idrofobi, finalmente il fiume torna all’aperto; fino a quella mattina, si divideva in due rami per aggirare una grossa pietra che stava al centro della corrente, ma qualcosa l’ha fracassata in mille pezzi e adesso il fiume scorre libero e tranquillo fino a sfociare sulla dolce spiaggia di Besaid.
    Lì c’è Doye.
    O meglio, ciò che ne resta.
    “Maria! Che dolore!”
    Mentre si trascina pietosamente fuori dall’acqua, il nostro amico nano non sembra essere nei suoi momenti migliori: è bagnato fradicio, pieno di ammaccature, ha tutti e due gli occhi neri, la capoccia piena di bernoccoli, i vestiti strappati, una conchiglia in un orecchio, zoppica e un pesce-gatto gli morde tenacemente il fondoschiena.
    Proprio in quel momento, arriva Tidus di corsa.
    “Ehi, Doye? Come stai? Sei ancora intero?” chiede trafelato il biondino.
    In tutta risposta, gli arriva il pesce-gatto in faccia.
    “TI PARE CHE STO BENE?? COS’E’, SEI CIECO, BIONDINO?” sbraita il nano spruzzando getti di vapore dalle orecchie., e direbbe altro e molto di peggio, se le forze non gli venissero meno e non cadesse a faccia in giù come un birillo abbattuto da una palla da bowling.
    “Oh, ma non si può chiedere nulla” sbuffa Tidus, tirandosi via il pesce dalla faccia, che , però, apre la bocca e gli morde la testa. “AHIA!”
    “Uff, uff, oh mamma, mammina mia bella” ansima Doye, distrutto, strisciando sui gomiti verso la sabbia. Appena mette una mano sul terreno, gli sembra di tornare alla vita. Ci si butta sopra a peso morto e resta lì a riprendere fiato, mentre, dietro di lui, Tidus corre in preda al panico di quà e di là cercando disperatamente di staccarsi il pesce di dosso.
    “Ehi, biondo” dice il nano con voce lamentosa, senza muoversi di un millimetro. “Passi di avermi mancato mentre veleggiavo al centro dello stagno, ma se mi passavi un ramo decente prima della cascata non è che mi sarei offeso, eh?”
    “Ma mica è colpa mia se erano tutti marci!”
    “Se, se...mettiti dietro a ste scuse sceme”
    “Ma quali...scuse...sceme! E’ vero!” risponde con difficoltà Tidus, colpendo ripetutamente il pesce-gatto con una roccia.
    Doye solleva la testa quel tanto che basta per guardarlo affannarsi: “Non vengo là a strangolarti solo perchè mi mancano le forze”
    “Meno...male...“ Con un sonoro plop, il pesce viene via dalla faccia di Tidus. Il ragazzo lo butta via freneticamente e sospira di sollievo, sollevato: “Ah, a proposito!” dice, ricordandosi di qualcosa all’improvviso.
    “Che c’è?” chiede Doye, stancamente.
    Tidus a un sorriso titubante: “Ehm, è una cosa che forse non ti piacerà”
    “Tranquillo, non ce la faccio neanche a scoreggiare, figurati se riesco a menarti”.
    “Ok!” Il ragazzo sembra sollevato, anche se non del tutto sicuro. “Ehm, visto quando stavi per precipitare nel fiume sotterraneo e io ho provato a tirati fuori tirandoti una fune?”
    “Si? Ma vieni più vicino. Con quella vocetta da pettirosso, non riesco a sentire un cacchio”
    “Ehm, ecco...” Tidus appare un po’ restio a proseguire.
    “E parla, uomo, ti ho detto che non ti faccio niente, ma parla!!!!”
    “Dopo che eri passato, ho trovato una leva che deviava l’acqua in un affluente tranquillo!”
    “IO TI AMMAZZO, DEFICIENTE!!!!”
    “Ti pareva...”
    Dopo un breve scambio di opinioni, i nostri, molto poco, eroi lasciano la spiaggia e si incamminano nella foresta di Besaid: Doye davanti, borbottando parole che è meglio non riportare, e Tidus dietro, massaggiandosi la parte posteriore della testa, in cui appare il segno lasciato inequivocabilmente da una martellata. Le palme sono rade in quella zona vicino al mare, e il terreno è coperto solo da un prato di erba sottile, su cui i due camminano a passi spediti.
    “Ouch, non serviva mica arrabbiarsi cosi” commenta il biondo imbronciato.
    “Ragazzo, se non te ne fossi accorto, mi sono fatto un giro che al confronto farsi le montagne russe di Mirabilandia con lo skate è un’ottima idea, rendo l’idea?”
    “Cos’è Mirabilandia?”
    “LASCIA STARE!!!”
    Cala un attimo di silenzio, rotto solo dal rumore di passi e foglie spostate.
    “Uff, ma io volevo saperlo” commenta Tidus così piano che pure i colibrì si fermano in volo per un attimo a chiedersi se era solo un spiffero o se qualcuno li stava chiamando.
    “Hai detto qualcosa?” scandisce molto lentamente Doye, con gli occhi color fuoco, le zanne, le corna e il fuoco intorno.
    “Niente, niente...” borbotta Tidus, girandosi dall‘altra parte.
    “Ne ero sicuro...” commenta Doye, tornando immediatamente normale, poi riprende: “Ad ogni modo, chi cavolo erano quelli?” chiede, scocciato.
    Tidus si gira di botto verso il nano: “Cosa? Ma io pensavo che li conoscessi tu!” esclama, incredulo, ricevendo uno sguardo incolore in risposta. “Cioè, non ho mai visto mostri del genere, io che abito su quest’isola da tre anni. Appari tu dal nulla e guarda caso subito dopo di te arrivano questi cosi che provano a farci secchi senza apparente ragione, e tu vorresti farmi credere che non sai nemmeno chi sono?”
    Doye lo guarda per un attimo come se fosse una statua di sale, poi fa spallucce: “Boh...mai visti...”
    “MA COME SAREBBE A DIRE??”
    “Colpa tua...non conosci abbastanza bene st’isola”
    “Ci rinuncio...” Tidus abbassa la testa, sconfitto.
    “Ecco, bravo, rinuncia, pure a campare, se ci riesci” commenta Doye, ma tra sè, pensa a ben altro.
    I due neuroni rimasti nel suo cervello smettono di preparare le valigie e con sospiri afflitti tornano a lavorare: suonano la solita sirena attaccata sotto l’orecchio e ricevono in risposta un’imprecazione, dato che l’omino addetto stava pranzando. Nonostante ciò, gli ingranaggi si mettono in moto lo stesso, è una famiglia di gran lavoratori quella degli omini verdi, e Doye comincia a ragionare.
    Shadowgear...
    Quei cosi avevano detto di chiamarsi cosi....
    Non che quel nome gli ricordi qualcosa, a parte le lezioni d’inglese alle Elementari, però il fatto che, come diceva il biondino, erano apparsi in concomitanza col suo arrivo era una cosa da non sottovalutare. Anzi, ad essere precisi, Doye è convinto che fossero presenti sull’isola anche prima.
    Gli tornano in mente le parole di quel rottame del computer sulla minacciosa minaccia eccetera.
    Che quei mostriciattoli avessero a che fare con la storia, a causa della quale era stato buttato in quella folle avventura, era talmente lampante da risuonare quasi banale.
    Ad ogni modo, tutto porta a farlo credere, almeno secondo lui.
    Mentre scavalca con un salto un grosso cumulo di foglie, un sorriso furbo appare sul volto del nano.
    Se era veramente così che stavano le cose, allora il suo piano di far fare tutto a Torenban era più vicino che mai alla sua realizzazione. Gli bastava informarlo, aggiungere qualche dettaglio in più, qualche scenario catastrofico e al 300% il biondino si sarebbe buttato a testa bassa contro di loro per salvare la sua isola.
    Però, ripensa, atterrando di nuovo nel mezzo dell‘erba, non c’era ancora la motivazione giusta perchè il ragazzo agisse. Gli Shadowgear avevano provato a farli secchi, certo, e questo di solito bastava per chiunque, però non avevano ancora mostrato intenzioni ostili verso gli abitanti dell‘isola. Senza chiare prove sulla loro pericolosità, il massimo che Tighewan avrebbe fatto sarebbe stato tenerli d’occhio finchè non se ne fossero andati, Doye di questo è sicuro.
    “Per forza” pensa, corrucciato “Questo ragazzino sembra portato per tutta l‘impulsività che mi serve, ma non penso sia abbastanza stupido per rischiare tutto senza un motivo certo o solo per vendetta” Soprappensiero, il nano dà un calcio a un coniglio. “Magari, se non avesse mai incontrato quei cosi oscuri, potrebbe pure provarci a caricarli, ma adesso che ha visto che da solo non può tenergli testa, non lo farà mai, questo è poco ma sicuro; e se pure cercasse aiuto da quelli che abitano sto posto...” Mentre questi pensieri gli affollano la testa, lancia uno sguardo di sottecchi a Tidus, impegnato a far rotolare un grosso uovo di Garuda fuori dal sentiero, per poi fuggire a gambe levate con un paio di mega-pulcini affamati alle calcagna. “Questo tizio è un pulcino inesperto” commenta mentalmente il nano, ridacchia un attimo per la battuta, poi riprende: “Sicuro quanto il fatto che Windovs fa schifo come sistema operativo che a casa ha qualcuno che gli fa da baby-sitter e lo tiene a bada. “ Il nano ghigna tra sè. “Sto moccioso che vive da solo? Nah, non ce lo vedo proprio, va finire che si perde pure per passare tra la cucina e il cesso”
    Doye formula tutti questi giudizi in perfetta tranquillità, dimenticando che fino al giorno prima, lui viveva nuotando in mari di bibite gassate, passeggiando su banchine piene di pacchi di merendine alla cioccolata e peperone, pescando tonnellate di patatine fritte e scrutando l’orizzonte in attesa dell’arrivo di container di hamburger da 16 chili l’uno, ma questa è un’altra storia.
    Terminate le sue macchinazioni mentali, Doye, sbuffa scocciato. A quel punto la decisione possibile è solo una: sarebbe rimasto con quel ragazzino fino a che non avesse ottenuto la motivazione giusta per sconfiggere quei mostriciattoli, poi l’avrebbe piantato a combattere per lui.
    Al diavolo i dettagli e al diavolo gli ordini del rottame, a Doye non importa che sta succedendo, l’unica cosa importante è chiudere quella faccenda e tornare a casa il più presto possibile.
    “Mwahahaha, ma quanto sono cattivo” ridacchia, fregandosi malvagiamente le mani. Si blocca di botto nel vedere Tidus che lo guarda un po’ dubbioso.
    “Questa cosa comincia seriamente a preoccuparmi, lo sai?”
    “FATTI GLI AFFARI TUOI TU!!” sbotta il nano, poi borbotta tra sè: “Accidenti, devo proprio togliermi questa mania di pensare ad alta voce” Di colpo, come ricordandosi di botto qualcosa che gli era sfuggito, anche se in realtà lo fa solo per cambiare discorso, dice: “Adesso che ci penso...ma che fine ha fatto quella ragazza che ho...” Tidus lo guarda male. “...HO salvato! Te non hai fatto un cacchio! Non ci provare nemmeno a guardarmi cosi, sai?”
    “Ma...veramente sono stato io che...”
    “Che ha fatto conoscere al sottoscritto tutta la fauna marina dist’isola?”
    “Ehm...l’ho lasciata a riposare in una radura nascosta nella foresta e sono venuto a cercarti”
    “Se, se, adesso cambia pure discorso“ borbotta Doye, poi si rende conto di quello che ha detto Tidus: “TU HAI FATTO COSA???”
    “Ehi, non c‘è nessun problema” si schermisce Tidus con tranquilla sicurezza. “Tanto l’ho lasciata in una zona tranquilla. Lì gli animali feroci ci passano raramente e non c’è granchè di pericolo. Che vuoi che succeda?”
    “MA CHE C’ENTRA!! STIAMO IN UNA FORESTA! E SE PASSANO GLI ANIMALI? SE QUELLA SI SVEGLIA E NON SA DOVE ANDARE? CHE FACCIAMO, LA RINTRACCIAMO CON IL SATELLITARE? GLI MANDIAMO UN PALLONCINO? MA TI DROGHI, BIONDINO???”
    “Ehm...” fa Tidus, rendendosi lentamente conto della cavolata che ha combinato.
    Dopo la sfuriata, Doye si calma un po’. “Almeno hai messo qualcosa a coprire quella ragazzina? Che so, foglie, sterpaglie, rami, qualcosa del genere?” chiede ancora furente, ma con un tono di voce più basso.
    “Ehm...”
    “...”
    “...”
    “Ok, lascia perdere, andiamo a prenderla e basta...”
    “Ok...”
    “...Sperando che non se la sia mangiata un Coguaro”
    “Niente pessimismo, d’accordo? Già mi stanno venendo i sensi di colpa! Niente pessimismo, ok???”
    “Bah, fai strada, Giruvegan”
    Tidus annuisce e scatta di corsa lungo il sentiero. Doye lo segue immediatamente, e nel farlo molla un calcio a un gattino finitogli tra i piedi. Getta uno sguardo rapido verso il biondino e vede una profonda preoccupazione riflettersi nei suoi occhi azzurri. Sembra davvero biasimare sè stesso per la propria idiozia. Corre rapido e concentrato, e porta scritto in volto che spera di trovare la ragazza sana e salva. Eppure Doye non alleggerisce minimamente la severità che prova verso quel moccioso ingenuo. “Stupidi personaggi famosi” mormora tra sè.
    Vecchi ricordi e vecchi rancori sente raschiare dolosamente dentro lo stomaco, ancora vivi e infuocati come il giorno in cui li ha vissuti per la prima volta. Aggrotta la fronte e accelera il passo. Tiene gli occhi fissi sul ragazzo che lo precede, mentre un vecchio odio torna a richiamarlo a sè. Lo stuzzica con parole dure, di rimprovero e il nano lo ascolta; non lo abbraccia nè lo allontana, perché
    sa che è parte di lui e contiene una giusta dose di verità.
    L’odio per personaggi di storie come Tidus e quelli come lui.
    Doye pensava di averlo ormai cancellato, ma in quel momento comprende che non è mai stato cosi.
    Vede vecchi ricordi riemergere alla memoria ed ognuno di essi lo infiamma all’odio verso quel ragazzo che, inconsapevole, gli volge la schiena.
    “Da questa parte!” gli grida il ragazzo. Lui si limita ad annuire, serio, senza rispondere, nel timore che la sua voce possa tradire l’astio che prova. Prende alcuni rapidi respiri, ed è di nuovo calmo.
    Non può farsi trascinare dalle emozioni, non adesso che forse ha trovato un modo per tornare a casa.
    Con fatica, spinge indietro, nel baule dei ricordi, nell’oblio della dimenticanza, l’odio, chiude il lucchetto e ci mette una pietra sopra. Ma non basta questo a farlo svanire. Quella sensazione forte, bruciante, resta nel sottofondo, costante rintocco che dà il ritmo alla sua anima.
    A Doye sta bene cosi.
    Quel odio non deve sparire, perché è giusto che esista, ma non deve neanche intralciare i suoi passi. Solo lui è il padrone della sua mente e delle sue emozioni, mai il contrario.
    Mai.
    “Non è molto lontano da qui!
    La voce di Tidus lo richiama dai suoi pensieri, riportandolo definitivamente alla realtà.
    Annuisce di nuovo, ma quella è la fine della loro conversazione. Entrambi rimangono in silenzio, concentrato e preoccupato il primo, calmo e controllato il nano, mentre percorrono un piccolo sentiero che si fa strada tra alberi e piante tutte non inferiori al metro e mezzo, carote comprese. La volta di rami sopra di loro si fa via via sempre più fitta.
    “Da questo punto in poi diventa pericoloso camminare, attento a dove metti i piedi” avverte Tidus.
    “Tsè, stai parlando con uno che una volta è stato dalle Giovani Marmotte, ciccio”
    “Buono a sapersi...”
    Dopo qualche istante, i due si ritrovano immersi nell’ombra. La luce del sole stenta a filtrare attraverso il tetto di foglie ed entrambi si ritrovano a dover guardare attentamente dove mettono i piedi. Nonostante ciò, nano e ragazzo sono esperti e coraggiosi e il loro cammino continua senza ostacoli.
    “AHIA!”
    A parte le cadute causate da radici affioranti non viste.
    “OHIO!”
    A parte gli schianti contro i rami troppo bassi.
    “UAHIA!!”
    A parte i voli in fossi pieni di ortiche.
    “UHIO!”
    A parte le ruzzolate nei roveti.
    “UAAAAH!!”
    A parte gli investimenti dai taxi di passaggio.
    “AAAARGH!!”
    A parte gli attacchi dei T-Rex.
    “NOOOOO! NON VOGLIO!”
    A parte i venditori di ombrelli.
    A parte tutto questo, i nostri due eroi (ancora) attraversano impavidamente la selva e fuoriescono sani e salvi in una zona sgombra.
    “Sani e salvi...a chi?” ansima Doye, uscendo alla luce del sole appoggiato a una gruccia. “Ma che diavolo ha che non va quest’isola? E’ peggio di Jurassic Park! Eppure a vederla da fuori sembrava tanto bella.”
    Senza dargli retta, Tidus fa scorrere rapidamente lo sguardo aggrottato di fronte a loro. “E questo è niente” dice dopo qualche istante. “Devi ancora vedere tutta la parte che va dalla foresta alla spiaggia, là i Budini e i Garuda vengono giù come se piovesse”
    “Fantastico...non vedo l’ora di andarci” commenta Doye, e si guarda intorno: si trovano in una piccola radura circondata da ogni lato da una fitta barriera di piante e occupata solo da un leggero prato di erba alta, che gli arriva fino alla cintola, punteggiato quà e là da grosse rocce. Da quel che può vedere, quel posto spunta come un’isola nel mare verde della foresta. Nonostante l’isolamento del luogo, il fruscio delle foglie e il sospiro del vento lo rende tutt’altro che un asilo rassicurante, anzi, a Doye sembra di sentire qualcosa nell’aria, quasi una tensione nascosta.
    “Perchè non si sente nessun rumore?” pensa con una punta d’ansia.
    Tidus non sembra essersi accorto di nulla, nota, impegnato com’è a cercare qualcosa con lo sguardo.
    Il nano aggrotta le sopracciglia, inquieto.
    C’è qualcosa che non va in quel posto.
    Per quanto si sforzi di guardare, non vede nulla di anomalo, ma qualcosa, in fondo al cuore, gli grida a gran voce un pericolo imminente.
    “Ehi, Gaderabannar” chiama con circospezione. Il silenzio presente gli dice che non è il caso di fare troppo rumore. Tidus non si muove. “Ehi!” chiama un po’ più forte. Nient. L’altro non sembra neanche aver sentito. “Ehi!” ripete ancora, un po’ spazientito, poi, vedendo che l’altro lo ignora, sbotta a urlare.
    “EEHHHHIIIIIIIIIIIIIIII!!!!”
    “AAAAAARGH!!!!”
    Preso di sorpresa, Tidus grida di spavento e, mentre fa per girarsi, inciampa e cade; Doye scatta per afferrarlo, ma è troppo lento, e il ragazzo rotola fino ad andare a sbattere contro una delle forme di pietra.
    “Ma che diamine hai da urlare?” chiede arrabbiato il ragazzo appoggiatoci contro a testa in giù.
    “Ti ho chiamato trenta volte! Che c’è, non ci senti???” sbotta di rimando Doye.
    “Perchè, ce l’avevi con me?”
    “Con chi cavolo dovrei avercela, se in trecento chilometri quadrati ci stiamo solo noi due?”
    “Allora almeno imparati il mio nomeeeee!!!”
    Doye sta per rispondere che sa benissimo che si chiama Tgan’rnsan, quando si blocca di colpo e spalanca gli occhi, sbigottito.
    Ancora nella scomoda posizione di prima, Tidus solleva un sopracciglio. “Uh? Che c’è adesso?” chiede, quando anche lui fa la stessa espressione del nano.
    “E-ehi, Taberran” balbetta Doye, osservando qualcosa di grande e grosso muoversi dietro il biondo, per l’esattezza la forma che aveva scambiato per una roccia. “Ma per caso su quest’isola vivono anche delle grosse tigri che si mimetizzano da rocce?”
    “S-si...” balbetta Tidus di rimando. “E ne hai una proprio dietro di te”
    “E’ lo stesso per te” Doye sente un’ondata calda sfiorargli la nuca e riempirgli le mutande, ma non riesce a staccare gli occhi dalla tigre alta due metri e mezzo che va sollevandosi su zampe grandi quanto piatti di portata e digrignando le zanne in un ghigno ferale.
    “C-c-che facciamo?”
    “M-m-mi sa che c-c-ci resta solo u-u-una cosa”
    Entrambe le tigri spalancarono le bocche ed emisero dei ruggiti assordanti.
    “AIUTOOOOOOO!!!”
  11. .
    O-oh. Carino, molto carino.
    Un gran colpo di scena, non c'è che dire.
    Personalmente, non apprezzo molto il fatto che sia cosi improvviso, senza una precedente presenza di questo nuovo personaggio, ma d'accordo: dipende unicamente dai tuoi gusti impostare la trama.
    Allora...vediamo...
    Da un punto di vista stilistico, non è male: come ho letto in tutti i tuoi capitoli, lo stile è semplice e molto scorrevole, attenzione, non è necessarianmente un bene. Vai dritto al punto e questo, almeno da parte mia, è da apprezzare. Ho visto parecchi scrittori, io ci sto in mezzo, lo ammetto, perdersi in chiacchiere e dimenticare cosa stanno scrivendo.
    Ad ogni modo, non penso che sia il tuo caso.
    Da un punto di vista della trama: mah, mah, non malaccio, come ho già detto, un colpo di scena cosi radicale lo avrei preferito in altre circostanze, ma la situazione non è cosi malvagia. Interessante la scena in cui Dark perde la sua identità e mette le spalle al muro Hikari. Il mio unico appunto è riguardo le torture che le impone. Apprezzo che tu ci sia andato soft con le descrizioni, ma forse un tantino di particolarità in più avrebbe aumentato la drammaticità.
    Ad ogni modo, è un bel pezzo.
    Ahah, e cosi anche il nostro amico Dark ha la possibilità di tornare a conoscere l'amore.
    Sul serio, questa è la cosa mi ha più incuriosito, vedere come reagirà al suo risveglio. Farebbero anche una bella coppia tutti e due quei ragazzi, ahah.
    Per quanto riguarda l'Oscurità è sempre il discorso dell'apparizione improvvisa. Un personaggio cosi importante avrei preferito vederlo giostrare in un altro modo, ma di nuovo d'accordo, vedremo come lo svilupperai.
    Bon, il papiro te l'ho lasciato e mi sento realizzato.
    E ho fatto pure la rima.

    P.S. Furba la cosa di mettere le musiche per aumentare gli effetti scenici, per sicurezza ho riletto due volte.

    P.P.S. Personaggi strutturati bene e potenti come Dark mi fanno venire sempre voglia di farli combattere contro quelli che invento io. No, non c'entra nulla, però mi andava di dirlo.

    See ya.

    Edited by Mr.Bianconiglio - 22/10/2011, 00:44
  12. .
    Quella voce, la più stonata che si sia mai sentita dal giorno in cui a Godzilla era venuto il pallino della canzone lirica, giungono dalle antiche rovine che fiancheggiano il sentiero, oltre un piccolo dosso che non permette di vedere cosa sesse accadendo di tanto orribile per scatenare tali lamenti.
    Con la sua corsa di blitzballer allenato e spinto dall’urgenza, Tidus distanzia rapidamente Doye e svanisce oltre il dosso in un batter d‘occhio.
    Al nano, invece, occorre un po’ più di tempo: una breve corsa di un‘ora e quarantacinque minuti, costellata di ipertensione, spasmi, sinusite, asma, crisi respiratorie, arresti cardio-vascolari, aerofagia, crampo dello scrittore e gomito della lavandaia.
    “Anf...anf...” ansima, appoggiandosi a una gruccia, una volta giunto sulla cima della china. “Anf..maledetto sentiero...pansh...maledetto sentiero...anf...maledetto sentiero...pant...”
    L’urlo di poco prima si ripete ancora.
    Con le ultime forze, Doye alza la lo sguardo in quella direzione e vede una scena che lo lascia strabiliato, specie perchè si è appena ricordato che deve ancora cambiarsi le mutande dalla corsa con i mostri: una ragazza dai lunghi capelli biondi chiusi in tante trecce giace riversa a lato del sentiero. A Doye non sembra ferita, ma solo incosciente, che può voler dire anche che ha un trauma cranico, ma il nano era assente alla lezione della patente sul primo soccorso e cosi se ne infischia.
    A pochi metri di distanza, Tidus, spada d’acqua alla mano, cerca disperatamente di respingere un gruppetto di strani esseri che lo insidiano da tutti i lati.
    A Doye non sembra che Tidus sia in grave pericolo, ma solo un po’ in difficoltà, che può anche voler dire che sta per soccombere ed essere selvaggiamente massacrato, ma il nano era assente alla lezione di strategia al campo di addestramento in Canada e cosi se ne infischia.
    Quello che lo preoccupano di più sono i mostri contro cui il biondino si è lanciato come uno scemo.
    Dai corpi snelli, completamente neri e attraversati da lunghe righe rosse, con teste piccole e allungate dotate di due paia di antenne, gli esseri osservano il ragazzo con famelici occhi color cremisi, minacciandolo con lunghi arti tentacolari terminanti in artigli dall’aria pericolosa. Tidus cerca di difendersi come può, ma i suoi colpi di spada sono troppo lenti e goffi anche solo per riuscire a sfiorare gli assalitori che, muovendosi con movimenti rapidi ed imprevedibili, ad ogni perfetta schivata lasciano uscire risate di derisione da bocche simili a squarci incurvati pieni di denti.
    “Oh, mamma...” Mai, in tutta la sua vita faticosamente passata ad accumulare saggezza davanti a un televisore, Doye ha visto creature cosi spaventose. Al massimo, un Heartless ogni tanto, quando faceva il doppio con l’Autore a Kingdom Hearts, e già quello bastava a farlo nascondere sotto il cuscino, ma quelli sembrano i fratelli maggiori dei NeoShadow, anzi, i cugini, il che significa che devono essere più forti, più cattivi e più popolari!!!
    Brutta, brutta prospettiva.
    “Qua ci rimetto la pelle, meglio filarsela...” dice tra sè il nano, e già comincia a mettere in atto quel proposito cercando di squagliarsela all’inglese.
    Fa un passo, poi un altro, poi un altro ancora. Si gira per controllare che nessuno si sia accorto di lui, no, per fortuna sono ancora tutti impegnati a cercare di scannare Tidus. Si gira di nuovo e riprende a camminare. Fa un altro passo, sembra che possa farcela, ne fa un altro ancora, ormai è quasi fuori dalla loro visuale, manca pochissimo...poi prende una buccia di banana, scivola e comicia a rotolare per tutta la china come una palla da bowling.
    Sentendo la terra tremare, Tidus e i mostri smettono di combattere ed alzano lo sguardo.
    E lo vedono arrivare, con la stessa velocità e peso specifico di una palla di cannone!!
    “PISTAAAAA!!!”
    Tutti i poveri sfigati presenti sbarrano gli occhi al vedere la morte con la falce salutargli sorridendo e si lanciano ai lati con grida terrorizzate. Solo una delle creature è troppo lenta e finisce investita violentemente e spiccicata per terra come un tappeto persiano.
    “M-ma che diavolo era quello?” balbetta Tidus, finito a gambe all’aria un po’ più in là, con tante palle da blitzball alate che gli girano attorno alla capoccia. Da sotto, qualcosa gli picchietta sulla schiena. Incuriosito, abbassa lo sguardo e vede che è finito seduto su un mucchio di quelle strane creature tutte in vistoso stato cianotico, di cui una delle quali gli fa faticosamente cenno di alzarsi.
    Cosa farà il nostro eroe di fronte a una tale opportunità?
    “Oh, scusate tanto”
    Si alza di scatto e comincia a scusarsi.
    “Ben gentile” gli risponde la creatura con la nonchalance di un agente di cambio, e si rimette in piedi in tutto il suo disarticolato splendore da essere invertebrato.
    Tidus si affretta a scusarsi, imbarazzato: “Mi scusi, non l’avevo proprio vista; è successo tutto cosi in fretta, non era mia intenzione usarla come zerbino”
    “Ma le pare, sono cose che succedono” si schermisce l’essere oscuro, con perfetto self-control all’inglese. “Nessuno, in coscienza, avrebbe potuto prevedere una cosa del genere. No nsi preoccupi, giovanotto, nè il sottoscritto nè i miei colleghi nutriamo alcun astio nei suoi confronti, nevvero, ragazzi?” E nel dire questo, si rivolge al gruppetto di altri esseri, che nel frattempo si erano rimessi in piedi uno dopo l’altro e si stavano sciogliendo le membra indolenzite con alcun esercizi di stretching combinato.
    “Eccome no?” risponde uno, mentre due suoi gemelli cercano di sciogliergli i tentacoli annodati. Il risultato è che finiscono tutti e tre legati come salami.“Stamo na’ bellezza, che ’n se vede?” rispondono tutti e tre in coro.
    La creatura annuisce bonariamente, prima di rispondere a Tidus: “Vede, giovanotto? Tutto risolto. Non c’è bisogno neanche del C.I.D.”
    “Fiuuu, meno male” sospira di sollievo il ragazzo, visibilmente più a suo agio. “Stavo già pensando di aver combinato qualche guaio. Sa, non sembra, ma sono un po’ pasticcione”
    “Si figuri, ma sa che succede anche a me ogni tanto di dimenticare dove ho lasciato i cuori strappati alle persone innocenti?”
    “E chissà come deve arrabbiarsi il suo capo, ahahahah”
    “Ma no, lui si che ha un cuore d’oro, ohohohoh”
    “Questa è carina, ahahahah”
    “TIDUS!!! PIANTALA DI STARE LI’ A DIR CAGATE E VIENI A TIRARMI FUORI DA QUESTA ROCCIA!!!!”
    L’urlo repentino da baritono di Doye riporta subito il biondo ragazzo al proprio dovere, facendolo scattare sull’attenti con tanto di saluto militare.
    “Arrivo, arrivo, arrivo!” grida correndo a tutto spiano lungo il solco lasciato dal passaggio del nano.
    Mentre si allontana di corsa, i tre mostri ancor annodati si avvicinano a quello gentile.
    “Ehi, Lord Pendleton, ma quello chi era?” chiedono con curiosità.
    L’altro sospira: “Un povero ragazzo che si è imbarcato in qualcosa di troppo grosso per lui, pensando che sia solo un contrattempo...”
    Una voce proveniente dalle loro spalle, carica di ilarità, li richiama: “Ohohoh, e orsudunque, signori miei, quanto dovrò attendere ancora?”
    Le tre creature arretrano impaurite, e finiscono in un fosso.
    Lord Pendleton sospira e scuote la tesa: “Ci dia cinque minuti, padrone”. Fa una pausa. Con uno scintillio, un grosso monocolo gli appare sull’occhio destro, seguito da un largo cilindro scuro sulla stretta testolina.
    Tutt’attorno a lui, le creature oscure cominciano a risollevarsi e a strisciare, le lingue che sibilano nell’aria.
    Ua luce scarlatta compare nello sguardo di Pendleton, la stessa che arde negli occhi dei suoi simili. “Il tempo necessario per ucciderli e strappare loro il cuore”
    Alle sue spalle, si ode una lunga risata divertita. Un accordo vibrante di chitarra risuona nell’aria.

    Tidus è incredulo.
    Rotolando con la stessa delicatezza di una valanga che scende giù dagli Appennini, Doye aveva spianato al suolo un paio di alberi, quattro Sahagin, tremila gabbiani e una vecchietta, per poi andare ad infilarsi in una strada con divieto d‘accesso, senza apparente motivo. Nonostante le rimostranze della vecchietta, che aveva inveito parecchio contro la gioventù indisciplinata di questi tempi, mentre veniva caricata in barella su un’autoambulanza, Tidus aveva ignorato il cartello per seguire il tragitto del nano e adesso è lì, ad osservare basito la sagoma a forma di Doye che perfora una grossa roccia che dà sulla cascata ed è talmente buia che anche Superman avrebbe già avvertito i parenti del nano di smettere di sperare.
    “Ma come cavolo hai fatto a finirci là dentro?” chiede, non credendo ai propri bulbi oculari.
    “Sono scivolato, non mi hai visto, che sei cieco?” risponde dall’interno la voce di Doye.
    “Si che ti ho visto, ma certo che sei proprio simpatico, eh? Non è che usi la carta vetrata al posto di quella igienica?”
    “Uff, dobbiamo stare qua a discutere sulla durezza delle mie chiappe ancora per molto o puoi tirarmi fuori?”.
    “Va bene, adesso ti...aspetta un secondo...cosa hai appena detto a proposito...?” Tidus si blocca, poi ci ripensa e scuote la testa. “Nah, meglio non saperlo”.
    “Se, se, come se non si capisse” La mano di Doye spunta dal buco. “Dammi una mano, và”.
    Un attimo di silenzio.
    “Ehm...” Tidus è un po‘ titubante. “E’ una battuta?”.
    “NO CHE NON E’ UNA BATTUTA!! COME DIAVOLO TE NE ESCI CON QUESTE IDIOZIE???”.
    “Ma...la mano che spunta...dammi una mano...”.
    “AGGGRRRR!!! MA PERCHE’ NON HO ACCETTATO QUEL POSTO COME SPALLA DI TOPO GIGIO?? PERCHE??? TIRAMI FUORI E BASTA!!!”.
    “Ok...va bene...” Tidus afferra saldamente la mano del nano. “Non serve mica arrabbiarsi, eh”.
    Dà uno strattone, poi, vedendo che la cosa ha lo stesso effetto di cercare di spegnere della lava con un annaffiatoio, l’afferra con entrambe le mani e comincia a tirare. “Cioè, non si capisce mai quando...ggggnn...parli sul serio...ggnnn...o quando scherzi...puff...“ Mugugna, facendo forza per estrarlo dalla roccia. Tutt’attorno, comincia a radunarsi un folto stormo di gabbiani curiosi.
    “Posso avere il beneficio del dubbio una volta?” Con un sospiro, il ragazzo lascia la presa e si asciuga la fronte. “Uff, niente, non si muove di un millimetro.
    La mano di Doye si chiude a pugno e si agita minacciosamente.
    Tidus decide di farlo bastare come avvertimento. “Ok, ok...” Chiedendosi perchè quella mattina non ha dato retta all’oroscopo e non è rimasto a letto, il ragazzo si spunta sulle mani e si prepara ad un nuovo tentativo.
    La voce di Doye lo blocca: “Un momento!”
    “Che c’è?” chiede Tidus, allarmato. I gabbiani si aspettano un colpo di scena.
    “Non ti sei sputato sulle mani, vero?”
    “Ehm...si?”
    “Ma che schifo!!! Ma dai!!! Ma come cacchio...no, dai, che schifo!! Ma tua mamma ti ha cacciato di casa, per caso?? Che schifo!!!
    Tidus è esterrefatto: “Ma...stavo solo...cercando...io...” balbetta, guardandosi le mani come se fossero imbrattate del sangue di un asilo nido e di fronte a lui ci fosse una distesa di corpi masscarati.
    “Aaaah, ma lascia stare, faccio da solo!” E mentre dice questo, Doye esce con un salto dalla roccia, esegue una perfetta evoluzione nell’aria e atterra a gambe e braccia allargate con mirabile coordinazione. L’arbitro fischia e solleva la bandierina: un nuovo record! E immediatamente i piccioni si scatenano in uno scroscio di applausi e di festa esagerata. Ci sono fischi, applausi, lanci di mutande e chi più ne ha più ne metta.
    “Ehm, Doye? Che diavolo è tutta questa roba?” chiede Tidus, guardandosi intorno un po’ impaurito con i fiori che gli cadono intorno. “Confesso che ho un po’ paura”
    “Zitto e annuisci, ragazzo, fà solo questo e andrà tutto bene” gli risponde Doye a denti stretti, senza smettere di sorridere a sessantaquattro denti e salutare la platea in visibilio, mentre un organizzatore in giacca e cravatta gli mette al collo un medaglione olimpionico.
    Di botto, cinque creature oscure irrompono dal nulla e sbranano sia arbitro che organizzatore, mentre altri cinque loro simili scacciano la folla pennuta facendo roteare dei grossi manganelli e imbracciando scudi anti-sommossa.
    In un batter d’occhio, Tidus e Doye si ritrovano circondati e con le spalle, al muro, anzi alla cascata, con un solo profondo dirupo dietro di loro.
    “Insomma, meglio di cosi non si può, eh? Stupido Autore!!!” Impreca Doye.
    E subito la cascata viene Misteriosamente colpita da un’antica maledizione azteca e si trasforma in un lago di olio a cottura lenta pieno di tanti bei demonietti in attesa, brutti come la fame e armati di forconi e oggetti cuneiformi dal dubbio utilizzo.
    “Oh, cavolo” commenta Tidus, e si tira su i pantaloni con foga.
    Doye potrebbe aggiungere un motto di saggezza alle sue parole, una stretegia, ma è troppo impegnato a bestemmiare in Turcomanno per farlo; il rating non ci consente di tradurre e di dormire tranquilli ,perciò non lo faremo.
    “Come immaginavo....cinque minuti saranno più che sufficienti...”
    Stretti tra le creature e il dirupo, Doye e Tidus vedono i mostri farsi da parte per permettere il passaggio a quello che sembra apparentemente essere il loro capo. Leggermente più grosso dei suoi simili, con un grande cilindro in testa e un monocolo sull’iride destra, Lord Pendleton avanza con un portamento nobile e disinvolto. I suoi movimenti sono calmi e i passi misurati, e ciò lo rende decisamente più spaventoso rispetto ai suoi frenetici compagni.
    Si ferma a pochi metri dai due sfigati, osservandoli per alcuni lunghi istanti con uno sguardo indecifrabile.
    Questo, ovviamente, prima di beccarsi una sassata in testa e finire a gambe all’aria come i popcorn nella padella.
    “Che cavolo ti guardi, mollusco?” sbraita Doye, già con un altro sanpietrino in mano. “Che c’è? Vuoi fare a botte? Eh? Dì un po’, vuoi fare a botte?”
    “Ehi, Doye? Non potevamo parlarne prima?” commenta Tidus, osservando con crescente preoccupazione gli esseri che li circondano cominciare a schiumare bava dalla bocca e a brandire taser con fare minaccioso.
    In tutta risposta, Doye si mette un dito nel naso e comincia a spostare i mobili: “Tsk, per questo il mondo va a rotoli, voi mocciosi non avete più coraggio! E poi, guarda! Lo stanno rimettendo già a nuovo!”
    In effetti, al vedere il proprio capo finire knock-out, gli esseri oscuri erano accorsi per soccorrerlo. Due di loro, con dei cappelli da infermieri, arrivano di corsa portandosi dietro una cassetta del pronto soccorso, e in quattro e quattr’otto, Pendleton è di nuovo in piedi, con un cerotto in fronte.
    “Ohibò! Dove eravamo rimasti? Temo di aver dimenticato quello che stavo facendo” dice il nobile, cosi, nonostante gli urli di Doye che gli dicevano che lui di mestiere faceva l’equilibrista sulla gabbia dei leoni con un pianoforte in mano, gli esseri oscuri lo ragguagliano rapidamente sulla situazione, aiutandosi con abbondanti dosi di mimica, una lavagnetta magica e tanta buona volontà.
    “Oh, ma certo, ma certo” esclama il nobile alla fine. “Stavo per introdurmi ai nostri inattesi ospiti, nevvero?” Con audaci passi da equilibrista, Pendleton storna a rivolgersi ai due: “E’ un vero piacere per l’umile sottoscritto conoscere due Cuori residenti su questa magnifica isola”
    “Il piacere è tutto tu...ehi!” inizia a dire Doye, ma Tidus gli dà una gomitata prima che finisca la frase, beccandosi in cambio un colpo di badile sulla cervice.
    Pendleton alza un sopracciglio, ma prosegue: “Lasciate che mi presenti, il mio nome è Pendleton e sono riconosciuto come un Lord tra la mia gente”
    “Mi presti 3000 Euro?” chiede Doye prontamente.
    “Oh, ma certo” Pendleton fa già per tirare fuori il libretto degli assegni, ma una delle creature gli dà una gomitata. “Oh! Giusto, giusto! La mia solita sbadataggine! Stavo quasi per cascare nel vostro audace tranello, messer nano, ohohohoh”
    Doye schiocca le dita per l’occasione perduta, quando Tidus gli si accosta e gli sussurra sottovoce: “Questi adesso ci fanno secchi e tu gli vai a chiedere 3000 Euro?”
    “Quando sarai più grande, imparerai che ogni occasione è buona per provare ad accattonare qualcosa, caro Tiduwan”
    Tidus sospira, afflitto: “Sicuro...com’è sicuro che ci stiamo allontanando sempre di più dal nome originale...”
    “Eh-ehm...”
    Il tossicchiare di Pendleton richiama la loro attenzione.
    “Ah, giusto ci stava questo che stava parlando”
    “Oh, cosi va molto meglio” esclama con un cortese assenso l’essere oscuro. “Come vi dicevo, il mio nome è Pendleton e sono un Lord tra la mia gente”
    “Questo l’hai già detto..” commenta Doye, ma nessuno se lo caga.
    “La tua gente? Cioè, intendi questi...questi mostri?” chiede Tidus con una lieve punta di disprezzo misto a disgusto, pistacchio ed amarena, mentre tiene sott’occhio una delle creature che gli era avvicinata troppo e gli sibila contro.
    Pendleton ride: “Ohohohoh, mostri? Questa non è una definizione che ci fa onore, signor Tidus. Non dovrebbe essere cosi avventato nel saltare subito a giudicarci”
    Al sentire quella creatura parlare in quel modo, il ragazzo sbianca: “Come...come sai il mio nome?” chiede, senza fiato.
    “Ohohohoh, glielo ho detto, signor Tidus” Pendleton si porta le lunghe braccia dietro la schiena e agita la testa prima da una parte o poi dall’altra, come per seguire una melodia che solo lui può sentire. Resta cosi per qualche istante, prima di stopparsi di botto e fissare uno sguardo penetrante sul ragazzo: “Non ci sottovaluti, non lo faccia mai. Noi sappiamo molte cose, noi siamo coloro che nascono dalle Tenebre più oscure, noi siamo gli Abissali e i Messaggeri dell’Oscurità”
    Uno scatto cosi veloce da essere impercettibile, e le braccia di Pendleton sono allargate in un enorme abbraccio al nulla. “Si ricordi di noi, signor Tidus, si ricordi il nostro nome...noi siamo gli Heartgear!”
    Ipnotizzato, Tidus lo osserva e ascolta le sue parole, mentre sente una morsa crescente afferrargli il cuore e decine di domande riempirgli la testa.
    Heartgear?
    Non ne aveva mai sentito parlare, eppure vederli adesso, in quella situazione, sull’isola in cui abita, glii procura un senso di familiarità. Non capisce da cosa provenga, ma di una cos aè certo: è sicuro di aver già sentito quei discorsi, come se quella scena non fosse altro che il ripetersi di qualcosa già accaduto in precedenza.
    Incapace di darsi una risposta, solleva lo sguardo verso Pendleton, nell’istintiva speranza che continui a parlare e dipani i suoi dubbi, ma le sue speranze non trovano conferma. L’essere sembra divertito dalla sua confusione e nessuna spiegazione esce dalla sua bocca piena di denti. Muove invece un dito, e gli altri Heartgear cominciano a stringere l’accerchiamento. Tidus li osserva, sa che se non fugge lo prenderanno, eppure non sente l’impulso di fuggire nè di reagire. Ha l’impressione di vedere tutto quello che sta succedendo un punto lontanissimo. Vuole solo restare lì, in silenzio, e continuare a vedere, per avere risposte e sentire la propria curiosità appagata.
    Poi, di botto, un sasso becca Pendleton in fronte e lo spedisce di nuovo a far conoscenza con Babbi l’Orsetto dei Sogni.
    Tidus si riscuote e si guarda intorno, spaesato.
    Che stava facendo? Perchè si era bloccato in quel modo?
    “Ragazzo! Che stai facendo?? Che cavolo ti blocchi in quel modo???”
    Una mano lo afferra rudemente per il colletto e lo spinge verso il basso. Tidus si ritrova a fissare il grugno duro di Doye.
    “Ehm...sono domande che mi ero appena fatto, se vuoi saperlo...” risponde senza fiato, cercando di non soccombere sotto il fiato pestilenziale del nano.
    “Eccerto! Per questo te le ho fatte! Sennò chi ti diceva niente? Parevi Freddy Mercury quando cantava! Un drogato! Mi bastava chiamare la Buoncostume e vedevi come ti facevano svegliare loro!” Con un gesto brusco, il nano lo lascia tornare all’aria pura e si volta versoil gruppetto di Heartgear accorsi a riincerottare il contuso Pendleton.
    “Ehi, voi, macchie d’inchiostro con le gambe!” esclama, puntandogli contro un dito tozzo come quelli dello Yeti. “Non so che cavolo siate, e manco mi interessa, ma guai a voi se vi mettete a fare il lavaggio del cervello a sto moccioso! Prima devo sfruttarcoff-coff, poi potete farci quello hc evi pare, pure usarlo come ramazza nelle stalle, capito??”
    Al sentire le parole del nano, Tidus non sa se sentirsi commosso o avvilito.
    Ci pensa su un attimo, poi opta per l’avvilimento.
    E si appunta mentalmente di capire cosa c’è dietro quel coff-coff, che è sospetto.
    Il povero Pendleton, con una contusione lacero-contusa nella parte occipitale del cranio, si ripiglia abbastanza per fare una domanda: “Ohibò, ma chi è lei, nano?”
    “Io non sono un nano!” sbotta Doye, facendo arretrare gli Shadowgear con la sola furia della sua voce . “Io sono Doye! Altro che voi mezze calzette, è il mio nome che va ricordato! Avete capito, schiappe?” Mentre delira, una cascata di scintille e stelle filanti lo avvolge. “ Che siate poveri, ricchi, giovani, vecchi, belli, brutti, maschi, femmine, c’è solo un nome che dovete sempre ricordare ed è quello dell’illustre sottoscritto: Doye!!!” Le stelle filanti esplosero in lampi di miriadi di colori, lasciandosi dietro scritte di luce che inneggiavano a quel nome. Doye puntò gli indici contro gli Shadowgear, visibilmente terrorizzati dalla performance. “E voi, ricordatevelo sempre e comunque, non dovete chiamarmi nano, dovete chiamarmi signor nano!!!!”
    E nel dire questo, fa il segno delle pistole che sparano con entrambe le mani, e subito un esplosione di polvere rossa detona dietro di lui, innalzandosi verso l’alto con un ruggito di orgoglio e determinazione.
    Passa qualche secondo. Nessuno si muove.
    Cala un silenzio attonito. Si sente solo il fischio del vento.
    “Wow” commenta Pendleton, sinceramente impressionato. “Ammazzateli entrambi”
    Ruggendo come leoni con l’ulcera, tutti gli Shadowgear si lanciano su Doye Tidus come un’unica creatura, gli artigli tesi in avanti e rilucenti di luce minacciosa.
    Doye è ancora fermo con indici e pollici sollevati, e li osserva venire come un automobilista con la macchina rotta che si è appena accorto di essere fermo sulle rotaie, proprio mentre il treno, per una volta, sta arrivando in orario.
    “Oh, cacchio...” commenta, per poi essere travolto da Tidus, un attimo prima che un artiglio tagli l’aria nel punto in cui si trovava la sua testa.
    Entrambi finiscono aggrovigliati nella polvere e rotolano per un bel pezzo, prima di andare ad impattare contro il guardrail sul ciglio del burrone.
    “C‘è mancato un pelo, dannazione! Quei cosi sono pericolosi!” esclama Tidus rimettendosi in piedi per primo. Sguaina la spada e si prepara a fronteggiare le creature che stanno già correndo verso di loro. “Ehi, Doye, stammi a sentire, dobbiamo fare un azione di gruppo, allora tu...” comincia, ma purtroppo nessuno seppe mai quello che voleva dire, perchè gli arriva una sassata tra capo e collo.
    “Ohè! Che sono sti modi?? Ma che non sarai pure un po’ di recchia, tu, eh?” sbraita Doye. Fa per rialzarsi di botto e dà una craniata allucinante al cartello -vietato buttarsi-.
    “MA CHE CAVOLO FAI??” sbraita Tidus di rimando, con la lacrimuccia e un bernoccolone a forma di Tour Eiffel che gli si sta formando sulla capoccia. “E CHE CACCHIATE DICI?”
    Invece di rispondere, con un bozzo in fronte a forma di Colosseo, Doye gli fa freneticamente cenno di guardare in avanti: “Lascia perdere, ma non te ne dimenticare, che sta cosa è preccupante, e pensa a qualcosa di carino da dire a quelli!”
    Tidus si volta e sbarra gli occhi nel vedere la banda di Shadowgear caricarli armati di artigli e zanne, oltre che di pessime intenzioni.
    “AAAAAARGH!!!!”
    Con un urlo di terrore che farebbe cagare addosso Munch, lui e Doye cominciano a scappare talmente veloce, ma talmente veloce, che se qualcuno avesse telefonato mentre correvano, il centralino li avrebbe dati come non raggiungibili.
    Corrono talmente veloci che gli Shadowgear devono noleggiare un paio di motociclette con il sidecar per correre loro dietro, dopo averle truccate con il motore di una Ferrari 7000.
    “Aspetta, aspetta, aspetta, aspetta, aspetta un secondo” grida Tidus, mentre percorrono il sentiero alla velocità media di 440 Km/h. “Ma che fine hanno fatto tutto quel discorso su loro che erano delle mezze calzette e non potevano niente contro il grande doye?”
    Doye risponde, ma non troopo forte per colpa del fiatone: “Tranquillo, ragazzo! E’ tutto sotto controllo! Questa è solo una...ehm...ritirata momentanea...”
    “HAI FATTO EHM!! BUGIARDOOOO!!!!”
    Nonostante l’elevata velocità, i due, salvati dal decollare per la Polonia dalla legge universale della trama, si trovano la strada sbarrata da un nuovo gruppo di creature. Gli Shadowgear osservano la scena, perplessi; qualcuno sfoglia il copione, in cerca di indizi, ma tutti hanno tanti punti interrogativi sulla testa.
    “Prendete quei due figuri, dormiglioni!” grida Lord Pendleton, e subito gli Shadowgear assumono un’aria decisa. Dopo qualche secondo di confusione, ecco che una fitta barriera di esseri nerastri blocca completamente la strada.
    “Cavoli! C’hanno fregati!” Si impanica Tidus, vedendo ogni via di fuga ormai bloccata. “Che facciamo adesso?”
    Doye sogghigna: “Ehehe, ti ricordi quando ho parlato del fatto che loro erano solo mezze calzette al mio confronto, Tirezan?”
    “Te l’ho ricordato io 10 righe fa...”
    “Hai fatto bene! Perchè adesso è giunto il momento di farlo capire anche a loro!”
    Senza nessun preavviso, Doye colpisce il terreno con il palmo aperto, e con quel gesto improvviso, una nube di polvere esplode tutt’attorno a lui, espandendosi rapidamente. Colto di sorpresa, Tidus si copre il volto con un braccio.
    “Orsù, che succede?” domanda Pendleton, un attimo prima che anche lui e i suoi accoliti vengano investiti dalla nube.
    La visibilità si azzera quasi totalmente e tutti quanti attaccano a tossire, ma, attraverso le lacrime che gli offuscano gli occhi, Tidus riesce comunque a vedere che gli Shadowgear barcollano nella nube come formiche perdute.
    Subito intuisce il piano del nano!
    Creare un diversivo e poi attaccarli e sgominarli nel momento in cui sono del tutto indifesi!
    Annuisce con un sorriso. Che sciocco era stato a non fidarsi!
    Quel piano era un’idea geniale e li avrebbe tolti dai guai. Stringe la spada, risoluto. Il minimo che poteva fare per espiare la sua mancanza di fiducia era aiutare il nano nell’abbattere quei mostri.
    Pronto a scattare verso lo Shadowgear più vicino, fa un passo in avanti, ma proprio in quel momento la polvere si posa e la visibilità torna normale.
    “Eh?”
    Tidus si guarda intorno, ricevendo un’ondata di sguardi interrogativi da Pendleton e compagnia.E’ tutto esattamente come prima.
    Poi si guarda a lato. Doye non c’è più.
    “E’ SCAPPATO!!!! BASTARDOOOOO!!!!” urla Tidus, scappando a razzo da una mandria di Shadowgear imbufaliti. Inseguito e inseguitori si lasciano dietro simpatiche scie di polvere e di fuoco e cominciano a fare su e giù correndo come pazzi.
    Dalla posizione sopraelevata di una cunetta, Pendleton osserva la scena con aria meditabonda: “A quanto pare, quel messere rumoroso se ne è andato...” Annuisce pacatamente. “Molto bene, forse non sarà necessario riferire questa intrusione imprevista al padrone. A questo punto è solo una questione di tempo” Vede Tidus tirare un calcio a uno Shadowgear, che gli aveva morso un piede, e spedirlo in orbita. “O forse no...”
    Medita cosi tra sè, quando qualcun gli picchietta sulla spalla.
    “Che succede, mio buon amico?” chiede, girandosi a guardare un altro Shadowgear.
    L’essere oscuro sembra visibilmente a disagio; si tortura i pollici e lancia di tanto in tanto occhiate preoccupate dietro di sè. “Ehm, come avevate richiesto, l’abbiamo portata da voi, Lord”
    “Molto bene, molto bene” commenta Pendleton, passando lo sguardo sulla ragazza svenuta portata in lettiga da altri due Shadowgear. “Fate in modo che non fugga, ma, mi raccomando trattatela con gentilezza”
    “Ehm, sarà fatto, ehm, Lord...”
    Pendleton inarca un sopracciglio inesistente: “C’è qualcosa che non va, mio caro amico?”
    “Ehm...” Lo Shadowgear sembra titubante. “Vede Lord, c’è questo tizio dietro di me che mi inquieta un po’” dice, indicando Doye vestito di nero, con un paio di occhialoni rossi e un cappello con quattro tentacoli di stoffa, che fa l’indifferente, cercando di mimetizzarsi tra i mostri.
    Pendleton ha la goccia stile manga: “In effetti tutto ciò è un po’ strano...” Un po’ a disagio, si sistema il monocolo sull’occhio. “Scusami! Mio buon amico!”
    Sentendo chiamare, Doye si guarda prima a destra, poi a sinistra, poi si indica. “Dice a me, dottore?”
    “Si, perdona la mia maleducazione” Pendleton lo indica, ancora un po’ scosso. “Quale è il tuo numero di riconoscimento?”
    “Il mio numero?” Doye solleva le sopracciglia e fa un sorriso pieno di charme.
    Poi comincia a correre.
    “OK! PIANO FALLITO!!!!”
    “Prendetelo!” grida Pendleton indicandolo freneticamente.
    Stupefatti dal geniale travestimento di Doye, gli Shadowgear reagiscono troppo lentamente. Si muovono al rallentatore, tipo Matrix, e il nano sfreccia tra di loro, andando a sbattere per caso contro la ragazza che ancora riposava.
    I due portantini, colti di sorpresa, non oppongono resistenza abbastanza in fretta da impedire alla barella di rovesciarsi e cosi Doye finisce per trascinarsi dietro la giovane priva di sensi
    “IAAAARGH!!!” grida il nano, facendole da materasso per tutti i sassi sulla cunetta.
    Tutti e due, il nano, in condizioni pietose, la ragazza, in perfetta forma, finiscono sulla traiettoria di Tidus, che inciampa sulla faccia di Doye e finisce pure lui per terra.
    “Ohè, ma che sta diventando un abitudine?” sbotta il nano, con un’impronta di scarpa che gli va dal naso all’orecchio.
    “Doye! Ma allora no neri scappato! Era tutta una strategia per salvare questa ragazza!” esclama Tidus al colmo della sorpresa.
    Doye fa una faccia interrogativa: “Quale ragazza?” Poi la vede, riversa accanto a sè. “Ah...Se, se, proprio quello...vabbè, finiamo in bellezza, và” dice, e si piega a mò di cavallina. Proprio in quel momento arrivano tutti gli Shadowgear, troppo lanciati per fermarsi, e succede una carneficina. Tutti finiscono contusi o lacerati a lamentarsi per terra.
    “Ehi! Bel colpo!“ Esclama Tidus, prendendo in braccio la ragazza.
    “Modestamente...adesso però filiamo! Passiamo per la strada!”
    Mentre dice cosi, tutti gli Shadowgear rimasti bloccano il sentiero.
    “Sciocchi! Fermateli! Hanno preso la ragazza! Hanno preso la ragazza! Fermateli!” grida Pendleton, mentre carica con il resto del drappello.
    Doye ci ripensa: “Ok, come non detto! Torniamo indietro!”
    Lui e Tidus voltano i tacchi e tornano precipitosamente sui loro passi, ma il dirupo sbarra loro la strada.
    “Che scena scontata...” commenta il nano, osservando l’acqua che scorre tumultuosamente una ventina di metri più giù.
    “Qualche altra idea?” chiede Tidus con un sorriso, mentre Pendleton e compagnia si fanno sempre più vicini.
    Doye ci pensa su per un attimo: “Uhm, si potrebbe passare dal...AAAAARGH!!!!” non finisce la frase, perchè Tidus lo afferra e, insieme a lui e alla ragazza, si getta nel dirupo, svanendo nel fiume sottostante.
    Beffato, irato per essere stato beffato, incacchiato per aver capito di essere stato beffato, Pendleton sbatte il piede violentemente a terra: “Poffarbacco!! Sono riusciti a salvarsi!”
    Un eco di una voce di un certo nano lo manda a quel bel paese, poi no nsi sente altro che il fragore delle acque.

  13. .
    Un grazie a tutti per le recensioni =)
    Capirete tutto, state tranquilli u__u
    Avanti con il prossimo capitolo, allora, e spero che vi piaccia. x)

    CAPITOLO II

    Tutto fila come al solito a Besaid: il sole splende, il cielo è terso, il mare è pulito, le onde si rincorrono nella risacca. I gabbiani volano liberi, lanciando rauchi richiami e scorrazzando nel blu terso nel cielo in una chiassosa e allegra rincorsa, e le loro cacche si abbattono senza pietà su ogni essere vivente e non a tiro. Per risolvere questo puzzolente problema, il Sindacato Bagnanti Scontenti ha dato già da tempo il via a una petizione in favore dell’assunzione di un simpatico impiegato armato di gatling, che, a detta loro, rappresenterebbe la soluzione più efficace, ma purtroppo, essendo gli abitanti totali dell’isola pari a trenta esseri umani e trecento milioni di pennuti, ancora non si è raggiunta la quota firme necessaria per procedere. In attesa di una misura provvisoria, ogni abitante è stato dotato di una foglia larga un metro e mezzo da mettere sul cappello. Malelingue affermano che ciò abbia fatto aumentare i morti causati dai colpi di vento, ma attualmente non esistono prove a supporto di questa tesi.
    E’ una buona giornata nel villaggio posto al centro dell’isola: le sei case di cui è composto, di cui una distrutta, risuonano delle voci allegre degli abitanti. Nonostante l’ora mattutina, già molte persone camminano per le strade, trasportando carichi o impegnate in questa o in quella faccenda. I bambini si rincorrono vociando allegri, mentre il mercante del villaggio elenca le qualità della propria merce di fronte a un piccolo pubblico. Nell’aria assolata del mattino, dove un tempo riecheggiavano solo gli echi delle preghiere provenienti dal tempio che troneggia al centro del villaggio, ora si sente il vociare allegro e laborioso della gente, pronta ad iniziare una nuova giornata.
    Besaid è diventato un luogo fiorente e felice e, ormai, il terrore e la disperazione dettate da Sin sono solo dei ricordi del passato.
    Tuttavia permangono dei piccoli traumi a livello inconscio.
    Infatti, se qualcuno dice: “Peccato”, per esempio, se gli è caduto il succo di mango per terra, ecco che lo prendono, lo riempiono di mazzate e lo buttano in mare per combattere la sfiga.
    E ogni volta che il vento si alzava un po’ troppo, qualcuno andava dal bagnino ed affittava un pedalò dicendo: “Non si sa mai...”
    Ma Yu Yevon era scomparso e Sin non poteva più giungere per portare distruzione sull’isola. Ormai il massimo che poteva arrivare era un uragano, una tempesta tropicale, una tromba d’aria o un maremoto forza 10.
    E gli uomini in coro dicevano: “Ma che bello vivere a Spira...!”
    In ogni caso, ogni cosa scorre bene a Besaid, a parte la squadra di Blitzball, che aveva sempre fatto e fa tuttora schifo e misericordia. Per questo i suoi membri erano stati privati del diritto di portare le foglie da tempo immemorabile ed erano stati ribattezzati “I macchiaioli”, a causa delle innumerevoli feci che li adornavano ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette.
    Ma a parte questo, il cocchio della fortuna corre bene a Besaid.
    E corre anche Tidus, inseguito dai soliti due caricatori di munizioni sparati da Yuna.
    “Non è come credi!!!” grida, scappando fuori in strada alla velocità costante di 70 Km/h, con i proiettili che gli fischiano intorno.

    [Da “Meraviglie e Stranezze degli Anime, Manga, Videogame e dintorni” del Prof. Dott. Shaktul Noctambulotti]

    TIDUS

    Tidus è, o meglio era, l’astro nascente del Blitzball di Zanarkand. Dalla sua posizione poteva avere tutto ciò che un ragazzo della sua età può desiderare: soldi, attenzioni, figurine, trenini elettrici e via discorrendo. Purtroppo tutto ciò non bastava per salvarlo dal misto di complesso di Edipo/bisogno di approvazione verso il padre, in cui era caduto da tempo ormai perduto nelle nebbie, assieme al motivo. Per sua (s)fortuna fu Sin stesso a toglierlo da quella posizione. Lo risucchiò da Zanarkand con l’aspirapolvere e lo scaricò su Spira, o più precisamente nel mare di Spira, dove Tidus conobbe tanti simpatici amichetti Sahagin. Imbarcatosi in un incredibile avventura per configgere Sin e trovare un modo per tornare a casa, assieme ad altri incredibili compagni di viaggio, tra cui spiccava Kimarhi detto il loquace, che nella sua vita aveva detto solo due parole e salutava e minacciava la gente scuotendo la testa allo stesso modo, il nostro prode biondino si ritrovò invischiato in una rete di intrighi creati per proteggere un ordine millenario bugiardo e senza senso. Si ritrovò talmente invischiato che ogni tanto partiva di zucca ed attaccava ad urlare alle tre di notte, salvo per poi prendersi una martellata in testa e finire in coma, ma questa è un’altra storia.
    Alla fine, dopo un lungo viaggio fatto di risate e sganassoni, scoprì che Sin era suo padre stesso, trasformato in balenottera gigante da un ragnetto dall’aria truce capace di scoregge cosi forti che alteravano la gravità. Cosi, Tidus, assieme alla sua banda di simpatiche canaglie, fu costretto ad eliminare il suo stesso genitore, sfuggendo poi all’accusa di parricidio, a testimonianza di quanto la giustizia sia ormai scaduta di questi tempi. Purtroppo, però,a fine di Sin e degli intercessori, di cui non chiariremo nè nome nè ruolo nè perchè per mancanza di fondi, il povero biondino, che era nato dal sogno di questi ultimi, dovette dare l’addio a Yuna, la ragazza con cui aveva viaggiato e di cui si era innamorato, ed andare incontro al suo destino, svanendo silenziosamente.
    A questo punto, la domanda di un attento lettore sarà: ma allora perchè è qui?
    La risposta è presto detta, e giunge sottoforma di una moretta in completo da pistolera magica. Le sue iridi sono una verde e l’altra azzurra ed entrambe emanano un’aria più arrabbiata di un branco di mammut in una calda giornata estiva.

    “Pervertito! Maiale!!!” Yuna, ex-grande evocatrice e attuale Cercasfere, è impegnata ad urlare improperi al suo fidanzato in fuga, mentre, ritta sulla soglia della capanna, cerca di falciarlo con una raffica delle sue due semi-automatiche.

    [Da “Meraviglie e Stranezze degli Anime, Manga, Videogame e dintorni” del Prof. Dott. Shaktul Noctambulotti]

    YUNA

    Yuna era stata il motivo del viaggio a cui Tidus si era aggregato: all’epoca, Sin vagava per Spira distruggendo e affondando tutto quello che capitava, (il ragnetto che lo comandava non aveva mai avuto una grande passione per la razza umana e il mondo in generale), e per sconfiggerlo si facevano avanti gli invocatori, un gruppo di frati e suore psico-punk, che, abbandonate case ed affetti, si imbarcavano assieme ai loro guardiani in un pellegrinaggio verso nei vari templi per ottenere il favore degli intercessori, di cui continueremo spudoratamente a non spiegare un bel niente. Ottenuto il favore necessario, l’invocatore poteva riceve re l’invocazione suprema, con cui abbattere Sin e dare a Spira dieci anni di pace, prima che quest’ultimo risorgesse.
    Insomma, Sin era una specie di cambiale: tornava sempre a rompere gli zebedei.
    Per fortuna, il gruppo di nostri eroi scoprirono un modo per sconfiggere definitivamente questo accanito persecutore sociale e tutti sospirarono di sollievo.
    Purtroppo, come si è già detto, il povero Tidus scomparve alla duecentocinquantesima ora di gioco, in quanto proiezione onirica ambulante, e quindi sprovvista di cervello ed organi, lasciando Yuna a piangere la perdita del ragazzo di cui si era innamorata.
    Ma come si dice: “Fortuna favet fortibus”, che nessuno ha mai capito cosa significhi. Appena tre anni dopo l’ex-invocatrice tornò alla ribalta in una nuova fantastica avventura, che tanto fantastica non era, perchè sembrava un incrocio tra una puntata dei Power Rangers e una sfilata di moda, ma vabbè.
    Yuna, nella sua nuova vita nel gruppo dei Cercasfere che chiamavano sè stessi i Gabbiani, finalmente libera dalle catene che le imponeva il pesante ruolo di invocatrice, diede prova della sua vera personalità arrivando a cantare addirittura in un concerto. Con la serietà e la rigida determinazione impostale dal suo precedente ruolo ormai alle spalle, tentò di vivere un’esistenza più spensierata e libera come Cercasfere. Guidata solo da una labile traccia, cercò Tidus per mari e monti, vallate e città, casini e disastri, tangenziali e sterrati, sempre senza manco una cartina stradale. Con l’aiuto dei suoi amici, impedì allo spirito della persona, da cui gli intercessori, questi sconosciuti, avevano fatto nascere il suo innamorato, di distruggere Spira con un’arma imbarazzante da far schifo, ma noi non facciamo commenti, e riuscì infine a ritrovare lo stesso Tidus, rimasto per tutto il tempo intrappolato in un ostato di veglia tra la vita e la morte.
    Finalmente riuniti, i due cominciarono una nuova vita insieme a Besaid. La loro relazione dura tutt’ora tra alti e bassi.

    “Chiamali alti e bassi!! E poi chi cavolo ha scritto questi riassunti??? Non è andata per niente cosi!!!” grida Tidus, mentre divora la strada che porta all’uscita del villaggio alla stessa velocità di un jet di linea.
    Yuna gli tiene dietro, bombardandolo con una tempesta di piombo: “Maniaco! Maniaco!!””
    “Non è colpa miaaa!!!!”
    “Non raccontare scuse!!!”
    Wakka, che si trovava in quel momento a passare per andare a comprare i soliti due quintali di detersivo per la sua squadra, si ferma a per salutare: “Ehi, ragazzi! Dove ve ne correte cosi presto, ya?”
    Evidentemente non ha compreso la situazione, e infatti finisce travolto e spiccicato per terra come un tappetino da bagno con tante impronte sopra.
    “U-una g-giornata s-storta, y-ya?” rantola, prima di perdere i sensi.
    “Pista! Fate largo! Pista!!!
    Tallonato da presso dalla sua vendicativa fidanzata, il povero Tidus scansa un paio di anziani, evita il dannato cane del villaggio, dribla una coppietta, schiva per un soffio il banco del mercante, salta a piedi pari un ostacolo, salta con l’asta la sbarra, supera un concorrente, ne supera un altro, si porta in prima posizione, taglia il traguardo per primo, ritira la coppa di corsa un attimo prima che Yuna spazzi via tutto con la stessa leggiadria e delicatezza di un bulldozer.
    L’ex-invocatrice, al contrario della sua preda, avanza distruggendo ogni cosa: uomini, donne, alberi, case, Yuna calpesta tutto senza nessuna distinzione; niente si salva al suo passaggio e infatti dove passa non cresce più l’erba.
    “Fermati, porco! Comportati da uomo!” urla dietro a Tidus.
    In tutta risposta, il biondino sfonda il muro del suono: “Preferisco restare vivo!!”
    Ritirando in volata la corona di fiori in omaggio, esce dall’uscita del villaggio talmente in fretta che la foto dell’autovelox viene fuori tutta a striscioline. Yuna si ferma sulla soglia e lo punta con tutte le due le pistole, mentre imbocca a tutta birra la strada per la spiaggia.
    Con tutta l’intenzione di scaricargli addosso due caricatori di munizioni gommate con un Click di Lv1000, prende accuratamente la mira e preme il grilletto, ma da entrambe le armi fuoriesce solo l’irritante suono che avverte del termine delle munizioni.
    “Accidenti!” sbotta, furiosa per quel contrattempo. Alza lo sguardo per vedere dov’è andato Tidus, ma quello ha già superato la curva in cima al crinale, svanendo dalla vista.
    “Accidenti!“ Con l’ultimo improperio, Yuna volta i tacchi e rientra nel villaggio. Cammina impettita a passi svelti, bruttando ed inveendo a denti stretti contro Tidus e la sua mania di andare a caccia di donne, quando di donna nella sua vita dovrebbe essercene solo una, e cioè lei e nessun’altra.
    “E-e’ u-una b-brutta g-giornata, y-ya?” chiede Wakka, che ha appena ripreso i sensi.
    Yuna non si accorge neanche che è lì e lo calpesta di nuovo in tutta grazia, e proprio mentre il suo stivale sta spiegando un concetto difficile al facicone del giocatore di blitzball, una voce conosicuta la chiama:
    “Cos’ha combinato stavolta?”
    Lulu, una donna dalle forme voluttuose e vestita tutto in nero come i suoi capelli e i suoi occhi, si sporge dalla sua capanna. In braccio porta il piccolo Vidinu, ancora traumatizzato per aver ricevuto un nome del genere, ma tanto non sa ancora parlare, perciò chi se ne frega.
    Yuna si volta di scatto e la fulmina con lo sguardo. E’ scossa dai tremiti e le sue iridi mandano lampi. Sembra sul punto di esplodere, ma all’ultimo momento dà le spalle alla sua ex-guardiana e infila a passi rapidi e nervosi la porta della capanna, che divide con il suo ormai condannato a morte fidanzato. Dall’interno cominciano subito a sentirsi rumori di roba che vola da tutte le parti, sopratutto coppe, di Tidus, e palloni autografati, di Tidus.
    Lulu resta a guardare il punto in cui la ragazza è svanita con uno sguardo perplesso, prima di sentire un lamento di agonia proveniente dal basso.
    “Wakka? Che fai lì per terra?”
    “E-e’ u-una b-brutta g-giornata, y-ya?” chiede Wakka, e sviene.

    Tidus si ferma, stanco ed ansimante, vicino alla cascata che precipita di fronte al piccolo ponte di legno sul tragitto tra il villaggio e la spiaggia, per riprendere fiato.
    Anche dopo aver perso di vista la sua inseguitrice, non si era fermato e aveva continuato a correre fino ad essere certo di averla seminata del tutto. Aveva corso fino a farsi saltare una coronaria e ad arrivare pericolosamente vicino ad un infarto, ma nello scegliere tra quello, essere raggiunto da una Yuna in qualche Looksfera o finire vittima della modalità mortaio delle sue pistole, preferiva quello.
    Per dirla tutta, per evitare la sua fidanzata, avrebbe preferito anche lanciarsi in mutande in una fossa piena di cactus dalle lunghe spine e Kyactus incacchiati, però quello aveva preferito non precisarlo.
    Non si sa mai.
    “Uff...uff...ma perchè...” spizzica tra gli ansiti. “Pant...capitano...anf...tutte a me...”
    Spesso, quando una persona non riesce a farsi una ragione di una sventura, tende ad attribuirne la causa alla sfortuna: una forza malefica, che, spinta da motivi imperscrutabili, si accanisce con forza sul corso degli eventi, traviandoli su circostanze sempre peggiori. Questa visione della vita di solito è un modo per togliere da sè stessi il peso della responsabilità; uscire dal ruolo di artefici della propria sventura per calarsi in quelli di gran lunga più rinfrescanti della vittima passiva di un fato ingiusto.
    Tidus sbotta: “Ma che cavolo di discorsi sono????” Sbuffi di vapore a pressione gli escono dalla testa, facendolo assomigliare a una locomotiva dell’800 “Come se fosse colpa mia quello che è successo ieri sera!! Sulla spiaggia c’ero andato a passeggiare!!!”
    Incapaci di accettare le proprie colpe, le persone accantonano senza indugio la logica e, privi ormai dei vincoli della responsabilità, gettano ogni colpa su cause esterne. Non sanno che dalle bugie a sè stessi non nasce altro che ulteriore fonte di avversità.
    “E BASTA!!!”
    Con un borbottio esasperato, il nostro eroe (?) comincia a camminare avanti e indietro alla Zio Paperone: “Cavoli, ma che colpa ne ho io? E’ stato tutto un malinteso! Yuna ha capito male! Io non volevo! Non è colpa mia!”
    Tali persone vivono biecamente delle proprie menzogne, incapaci di accettare la realtà in un altro punto di vista. Senza alcuno scrupolo, falsano la storia in modo da cancellare i propri misfatti e apparire onesti e puri di fronte agli occhi dei posteri. Non sanno che verrà il tempo anche per loro di incontrare il giudizio.
    “FALLA FINITA!!!”
    Tidus sta per sbranare la voce narrante, quando un rumore improvviso attira la sua attenzione.
    “Uh? Che succede?”
    All’orizzonte, in fondo alla strada che porta alla spiaggia, appare un grosso polverone. Curioso, Tidus socchiude gli occhi per capire di cosa si tratta.
    “Sembra che si stia avvicinando...peccato che non c‘ho Focus nella Sferografia; ah, no, quello non c‘entra niente con l‘oculistica...”
    Dopo qualche istante, Tidus comincia a distinguere anche i suoni: un immischio pazzesco di urla, stridii e suoni vari ed eventuali, dal clacson al battere dei bonghi.
    Il ragazzo aguzza ulteriormente lo sguardo, e gli pare di scorgere una figura di fronte al polverone. Gli ci vuole un po’ per riconoscere che è senza dubbio un essere umano, anche se un po’ troppo basso. Sembra che stia correndo, come se qualcosa lo inseguisse.
    “Ma che...”
    Man mano che si avvicina, la figura si fa sempre più definita. Tidus vede che si tratta di un ometto piccolissimo, quasi quadrato, tanto da poter essere scambiato per un comodino. Nonostante abbia la pancia di un bevitore di birra, corre a una velocità soprannaturale, lasciandosi dietro una nuvola di polvere che manco una Ferrari lanciata da una fionda stellare potrebbe fare. Tidus aggrotta la fronte.
    Quel ometto agita una mano in sua direzione, e, a giudicare di come la bocca gli si spalanca, sembra che gli stia urlando qualcosa, ma la distanza è troppa perché possa capire cosa dice.
    Incuriosito, aguzza lo sguardo, peritoneo per vedere da cosa sta scappando quello strano ometto.
    Ed è allora che tutto gli diviene chiaro, compreso quello che il nano cerca di comunicargli:
    “CORRI, DEFICIENTE!!!!”
    Con un moccio lungo come una canna di bambù che gli penzola fuori dal nasone bitorzoluto, con la morte e le lacrime strizza più pura e distillata negli occhi, Doye divora il sentiero come solo chi sta per farsela addosso può fare. L’unica differenza è che lui ha un bozzo sospetto all’altezza del fondoschiena.
    Dietro di lui, un battaglione di Garuda, Dingo, Budini, Viennette invasati, Coni incacchiati, Magnum assatanati lo insegue a spron battuto con intenzioni molto chiare, e nessuna di esse include il “signore ha dimenticato il resto”.
    “OH, MAMMA!!!!” Tidus fa appena in tempo a chiedere aiuto a un genitore e a mettersi a correre che Doye lo affianca.
    “UAAAAH, MA CHE SUCCEDE???” urla, con un branco di Garuda assatanati alle calcagna.
    “MA CHE NE SO!!! IO NON HO FATTO NIENTE!!APPENA SONO ARRIVATO MI SI SONO ATTACCATI ADDOSSO!!!!” gli grida di rimando Doye, trascinandosi dietro un Dingo attaccato a gamba.“MA COME HAI FATTO A FARTI INSEGUIRE DA TUTTI QUESTI?? NON HO MAI VISTO COSI TANTI MOSTRI IN UNA VOLTA SOLA!!”
    “MA CHE CAVOLO DI DOMANDE FAI??? MICA L’HO DECISO IO DI FARMI INSEGUIREEEE!!” E mentre urla questo, il Dingo gli dà un morso cosi forte da fargli vedere tutte le Costellazioni dall’Astrolabio, al Zuzzurro Imperatore con la Clava.
    “QUALUNQUE SIA IL CASO, FILIAMOCELAAA!!!”
    E via tutti e due di gran carriera, pronti al primo periplo di Besaid da duemila anni a questa parte.
    Corsero come pazzi, braccati dagli squadroni di Dingo, poi proseguirono a nuoto nel mare, inseguiti da orde di Sahagin, infine proseguirono in bicicletta, tallonati da un contingente di lucertole motocicliste create per l’occasione. Fu quello il giorno in cui Besaid ottenne il prestigioso record mondiale di Decathlon, ma questa è un’altra storia.
    Alla fine, dopo aver macinato chilometri su chilometri, Doye, spinto in avanti solo dall‘inerzia, si rivolge a Tidus: “Ehi, ragazzo, ho un piano per liberarci di quelle bestiacce”
    Tidus, che ormai sembrava più un morto vivente che un essere umano, risponde con voce lamentosa: “Quello che vuoi...va bene tutto...”
    “Sei sicuro? Probabilmente sarà doloroso!”
    “Sento le voci degli angeli...”
    “Lo prendo per un si! Buona fortuna!” E nel dire questo, gli molla un calcio, che lo fa volare dritto dritto verso l’armata di mostri.
    “BASTARDOOOOOO!!!!”
    E tutto il giorno passò tra queste e altre scene amene. Fu solo quando il sole stava ormai tramontando all’orizzonte che i due riuscirono a far perdere le proprie tracce e a riparare in una caverna nascosta. E’ lì che si trovano adesso, seduti contro la parete rocciosa a riprendere fiato.
    “Anf, pant, anf...” ansima Tidus. “Per fare Blitzball...puff...bisogna allenarsi anche con....anf...le corse, ma con questo...anf...si va alle Olimpiadi...pant...”
    Doye si spruzza in gola con il respiratore per l‘asma: “Aaaaanffff.....puff...voi giovanotti...puff...siete delle pappamolle...anf...gasp...prendilo come....argh...coff...un allenamento aggiuntivo...anf...e non rompere....back...”
    Tidus lo guarda male: “Parla quello che....puff...mi ha usato come diversivo per scappare...anf...e poi...puff..ansimi più di me...”
    “Tsk...argh...cough....sciocchezze...” Doye si fa un iniezione di vitamine, poi continua: “Io...cough...sono scusato...coff...”
    “...Anf...e perchè?”
    “Perchè....coff...pant...sono un...anf...disabile civile....coff”
    “UN COSA????”
    “Proprio cosi...coff...argh...ecco qua...anf...la tessera d’invalidità” E nel dire questo, tira fuori dalla barba un tesserino plastificato.
    Dopo due secondi di attenta osservazione, Tidus sbotta: “Ma questo non sei tu!! Questa è la foto di Stephen Hawkins!”
    “Ero...coff...un po’ diverso...pant,....da giovane...anf...vero?” commenta Doye con un sorriso.
    “MA NON DIRE IDIOZIE!!!”
    Doye fa l’offeso: “Che c’è...coff...non...anf...ti fidi...cough...?”
    “Perchè, si vede?” gli risponde nervosamente Tidus, poi si ferma: “Ehi, aspetta un secondo....ma Tu mi hai usato come esca umana!!!”
    “Perchè...coff...si è visto???”
    “A momenti mi ammazzavano!!! Un Garuda mi ha portato al suo nido e voleva darmi in pasto ai cuccioli!!!”
    “Una nobile fine...coff...”
    “E perchè???” chiede Tidus, confuso.
    “Avresti sorretto...anf...la vita...coff...con il tuo sacrificio” Spizzica Doye. “Quegli aquilotti...coff...si sarebbero cibati...pant...della tua carne,...anf...per essere più forti e volare liberi”
    “Ma che cavolo di discorsi sono??? In pratica dovevo farmi mangiare??”
    Doye alza gli occhi al cielo. “Eeeeh...il ciclo della vita...”
    “Ma lo sai dove te lo puoi ficcare il ciclo della vita?????”
    “Rinnegare il tuo essere parte di un ciclo ti porterà alla rovina, ragazzo” lo ammonisce Doye con fare saggio.
    Tidus comincia a strapparsi i capelli: “Aaaaah, basta, ci rinuncio! Primo quello, adesso questo!! Va bene, hai ragione tu! Hai ragione tu!”
    Uno scintillio di soddisfazione appare negli occhi di Doye, mentre, con un gesto coinvolto, solleva entrambe le braccia e si esibisce nel gesto a doppia V della vittoria: “Il pollo c‘è cascato...missione compiuta!”
    “QUESTI GESTI, SE DEVI FARLI, FALLI ALMENO DI NASCOSTO!!!” Poi, bloccandosi con la bocca larga come una quaresima: “Ehi, aspetta un secondo...”
    Doye si sbraca sul pavimento di roccia e lo osserva scettico: “Ancora?” fa, inarcando un sopracciglio. “Cominci ad essere monotono, biondino, occhio che rischi di essere cancellato dalla storia, eh?”
    “Grrrr...” ringhia Tidus con i denti da vampiro e la bava alla bocca.
    Doye si guarda addosso: “Che c’è? Ho una zanzara sulla giacca?”
    Dopo una breve colluttazione, il nano si convince che si trattava di altro.
    “Ok, mi hai convinto, non parlo più” promette, con un cerotto in fronte, senza metà del lobo destro e con un dente di meno.
    “Era anche ora, eh” Tidus si lascia cadere sul pavimento di roccia con uno sbuffo di rude accondiscendenza, sedendosi a gambe incrociate. Incrocia le braccia al petto e scocca uno sguardo sospettoso al nano: “Ad ogni modo, chi cavolo sei tu?”
    Doye si massaggia una tempia con due dita: “Dimmelo prima tu...”
    “Cosa? Ma se te l’ho chiesto prima io!”
    “E adesso te l’ho chiesto io” Doye si guarda le unghie con noncuranza. “Rispondi alle domande che ti fanno, maleducato”
    Tidus non si arrende: “Ma...ma la domanda l’ho fatta prima io!”
    “Si, ma poi te l’ho chiesta io, perciò ho la precedenza...”
    “Ma quale è il senso di tutto ciò???”
    “Non ti curar di loro, ma guarda e passa...”
    “E questo cos’è adesso???”
    Doye scuote la testa con un sorriso di tenerezza sulle labbra. Dimentica sempre che non tutti possiedono la sua stessa preparazione culturale: “Pirandello, amico...”
    “Vabbè, sia quel che sia!” dice Tidus, deciso a non mollare. “Io non ti dico chi nessuno, se tu non lo dici per primo”
    Doye si soffia sulle unghie. “Qui è lo stesso per me...”
    “E anche per me!!” sbotta Tidus, testardo.
    “Va bene...”
    “Va bene!!”
    “Possiamo anche andare avanti tutto il giorno, se vuoi...”
    “Per me va benissimo!!!!”
    “Contento tu...”
    Tidus tentenna. “C-che significa? In che senso?”
    “Se hai tutto questo tempo da sprecare...” insinua Doye con tono mellifluo.
    “M-ma, se sei stato a cominciare!”
    “Chissà cosa staranno dicendo i lettori a vedere tute queste righe scritte inutilmente...”
    “M-ma...”
    Il povero biondino balbetta, incerto, ma Doye lo incalza inesorabile. “Diranno: -Oh, ma guarda questo qua, come si perde in discorsi senza senso, che diavolo sta a fare in questa storia? La rallenta e basta! Mandiamo un e-mail all’Autore per farglielo cancellare- ecco, cosa diranno. Tu non vuoi essere cancellato, vero biondino?”
    “C-certo che no, m-ma...”
    Doye alza le braccia, in cenno di resa: “Va bene, va bene, io ci ho provato, ragazzo, fà come vuoi”
    “C-che significa? Che c’è?”
    Doye sospira addolorato e scuote la testa: “Se vuoi farti cancellare, fai pure...io non ti fermerò di certo, se questa è la tua volontà...”
    Con un sonoro Creak, Tidus si trasforma in una statua di sale. Al solo pensiero di quel terrificante destino, la mascella gli casca per terra con un tonfo e gli occhi gli schizzano fuori dalle orbite stile Willy il Coyote e un forte colore rossastro comincia a lampeggiargli sulle guance, facendolo assomigliare a un semaforo rotto.
    “VA BENE. VA BENE!!” urla a squarciagola, mettendosi forzatamente seduto sulle ginocchia. Si inchina e dà la testa contro la roccia ripetutamente. “MI SCUSI, NON LO FACCIO PIU’!!! IO MI CHIAMO TIDUS, HO 19 ANNI COMPIUTI DA POCO E FACCIO IL BLITZBALLER!! E’ UN PIACERE PER ME CONOSCERLA, ECCELLENZA!!!”
    Uno scintillio di soddisfazione appare negli occhi di Doye, mentre, con un gesto coinvolto, solleva entrambe le braccia e si esibisce nel gesto a doppia V della vittoria: “Il pollo c‘è cascato...missione compiuta!”
    Tidus ha ancora la forza di ribattere: “TI HO DETTO DI NON FARTI VEDERE QUANDO FAI COSI!!!”
    “Uhm, ma quanto urli...ragazzo” chiede Doye, guardandolo di sottecchi con le braccia ancora alzate. “Tidus, mh? Ho già sentito questo nome, però non mi ricordo dove...ad ogni modo, hai mai pensato di farti vedere da uno psicanalista?”
    Tidus si accascia al suolo senza un lamento.
    Doye lo osserva per qualche istante con fare pensoso: “Uhm, lo prendo per un si...” Batte le mani, poi continua. “Bene, caro Tidan, adesso ti sei guadagnato la possibilità di fare conoscenza con l’illustre sottoscritto!”
    “Mi chiamo Tidus...” ripete, sconsolato, il ragazzo, rialzandosi in piedi.
    Doye si schermisce: “E io che ho detto? Tadan!”
    “Si...” Persa ogni energia, Tidus si limita ad annuire.
    “Vabbè...devi sapere, caro Tiesnan, oggi è per te un giorno molto, molto fortunato!”
    “Davvero? E io che pensavo fosse una giornata orrenda...”
    “...farò finta di non aver sentito, ragazzo...ad ogni modo, anche s enon te ne rendi conto, bacato come sei, oggi ti è stata offerta un’opportunità irripetibile” Una strana luminescenza appare nell’aria. “Perchè oggi, un angelo è sceso per rendere più bella la tua stupida e inutile vita!” Stelline e lucette cominciano a danzare intorno a Doye. In sottofondo si sentono le note soffuse di un coro gospel. “Perchè lo sappiamo tutti che la tua vita è piena di insoddisfazioni e frustrazioni, vero? Beh, non devi più preoccuparti, perchè a partire da questa irripetibile, fantastica giornata cambierà tutto!” Le stelline si riuniscono nella parte alta della caverna e cominciano a piovere, dando luogo a una pioggia di stelle cadenti in uno spazio di quattro metri quadrati. Dal coro gospel comincia a levarsi una voce acuta. “Sei stanco di sopportare tutti i problemi che ti cadono addosso? Non puoi più convivere con te stesso? Da oggi diventerai una persona migliore, perchè da questo momento tu...conosci...il grande...il magnifico...” Doye spalanca le braccia in un gesto teatrale. Il coro gospel sale in un crescendo. Le stelline si avvolgono con le luci e si compattano in un’unica sfera luminosa, che esplode in una bagliore lucente assieme all’ultima nota, in un grande, magnifico, gran finale.
    “DOYEEEEEEE!!!!”
    Le luci si spengono con una pioggerellina di scintille che cade su Doye. Il nano le accoglie con le braccia ancora spalancate, con gli occhi chiusi e un’espressione beata in volto, mentre, in sottofondo, il coro sfuma lentamente fino a spegnersi.
    Tidus, che ha osservato tutto lo spettacolo a braccia conserte, inarca un sopracciglio: “Dove hai comprato tutta quella roba?”
    A Doye spuntano istantaneamente zanne e corna, e i suoi occhi sprigionano lampi di fuoco. “Hai capito almeno quello che ho detto????”
    “Hai detto che ti chiami Doye, no? Mai sentito...”
    Un secondo dopo, Doye è in un angolino a fare cerchietti nella polvere con un bastoncino con tutt’attorno una nuvoletta di depressione con tanto di fulmini.
    “Va bene, scherzavo, dai, non fare cosi” cerca di tirarlo su Tidus, battendogli pacche rassicuranti sulla spalla.
    Recuperato Doye, i due si siedono contro il muro per chiarire le idee. Non che sia possibile, ma di sicuro peggio di cosi non si può.
    “Quindi, fammi capire” esordisce Tidus, scettico. “Tu saresti una specie di angelo?”
    Doye resta per un attimo in silenzio.

    [Flashback]

    Spazio profondo. Il pianeta si avvicina rapidamente. Doye comincia ad intravedere la forma dei continenti. La voce del computer di bordo lo raggiunge per le ultime istruzioni.
    “Gli abitanti dei luoghi in cui sarai inviato non dovranno scoprire che sei giunto da un altro mondo. Le loro storie sono già state indebolite a sufficienza e non possiamo permettere che un intervento esterno le danneggi ulteriormente. Per questo dovrai presentarti come un viaggiatore, un alleato, anche come un angelo se vuoi, hai tutte le carte in regola per presentarti nel modo che preferisci”
    Doye è dubbioso: “Tante grazie, dato che ci stai mi dai pure un motivo perchè dovrei aiutare questi rimbambiti?”
    “Perchè se non ti presenti sotto falso aspetto, quando torni ti faccio a fettine e ti riporto all’Autore come frullato”
    “Sei molto convincente quando vuoi, sai?”

    [Fine Flashback]

    Doye ci pensa un attimo su, poi lo guarda come se fosse pazzo: “E questo dove l’hai sognata, Taderan? Mai detta una stupidaggine del genere!”
    Tidus strabuzza gli occhi. “Ma se l’hai detto prima!”
    “Prima quando?”
    “Prima! Quando....quando hai fatto quella presentazione strana! Prima!
    Doye fa la faccia pensierosa: “Non ricordo...”
    “Aaaah, lascia perdere” Tidus si gratta furiosamente la testa, poi prosegue. “Ad ogni modo che ci sei venuto a fare qui? Non ti ho mai visto ed è tutto dire considerando che st’isola è larga un chilometro quadrato”
    “Beh...”

    [Flashback]

    Spazio profondo. Il pianeta si avvicina rapidamente. Doye comincia ad intravedere la forma delle montagne e delle colline. La voce del computer di bordo lo raggiunge per le ultime istruzioni.
    “E’ importantissimo che tu agisca in incognito! Se spargi ai quattro venti che c’è una minaccia che potrebbe far saltare in aria il loro mondo, quando torni ti passo sulla graticola e ti rimando dall’Autore dentro uno stracchino”
    “Mh? Hai detto qualcosa, rottame?”

    [Fine flashback]

    Doye ci pensa un attimo su, poi risponde: “Sono giunto per contrastare la venuta di una minaccia che potrebbe colpire quest’isola!”
    Cala un velo di silenzio, intervallato dal canto dei grilli acquatici.
    Tidus scruta Doye da capo a piedi: “Non è che hai bevuto qualcosa di strano ultimamente?”
    “CHE C’E?? ???” gli sbraita contro Doye. “SOLO PERCHE’ SONO BASSO, NON POSSO AVERE UN RUOLO COSI??”
    “No, no, non è per quello” si schermisce Tidus, agitando le mani. “E’ solo che...ehm...non dai proprio l’impressione di un tizio affidabile per una cosa del genere...”
    “E’ PROPRIO QUELLO CHE STAVO DICENDO!!! MA CHE VUOI FARE A BOTTE, BIONDINO???” Ormai a Doye è regredito allo stadio di belva feroce. Sputacchia per bene Tidus urlando ocme un pazzo, poi si calma e fa un verso di disprezzo. “Tsè, non ci crede, LUI, si crede un mito, LUI”
    Tidus ha la goccia stile manga: “E’ strano parlare da soli...”
    “Tsè!” Doye gli punta un dito contro, aggressivo. “E allora tu che stavi facendo prima di incontrare l‘illustre sottoscritto, eh? Spazzavi la strada?”
    Il volto di Tidus si adombra, non per un mancamento, ma perchè gli è tornata alla mente la spiacevole situazione in cui si trova.
    “Ecco...” tentenna; non trova le parole. “Ho litigato con la mia fidanzata...”
    “Come? Parla più forte!” incita Doye, con una mano sull’orecchio.
    “Ho litigato con la mia fidanzata...”
    “Che hai fatto??” chiede Doye, allibito.
    A quel punto non ne può più e sbotta, sfondando i timpani a tutti, grilli compresi: “HO LITIGATO CON LA MIA FIDANZATAAAA!!!!”
    “E CHE CACCHIO TI URLI???? HO CAPITO!!! ERA PER DIRE -Eeeeh, ma và?-”
    Tidus distoglie lo sguardo, offeso, e borbotta tra sè: “Se, era per dire...se, se...”
    “Comunque!” Doye tira fuori una pipa dalla barba e se la ficca in bocca. Poi, estrae anche un fiammifero e lo accende sfregandolo contro la roccia con un movimento esperto. In pochi attimi l’odore di tabacco riempie la piccola caverna. “Che hai combinato per farla arrabbiare, ragazzo?” Complice, comincia a dare di gomito a Tidus. “Hai messo gli occhi su qualche altra pollastrella, eh? Racconta tutto al vecchio Doye, dai, e non preoccuparti, la mia bocca sarà una tomba”
    Non che i fatti sentimentali di quel biondino ingenuotto gli interessassero più di una gomma sotto la scarpa, ma, dopo aver preso la botta in testa, il cervello di Doye si era rimesso inavvertitamente in moto e aveva sbloccato vecchie memorie sepolte che potevano tornare molto utili in quel momento. Ci era voluto un bel po’ per ritrovarle: l’omino verde che abitava in una casetta nella parte bassa del cranio aveva dovuto versare parecchio olio sugli ingranaggi arrugginiti, ma alla fine ne era valsa la pena, e una piccola lampadina con le gambe e le braccine, un’idea, era corsa ad informare i piani alti battendo in alfabeto Morse con la scopa contro il soffitto.
    Ricevuta la notizia, uno dei due neuroni non ancora emigrati a Ibiza era corso a suonare la sirena posta appena sotto l’orecchio destro e aveva bisbigliato l’incredibile notizia dentro l‘altoparlante: quel tizio, Tidus, non era un Tailandese immigrato in un videogioco di Giapponesi, come aveva pensato Doye all’inizio; era proprio il protagonista di quella storia.
    Appena era venuta a conoscenza di ciò, la calcolatrice malvagia posizionata al centro del cervello aveva subito iniziato a progettare un machiavellico piano per sfruttare quel fatto a favore del suo ospite: se Tidus era l’eroe protagonista di quel mondo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerlo. Quindi sarebbe bastato dirgli che una grave minaccia pendeva sulla salvezza dei suoi cari e Doye avrebbe anche potuto appendere le scarpe al chiodo e passare una vacanza in spiaggia, tanto ci avrebbe pensato il biondino a risolvere tutto.
    Il progetto era stato ritenuto buono dal geometra del catasto, diplomato a pieni voti con la terza elementare, che supervisionava il lavoro del cervello leggendo il giornale, fumando come un turco e mettendo timbri su tutto quello che gli passava sotto il naso, ed era stato inviato al centro della consapevolezza nervosa, una trombetta, che l’aveva fatto arrivare a Doye.
    Adesso, sicuro di quel piano infallibile, il nano se la ridacchia bellamente sotto i baffi, già pensando se, una volta in spiaggia, prendersi una bevanda di mango o una al cocco, il tutto senza rendersi conto che si è intoppato a fare l’occhiolino alla sua ignara vittima.
    La vittima in questione, Tidus, si allontana di scatto dal nano, metà scandalizzato e metà schifato:
    “Non fare l’occhiolino! Fai impressione!” afferma. “Se Yuna scopre che penso a qualcun altra, ci finisco io dentro una tomba! E poi non la tradirei mai! Cioè, ci sono volute 40 ore di gioco per capirlo, però io le voglio bene!”
    “Se, se...le api, i fiori...conosco la storia...” commenta Doye annuendo con la testa. Poi, vedendo lo sguardo interrogativo di Tidus: “Niente, niente, lascia stare, quando sarai più grande te ne parlerò un po’ meglio...” Fa una pausa per togliersi la pipa di bocca e soffia una nuvola di fumo in faccia a Tidus. “Quindi?
    “Quindi...coff...cosa?” boccheggia, immerso nella nube, Tidus, che non ha mai sopportato il tabacco neanche a vederlo da lontano e adesso gli sono venuti gli occhi rosso sangue e il colorito a pallini azzurri.
    Doye scuote la testa e sospira, rilasciando l’anidride carbonica di una cisterna di Coca-Cola: “Devi sapere, caro Tiduban, che ogni volta che succede un litigio nelle sceneggiature viene sempre messo che la colpa è del maschi. E, conoscendo quel fetente dell’Autore, credo che succeda lo stesso pure adesso”
    Tidus è sbigottito: “Ma che diavolo...”
    “Su, non farti pregare, Tebenan!”
    A quelle parole il ragazzo si piega. “Oh, no, ci stiamo allontanando sempre di più dalla pronuncia giusta...”
    “Il Narratore non intendeva in quel senso, Toad”
    “Uff, beh...ecco...” Tidus sembra titubante. Un vago rossore gli affiora sulle guance.
    “Beh?” lo esorta Doye, ansioso. Quello era solo il primo passo per conquistarsi la fiducia di quel biondino. Magari lo avrebbe anche aiutato a fare pace con la fidanzatina, cosi poi avrebbe fatto quello che lui diceva.
    “Muahahahahah, ma quanto sono cattivo” dice, fregandosi malvagiamente le mani.
    “Uhm, non so se mi piace il suono di quella risata...”
    Solo in quel momento, Doye si accorge di aver parlato ad alta voce.
    “Eh-ehm, no, era la raucedine, dicevamo?”
    “Nessuno crederebbe a una scusa cosi banale...”
    “Tu credici! E parla altrimenti mi appello al sindacato e ti faccio radiare dalla storia!”
    “Quale sindacato?”
    “Zitto e racconta, Tisber!”
    “Uff, va bene...va bene...senti...”
    Doye tende l’orecchio. Già sta preparando una decina di metodi anti-litigio, che gli erano stati consigliati dalla nonna...
    All’improvviso, un urlo di donna risuona all’esterno, interrompendo la discussione tra i due.
    “Che succede?” chiede Tidus, allarmato.
    Doye, con gli occhi iniettati di sangue e un sorriso a 3000 denti appuntiti, si trattiene dal andare a controllare con un randello placcato d’acciaio: “Chi lo sa?” chiede a denti stretti. “Dovremmo, anzi, dovresti andare a vedere, vero?”
    Non arriva nessuna risposta. Tidus è già fuori dalla grotta e sta correndo verso il sentiero, da cui è giunto l’urlo. Doye lo guarda allontanarsi con un espressione seria. Scuote la testa, sospira, poi con fare estremamente cool dice: “Beh, a sto punto non resta che farsi una pennichella”
    Non fa manco a finire di pensarlo che un raggio di luce scende dal cielo e gli si posa sopra.
    “Ti ho puntato con il raggio distruggi-pianeti caricato alla massima potenza, se non gli corri dietro, premo il grilletto” dice la voce familiare del computer.

    [Da “Meraviglie e Stranezze degli Anime, Manga, Videogame e dintorni” del Prof. Dott. Shaktul Noctambulotti]

    CANNONE DISTRUGGI-PIANETI

    Fa male, fa molto, molto male, fa molto, molto, molto male, ma male, male, male, eh?

    Doye è felicissimo di sentirlo, tanto che tre secondi dopo sta correndo goffamente sulla scia d Tidus, mugugnando tra sè e borbottando frasi che non possiamo ripetere a casa della convenzione di Ginevra.
    In lontananza, si sente giungere un canto stonato, ma Doye è troppo impegnato a sfogliare il calendario dei Santi per farci caso.

    Suona chitarra, falli divertire!
    Suona chitarra, non farli mai pensare!
    Suona chitarra mia!

    Suona, chitarra, suona i tuoi accordi!
    Suona più forte, che si diventi sordi!
    Tutto è già passato
    E’ già dimenticato
    E solo chi oggi è buono
    Domani avrà il perdono,
    Il foglio del condono!


    Edited by Mr.Bianconiglio - 6/10/2011, 16:04
  14. .
    Carino.
    Molto, molto carino.
    Non dico bello, perchè ho dei gusti molto, molto elevati, ma devo ammettere che questa è una storia molto carina.
    Dark...
    Mh...questo tizio mi ispira parecchio. Ha una psicologia molto interessante, da reduce di guerra. Il suo atteggiamento da auto-menomato mi piace, personalmente lo trovo un po' sciocco, ma sono punti di vista. Da una visuale tecnica, è ben costruito, sicuramente il pg su cui ti sei più concentrato, da quel che posso vedere.
    Dai parecchio spazio ad ognuno dei pg, mh? Una scelta che non mi entusiasma, vista la mole del cast, ma può risultare comunque interessante. Per adesso, nessuno dei pg oltre a Dark, Sora, Hikari, Kairi e Riku può superare il rango di pg secondari, almeno secondo il mio parere...
    Mh...ti sei guadagnato un recensore.
    Voglio proprio vedere come proseguirà.
  15. .
    Partenza! ...Fermi tutti! Non ci voglio andare!

    L’astronave, su cui Doye è stato cortesemente invitato a imbarcarsi, veleggia nello spazio. La striscia di fumo che si lascia dietro è talmente nera che solo la grazia divina e il dilagare della congiuntivite distoglie la contraerea di Green Peace dall’abbatterla. Sbuffa come una locomotiva a vapore con l’asma e cigola come un battaglione di pensionati, e solo i pezzi di scotch e gli sputi sparsi quà e là la tengono insieme.
    Sui portelli stanno appiccicati tanti di quei poster, stick, foto di famiglia, autografi di Totti che sembra appena tornata da un attacco terroristico a una cartiera. Davanti, i fanalini sono tutti sfasciati e se ne accende uno no e l‘altro manco, e dietro la targa sembra un Togo gigante talmente è coperta di fango.
    Gli oblò sono tutti sporchi come chiaviche e ce ne sta uno rattoppato da un paio di cerotti messi a croce: come tenga la pressurizzazione è ancora un mistero attualmente discusso dai più grandi esperti della NASA. Nello spazzolone che sostituisce il tergicristallo, una famiglia di vespe spaziali tiene in pugno il racket degli affitti: 150 euro al mese per un posto nella marmitta, attualmente occupata dai germi giganti, e 300 per uno nel frigorifero, costo pagato al momento da un grosso troll verdastro.
    L’antenna è annodata a forma di ghirlanda e ormai prende solo Radio Maria, non i notiziari, solo il canale Necrologi 24 ore di Don Giancarlo: tre ore d’ascolto bastano per far suicidare pure un branco di iene ridens.
    Insomma, l’astronave che l’Autore ha appioppato a Doye è talmente scassata, ma talmente scassata, che pure il goblin che va a sfasciare gli aerei durante i voli, quando l’ha vista, se ne è andato
    scuotendo la testa.
    Accasciato sulla sedia, davanti al pannello di controllo, Doye piange lacrime amare. Piange per essere stato spedito chissà dove in chissà quale missione, piange pensando a quali pericoli lo attendono, piange perchè la radio è bloccata su Radiomaria e non riesce a spegnerla, piange perchè il troll nel frigo si è mangiato tutto il prosciutto, piange perchè non sa cosa fare.
    “E adesso cosa ci metto in mezzo a queste fette di pane?” lacrima, disperato.
    Sta già pensando a usare la cordicella dell’Arbre Magique per impiccarsi, quando la solita voce metallica torna a farsi sentire: “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...invitiamo i gentili passeggeri a stare calmi e seduti...”
    Doye continua a piangere.
    “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...vi invitiamo a calmarvi e a sedervi in modo composto...”
    Doye prosegue, imperterrito. Il pavimento comincia ad allagarsi.
    “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...vi invitiamo a calmarvi e a sedervi in modo composto...attivazione del programma di rilassamento dei passeggeri in corso...”
    Ormai Doye è diventato una riproduzione della Fontana di Trevi. Colonie di girini saltellano allegramente nel lago che si è formato. Il troll decide di uscire dal frigo per ingaggiare una battuta di pesca insieme ad un gruppo di amici.
    “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...attivazione del programma di rilassamento dei passeggeri...”
    E’ il momento, per l’attrezzatura di ultima generazione dell’astronave, di mostrarsi in tutto il suo metallico splendore e lancia, seduta stante, un attacco nucleare: una pioggia di fuoco e fiamme si abbatte sul tranquillo paesaggio lacustre in via di formazione. La radio, nel pieno di un avvincente elogio di un tal Gisberto Francari, esplode come un sol uomo. Bombe radioattive vengono lanciate dai boccaporti in una micidiale cascata di morte, un piccolo fungo atomico si leva dai resti del frigo distrutto e il troll e i suoi amici rinunciano alla pesca per gettarsi in una fuga precipitosa; i germi giganti si rintanano nei bunker e alcuni scrivono anche testamento; la porta della cabina si apre ed entra un veterano di guerra senza una gamba che chiede se si può fare meno baccano.
    Doye, terrorizzato, si ritrova di fronte un braccio meccanico armato di Colt che gli punta un mirino laser in fronte.
    “Rilassamento dei passeggeri completato?” chiede la voce.
    “E che succede se dico di no?” esala Doye, bianco come il Pandispagna.
    “Verranno liberati posti per imbarcare nuovi passeggeri...”
    Doye sbianca, raggiungendo la purezza di una nevicata invernale: “Diciamo di si, allora”
    “Molto bene...”
    Il braccio meccanico si ritira dentro l’accendisigari e Doye tira un sospiro di sollievo.
    “Uff, ma perchè bisogna essere sempre cosi violenti per farsi ascoltare? Non basta una pacca sulla spalla, un fischio, uff, qua finisce che ci perdo le penne e non siamo nemmeno alla quinta pagina, uff”
    La voce lo ignora e riprende: “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...”
    “Questo l’avevi già detto” fa notare Doye, massaggiandosi le palpebre, dopo essersi calmato. Benchè l’atmosfera sembra essere più tranquilla, la lucina rossa insiste a girargli in un occhio. “Ma allora non posso dire niente!” sbotta.
    “Questa unità apprezza l‘intuito dei passeggeri...”
    Doye sbuffa rumorosamente, incrocia le braccia sul petto e si mette mugugnare insulti e a masticare l‘Arbre Magique.
    “Questo è il computer di bordo che vi parla...adesso vi indicherò l’ubicazione delle uscite di emergenza...”
    “Ah, si? Ecco una cosa interessante” dice Doye facendosi di colpo interessato, sia perchè magari può provare a fare l’astro-stop sia perchè l‘alito gli è diventato uguale a quello di un koala.
    “Le uscite si trovano...lì...lì...là...”
    “Ma vattene a /$&)£&!!!!”
    “Si ricorda ai signori passeggeri che è severamente vietato fumare...”
    “No!!” fa Doye, che aveva già tirato fuori un pacchetto di sigari.
    “...farsi le canne...”
    “No!!!” fa Doye, che aveva già cominciato a rollarsi una cartina.
    “...farsi le pippe...”
    “NO!!!” fa Doye, che aveva già iniziato a leggersi un manga, e infatti non aveva capito di cosa si stava parlando.
    “...giocare a golf sul ponte...”
    “POSSO ALMENO RESPIRARE O MI METTI UNA TASSA PURE SU QUELLO???” sbotta Doye, che già si era attrezzato con un secchio, due bastoni, una pallina di carta e il troll, appena tornato a causa del troppo traffico, come avversario.
    “La velocità di crociera è di circa tremila...milioni...di chilometri...quadrati...”
    Doye guarda il troll. Il troll guarda Doye, e fa spallucce.
    “L’altitudine: notevole...”
    “Boh...”
    “La temperatura: abbastanza fresco...”
    “Ma di un po’: a te ti hanno comprato al mercatino dell’usato oppure stavi in una discarica e ti hanno riesumato da lì?”
    Un boccaporto si spalanca e spara un missile, che fa la permanente a Doye, disintegrando tutto quello che c’è dietro di lui.
    “Questa unità ha avuto un passato difficile e prega gentilmente i signori passeggeri di non fare domande su tale argomento...”
    “E se quello è il gentilmente” esclama Doye con una mano attorno al collo “Figuriamoci il brutalmente”
    La voce allora dice: “Ora si pregano i gentili passeggeri di prendere posto: il briefing della missione attuale verrà comunicato durante un leggero pasto”
    Alla parola “pasto” Doye comincia a cambiare colore e forma: si amalgama, si raggruma, evapora, si condensa, solidifica, diventa giallo, blu, verde, azzurro, rosso, fucsia, viola, a pallini, Hulk e Silver Surfer. Alla fine torna normale e si lancia sul sedile con il grido da guerra cosacco.
    “Evviva! Si mangia!!” grida, già munito forchetta, coltello, bavaglino di Batman e lingua penzolante d’ordinanza.
    A silenzio sbigottito della voce, spiega: “Tranquillo, rottame, è solo un lieve disturbo” Poi, con lo sguardo bramoso. “Che si mangia?”
    La voce esita: “Ehm, questa unità non aveva mai visto una cosa del genere...è un po‘ scioccante e innaturale pure...” dice, per poi riprendere un tono serio: “Eh-ehm, in ogni caso...il pasto consiste in ottimo cibo liofilizzato, progettato e preparato esclusivamente per viaggi spaziali di lunga durata”
    E mentre dice questo, un cassetto si apre dalla plancia di comando. Affamato come un leone in convento, Doye ci guarda dentro, ma la vista del contenuto lo lascia perplesso: ci sono solo un mucchio di dentifrici con tante etichette colorate appiccicate sopra. Più che un reparto mensa, sembra l’esposizione Vivident allestita da uno squilibrato.
    “Che è sta roba?” chiede, dubbioso.
    La voce assume un tono orgoglioso: “Questa unità è orgogliosa del rifornimento delle vettovaglie...anche i passeggeri sono esterrefatti dalla qualità del servizio, eh?”
    “Si, esterrefatti, proprio la parola giusta” Doye alza un sopracciglio e osserva scettico l’altoparlante: “Questa roba non si può neanche vedere, figuriamoci a mangiarla” E cosi dicendo toglie il cassetto dalla plancia e si avvia verso il cassonetto, un’apertura verso l’esterno che il computer di bordo fa spalancare.
    “Questa unità non capisce...è tutto cibo di altissima preparazione tecnica...ideato da tecnici di elevatissima preparazione...”
    Doye scuote la testa, mentre, con profondo senso ecologico, butta tutto nello spazio. “Dammi retta, rottame, questa roba è una porcata...e te lo dice chi di porcate ne ha viste parecchie” e si mette a guardare i rifiuti che si disperdono nello spazio. In lontananza si sentono le maledizioni in orchesco di Green Peace; Doye fa una pernacchia e continua a parlare, sotto lo sguardo del computer di bordo: “Qui ci vuole roba più sana, più semplice, altro che quella stranezza là, ci sta talmente tanta spremuta di cervello là dentro che quasi me la sento in bocca!!” esclama, mentre si tira fuori dalla barba una scatola di pelati.
    “Ma...l‘Autore si è premurato di comunicare le istruzioni accompagnandole con un pasto” avverte la voce, e intanto Doye mette in mano a due arti meccanici un coltello e una cipolla.
    “Mi conosce bene quel bacarozzo...” sospira Doye aprendo i pelati, mentre il computer affetta le cipolle. “Lo sa che quando mangio divento più ammorbidibile, ma col cavolo che mi frega stavolta, eh, no, proprio No. Mi ha fatto piangere pure troppe volte con ste idee strane!”
    E intanto anche il computer piange, ma per colpa delle cipolle, mentre Doye continua: “Io fino a due ore fa campavo cacchio cacchio, tomo tomo, senza rompere le scatole a nessuno; all’Autore l’ho sempre aiutato: gli facevo le commissioni, gli tenevo compagnia, lo aiutavo a non fare i compiti e a resistere all’impulso di studiare, gli tenevo il turno alla TV quando era impegnato, lo aiutavo persino a smaltire le patatine che avanzavano: era una vita tranquilla, senza scosse, ma piena di soddisfazioni...mi ricordo ancora quando abbiamo visto insieme l‘elezione di quel Papa tedesco...”
    Il computer lo interrompe asciugandosi i sensori: “Allora è vero che gli immigrati dell’Est vi rubano i posti migliori di lavoro!” Doye annuisce mentre si tira fuori una padella dalla barba e ci versa l’olio dentro, e continua, nostalgico: “Ah, le serate passate a giocare a God of War! Vabbè che io mi nascondevo dietro un bunker di cuscini dopo tre minuti, però ci si divertiva, eh! E poi c’era DragonAge! Quel vecchio capoccione dell’Autore si era preso il nano proprio per farmi contento, e ho dovuto insistere solo per settantanove ore di fila? Ah, le risate quando facevo entrare la Berlino Filarmoniker in camera sua e facevo suonare la Morte di Sigfrido alle quattro di mattina!” Poi si volta verso il computer che lo ascolta e gli dice: “Butta dentro la cipolla...” Il macchinario esegue e intanto gli chiede: “Questa unità ha un dubbio...quindi andava tutto liscio? Cioè, stavate bene e vi divertivate?”
    Doye mette su l’acqua per la pasta su un fornelletto uscito dai comandi e poi risponde: “Proprio cosi, rottame, ed è per questo che non capisco il perchè quel tizio abbia sbattuto su questa nave verso non so che cosa, magari c’avessi avuto la dispensa piena, allora partivo pure per scongelare il Polo Nord con il phon, ma cosi...”
    “Forse perchè si fidava di te? Questa unità ritiene questa teoria probabile...”
    Doye scuote la testa: “Nah, nah, non lo sai che se hai un amico devi coccolarlo e tenerlo al caldo come un pacco di biscotti? Metti che si perde, cade in un burrone, lo rapiscono gli alieni, si scioglie nell’acqua e zucchero, poi come lo spieghi alla famiglia?”
    “Questa unità non comprende questo tipo di logica...”
    “Comunque sia, questo scherzetto non m’è piaciuto, è peggio di quando mi ha chiuso dentro un armadio per una settimana oppure quando mi ha legato e dato in pasto alle capre di montagna: in quelli almeno potevo fregare quel curiosone di Huklberry Fiinn e buttarcelo al mio posto, qua o non c‘è o si è perso di nuovo con la canoa, perchè ancora non l‘ho visto...” Poi, mentre aspetta che l’acqua bolle: “A proposito, non dovevi parlarmi di qualcosa?”
    “Davvero?”
    “Boh, mi pare...di che parlavamo prima?”
    “Questa unità se ne è dimenticata...”
    Doye fa spallucce. “Vabbè, fa niente”
    Su in regia non fanno neanche in tempo a registrare quelle parole che la voce sovrannaturale dell’Autore riecheggia nell’aria con il fragore del tuono.
    “MUOVETEVI, DEFICIENTI!!”
    Spalmato a terra come il ketchup su un sandwich, con lo scolapasta in testa, Doye solleva il dito medio: “Ma vada via ‘al cul, terun”. Il pubblico ci scuserà se evitiamo di tradurre quest’ultima affermazione.
    Con tutti le braccia meccaniche annodate alla marinara e l’occhio elettronico incastrato nel cassonetto, la voce commenta, abbattuta: “Questa unità ha avuto un improvviso riavvio dell’hard disk e ricorda le predisposizioni...”
    “Ma che culo!!”
    “Certe parole non andrebbero dette con questo rating...”
    “E SAI QUANTO ME NE PUO’ FRE...”
    E in quella una incudine con su scritto 1 TON atterra sopra Doye, spiaccicandolo come una zanzara sul parabrezza.
    Un silenzio attonito cala nella cabina di comando, rotto solo dal russare del troll, che, nel frattempo, si era addormentato sulla cloche.
    “L’acqua è pronta?” chiede fievole, fievole la voce di Doye da sotto l’incudine.
    L’occhio meccanico ci guarda e poi risponde, con un po ‘di pietà: “Questa unità vede tante bolle sulla superficie del liquido...”
    “Penne rigate o maccaroni?” La mano di Doye esce tremante da sotto il peso d’acciaio tenendo due pacchi di pasta.
    “Maccaroni?”
    “Mettili tuuoooofff....” La mano si accascia.
    Osservando la scena, il computer si domanda se ha fatto bene a lasciare la discarica per farsi montare su quell’astronave.
    ...
    Recuperato ciò che era rimasto di Doye, non molto, per dire la verità, lui e il computer di bordo si accomodano a tavola a mangiare.
    “Smarantz, garagants, startamatz” mugugna il nano, arrabbiato come un castoro a cui è appena crollata la diga, mentre riempie un piatto di pasta con un mestolo.
    Il computer è curioso: “Fai i gargarismi?”
    “No, sto bestemmiando contro quel sgnarmatz dell’Autore, ma queste cacchio di censure mi storcono tutto”Poi, porgendo il piatto a uno degli arti meccanici. “Tiè, mangia, và”
    L’occhio meccanico lo guardò come se fosse un porcellino laureato: “Questa unità può usare questo materiale per compiere l’upgrade degli scudi positronici o del sistema operativo carpiato?”
    “No, però è buono e ti fa evacuare che è un piacere”
    “Questa unità pensa che questo materiale sarà temporaneamente messo al sicuro” E dicendo questo, apre il cassonetto e butta tutto nello spazio, alzando nuove proteste dai vertici GreenPeace, che, stanchi di incassare, cominciano a tramare nell’ombra.
    Doye fa spallucce, poi assale tutta quanta la pignatta piena di 60 chili: “Bah, dai tu, come si dice: a ognuno quel che si merita! Bwahahaha!”
    “Questa unità stima quella pietanza in 60.000.000 triliardi di calorie...seguendo la logica dell’indovinello quel che ti meriterai sarà un aumento di peso pari al doppio di una nave cisterna di medie dimensioni”.
    Doye ferma lo scempio pastaiolo per guardare dubbioso l’occhio meccanico: “Hai detto qualcosa, rottame?”
    “Questa unità rammenta ai passeggeri la necessità di esaminare le istruzioni per la missione...”
    “Se, se” Doye fa un cenno distratto con la mano, mentre ingurgita cibo al ritmo di un branco di elefanti. “Appena finito di mangiare”
    “E per compiere questa operazione, quanto tempo occorrerà?”
    Doye ci pensa su per un attimo, poi risponde, a bocca piena: “Richiamami la prossima settimana” E riprende a mangiare.
    Una raffica di raggi laser disintegra pignatta, pasta, tavolo e sabotatore inviato da GreenPace.
    “Ripensandoci, un po’ di tempo per sentire lo trovo” dice Doye con un sorriso a 64 denti.
    Il tentacolo meccanico rinfodera il disintegratore molecolare, rubato da un set di Star Wars, perchè il budget è quello che è:“Questa unità approva...”
    “Allora, vuoi dirmi sì o no in che guaio mi ha spedito quel cretino dell’Autore?”
    “Questa unità provvederà a...”
    “Cioè, quante sono? Cinque pagine che stiamo qua a dire schmezaeld e ancora non ne veniamo a capo!”
    “Questa unità sta appunto...”
    “Cosa staranno pensando i lettori? -uffa, che noia! Questa storia! Ma perchè si perdono in chiacchiere?- -Ma non se la danno una mossa?- -Acc, ho finito i biscotti!- Di questo passo finiremo per perdere tutti i visitatori”.
    “Ma...questa unità vorrebbe proprio...”.
    “Le visite si faranno sempre più rade e poi sai cosa succederà? Nessuno ci recensirà più, la storia cadrà nell’oblio e BAM! In men che non si dica, i nostri cervelli finiranno a galleggiare nelle vasche di conservazione su un’astronave aliena”.
    “Questa unità ha qualche piccolo dubbio riguardo l’ultimo passaggio...”.
    “E tutto perchè siamo andati a rilento con la trama, lo capisci, rottame? Tutto perchè...”
    Una pioggia di proiettili di morati si abbatte tutt’attorno a Doye, provocando morte e distruzione in ogni angolo della cabina.
    “Questa unità chiede la possibilità di parlare...” disse la voce meccanica, mentre trecento cannoni spuntati dalle pareti puntavano sul nano.
    Doye si guardò intorno, e con fare serio e grandemente cool: “Me la sono fatta addosso”.
    Le braccia meccaniche, l’occhio e il troll cadono tutti a terra in stile fumetto manga.
    “Questa unità è...ehm...sorpresa...comunque di là c’è un bagno”
    “Grazie” poi, fermandosi di fronte al troll: “Niente commenti, grrrrazie”
    Doye si infila nel gabinetto, un buco nel muro, e si chiude la porta dietro le spalle.
    “Beh, in fondo” dice da dentro. “Dopo tutti questi bombardamenti è normale, no?”.
    “Questa unità pensa di si...” risponde il computer, un po’ a disagio, mentre, dietro l’occhio meccanico, il troll scuote la testa, afflitto.
    “Vabbè, si parlava di una missione, giusto?”.
    Al sentire la parola “missione” l’occhio si rianima un po’: “Giusto, questa unità passerà adesso a spiegare il contenuto della missione che ci è stata affidata dall’onorevole Autore...”.
    “Adesso è diventato pure onorevole? Senti un po’ che ne penso!”.
    Un accordo di basso rimbomba dal gabinetto, seguito da un’onda di gas verdastro e un profondo sospiro di soddisfazione nanesca.
    “Ehm, si...” L’occhio si solleva un po’ per evitarla, nel frattempo che il troll si afferra la gola e rantola, poi continua: “Tutto è cominciato esattamente 76 ore, 15 minuti e 36 secondi, quando l’onorevole Autore era immerso nella consueta lettura di 9 ore di manga”.
    “Ancora onorevole? E due!”.
    Altro accordo, stavolta più grave. Il troll si accascia al suolo senza un gemito.
    “Allarme biologico! Attivare procedure di decontaminazione!!” appena il computer dice questo, tutte le ventole si attivano alla massima potenza, poi, mentre l’uragano Katrina scorazza ovunque, la voce prosegue: “Questa unità stava dicendo....mentre visionava i manga, l’Autore scoprì in essi un’anomalia; allarmato, estese la sua ricerca anche a videogiochi e anime, e anche lì trovò lo stesso fenomeno, un’anomalia che stava disturbando i qualche modo lo svolgersi delle loro trame”
    “Ehi! Aspetta un momento!”.
    L’occhio si alza di scatto, allarmato: “Cosa succede?”.
    “Qua dentro non c’è la carta igienica!”.
    “Questa unità adesso rompe qualcosa! Mi stai ascoltando o devo terminarti?”.
    “Se, se, uff, meno male, che mi sono portato dietro qualche foto, si parlava delle trame, poi?
    “Questa unità si chiede come userai le foto, ma nel suo hard disk ha innestato il chip della decenza e perciò tacerà...”.
    Da dentro il gabinetto giungono rumori inquietanti, prima che Doye parli: “Beh? Allora queste trame?”.
    “Si, le trame...qualcosa sta disturbando lo svolgersi delle storie di anime, manga e videogiochi e questo è un fatto preoccupante...”.
    “E perché? Non va bene un po’ di cambiamento per una volta? Uno si romperà pure dopo 256 ore a guardare Auron che sfascia con una spadata i dinosauri!” chiede Doye e mentre parla i rumori inquietanti si fanno raspanti.
    “Questa unità potrebbe anche approvare se si trattasse di giochi come mosca cieca o nascondino...”
    “In pratica mi hai detto che sono un deficiente” .
    Il computer lo ignora e prosegue: “Ma per queste storie, che sono già state prefissate, cambiare le trame significa uno sconvolgimento totale! Quando accade, tutti i legami e gli intrecci creati dagli Autori si rompono e si aggrovigliano e alla fine...”.
    “Tutti a cena da Ornella!” La voce di Doye ha come eco lo scarico dello sciacquone.
    La voce sparò una bordata laser dentro il gabinetto, silenziando all’istante ogni altra interruzione: “No, alla fine la storia muta al punto da non essere più quella originale e finisce per svanire, perché perde ogni senso logico, trasformandosi solo in una serie di immagini confuse senza senso...”.
    Doye risponde con voce lamentosa: “Capisco...e adesso che abbiamo capito cos’è l’anomalia, che vogliamo fare?”.
    “Beh, l’onorevole Autore diceva di imbarcarsi in una rischiosissima missione per impedire all’anomalia di allargarsi”.
    La porta del gabinetto si spalanca di botto. Se ne affaccia Doye, bianco come la pecora Dolly: “Che? Non ho capito l’ultima sillaba!”.
    “Proprio cosi, caro organismo bipede, e abbiamo già tutto pronto: di là, c’è l’armeria completa di mitragliette, pistole, fucili a pompa, bombe atomiche e katane per i nostalgici; le foto di parenti random a cui pensare sono già pronte in album; siamo attrezzati anche con un set di bare per l’eroica morte finale e, se serve, nello sgabuzzino c’è un maestro di recitazione e una collana di cipolle per le scene lacrimose, poi, abbiamo anche un bel po’ di scenografia da sfasciare per eventi di grande
    Portata; per quanto riguarda le musiche, invece, ci ha offerto la sua collaborazione nientepopodimeno che il Maestro Uematsu che...”.
    “...prepara il sushi!” interviene Doye, poi, con voce lamentosa: “Ascoltami, rottame, perché dobbiamo fare questa cosa?”.
    La voce è sorpresa: “Ma ovviamente perchè è dovere di personaggi di storie come noi prestare il nostro aiuto ad altri colleghi in difficoltà, no?”.
    Doye lo guarda come se avesse appena detto che il Titanic era stato affondato dall’attacco di un plotone di marmotte assassine.
    “E secondo te, da 1 a 10, a me quanto importa?”.
    “Ma...questa unità confusa...non sei anche tu un personaggio di una storia? Non dovresti essere solidale verso chi è come te?”.
    Doye si dà una manata in fronte: “Oh, ma hai ragione! Come posso abbandonare i miei amichetti che vivono dentro la scatoletta nera! Oh, ma quanto sono svagrnalnz! Ma li aiuteremo ovviamente! Aspetta solo un attimo, vado a prendere i cioccolatini e i fiori da portargli e andiamo, va bene?” E, senza aspettare risposta, sbatte la porta e si richiude nel bagno.
    Una mano meccanica bussa timidamente: “Ehm, questa unità non è certa di volerlo sapere...ma i cioccolatini da dove arrivano?”.
    “Bwahahah, sei simpatico, rottame! Come hai detto di chiamarti?”.
    “Questa unità non ha un nome...” tentenna la voce.
    “Ah, si? Allora te ne do uno io! Mhhh...vediamo...”.
    Un emozione mai provata invade il processore del computer al sentire quelle parole. Non gli era mai capitato, nella sua lunga,cibernetica,vita, che qualcuno gli desse un nome: era sempre stato semplicemente un sistema operativo, una macchina che doveva solo obbedire, senza fare mai obiezioni, sempre pronta e allerta ai desideri dei suoi padroni, senza sentimenti, senz’anima...
    On era degno di ricevere un nome; solo gli esseri viventi meritavano di avere un nome, non le macchine, non lui...
    Ma adesso, adesso per la prima volta qualcuno lo vedeva come qualcosa di più di un banale servitore? Qualcuno, qualcuno riusciva a vedere un amico in lui?
    La consapevolezza di quel fatto fa vibrare di felicità i suoi bit come mai avevano fatto prima.
    Emozionato, allunga il braccio meccanico e spalanca la porta di scatto.
    “Questa...questa unità ti ringrazia! Non era mai successo...” comincia a dire, tutto contento, ma si blocca di colpo.
    E osserva il grosso buco che campeggia al posto del water, scardinato e gettato di lato, e che dà sul vuoto terrestre. Nonché, il piccolo puntino in lontananza che si sta allontanando sempre di più dall’astronave.
    “Questa unità dice...Brutto figlio di una shagdikakfs...”.
    Dalla sua barchetta d’emergenza, formata da una trave di legno recuperata dal nulla, Doye rema come un ossesso per mettere più distanza possibile tra lui e qualsiasi, possibile folle missione senza ritorno.
    Teoricamente sarebbe già dovuto essere morto e gli occhi gli sarebbero dovuti schizzare via dalle orbite, ma anche a questo c’è una spiegazione ed è driabnd asikfia, capito?
    “Uff, puff, col cavolo che rischio il collo per quelli là! Col cavolo!” ansima Doye, mentre pagaia a tutta velocità solleticando la barriera del suono, che, intanto, se la ride con fare divertito alle sue spalle.
    “Cioé, ma che siamo matti?” impreca tra sè. “Già mi viene la sciatica e il gomito del tennista per prendere il telecomando, figuriamoci se vado a farmi sparare da qualcuno di quei pazzi! Come diceva Darwin? I furbi e quelli con il collo lungo campano! Gli scemi se ne vanno a djajdsic e col cavolo che si mangiano le foglie!”.
    Una voce conosciuta risuona nello spazio siderale: “Questa unità non ricorda che il professor Charles avesse mai menzionato un’idiozia di tale entità...”.
    Per poco a Doye non viene un infarto: una figura incorporea gli era apparsa di fianco all’improvviso. Non possedeva nessun lineamento, ma fece ugualmente su Doye lo stesso effetto che fa Godzilla su un autobus: devastante.
    “E tu qua come ci sei arrivato? Pensavo di essermi allontanato abbastanza!”
    “Doye...tu sopravvivi nello spazio senza supporti vitali e senza scuse...vuoi che un computer di un’astronave come me non possa proiettarsi all’esterno per inseguire quelli che fuggono senza permesso?”.
    “Uhm...giusta obiezione...” annuisce Doye, ma poi chiede: “Lo sai che questo fa tanto Star Trek, vero?”.
    La figura inforca un paio di occhiali scuri in tutta tranquillità: “E’ un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo...”.
    “Fantastico...adesso cosa devo aspettarmi? Un Van Dam gigante che combatte contro Chuck Norris su Giove?”.
    “Uhm, No...” assicurò il computer. “Ma proprio adesso sto controllando questo relitto con un raggio traente...”.
    “...rubato dal set di Guerra dei Mondi...” precisa uno sceneggiatore spuntando da una botola e richiudendola subito dopo.
    “Esatto, grazie Nick, dicevo, la sto controllando e la sto indirizzando verso il primo dei mondi in cui l’Onorevole Autore...” e nel dire ciò, puntò Doye con un laser alla tempia per evitare altri accordi di basso. “...ha scoperto l’anomalia...”
    In tutta risposta, Doye ridacchia.
    “Questa unità non trova la parte comica...”.
    “Niente, niente” Doye scuote la testa, sorridendo. “Stavo solo pensando che è giunto il momento di tirare fuori la mia arma segreta”.
    L’avatar del computer inclina la testa in un’espressione interrogativa.
    “Eheh, non pensavo di doverlo usare adesso” Con un sorriso sicuro di sè, Doye mette una mano dentro la giacca, nella tasca interna sul petto. “Ma a quanto pare ormai è inevitabile...”
    Una luce risplende nell’Universo. I cori gospel di ogni angolo della Galassia si lanciano in un accorato, reverente canto di gioia, ogni anima trattiene il fiato in un singolo attimo di comune adorazione, i ladri restituiscono ciò che hanno rubato, i leoni dormono assieme alle pecore, scatenando un casino bestiale da arte della Buoncostume, i topi ballano e i gatti pure, e anche i canarini, per empatia verso i compagni roditori, i contadini scoprono quant’è buono il formaggio con le pere, mio cugino va a fracassarsi con la macchina contro un palo, tutti eventi unici, irripetibili, avvenuti per festeggiare il ritorno di una leggenda.
    Doye solleva il piccolo oggetto in alto e urla: “Il Paradiso della Pomiciata Versione Finale in Edizione Limitata” Luce sovrannaturale ed arcana si irradia dal sacro volumetto. Doye, con occhi sfolgoranti, punta il dito verso l’avatar. “Vuoi che sia tuo, vero? Brami il possesso di questo oggetto oltre ogni desiderio? Lascia dunque che io torni a casa, accompagnami nel mio giaciglio” Si interrompe. “Anzi no, meglio solo sulla porta, sennò sa un po’ di pervertito” Poi riprende, tutto il corpo sfavillante di energia luminosa. “Dì solo che riporterai l’illustre sottoscritto, com’è giusto che sia, nella sua dimora e questa meraviglia, unica nel suo genere, sarà tua! Ma avrai solo questa possibilità, ricorda! Solo questa possibilità! Rifiuta e non ne avrai nessun’altra per tutta l’Eternità! Ma più, capisci? Mai più! Perchè questo libro svanirà per sempre nella mia barba e non lo vedrai mai più! Dissolto nell’aria! Svanito per sempre! E non avrai modo di recuperarlo! Mai più! E ora fa la tua scelta, computer!”.
    Il silenzio cade sull’universo. Persino le suocere nei parrucchieri con il casco in testa si azzittano per ascoltare, e questo dà l’idea della solennità del momento.
    L’avatar guarda per un attimo Doye, poi, con estrema calma, si alza, gli si avvicina e, sempre con grande pacatezza, gli strappa il libro dalle mani.
    “Ma...”.
    Poi, sempre con totale tranquillità, prende il nano, lo carica su una fionda gigante portata da tutti i cori gospel del mondo, con la collaborazione del resto dell’Universo, e lo spara via come una pallina di Flipper verso uno dei pianeti all’orizzonte.
    “E torna dopo aver eliminato l’anomalia o non tornare affatto!” gli grida dietro l’avatar.
    “MA ANDATE TUTTI A FA...”.
    Per fortuna, l’ultima parola si perde nell’abisso spaziale.
    Il computer manda un sospiro rassegnato, poi si guarda in giro circospetto. Una volta accertatosi che non c’è nessuno, apre il libro e comincia a leggere.
18 replies since 29/6/2011
.
Top