Dvergar

Doye il nano alla riscossa!

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    Saltare, ballare, trallallà!

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    Il Cuore di ognuno

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    Titolo:Dvergar
    Autore:Mr.Bianconiglio
    Fandom:Cross-over
    Rating: Arancione
    Warning: Het, spoiler
    Pairing: Vari
    Trama:Doye, uno scorbutico nano che odia videogiochi, manga e bambini, viene spedito dall'Autore in una missione per salvare il destino proprio delle cose che lui odia di più. Riuscirà a compiere la sua missione?
    Quasi sicuramente no.
    Doye: Che diavolo vi aspettavate? io non ci voglio stare qua dentro!
    Note: Nessuna
    Wordcounter: //

    PROLOGO
    All’inizio è il buio.
    Sono le tre del mattino e le tenebre ricoprono la casa dell’Autore. Fa caldo come se fosse un Settembre particolarmente afoso e, infatti, è un Settembre particolarmente afoso, eccezionalmente afoso.
    L’Autore sta scrivendo al computer. Non dorme, ma anche se ci provasse, non ci riuscirebbe. Gocce di sudore grandi come damigiane di 24 litri gli imperlano la fronte. L’Autore a casa ha l’aria condizionata, condizionata dal forte odore di sudore. Per avere un po’ di refrigerio, ha lasciato aperto il frezeer con dentro il ventilatore acceso; ma nonostante questo i suoi capelli sono bagnati come se avessero asciugato tutti i peccati del mondo. Sotto la sedia c’è una pozza d’acqua talmente grossa che l’inquilino del piano di sotto ha già avvisato l’amministratore.
    La canottiera e il pigiama dell’Autore gli si sono incollati addosso come manifesti stradali; dalla finestra la luce intermittente di una pizzeria proietta sul muro, a intervalli regolari, la scritta “Gigino ‘o fetente, la pizza bollente”: solo la scritta farebbe sudare un masai.
    L’unica cosa attiva oltre alla luce dello schermo sono le zanzare, grosse come pastori bergamaschi: non nel senso del cane, ma proprio il pastore vero, originale. Sono voraci come caimani e talmente tante da dover compilare il piano di volo per evitare incidenti aerei.Il muro è già tutto a pois, come un dalmata, per le zanzare che l’Autore è riuscito a spalmare a scarpate nelle ultime ore.
    Una zanzara diplomata geometra, col pettorale numero 913, del peso di 18 chili, passa a tiro: l’Autore, senza staccare gli occhi dal monitor, spara una ciabatta con la stessa forza che Goku mette nella Genkidama: una nuova macchia di 1,34 metri quadrati si stampa sulla parete.
    In quella si ode la voce dell’Autore: “Doye, vieni qui”
    Un ometto si fa avanti nella penombra della stanza. E’ un cosino basso, basso, quadrato, tanto da poter essere scambiato per un comodino. Ha una faccia cascante, tutta pieghe, che farebbe sentire un bulldog un modello di Novella 3000. Il viso è di un triste color verde-kiwi. La barba gli cade su tutto il petto e ha talmente tanti nodi da doverci segnare sopra che non è l’ultimo lavoro del Puntocroce. I vestiti li porta tutti di taglia sbagliata e ci manca poco che la cintura gli salti via per la pancia da bevitore di birra.
    “Che c’è, capo?” chiede l’ometto con gli occhi impastati dal sonno.
    L’Autore lo guarda, un po’ sorpreso: “Ma che cavolo ti è successo? Fai schifo!”
    E allora l’omino sbotta: “E ci credo! Me l’hai fatta magiare tu l’impepata di cozze! E’ da due ore che sto al bagno e se sto fuori è solo perché è venuta tua madre a scacciarmi con la scopa e poi col cavolo che riesco a dormire se stai tutta la notte davanti a quel coso!”
    “Mamma mia, che noia” sbuffa l’Autore. “Manco fossimo sposati. Ricordati che sei il mio amico immaginario e gli amici immaginari non hanno voce in capitolo”
    “Se, vallo a dire al tuo water”
    “Perchè? Non è d’accordo?”
    “Te l’ho intasato”
    “MA PORC...! Vabbè, ne riparleremo dopo: adesso ho una missione importante da affidarti”
    “Altre zanzare da spiaccicare?” Cosi dicendo Doye, nel tentativo di ammazzarne una, si da uno schiaffo cosi forte da mettere in predicato tre molari.
    L’Autore continua: “Quello è uno dei problemi principali insieme al perchè esistiamo, ma non adesso: stavolta è in gioco la salvezza di tutti gli Anime e Videogiochi”
    “Ah, che bello...io torno a letto...”
    “Devo capire che non te ne frega niente?” L’Autore è sconvolto.
    Doye sbadiglia sonoramente mettendo in mostra una chiostra di denti che farebbe scappare urlando un dentista: “Vuoi saperlo in una scala da 1 a 10 o ti basta un “no” normale?”
    “Ma a tutti i bambini che giocano e leggono manga non ci pensi?”
    “Ma certo capo, penso ai bambini, alle bambine e a come soffocarli nel sonno ogni volta che quel mostro di tua sorella si mette a piangere alle quattro di mattina”
    “E tutti gli appassionati che li seguono assiduamente? E‘ grazie a loro che sconfiggono la noia e vivono avventure anche dentro casa”
    “Anche io vivo un’avventura ogni volta che mi mandi a fare la spesa a mezzogiorno, ma mica vado a rompere le palle al prossimo per tenermela”
    L’Autore comincia a spazientirsi: “E che mi dici di tutte le persone che lavorano alla programmazione, alla scrittura delle storie, alla distribuzione? Finirebbero tutti in mezzo a una strada”
    “Meglio, capo! Assumiamoli come operai sottopagati! Approfittiamone!”
    “Ho capito. Del divertimento non te ne frega niente, ma allora pensa agli stimoli continui che danno ai cervelli di grandi e piccini, invece di quei giochini stupidi di oggi che bloccano la fantasia e la creatività”
    “Non c’è problema, capo, torniamo ai LEGO: sono più semplici e manco inquinano”
    “Anche per quelli di 20 anni?”
    “Gli faremo dei LEGO più grossi, capo, uno si deve pure accontentare”
    Ora l’Autore è parecchio spazientito: “Ma non possiamo lasciare che tanti bellissimi personaggi svaniscano nel nulla”
    “Si abitueranno come ho fatto io, capo”
    “Ma tu non stavi in lista d’attesa per un giochetto del Gameboy?”
    “Per il Gamecube, capo. M’hanno scartato perchè dicevano che non ero abbastanza spigoloso per fare il cassonetto dell’immondizia e non esplodevo abbastanza bene per fare la bomba di profondità”
    “Va bene, va bene, allora, allora fallo per le console! L’hai viste? Sono molto utili con tutte quelle funzioni di registrazione e di connessione a Internet”
    “Quello del calcio?”
    “Quello è l’Inter, cretino, ora basta! Finiscila con questa pagliacciata! La mia infinita pazienza di Autore ha un limite!”
    L’Autore preme un pulsante sul bracciolo della poltrona e sotto Doye si apre una botola, che lo fa precipitare per 10000 metri!
    Il nanetto strilla come un maiale sgozzato e ripassato in padella, mentre cade, e nella caduta vede un UFO, Superman, lo Sputnik, Dante Alighieri e San Bernardo, Dumbo, un 747, Mary Poppins, il Barone Rosso, Sephiroth, Messner arrampicato sull’Himalaya, i Linkin Park che cantano sulla statua gigante, un palloncino, Peter Pan, il gabbiano Jonathan Livingstone, il Barone di Munchausen, un pettirosso, un pallone da calcio firmato, Babbo Natale, uno scoiattolo volante e una molotov.
    Alla fine finisce dentro un buco aperto sul tetto di un misterioso edificio. Atterra su una poltrona dentro una cabina di comando, si gira di lato e vomita anche l’anima, compresa l’impepata di cozze della sera prima.
    Si rialza in condizioni pietose: la barba piena di impepata e il colorito verdastro lo fanno sembrare un incrocio tra il piatto forte di un party di gala e un ramarro. Ansima come un mantice e peta come un motore a scoppio. Insomma, Doye è terrorizzato come se avesse visto un film di Dario Argento, anzi di più, come se avesse visto Dario Argento in persona.
    Non fa manco in tempo a ripigliarsi un po’ che si ode una voce metallica: “Benvenuti a bordo dell’astronave Ludovica I”
    “Ammazza, che nome” ansima Doye e direbbe di più se lo sforzo non rischiasse di farlo stramazzare.
    “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...“
    “Bravo, allora parlami di come si scende”
    “Questa unità non apprezza il sarcasmo...inizio conto alla rovescia per la partenza verso i mondi di Final Fantasy”
    Doye impallidisce, ma è già verde e perciò non si vede: “Che? Ma io non ci voglio andare!!”
    “Dovevi pensarci prima...inizio conto alla rovescia...10.824...10.823...10.822...”
    “Mannaggia, almeno ho un po’ di tempo per vedere dove si scende da questa trappola”
    “...10...9...8...7...”
    Doye sobbalza: “Ohè, ma non vale!!!!”
    “...6...5...4...”
    “Fermate tutto!! Fatemi scendere!!”
    “...3...2...1...”
    Doye si tiene la testa con le mani e si accuccia per terra, ma il conto alla rovescia si blocca. Speranzoso, alza lo sguardo verso l’altoparlante.
    E allora la voce metallica dice: “Durante la trasvolata proietteremo il filmato *Apolo 13*, buon viaggio...0!! Partenza!!!”
    “NOOOOOOO” si dispera Doye e fa le corna.
    I motori si accendono. La porta dell’hangar si apre e l’astronave schizza nel vuoto siderale con una poderosa accelerazione; lontano, dal suo super-posto di osservazione, l’Autore la osserva allontanarsi lasciandosi dietro una scia di fumo.
    “Buona fortuna, Doye...il destino dei manga e dei videogiochi dipende da te”
    L’astronave scompare nel cielo. Si sente un urlo lontano e l’eco di una bestemmia, ma l‘Autore fa finta di non sentire e se ne va.


    Edited by Mr.Bianconiglio - 22/9/2011, 00:15
     
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  2. Roxy!
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    HAHAHAHAHAHAH

    Ma è bellerrima!!

    E' accaduto tutto in fretta, mi è piaciuta davvero mòlto, complyment u.u
     
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    Grazie mille =)
    La velocità penso venga dal fatto che uso parecchio di meno le azioni rispetto a una narrazione normale. Volevo concentrarmi più sulla comicità.
    Quando do queste risposte, mi sento un professore.
    *sgranocchia carota*
     
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    Partenza! ...Fermi tutti! Non ci voglio andare!

    L’astronave, su cui Doye è stato cortesemente invitato a imbarcarsi, veleggia nello spazio. La striscia di fumo che si lascia dietro è talmente nera che solo la grazia divina e il dilagare della congiuntivite distoglie la contraerea di Green Peace dall’abbatterla. Sbuffa come una locomotiva a vapore con l’asma e cigola come un battaglione di pensionati, e solo i pezzi di scotch e gli sputi sparsi quà e là la tengono insieme.
    Sui portelli stanno appiccicati tanti di quei poster, stick, foto di famiglia, autografi di Totti che sembra appena tornata da un attacco terroristico a una cartiera. Davanti, i fanalini sono tutti sfasciati e se ne accende uno no e l‘altro manco, e dietro la targa sembra un Togo gigante talmente è coperta di fango.
    Gli oblò sono tutti sporchi come chiaviche e ce ne sta uno rattoppato da un paio di cerotti messi a croce: come tenga la pressurizzazione è ancora un mistero attualmente discusso dai più grandi esperti della NASA. Nello spazzolone che sostituisce il tergicristallo, una famiglia di vespe spaziali tiene in pugno il racket degli affitti: 150 euro al mese per un posto nella marmitta, attualmente occupata dai germi giganti, e 300 per uno nel frigorifero, costo pagato al momento da un grosso troll verdastro.
    L’antenna è annodata a forma di ghirlanda e ormai prende solo Radio Maria, non i notiziari, solo il canale Necrologi 24 ore di Don Giancarlo: tre ore d’ascolto bastano per far suicidare pure un branco di iene ridens.
    Insomma, l’astronave che l’Autore ha appioppato a Doye è talmente scassata, ma talmente scassata, che pure il goblin che va a sfasciare gli aerei durante i voli, quando l’ha vista, se ne è andato
    scuotendo la testa.
    Accasciato sulla sedia, davanti al pannello di controllo, Doye piange lacrime amare. Piange per essere stato spedito chissà dove in chissà quale missione, piange pensando a quali pericoli lo attendono, piange perchè la radio è bloccata su Radiomaria e non riesce a spegnerla, piange perchè il troll nel frigo si è mangiato tutto il prosciutto, piange perchè non sa cosa fare.
    “E adesso cosa ci metto in mezzo a queste fette di pane?” lacrima, disperato.
    Sta già pensando a usare la cordicella dell’Arbre Magique per impiccarsi, quando la solita voce metallica torna a farsi sentire: “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...invitiamo i gentili passeggeri a stare calmi e seduti...”
    Doye continua a piangere.
    “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...vi invitiamo a calmarvi e a sedervi in modo composto...”
    Doye prosegue, imperterrito. Il pavimento comincia ad allagarsi.
    “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...vi invitiamo a calmarvi e a sedervi in modo composto...attivazione del programma di rilassamento dei passeggeri in corso...”
    Ormai Doye è diventato una riproduzione della Fontana di Trevi. Colonie di girini saltellano allegramente nel lago che si è formato. Il troll decide di uscire dal frigo per ingaggiare una battuta di pesca insieme ad un gruppo di amici.
    “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...attivazione del programma di rilassamento dei passeggeri...”
    E’ il momento, per l’attrezzatura di ultima generazione dell’astronave, di mostrarsi in tutto il suo metallico splendore e lancia, seduta stante, un attacco nucleare: una pioggia di fuoco e fiamme si abbatte sul tranquillo paesaggio lacustre in via di formazione. La radio, nel pieno di un avvincente elogio di un tal Gisberto Francari, esplode come un sol uomo. Bombe radioattive vengono lanciate dai boccaporti in una micidiale cascata di morte, un piccolo fungo atomico si leva dai resti del frigo distrutto e il troll e i suoi amici rinunciano alla pesca per gettarsi in una fuga precipitosa; i germi giganti si rintanano nei bunker e alcuni scrivono anche testamento; la porta della cabina si apre ed entra un veterano di guerra senza una gamba che chiede se si può fare meno baccano.
    Doye, terrorizzato, si ritrova di fronte un braccio meccanico armato di Colt che gli punta un mirino laser in fronte.
    “Rilassamento dei passeggeri completato?” chiede la voce.
    “E che succede se dico di no?” esala Doye, bianco come il Pandispagna.
    “Verranno liberati posti per imbarcare nuovi passeggeri...”
    Doye sbianca, raggiungendo la purezza di una nevicata invernale: “Diciamo di si, allora”
    “Molto bene...”
    Il braccio meccanico si ritira dentro l’accendisigari e Doye tira un sospiro di sollievo.
    “Uff, ma perchè bisogna essere sempre cosi violenti per farsi ascoltare? Non basta una pacca sulla spalla, un fischio, uff, qua finisce che ci perdo le penne e non siamo nemmeno alla quinta pagina, uff”
    La voce lo ignora e riprende: “Qui è il vostro computer di bordo che vi parla...”
    “Questo l’avevi già detto” fa notare Doye, massaggiandosi le palpebre, dopo essersi calmato. Benchè l’atmosfera sembra essere più tranquilla, la lucina rossa insiste a girargli in un occhio. “Ma allora non posso dire niente!” sbotta.
    “Questa unità apprezza l‘intuito dei passeggeri...”
    Doye sbuffa rumorosamente, incrocia le braccia sul petto e si mette mugugnare insulti e a masticare l‘Arbre Magique.
    “Questo è il computer di bordo che vi parla...adesso vi indicherò l’ubicazione delle uscite di emergenza...”
    “Ah, si? Ecco una cosa interessante” dice Doye facendosi di colpo interessato, sia perchè magari può provare a fare l’astro-stop sia perchè l‘alito gli è diventato uguale a quello di un koala.
    “Le uscite si trovano...lì...lì...là...”
    “Ma vattene a /$&)£&!!!!”
    “Si ricorda ai signori passeggeri che è severamente vietato fumare...”
    “No!!” fa Doye, che aveva già tirato fuori un pacchetto di sigari.
    “...farsi le canne...”
    “No!!!” fa Doye, che aveva già cominciato a rollarsi una cartina.
    “...farsi le pippe...”
    “NO!!!” fa Doye, che aveva già iniziato a leggersi un manga, e infatti non aveva capito di cosa si stava parlando.
    “...giocare a golf sul ponte...”
    “POSSO ALMENO RESPIRARE O MI METTI UNA TASSA PURE SU QUELLO???” sbotta Doye, che già si era attrezzato con un secchio, due bastoni, una pallina di carta e il troll, appena tornato a causa del troppo traffico, come avversario.
    “La velocità di crociera è di circa tremila...milioni...di chilometri...quadrati...”
    Doye guarda il troll. Il troll guarda Doye, e fa spallucce.
    “L’altitudine: notevole...”
    “Boh...”
    “La temperatura: abbastanza fresco...”
    “Ma di un po’: a te ti hanno comprato al mercatino dell’usato oppure stavi in una discarica e ti hanno riesumato da lì?”
    Un boccaporto si spalanca e spara un missile, che fa la permanente a Doye, disintegrando tutto quello che c’è dietro di lui.
    “Questa unità ha avuto un passato difficile e prega gentilmente i signori passeggeri di non fare domande su tale argomento...”
    “E se quello è il gentilmente” esclama Doye con una mano attorno al collo “Figuriamoci il brutalmente”
    La voce allora dice: “Ora si pregano i gentili passeggeri di prendere posto: il briefing della missione attuale verrà comunicato durante un leggero pasto”
    Alla parola “pasto” Doye comincia a cambiare colore e forma: si amalgama, si raggruma, evapora, si condensa, solidifica, diventa giallo, blu, verde, azzurro, rosso, fucsia, viola, a pallini, Hulk e Silver Surfer. Alla fine torna normale e si lancia sul sedile con il grido da guerra cosacco.
    “Evviva! Si mangia!!” grida, già munito forchetta, coltello, bavaglino di Batman e lingua penzolante d’ordinanza.
    A silenzio sbigottito della voce, spiega: “Tranquillo, rottame, è solo un lieve disturbo” Poi, con lo sguardo bramoso. “Che si mangia?”
    La voce esita: “Ehm, questa unità non aveva mai visto una cosa del genere...è un po‘ scioccante e innaturale pure...” dice, per poi riprendere un tono serio: “Eh-ehm, in ogni caso...il pasto consiste in ottimo cibo liofilizzato, progettato e preparato esclusivamente per viaggi spaziali di lunga durata”
    E mentre dice questo, un cassetto si apre dalla plancia di comando. Affamato come un leone in convento, Doye ci guarda dentro, ma la vista del contenuto lo lascia perplesso: ci sono solo un mucchio di dentifrici con tante etichette colorate appiccicate sopra. Più che un reparto mensa, sembra l’esposizione Vivident allestita da uno squilibrato.
    “Che è sta roba?” chiede, dubbioso.
    La voce assume un tono orgoglioso: “Questa unità è orgogliosa del rifornimento delle vettovaglie...anche i passeggeri sono esterrefatti dalla qualità del servizio, eh?”
    “Si, esterrefatti, proprio la parola giusta” Doye alza un sopracciglio e osserva scettico l’altoparlante: “Questa roba non si può neanche vedere, figuriamoci a mangiarla” E cosi dicendo toglie il cassetto dalla plancia e si avvia verso il cassonetto, un’apertura verso l’esterno che il computer di bordo fa spalancare.
    “Questa unità non capisce...è tutto cibo di altissima preparazione tecnica...ideato da tecnici di elevatissima preparazione...”
    Doye scuote la testa, mentre, con profondo senso ecologico, butta tutto nello spazio. “Dammi retta, rottame, questa roba è una porcata...e te lo dice chi di porcate ne ha viste parecchie” e si mette a guardare i rifiuti che si disperdono nello spazio. In lontananza si sentono le maledizioni in orchesco di Green Peace; Doye fa una pernacchia e continua a parlare, sotto lo sguardo del computer di bordo: “Qui ci vuole roba più sana, più semplice, altro che quella stranezza là, ci sta talmente tanta spremuta di cervello là dentro che quasi me la sento in bocca!!” esclama, mentre si tira fuori dalla barba una scatola di pelati.
    “Ma...l‘Autore si è premurato di comunicare le istruzioni accompagnandole con un pasto” avverte la voce, e intanto Doye mette in mano a due arti meccanici un coltello e una cipolla.
    “Mi conosce bene quel bacarozzo...” sospira Doye aprendo i pelati, mentre il computer affetta le cipolle. “Lo sa che quando mangio divento più ammorbidibile, ma col cavolo che mi frega stavolta, eh, no, proprio No. Mi ha fatto piangere pure troppe volte con ste idee strane!”
    E intanto anche il computer piange, ma per colpa delle cipolle, mentre Doye continua: “Io fino a due ore fa campavo cacchio cacchio, tomo tomo, senza rompere le scatole a nessuno; all’Autore l’ho sempre aiutato: gli facevo le commissioni, gli tenevo compagnia, lo aiutavo a non fare i compiti e a resistere all’impulso di studiare, gli tenevo il turno alla TV quando era impegnato, lo aiutavo persino a smaltire le patatine che avanzavano: era una vita tranquilla, senza scosse, ma piena di soddisfazioni...mi ricordo ancora quando abbiamo visto insieme l‘elezione di quel Papa tedesco...”
    Il computer lo interrompe asciugandosi i sensori: “Allora è vero che gli immigrati dell’Est vi rubano i posti migliori di lavoro!” Doye annuisce mentre si tira fuori una padella dalla barba e ci versa l’olio dentro, e continua, nostalgico: “Ah, le serate passate a giocare a God of War! Vabbè che io mi nascondevo dietro un bunker di cuscini dopo tre minuti, però ci si divertiva, eh! E poi c’era DragonAge! Quel vecchio capoccione dell’Autore si era preso il nano proprio per farmi contento, e ho dovuto insistere solo per settantanove ore di fila? Ah, le risate quando facevo entrare la Berlino Filarmoniker in camera sua e facevo suonare la Morte di Sigfrido alle quattro di mattina!” Poi si volta verso il computer che lo ascolta e gli dice: “Butta dentro la cipolla...” Il macchinario esegue e intanto gli chiede: “Questa unità ha un dubbio...quindi andava tutto liscio? Cioè, stavate bene e vi divertivate?”
    Doye mette su l’acqua per la pasta su un fornelletto uscito dai comandi e poi risponde: “Proprio cosi, rottame, ed è per questo che non capisco il perchè quel tizio abbia sbattuto su questa nave verso non so che cosa, magari c’avessi avuto la dispensa piena, allora partivo pure per scongelare il Polo Nord con il phon, ma cosi...”
    “Forse perchè si fidava di te? Questa unità ritiene questa teoria probabile...”
    Doye scuote la testa: “Nah, nah, non lo sai che se hai un amico devi coccolarlo e tenerlo al caldo come un pacco di biscotti? Metti che si perde, cade in un burrone, lo rapiscono gli alieni, si scioglie nell’acqua e zucchero, poi come lo spieghi alla famiglia?”
    “Questa unità non comprende questo tipo di logica...”
    “Comunque sia, questo scherzetto non m’è piaciuto, è peggio di quando mi ha chiuso dentro un armadio per una settimana oppure quando mi ha legato e dato in pasto alle capre di montagna: in quelli almeno potevo fregare quel curiosone di Huklberry Fiinn e buttarcelo al mio posto, qua o non c‘è o si è perso di nuovo con la canoa, perchè ancora non l‘ho visto...” Poi, mentre aspetta che l’acqua bolle: “A proposito, non dovevi parlarmi di qualcosa?”
    “Davvero?”
    “Boh, mi pare...di che parlavamo prima?”
    “Questa unità se ne è dimenticata...”
    Doye fa spallucce. “Vabbè, fa niente”
    Su in regia non fanno neanche in tempo a registrare quelle parole che la voce sovrannaturale dell’Autore riecheggia nell’aria con il fragore del tuono.
    “MUOVETEVI, DEFICIENTI!!”
    Spalmato a terra come il ketchup su un sandwich, con lo scolapasta in testa, Doye solleva il dito medio: “Ma vada via ‘al cul, terun”. Il pubblico ci scuserà se evitiamo di tradurre quest’ultima affermazione.
    Con tutti le braccia meccaniche annodate alla marinara e l’occhio elettronico incastrato nel cassonetto, la voce commenta, abbattuta: “Questa unità ha avuto un improvviso riavvio dell’hard disk e ricorda le predisposizioni...”
    “Ma che culo!!”
    “Certe parole non andrebbero dette con questo rating...”
    “E SAI QUANTO ME NE PUO’ FRE...”
    E in quella una incudine con su scritto 1 TON atterra sopra Doye, spiaccicandolo come una zanzara sul parabrezza.
    Un silenzio attonito cala nella cabina di comando, rotto solo dal russare del troll, che, nel frattempo, si era addormentato sulla cloche.
    “L’acqua è pronta?” chiede fievole, fievole la voce di Doye da sotto l’incudine.
    L’occhio meccanico ci guarda e poi risponde, con un po ‘di pietà: “Questa unità vede tante bolle sulla superficie del liquido...”
    “Penne rigate o maccaroni?” La mano di Doye esce tremante da sotto il peso d’acciaio tenendo due pacchi di pasta.
    “Maccaroni?”
    “Mettili tuuoooofff....” La mano si accascia.
    Osservando la scena, il computer si domanda se ha fatto bene a lasciare la discarica per farsi montare su quell’astronave.
    ...
    Recuperato ciò che era rimasto di Doye, non molto, per dire la verità, lui e il computer di bordo si accomodano a tavola a mangiare.
    “Smarantz, garagants, startamatz” mugugna il nano, arrabbiato come un castoro a cui è appena crollata la diga, mentre riempie un piatto di pasta con un mestolo.
    Il computer è curioso: “Fai i gargarismi?”
    “No, sto bestemmiando contro quel sgnarmatz dell’Autore, ma queste cacchio di censure mi storcono tutto”Poi, porgendo il piatto a uno degli arti meccanici. “Tiè, mangia, và”
    L’occhio meccanico lo guardò come se fosse un porcellino laureato: “Questa unità può usare questo materiale per compiere l’upgrade degli scudi positronici o del sistema operativo carpiato?”
    “No, però è buono e ti fa evacuare che è un piacere”
    “Questa unità pensa che questo materiale sarà temporaneamente messo al sicuro” E dicendo questo, apre il cassonetto e butta tutto nello spazio, alzando nuove proteste dai vertici GreenPeace, che, stanchi di incassare, cominciano a tramare nell’ombra.
    Doye fa spallucce, poi assale tutta quanta la pignatta piena di 60 chili: “Bah, dai tu, come si dice: a ognuno quel che si merita! Bwahahaha!”
    “Questa unità stima quella pietanza in 60.000.000 triliardi di calorie...seguendo la logica dell’indovinello quel che ti meriterai sarà un aumento di peso pari al doppio di una nave cisterna di medie dimensioni”.
    Doye ferma lo scempio pastaiolo per guardare dubbioso l’occhio meccanico: “Hai detto qualcosa, rottame?”
    “Questa unità rammenta ai passeggeri la necessità di esaminare le istruzioni per la missione...”
    “Se, se” Doye fa un cenno distratto con la mano, mentre ingurgita cibo al ritmo di un branco di elefanti. “Appena finito di mangiare”
    “E per compiere questa operazione, quanto tempo occorrerà?”
    Doye ci pensa su per un attimo, poi risponde, a bocca piena: “Richiamami la prossima settimana” E riprende a mangiare.
    Una raffica di raggi laser disintegra pignatta, pasta, tavolo e sabotatore inviato da GreenPace.
    “Ripensandoci, un po’ di tempo per sentire lo trovo” dice Doye con un sorriso a 64 denti.
    Il tentacolo meccanico rinfodera il disintegratore molecolare, rubato da un set di Star Wars, perchè il budget è quello che è:“Questa unità approva...”
    “Allora, vuoi dirmi sì o no in che guaio mi ha spedito quel cretino dell’Autore?”
    “Questa unità provvederà a...”
    “Cioè, quante sono? Cinque pagine che stiamo qua a dire schmezaeld e ancora non ne veniamo a capo!”
    “Questa unità sta appunto...”
    “Cosa staranno pensando i lettori? -uffa, che noia! Questa storia! Ma perchè si perdono in chiacchiere?- -Ma non se la danno una mossa?- -Acc, ho finito i biscotti!- Di questo passo finiremo per perdere tutti i visitatori”.
    “Ma...questa unità vorrebbe proprio...”.
    “Le visite si faranno sempre più rade e poi sai cosa succederà? Nessuno ci recensirà più, la storia cadrà nell’oblio e BAM! In men che non si dica, i nostri cervelli finiranno a galleggiare nelle vasche di conservazione su un’astronave aliena”.
    “Questa unità ha qualche piccolo dubbio riguardo l’ultimo passaggio...”.
    “E tutto perchè siamo andati a rilento con la trama, lo capisci, rottame? Tutto perchè...”
    Una pioggia di proiettili di morati si abbatte tutt’attorno a Doye, provocando morte e distruzione in ogni angolo della cabina.
    “Questa unità chiede la possibilità di parlare...” disse la voce meccanica, mentre trecento cannoni spuntati dalle pareti puntavano sul nano.
    Doye si guardò intorno, e con fare serio e grandemente cool: “Me la sono fatta addosso”.
    Le braccia meccaniche, l’occhio e il troll cadono tutti a terra in stile fumetto manga.
    “Questa unità è...ehm...sorpresa...comunque di là c’è un bagno”
    “Grazie” poi, fermandosi di fronte al troll: “Niente commenti, grrrrazie”
    Doye si infila nel gabinetto, un buco nel muro, e si chiude la porta dietro le spalle.
    “Beh, in fondo” dice da dentro. “Dopo tutti questi bombardamenti è normale, no?”.
    “Questa unità pensa di si...” risponde il computer, un po’ a disagio, mentre, dietro l’occhio meccanico, il troll scuote la testa, afflitto.
    “Vabbè, si parlava di una missione, giusto?”.
    Al sentire la parola “missione” l’occhio si rianima un po’: “Giusto, questa unità passerà adesso a spiegare il contenuto della missione che ci è stata affidata dall’onorevole Autore...”.
    “Adesso è diventato pure onorevole? Senti un po’ che ne penso!”.
    Un accordo di basso rimbomba dal gabinetto, seguito da un’onda di gas verdastro e un profondo sospiro di soddisfazione nanesca.
    “Ehm, si...” L’occhio si solleva un po’ per evitarla, nel frattempo che il troll si afferra la gola e rantola, poi continua: “Tutto è cominciato esattamente 76 ore, 15 minuti e 36 secondi, quando l’onorevole Autore era immerso nella consueta lettura di 9 ore di manga”.
    “Ancora onorevole? E due!”.
    Altro accordo, stavolta più grave. Il troll si accascia al suolo senza un gemito.
    “Allarme biologico! Attivare procedure di decontaminazione!!” appena il computer dice questo, tutte le ventole si attivano alla massima potenza, poi, mentre l’uragano Katrina scorazza ovunque, la voce prosegue: “Questa unità stava dicendo....mentre visionava i manga, l’Autore scoprì in essi un’anomalia; allarmato, estese la sua ricerca anche a videogiochi e anime, e anche lì trovò lo stesso fenomeno, un’anomalia che stava disturbando i qualche modo lo svolgersi delle loro trame”
    “Ehi! Aspetta un momento!”.
    L’occhio si alza di scatto, allarmato: “Cosa succede?”.
    “Qua dentro non c’è la carta igienica!”.
    “Questa unità adesso rompe qualcosa! Mi stai ascoltando o devo terminarti?”.
    “Se, se, uff, meno male, che mi sono portato dietro qualche foto, si parlava delle trame, poi?
    “Questa unità si chiede come userai le foto, ma nel suo hard disk ha innestato il chip della decenza e perciò tacerà...”.
    Da dentro il gabinetto giungono rumori inquietanti, prima che Doye parli: “Beh? Allora queste trame?”.
    “Si, le trame...qualcosa sta disturbando lo svolgersi delle storie di anime, manga e videogiochi e questo è un fatto preoccupante...”.
    “E perché? Non va bene un po’ di cambiamento per una volta? Uno si romperà pure dopo 256 ore a guardare Auron che sfascia con una spadata i dinosauri!” chiede Doye e mentre parla i rumori inquietanti si fanno raspanti.
    “Questa unità potrebbe anche approvare se si trattasse di giochi come mosca cieca o nascondino...”
    “In pratica mi hai detto che sono un deficiente” .
    Il computer lo ignora e prosegue: “Ma per queste storie, che sono già state prefissate, cambiare le trame significa uno sconvolgimento totale! Quando accade, tutti i legami e gli intrecci creati dagli Autori si rompono e si aggrovigliano e alla fine...”.
    “Tutti a cena da Ornella!” La voce di Doye ha come eco lo scarico dello sciacquone.
    La voce sparò una bordata laser dentro il gabinetto, silenziando all’istante ogni altra interruzione: “No, alla fine la storia muta al punto da non essere più quella originale e finisce per svanire, perché perde ogni senso logico, trasformandosi solo in una serie di immagini confuse senza senso...”.
    Doye risponde con voce lamentosa: “Capisco...e adesso che abbiamo capito cos’è l’anomalia, che vogliamo fare?”.
    “Beh, l’onorevole Autore diceva di imbarcarsi in una rischiosissima missione per impedire all’anomalia di allargarsi”.
    La porta del gabinetto si spalanca di botto. Se ne affaccia Doye, bianco come la pecora Dolly: “Che? Non ho capito l’ultima sillaba!”.
    “Proprio cosi, caro organismo bipede, e abbiamo già tutto pronto: di là, c’è l’armeria completa di mitragliette, pistole, fucili a pompa, bombe atomiche e katane per i nostalgici; le foto di parenti random a cui pensare sono già pronte in album; siamo attrezzati anche con un set di bare per l’eroica morte finale e, se serve, nello sgabuzzino c’è un maestro di recitazione e una collana di cipolle per le scene lacrimose, poi, abbiamo anche un bel po’ di scenografia da sfasciare per eventi di grande
    Portata; per quanto riguarda le musiche, invece, ci ha offerto la sua collaborazione nientepopodimeno che il Maestro Uematsu che...”.
    “...prepara il sushi!” interviene Doye, poi, con voce lamentosa: “Ascoltami, rottame, perché dobbiamo fare questa cosa?”.
    La voce è sorpresa: “Ma ovviamente perchè è dovere di personaggi di storie come noi prestare il nostro aiuto ad altri colleghi in difficoltà, no?”.
    Doye lo guarda come se avesse appena detto che il Titanic era stato affondato dall’attacco di un plotone di marmotte assassine.
    “E secondo te, da 1 a 10, a me quanto importa?”.
    “Ma...questa unità confusa...non sei anche tu un personaggio di una storia? Non dovresti essere solidale verso chi è come te?”.
    Doye si dà una manata in fronte: “Oh, ma hai ragione! Come posso abbandonare i miei amichetti che vivono dentro la scatoletta nera! Oh, ma quanto sono svagrnalnz! Ma li aiuteremo ovviamente! Aspetta solo un attimo, vado a prendere i cioccolatini e i fiori da portargli e andiamo, va bene?” E, senza aspettare risposta, sbatte la porta e si richiude nel bagno.
    Una mano meccanica bussa timidamente: “Ehm, questa unità non è certa di volerlo sapere...ma i cioccolatini da dove arrivano?”.
    “Bwahahah, sei simpatico, rottame! Come hai detto di chiamarti?”.
    “Questa unità non ha un nome...” tentenna la voce.
    “Ah, si? Allora te ne do uno io! Mhhh...vediamo...”.
    Un emozione mai provata invade il processore del computer al sentire quelle parole. Non gli era mai capitato, nella sua lunga,cibernetica,vita, che qualcuno gli desse un nome: era sempre stato semplicemente un sistema operativo, una macchina che doveva solo obbedire, senza fare mai obiezioni, sempre pronta e allerta ai desideri dei suoi padroni, senza sentimenti, senz’anima...
    On era degno di ricevere un nome; solo gli esseri viventi meritavano di avere un nome, non le macchine, non lui...
    Ma adesso, adesso per la prima volta qualcuno lo vedeva come qualcosa di più di un banale servitore? Qualcuno, qualcuno riusciva a vedere un amico in lui?
    La consapevolezza di quel fatto fa vibrare di felicità i suoi bit come mai avevano fatto prima.
    Emozionato, allunga il braccio meccanico e spalanca la porta di scatto.
    “Questa...questa unità ti ringrazia! Non era mai successo...” comincia a dire, tutto contento, ma si blocca di colpo.
    E osserva il grosso buco che campeggia al posto del water, scardinato e gettato di lato, e che dà sul vuoto terrestre. Nonché, il piccolo puntino in lontananza che si sta allontanando sempre di più dall’astronave.
    “Questa unità dice...Brutto figlio di una shagdikakfs...”.
    Dalla sua barchetta d’emergenza, formata da una trave di legno recuperata dal nulla, Doye rema come un ossesso per mettere più distanza possibile tra lui e qualsiasi, possibile folle missione senza ritorno.
    Teoricamente sarebbe già dovuto essere morto e gli occhi gli sarebbero dovuti schizzare via dalle orbite, ma anche a questo c’è una spiegazione ed è driabnd asikfia, capito?
    “Uff, puff, col cavolo che rischio il collo per quelli là! Col cavolo!” ansima Doye, mentre pagaia a tutta velocità solleticando la barriera del suono, che, intanto, se la ride con fare divertito alle sue spalle.
    “Cioé, ma che siamo matti?” impreca tra sè. “Già mi viene la sciatica e il gomito del tennista per prendere il telecomando, figuriamoci se vado a farmi sparare da qualcuno di quei pazzi! Come diceva Darwin? I furbi e quelli con il collo lungo campano! Gli scemi se ne vanno a djajdsic e col cavolo che si mangiano le foglie!”.
    Una voce conosciuta risuona nello spazio siderale: “Questa unità non ricorda che il professor Charles avesse mai menzionato un’idiozia di tale entità...”.
    Per poco a Doye non viene un infarto: una figura incorporea gli era apparsa di fianco all’improvviso. Non possedeva nessun lineamento, ma fece ugualmente su Doye lo stesso effetto che fa Godzilla su un autobus: devastante.
    “E tu qua come ci sei arrivato? Pensavo di essermi allontanato abbastanza!”
    “Doye...tu sopravvivi nello spazio senza supporti vitali e senza scuse...vuoi che un computer di un’astronave come me non possa proiettarsi all’esterno per inseguire quelli che fuggono senza permesso?”.
    “Uhm...giusta obiezione...” annuisce Doye, ma poi chiede: “Lo sai che questo fa tanto Star Trek, vero?”.
    La figura inforca un paio di occhiali scuri in tutta tranquillità: “E’ un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo...”.
    “Fantastico...adesso cosa devo aspettarmi? Un Van Dam gigante che combatte contro Chuck Norris su Giove?”.
    “Uhm, No...” assicurò il computer. “Ma proprio adesso sto controllando questo relitto con un raggio traente...”.
    “...rubato dal set di Guerra dei Mondi...” precisa uno sceneggiatore spuntando da una botola e richiudendola subito dopo.
    “Esatto, grazie Nick, dicevo, la sto controllando e la sto indirizzando verso il primo dei mondi in cui l’Onorevole Autore...” e nel dire ciò, puntò Doye con un laser alla tempia per evitare altri accordi di basso. “...ha scoperto l’anomalia...”
    In tutta risposta, Doye ridacchia.
    “Questa unità non trova la parte comica...”.
    “Niente, niente” Doye scuote la testa, sorridendo. “Stavo solo pensando che è giunto il momento di tirare fuori la mia arma segreta”.
    L’avatar del computer inclina la testa in un’espressione interrogativa.
    “Eheh, non pensavo di doverlo usare adesso” Con un sorriso sicuro di sè, Doye mette una mano dentro la giacca, nella tasca interna sul petto. “Ma a quanto pare ormai è inevitabile...”
    Una luce risplende nell’Universo. I cori gospel di ogni angolo della Galassia si lanciano in un accorato, reverente canto di gioia, ogni anima trattiene il fiato in un singolo attimo di comune adorazione, i ladri restituiscono ciò che hanno rubato, i leoni dormono assieme alle pecore, scatenando un casino bestiale da arte della Buoncostume, i topi ballano e i gatti pure, e anche i canarini, per empatia verso i compagni roditori, i contadini scoprono quant’è buono il formaggio con le pere, mio cugino va a fracassarsi con la macchina contro un palo, tutti eventi unici, irripetibili, avvenuti per festeggiare il ritorno di una leggenda.
    Doye solleva il piccolo oggetto in alto e urla: “Il Paradiso della Pomiciata Versione Finale in Edizione Limitata” Luce sovrannaturale ed arcana si irradia dal sacro volumetto. Doye, con occhi sfolgoranti, punta il dito verso l’avatar. “Vuoi che sia tuo, vero? Brami il possesso di questo oggetto oltre ogni desiderio? Lascia dunque che io torni a casa, accompagnami nel mio giaciglio” Si interrompe. “Anzi no, meglio solo sulla porta, sennò sa un po’ di pervertito” Poi riprende, tutto il corpo sfavillante di energia luminosa. “Dì solo che riporterai l’illustre sottoscritto, com’è giusto che sia, nella sua dimora e questa meraviglia, unica nel suo genere, sarà tua! Ma avrai solo questa possibilità, ricorda! Solo questa possibilità! Rifiuta e non ne avrai nessun’altra per tutta l’Eternità! Ma più, capisci? Mai più! Perchè questo libro svanirà per sempre nella mia barba e non lo vedrai mai più! Dissolto nell’aria! Svanito per sempre! E non avrai modo di recuperarlo! Mai più! E ora fa la tua scelta, computer!”.
    Il silenzio cade sull’universo. Persino le suocere nei parrucchieri con il casco in testa si azzittano per ascoltare, e questo dà l’idea della solennità del momento.
    L’avatar guarda per un attimo Doye, poi, con estrema calma, si alza, gli si avvicina e, sempre con grande pacatezza, gli strappa il libro dalle mani.
    “Ma...”.
    Poi, sempre con totale tranquillità, prende il nano, lo carica su una fionda gigante portata da tutti i cori gospel del mondo, con la collaborazione del resto dell’Universo, e lo spara via come una pallina di Flipper verso uno dei pianeti all’orizzonte.
    “E torna dopo aver eliminato l’anomalia o non tornare affatto!” gli grida dietro l’avatar.
    “MA ANDATE TUTTI A FA...”.
    Per fortuna, l’ultima parola si perde nell’abisso spaziale.
    Il computer manda un sospiro rassegnato, poi si guarda in giro circospetto. Una volta accertatosi che non c’è nessuno, apre il libro e comincia a leggere.
     
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  5. Nyxenhaal89
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    Ehilà, giovanotto! X)
    Allora, non ci ho ancora capito granché, ma immagino che ci troviamo di fronte a qualcosa di molto interessante.
    Una fic demenziale!
    Dal titolo avevo immaginato qualcosa di più serio, ma non mi dispiace. x)
    Mi ha anche strappato qualche risata. Interessante eroe...
    Vediamo come prosegue!
     
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  6. Yahìko
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    Sembra parecchio interessante ma ad essere sinceri mi risulta difficile da leggere con questo font.
     
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    Saltare, ballare, trallallà!

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    Un grazie a tutti per le recensioni =)
    Capirete tutto, state tranquilli u__u
    Avanti con il prossimo capitolo, allora, e spero che vi piaccia. x)

    CAPITOLO II

    Tutto fila come al solito a Besaid: il sole splende, il cielo è terso, il mare è pulito, le onde si rincorrono nella risacca. I gabbiani volano liberi, lanciando rauchi richiami e scorrazzando nel blu terso nel cielo in una chiassosa e allegra rincorsa, e le loro cacche si abbattono senza pietà su ogni essere vivente e non a tiro. Per risolvere questo puzzolente problema, il Sindacato Bagnanti Scontenti ha dato già da tempo il via a una petizione in favore dell’assunzione di un simpatico impiegato armato di gatling, che, a detta loro, rappresenterebbe la soluzione più efficace, ma purtroppo, essendo gli abitanti totali dell’isola pari a trenta esseri umani e trecento milioni di pennuti, ancora non si è raggiunta la quota firme necessaria per procedere. In attesa di una misura provvisoria, ogni abitante è stato dotato di una foglia larga un metro e mezzo da mettere sul cappello. Malelingue affermano che ciò abbia fatto aumentare i morti causati dai colpi di vento, ma attualmente non esistono prove a supporto di questa tesi.
    E’ una buona giornata nel villaggio posto al centro dell’isola: le sei case di cui è composto, di cui una distrutta, risuonano delle voci allegre degli abitanti. Nonostante l’ora mattutina, già molte persone camminano per le strade, trasportando carichi o impegnate in questa o in quella faccenda. I bambini si rincorrono vociando allegri, mentre il mercante del villaggio elenca le qualità della propria merce di fronte a un piccolo pubblico. Nell’aria assolata del mattino, dove un tempo riecheggiavano solo gli echi delle preghiere provenienti dal tempio che troneggia al centro del villaggio, ora si sente il vociare allegro e laborioso della gente, pronta ad iniziare una nuova giornata.
    Besaid è diventato un luogo fiorente e felice e, ormai, il terrore e la disperazione dettate da Sin sono solo dei ricordi del passato.
    Tuttavia permangono dei piccoli traumi a livello inconscio.
    Infatti, se qualcuno dice: “Peccato”, per esempio, se gli è caduto il succo di mango per terra, ecco che lo prendono, lo riempiono di mazzate e lo buttano in mare per combattere la sfiga.
    E ogni volta che il vento si alzava un po’ troppo, qualcuno andava dal bagnino ed affittava un pedalò dicendo: “Non si sa mai...”
    Ma Yu Yevon era scomparso e Sin non poteva più giungere per portare distruzione sull’isola. Ormai il massimo che poteva arrivare era un uragano, una tempesta tropicale, una tromba d’aria o un maremoto forza 10.
    E gli uomini in coro dicevano: “Ma che bello vivere a Spira...!”
    In ogni caso, ogni cosa scorre bene a Besaid, a parte la squadra di Blitzball, che aveva sempre fatto e fa tuttora schifo e misericordia. Per questo i suoi membri erano stati privati del diritto di portare le foglie da tempo immemorabile ed erano stati ribattezzati “I macchiaioli”, a causa delle innumerevoli feci che li adornavano ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette.
    Ma a parte questo, il cocchio della fortuna corre bene a Besaid.
    E corre anche Tidus, inseguito dai soliti due caricatori di munizioni sparati da Yuna.
    “Non è come credi!!!” grida, scappando fuori in strada alla velocità costante di 70 Km/h, con i proiettili che gli fischiano intorno.

    [Da “Meraviglie e Stranezze degli Anime, Manga, Videogame e dintorni” del Prof. Dott. Shaktul Noctambulotti]

    TIDUS

    Tidus è, o meglio era, l’astro nascente del Blitzball di Zanarkand. Dalla sua posizione poteva avere tutto ciò che un ragazzo della sua età può desiderare: soldi, attenzioni, figurine, trenini elettrici e via discorrendo. Purtroppo tutto ciò non bastava per salvarlo dal misto di complesso di Edipo/bisogno di approvazione verso il padre, in cui era caduto da tempo ormai perduto nelle nebbie, assieme al motivo. Per sua (s)fortuna fu Sin stesso a toglierlo da quella posizione. Lo risucchiò da Zanarkand con l’aspirapolvere e lo scaricò su Spira, o più precisamente nel mare di Spira, dove Tidus conobbe tanti simpatici amichetti Sahagin. Imbarcatosi in un incredibile avventura per configgere Sin e trovare un modo per tornare a casa, assieme ad altri incredibili compagni di viaggio, tra cui spiccava Kimarhi detto il loquace, che nella sua vita aveva detto solo due parole e salutava e minacciava la gente scuotendo la testa allo stesso modo, il nostro prode biondino si ritrovò invischiato in una rete di intrighi creati per proteggere un ordine millenario bugiardo e senza senso. Si ritrovò talmente invischiato che ogni tanto partiva di zucca ed attaccava ad urlare alle tre di notte, salvo per poi prendersi una martellata in testa e finire in coma, ma questa è un’altra storia.
    Alla fine, dopo un lungo viaggio fatto di risate e sganassoni, scoprì che Sin era suo padre stesso, trasformato in balenottera gigante da un ragnetto dall’aria truce capace di scoregge cosi forti che alteravano la gravità. Cosi, Tidus, assieme alla sua banda di simpatiche canaglie, fu costretto ad eliminare il suo stesso genitore, sfuggendo poi all’accusa di parricidio, a testimonianza di quanto la giustizia sia ormai scaduta di questi tempi. Purtroppo, però,a fine di Sin e degli intercessori, di cui non chiariremo nè nome nè ruolo nè perchè per mancanza di fondi, il povero biondino, che era nato dal sogno di questi ultimi, dovette dare l’addio a Yuna, la ragazza con cui aveva viaggiato e di cui si era innamorato, ed andare incontro al suo destino, svanendo silenziosamente.
    A questo punto, la domanda di un attento lettore sarà: ma allora perchè è qui?
    La risposta è presto detta, e giunge sottoforma di una moretta in completo da pistolera magica. Le sue iridi sono una verde e l’altra azzurra ed entrambe emanano un’aria più arrabbiata di un branco di mammut in una calda giornata estiva.

    “Pervertito! Maiale!!!” Yuna, ex-grande evocatrice e attuale Cercasfere, è impegnata ad urlare improperi al suo fidanzato in fuga, mentre, ritta sulla soglia della capanna, cerca di falciarlo con una raffica delle sue due semi-automatiche.

    [Da “Meraviglie e Stranezze degli Anime, Manga, Videogame e dintorni” del Prof. Dott. Shaktul Noctambulotti]

    YUNA

    Yuna era stata il motivo del viaggio a cui Tidus si era aggregato: all’epoca, Sin vagava per Spira distruggendo e affondando tutto quello che capitava, (il ragnetto che lo comandava non aveva mai avuto una grande passione per la razza umana e il mondo in generale), e per sconfiggerlo si facevano avanti gli invocatori, un gruppo di frati e suore psico-punk, che, abbandonate case ed affetti, si imbarcavano assieme ai loro guardiani in un pellegrinaggio verso nei vari templi per ottenere il favore degli intercessori, di cui continueremo spudoratamente a non spiegare un bel niente. Ottenuto il favore necessario, l’invocatore poteva riceve re l’invocazione suprema, con cui abbattere Sin e dare a Spira dieci anni di pace, prima che quest’ultimo risorgesse.
    Insomma, Sin era una specie di cambiale: tornava sempre a rompere gli zebedei.
    Per fortuna, il gruppo di nostri eroi scoprirono un modo per sconfiggere definitivamente questo accanito persecutore sociale e tutti sospirarono di sollievo.
    Purtroppo, come si è già detto, il povero Tidus scomparve alla duecentocinquantesima ora di gioco, in quanto proiezione onirica ambulante, e quindi sprovvista di cervello ed organi, lasciando Yuna a piangere la perdita del ragazzo di cui si era innamorata.
    Ma come si dice: “Fortuna favet fortibus”, che nessuno ha mai capito cosa significhi. Appena tre anni dopo l’ex-invocatrice tornò alla ribalta in una nuova fantastica avventura, che tanto fantastica non era, perchè sembrava un incrocio tra una puntata dei Power Rangers e una sfilata di moda, ma vabbè.
    Yuna, nella sua nuova vita nel gruppo dei Cercasfere che chiamavano sè stessi i Gabbiani, finalmente libera dalle catene che le imponeva il pesante ruolo di invocatrice, diede prova della sua vera personalità arrivando a cantare addirittura in un concerto. Con la serietà e la rigida determinazione impostale dal suo precedente ruolo ormai alle spalle, tentò di vivere un’esistenza più spensierata e libera come Cercasfere. Guidata solo da una labile traccia, cercò Tidus per mari e monti, vallate e città, casini e disastri, tangenziali e sterrati, sempre senza manco una cartina stradale. Con l’aiuto dei suoi amici, impedì allo spirito della persona, da cui gli intercessori, questi sconosciuti, avevano fatto nascere il suo innamorato, di distruggere Spira con un’arma imbarazzante da far schifo, ma noi non facciamo commenti, e riuscì infine a ritrovare lo stesso Tidus, rimasto per tutto il tempo intrappolato in un ostato di veglia tra la vita e la morte.
    Finalmente riuniti, i due cominciarono una nuova vita insieme a Besaid. La loro relazione dura tutt’ora tra alti e bassi.

    “Chiamali alti e bassi!! E poi chi cavolo ha scritto questi riassunti??? Non è andata per niente cosi!!!” grida Tidus, mentre divora la strada che porta all’uscita del villaggio alla stessa velocità di un jet di linea.
    Yuna gli tiene dietro, bombardandolo con una tempesta di piombo: “Maniaco! Maniaco!!””
    “Non è colpa miaaa!!!!”
    “Non raccontare scuse!!!”
    Wakka, che si trovava in quel momento a passare per andare a comprare i soliti due quintali di detersivo per la sua squadra, si ferma a per salutare: “Ehi, ragazzi! Dove ve ne correte cosi presto, ya?”
    Evidentemente non ha compreso la situazione, e infatti finisce travolto e spiccicato per terra come un tappetino da bagno con tante impronte sopra.
    “U-una g-giornata s-storta, y-ya?” rantola, prima di perdere i sensi.
    “Pista! Fate largo! Pista!!!
    Tallonato da presso dalla sua vendicativa fidanzata, il povero Tidus scansa un paio di anziani, evita il dannato cane del villaggio, dribla una coppietta, schiva per un soffio il banco del mercante, salta a piedi pari un ostacolo, salta con l’asta la sbarra, supera un concorrente, ne supera un altro, si porta in prima posizione, taglia il traguardo per primo, ritira la coppa di corsa un attimo prima che Yuna spazzi via tutto con la stessa leggiadria e delicatezza di un bulldozer.
    L’ex-invocatrice, al contrario della sua preda, avanza distruggendo ogni cosa: uomini, donne, alberi, case, Yuna calpesta tutto senza nessuna distinzione; niente si salva al suo passaggio e infatti dove passa non cresce più l’erba.
    “Fermati, porco! Comportati da uomo!” urla dietro a Tidus.
    In tutta risposta, il biondino sfonda il muro del suono: “Preferisco restare vivo!!”
    Ritirando in volata la corona di fiori in omaggio, esce dall’uscita del villaggio talmente in fretta che la foto dell’autovelox viene fuori tutta a striscioline. Yuna si ferma sulla soglia e lo punta con tutte le due le pistole, mentre imbocca a tutta birra la strada per la spiaggia.
    Con tutta l’intenzione di scaricargli addosso due caricatori di munizioni gommate con un Click di Lv1000, prende accuratamente la mira e preme il grilletto, ma da entrambe le armi fuoriesce solo l’irritante suono che avverte del termine delle munizioni.
    “Accidenti!” sbotta, furiosa per quel contrattempo. Alza lo sguardo per vedere dov’è andato Tidus, ma quello ha già superato la curva in cima al crinale, svanendo dalla vista.
    “Accidenti!“ Con l’ultimo improperio, Yuna volta i tacchi e rientra nel villaggio. Cammina impettita a passi svelti, bruttando ed inveendo a denti stretti contro Tidus e la sua mania di andare a caccia di donne, quando di donna nella sua vita dovrebbe essercene solo una, e cioè lei e nessun’altra.
    “E-e’ u-una b-brutta g-giornata, y-ya?” chiede Wakka, che ha appena ripreso i sensi.
    Yuna non si accorge neanche che è lì e lo calpesta di nuovo in tutta grazia, e proprio mentre il suo stivale sta spiegando un concetto difficile al facicone del giocatore di blitzball, una voce conosicuta la chiama:
    “Cos’ha combinato stavolta?”
    Lulu, una donna dalle forme voluttuose e vestita tutto in nero come i suoi capelli e i suoi occhi, si sporge dalla sua capanna. In braccio porta il piccolo Vidinu, ancora traumatizzato per aver ricevuto un nome del genere, ma tanto non sa ancora parlare, perciò chi se ne frega.
    Yuna si volta di scatto e la fulmina con lo sguardo. E’ scossa dai tremiti e le sue iridi mandano lampi. Sembra sul punto di esplodere, ma all’ultimo momento dà le spalle alla sua ex-guardiana e infila a passi rapidi e nervosi la porta della capanna, che divide con il suo ormai condannato a morte fidanzato. Dall’interno cominciano subito a sentirsi rumori di roba che vola da tutte le parti, sopratutto coppe, di Tidus, e palloni autografati, di Tidus.
    Lulu resta a guardare il punto in cui la ragazza è svanita con uno sguardo perplesso, prima di sentire un lamento di agonia proveniente dal basso.
    “Wakka? Che fai lì per terra?”
    “E-e’ u-una b-brutta g-giornata, y-ya?” chiede Wakka, e sviene.

    Tidus si ferma, stanco ed ansimante, vicino alla cascata che precipita di fronte al piccolo ponte di legno sul tragitto tra il villaggio e la spiaggia, per riprendere fiato.
    Anche dopo aver perso di vista la sua inseguitrice, non si era fermato e aveva continuato a correre fino ad essere certo di averla seminata del tutto. Aveva corso fino a farsi saltare una coronaria e ad arrivare pericolosamente vicino ad un infarto, ma nello scegliere tra quello, essere raggiunto da una Yuna in qualche Looksfera o finire vittima della modalità mortaio delle sue pistole, preferiva quello.
    Per dirla tutta, per evitare la sua fidanzata, avrebbe preferito anche lanciarsi in mutande in una fossa piena di cactus dalle lunghe spine e Kyactus incacchiati, però quello aveva preferito non precisarlo.
    Non si sa mai.
    “Uff...uff...ma perchè...” spizzica tra gli ansiti. “Pant...capitano...anf...tutte a me...”
    Spesso, quando una persona non riesce a farsi una ragione di una sventura, tende ad attribuirne la causa alla sfortuna: una forza malefica, che, spinta da motivi imperscrutabili, si accanisce con forza sul corso degli eventi, traviandoli su circostanze sempre peggiori. Questa visione della vita di solito è un modo per togliere da sè stessi il peso della responsabilità; uscire dal ruolo di artefici della propria sventura per calarsi in quelli di gran lunga più rinfrescanti della vittima passiva di un fato ingiusto.
    Tidus sbotta: “Ma che cavolo di discorsi sono????” Sbuffi di vapore a pressione gli escono dalla testa, facendolo assomigliare a una locomotiva dell’800 “Come se fosse colpa mia quello che è successo ieri sera!! Sulla spiaggia c’ero andato a passeggiare!!!”
    Incapaci di accettare le proprie colpe, le persone accantonano senza indugio la logica e, privi ormai dei vincoli della responsabilità, gettano ogni colpa su cause esterne. Non sanno che dalle bugie a sè stessi non nasce altro che ulteriore fonte di avversità.
    “E BASTA!!!”
    Con un borbottio esasperato, il nostro eroe (?) comincia a camminare avanti e indietro alla Zio Paperone: “Cavoli, ma che colpa ne ho io? E’ stato tutto un malinteso! Yuna ha capito male! Io non volevo! Non è colpa mia!”
    Tali persone vivono biecamente delle proprie menzogne, incapaci di accettare la realtà in un altro punto di vista. Senza alcuno scrupolo, falsano la storia in modo da cancellare i propri misfatti e apparire onesti e puri di fronte agli occhi dei posteri. Non sanno che verrà il tempo anche per loro di incontrare il giudizio.
    “FALLA FINITA!!!”
    Tidus sta per sbranare la voce narrante, quando un rumore improvviso attira la sua attenzione.
    “Uh? Che succede?”
    All’orizzonte, in fondo alla strada che porta alla spiaggia, appare un grosso polverone. Curioso, Tidus socchiude gli occhi per capire di cosa si tratta.
    “Sembra che si stia avvicinando...peccato che non c‘ho Focus nella Sferografia; ah, no, quello non c‘entra niente con l‘oculistica...”
    Dopo qualche istante, Tidus comincia a distinguere anche i suoni: un immischio pazzesco di urla, stridii e suoni vari ed eventuali, dal clacson al battere dei bonghi.
    Il ragazzo aguzza ulteriormente lo sguardo, e gli pare di scorgere una figura di fronte al polverone. Gli ci vuole un po’ per riconoscere che è senza dubbio un essere umano, anche se un po’ troppo basso. Sembra che stia correndo, come se qualcosa lo inseguisse.
    “Ma che...”
    Man mano che si avvicina, la figura si fa sempre più definita. Tidus vede che si tratta di un ometto piccolissimo, quasi quadrato, tanto da poter essere scambiato per un comodino. Nonostante abbia la pancia di un bevitore di birra, corre a una velocità soprannaturale, lasciandosi dietro una nuvola di polvere che manco una Ferrari lanciata da una fionda stellare potrebbe fare. Tidus aggrotta la fronte.
    Quel ometto agita una mano in sua direzione, e, a giudicare di come la bocca gli si spalanca, sembra che gli stia urlando qualcosa, ma la distanza è troppa perché possa capire cosa dice.
    Incuriosito, aguzza lo sguardo, peritoneo per vedere da cosa sta scappando quello strano ometto.
    Ed è allora che tutto gli diviene chiaro, compreso quello che il nano cerca di comunicargli:
    “CORRI, DEFICIENTE!!!!”
    Con un moccio lungo come una canna di bambù che gli penzola fuori dal nasone bitorzoluto, con la morte e le lacrime strizza più pura e distillata negli occhi, Doye divora il sentiero come solo chi sta per farsela addosso può fare. L’unica differenza è che lui ha un bozzo sospetto all’altezza del fondoschiena.
    Dietro di lui, un battaglione di Garuda, Dingo, Budini, Viennette invasati, Coni incacchiati, Magnum assatanati lo insegue a spron battuto con intenzioni molto chiare, e nessuna di esse include il “signore ha dimenticato il resto”.
    “OH, MAMMA!!!!” Tidus fa appena in tempo a chiedere aiuto a un genitore e a mettersi a correre che Doye lo affianca.
    “UAAAAH, MA CHE SUCCEDE???” urla, con un branco di Garuda assatanati alle calcagna.
    “MA CHE NE SO!!! IO NON HO FATTO NIENTE!!APPENA SONO ARRIVATO MI SI SONO ATTACCATI ADDOSSO!!!!” gli grida di rimando Doye, trascinandosi dietro un Dingo attaccato a gamba.“MA COME HAI FATTO A FARTI INSEGUIRE DA TUTTI QUESTI?? NON HO MAI VISTO COSI TANTI MOSTRI IN UNA VOLTA SOLA!!”
    “MA CHE CAVOLO DI DOMANDE FAI??? MICA L’HO DECISO IO DI FARMI INSEGUIREEEE!!” E mentre urla questo, il Dingo gli dà un morso cosi forte da fargli vedere tutte le Costellazioni dall’Astrolabio, al Zuzzurro Imperatore con la Clava.
    “QUALUNQUE SIA IL CASO, FILIAMOCELAAA!!!”
    E via tutti e due di gran carriera, pronti al primo periplo di Besaid da duemila anni a questa parte.
    Corsero come pazzi, braccati dagli squadroni di Dingo, poi proseguirono a nuoto nel mare, inseguiti da orde di Sahagin, infine proseguirono in bicicletta, tallonati da un contingente di lucertole motocicliste create per l’occasione. Fu quello il giorno in cui Besaid ottenne il prestigioso record mondiale di Decathlon, ma questa è un’altra storia.
    Alla fine, dopo aver macinato chilometri su chilometri, Doye, spinto in avanti solo dall‘inerzia, si rivolge a Tidus: “Ehi, ragazzo, ho un piano per liberarci di quelle bestiacce”
    Tidus, che ormai sembrava più un morto vivente che un essere umano, risponde con voce lamentosa: “Quello che vuoi...va bene tutto...”
    “Sei sicuro? Probabilmente sarà doloroso!”
    “Sento le voci degli angeli...”
    “Lo prendo per un si! Buona fortuna!” E nel dire questo, gli molla un calcio, che lo fa volare dritto dritto verso l’armata di mostri.
    “BASTARDOOOOOO!!!!”
    E tutto il giorno passò tra queste e altre scene amene. Fu solo quando il sole stava ormai tramontando all’orizzonte che i due riuscirono a far perdere le proprie tracce e a riparare in una caverna nascosta. E’ lì che si trovano adesso, seduti contro la parete rocciosa a riprendere fiato.
    “Anf, pant, anf...” ansima Tidus. “Per fare Blitzball...puff...bisogna allenarsi anche con....anf...le corse, ma con questo...anf...si va alle Olimpiadi...pant...”
    Doye si spruzza in gola con il respiratore per l‘asma: “Aaaaanffff.....puff...voi giovanotti...puff...siete delle pappamolle...anf...gasp...prendilo come....argh...coff...un allenamento aggiuntivo...anf...e non rompere....back...”
    Tidus lo guarda male: “Parla quello che....puff...mi ha usato come diversivo per scappare...anf...e poi...puff..ansimi più di me...”
    “Tsk...argh...cough....sciocchezze...” Doye si fa un iniezione di vitamine, poi continua: “Io...cough...sono scusato...coff...”
    “...Anf...e perchè?”
    “Perchè....coff...pant...sono un...anf...disabile civile....coff”
    “UN COSA????”
    “Proprio cosi...coff...argh...ecco qua...anf...la tessera d’invalidità” E nel dire questo, tira fuori dalla barba un tesserino plastificato.
    Dopo due secondi di attenta osservazione, Tidus sbotta: “Ma questo non sei tu!! Questa è la foto di Stephen Hawkins!”
    “Ero...coff...un po’ diverso...pant,....da giovane...anf...vero?” commenta Doye con un sorriso.
    “MA NON DIRE IDIOZIE!!!”
    Doye fa l’offeso: “Che c’è...coff...non...anf...ti fidi...cough...?”
    “Perchè, si vede?” gli risponde nervosamente Tidus, poi si ferma: “Ehi, aspetta un secondo....ma Tu mi hai usato come esca umana!!!”
    “Perchè...coff...si è visto???”
    “A momenti mi ammazzavano!!! Un Garuda mi ha portato al suo nido e voleva darmi in pasto ai cuccioli!!!”
    “Una nobile fine...coff...”
    “E perchè???” chiede Tidus, confuso.
    “Avresti sorretto...anf...la vita...coff...con il tuo sacrificio” Spizzica Doye. “Quegli aquilotti...coff...si sarebbero cibati...pant...della tua carne,...anf...per essere più forti e volare liberi”
    “Ma che cavolo di discorsi sono??? In pratica dovevo farmi mangiare??”
    Doye alza gli occhi al cielo. “Eeeeh...il ciclo della vita...”
    “Ma lo sai dove te lo puoi ficcare il ciclo della vita?????”
    “Rinnegare il tuo essere parte di un ciclo ti porterà alla rovina, ragazzo” lo ammonisce Doye con fare saggio.
    Tidus comincia a strapparsi i capelli: “Aaaaah, basta, ci rinuncio! Primo quello, adesso questo!! Va bene, hai ragione tu! Hai ragione tu!”
    Uno scintillio di soddisfazione appare negli occhi di Doye, mentre, con un gesto coinvolto, solleva entrambe le braccia e si esibisce nel gesto a doppia V della vittoria: “Il pollo c‘è cascato...missione compiuta!”
    “QUESTI GESTI, SE DEVI FARLI, FALLI ALMENO DI NASCOSTO!!!” Poi, bloccandosi con la bocca larga come una quaresima: “Ehi, aspetta un secondo...”
    Doye si sbraca sul pavimento di roccia e lo osserva scettico: “Ancora?” fa, inarcando un sopracciglio. “Cominci ad essere monotono, biondino, occhio che rischi di essere cancellato dalla storia, eh?”
    “Grrrr...” ringhia Tidus con i denti da vampiro e la bava alla bocca.
    Doye si guarda addosso: “Che c’è? Ho una zanzara sulla giacca?”
    Dopo una breve colluttazione, il nano si convince che si trattava di altro.
    “Ok, mi hai convinto, non parlo più” promette, con un cerotto in fronte, senza metà del lobo destro e con un dente di meno.
    “Era anche ora, eh” Tidus si lascia cadere sul pavimento di roccia con uno sbuffo di rude accondiscendenza, sedendosi a gambe incrociate. Incrocia le braccia al petto e scocca uno sguardo sospettoso al nano: “Ad ogni modo, chi cavolo sei tu?”
    Doye si massaggia una tempia con due dita: “Dimmelo prima tu...”
    “Cosa? Ma se te l’ho chiesto prima io!”
    “E adesso te l’ho chiesto io” Doye si guarda le unghie con noncuranza. “Rispondi alle domande che ti fanno, maleducato”
    Tidus non si arrende: “Ma...ma la domanda l’ho fatta prima io!”
    “Si, ma poi te l’ho chiesta io, perciò ho la precedenza...”
    “Ma quale è il senso di tutto ciò???”
    “Non ti curar di loro, ma guarda e passa...”
    “E questo cos’è adesso???”
    Doye scuote la testa con un sorriso di tenerezza sulle labbra. Dimentica sempre che non tutti possiedono la sua stessa preparazione culturale: “Pirandello, amico...”
    “Vabbè, sia quel che sia!” dice Tidus, deciso a non mollare. “Io non ti dico chi nessuno, se tu non lo dici per primo”
    Doye si soffia sulle unghie. “Qui è lo stesso per me...”
    “E anche per me!!” sbotta Tidus, testardo.
    “Va bene...”
    “Va bene!!”
    “Possiamo anche andare avanti tutto il giorno, se vuoi...”
    “Per me va benissimo!!!!”
    “Contento tu...”
    Tidus tentenna. “C-che significa? In che senso?”
    “Se hai tutto questo tempo da sprecare...” insinua Doye con tono mellifluo.
    “M-ma, se sei stato a cominciare!”
    “Chissà cosa staranno dicendo i lettori a vedere tute queste righe scritte inutilmente...”
    “M-ma...”
    Il povero biondino balbetta, incerto, ma Doye lo incalza inesorabile. “Diranno: -Oh, ma guarda questo qua, come si perde in discorsi senza senso, che diavolo sta a fare in questa storia? La rallenta e basta! Mandiamo un e-mail all’Autore per farglielo cancellare- ecco, cosa diranno. Tu non vuoi essere cancellato, vero biondino?”
    “C-certo che no, m-ma...”
    Doye alza le braccia, in cenno di resa: “Va bene, va bene, io ci ho provato, ragazzo, fà come vuoi”
    “C-che significa? Che c’è?”
    Doye sospira addolorato e scuote la testa: “Se vuoi farti cancellare, fai pure...io non ti fermerò di certo, se questa è la tua volontà...”
    Con un sonoro Creak, Tidus si trasforma in una statua di sale. Al solo pensiero di quel terrificante destino, la mascella gli casca per terra con un tonfo e gli occhi gli schizzano fuori dalle orbite stile Willy il Coyote e un forte colore rossastro comincia a lampeggiargli sulle guance, facendolo assomigliare a un semaforo rotto.
    “VA BENE. VA BENE!!” urla a squarciagola, mettendosi forzatamente seduto sulle ginocchia. Si inchina e dà la testa contro la roccia ripetutamente. “MI SCUSI, NON LO FACCIO PIU’!!! IO MI CHIAMO TIDUS, HO 19 ANNI COMPIUTI DA POCO E FACCIO IL BLITZBALLER!! E’ UN PIACERE PER ME CONOSCERLA, ECCELLENZA!!!”
    Uno scintillio di soddisfazione appare negli occhi di Doye, mentre, con un gesto coinvolto, solleva entrambe le braccia e si esibisce nel gesto a doppia V della vittoria: “Il pollo c‘è cascato...missione compiuta!”
    Tidus ha ancora la forza di ribattere: “TI HO DETTO DI NON FARTI VEDERE QUANDO FAI COSI!!!”
    “Uhm, ma quanto urli...ragazzo” chiede Doye, guardandolo di sottecchi con le braccia ancora alzate. “Tidus, mh? Ho già sentito questo nome, però non mi ricordo dove...ad ogni modo, hai mai pensato di farti vedere da uno psicanalista?”
    Tidus si accascia al suolo senza un lamento.
    Doye lo osserva per qualche istante con fare pensoso: “Uhm, lo prendo per un si...” Batte le mani, poi continua. “Bene, caro Tidan, adesso ti sei guadagnato la possibilità di fare conoscenza con l’illustre sottoscritto!”
    “Mi chiamo Tidus...” ripete, sconsolato, il ragazzo, rialzandosi in piedi.
    Doye si schermisce: “E io che ho detto? Tadan!”
    “Si...” Persa ogni energia, Tidus si limita ad annuire.
    “Vabbè...devi sapere, caro Tiesnan, oggi è per te un giorno molto, molto fortunato!”
    “Davvero? E io che pensavo fosse una giornata orrenda...”
    “...farò finta di non aver sentito, ragazzo...ad ogni modo, anche s enon te ne rendi conto, bacato come sei, oggi ti è stata offerta un’opportunità irripetibile” Una strana luminescenza appare nell’aria. “Perchè oggi, un angelo è sceso per rendere più bella la tua stupida e inutile vita!” Stelline e lucette cominciano a danzare intorno a Doye. In sottofondo si sentono le note soffuse di un coro gospel. “Perchè lo sappiamo tutti che la tua vita è piena di insoddisfazioni e frustrazioni, vero? Beh, non devi più preoccuparti, perchè a partire da questa irripetibile, fantastica giornata cambierà tutto!” Le stelline si riuniscono nella parte alta della caverna e cominciano a piovere, dando luogo a una pioggia di stelle cadenti in uno spazio di quattro metri quadrati. Dal coro gospel comincia a levarsi una voce acuta. “Sei stanco di sopportare tutti i problemi che ti cadono addosso? Non puoi più convivere con te stesso? Da oggi diventerai una persona migliore, perchè da questo momento tu...conosci...il grande...il magnifico...” Doye spalanca le braccia in un gesto teatrale. Il coro gospel sale in un crescendo. Le stelline si avvolgono con le luci e si compattano in un’unica sfera luminosa, che esplode in una bagliore lucente assieme all’ultima nota, in un grande, magnifico, gran finale.
    “DOYEEEEEEE!!!!”
    Le luci si spengono con una pioggerellina di scintille che cade su Doye. Il nano le accoglie con le braccia ancora spalancate, con gli occhi chiusi e un’espressione beata in volto, mentre, in sottofondo, il coro sfuma lentamente fino a spegnersi.
    Tidus, che ha osservato tutto lo spettacolo a braccia conserte, inarca un sopracciglio: “Dove hai comprato tutta quella roba?”
    A Doye spuntano istantaneamente zanne e corna, e i suoi occhi sprigionano lampi di fuoco. “Hai capito almeno quello che ho detto????”
    “Hai detto che ti chiami Doye, no? Mai sentito...”
    Un secondo dopo, Doye è in un angolino a fare cerchietti nella polvere con un bastoncino con tutt’attorno una nuvoletta di depressione con tanto di fulmini.
    “Va bene, scherzavo, dai, non fare cosi” cerca di tirarlo su Tidus, battendogli pacche rassicuranti sulla spalla.
    Recuperato Doye, i due si siedono contro il muro per chiarire le idee. Non che sia possibile, ma di sicuro peggio di cosi non si può.
    “Quindi, fammi capire” esordisce Tidus, scettico. “Tu saresti una specie di angelo?”
    Doye resta per un attimo in silenzio.

    [Flashback]

    Spazio profondo. Il pianeta si avvicina rapidamente. Doye comincia ad intravedere la forma dei continenti. La voce del computer di bordo lo raggiunge per le ultime istruzioni.
    “Gli abitanti dei luoghi in cui sarai inviato non dovranno scoprire che sei giunto da un altro mondo. Le loro storie sono già state indebolite a sufficienza e non possiamo permettere che un intervento esterno le danneggi ulteriormente. Per questo dovrai presentarti come un viaggiatore, un alleato, anche come un angelo se vuoi, hai tutte le carte in regola per presentarti nel modo che preferisci”
    Doye è dubbioso: “Tante grazie, dato che ci stai mi dai pure un motivo perchè dovrei aiutare questi rimbambiti?”
    “Perchè se non ti presenti sotto falso aspetto, quando torni ti faccio a fettine e ti riporto all’Autore come frullato”
    “Sei molto convincente quando vuoi, sai?”

    [Fine Flashback]

    Doye ci pensa un attimo su, poi lo guarda come se fosse pazzo: “E questo dove l’hai sognata, Taderan? Mai detta una stupidaggine del genere!”
    Tidus strabuzza gli occhi. “Ma se l’hai detto prima!”
    “Prima quando?”
    “Prima! Quando....quando hai fatto quella presentazione strana! Prima!
    Doye fa la faccia pensierosa: “Non ricordo...”
    “Aaaah, lascia perdere” Tidus si gratta furiosamente la testa, poi prosegue. “Ad ogni modo che ci sei venuto a fare qui? Non ti ho mai visto ed è tutto dire considerando che st’isola è larga un chilometro quadrato”
    “Beh...”

    [Flashback]

    Spazio profondo. Il pianeta si avvicina rapidamente. Doye comincia ad intravedere la forma delle montagne e delle colline. La voce del computer di bordo lo raggiunge per le ultime istruzioni.
    “E’ importantissimo che tu agisca in incognito! Se spargi ai quattro venti che c’è una minaccia che potrebbe far saltare in aria il loro mondo, quando torni ti passo sulla graticola e ti rimando dall’Autore dentro uno stracchino”
    “Mh? Hai detto qualcosa, rottame?”

    [Fine flashback]

    Doye ci pensa un attimo su, poi risponde: “Sono giunto per contrastare la venuta di una minaccia che potrebbe colpire quest’isola!”
    Cala un velo di silenzio, intervallato dal canto dei grilli acquatici.
    Tidus scruta Doye da capo a piedi: “Non è che hai bevuto qualcosa di strano ultimamente?”
    “CHE C’E?? ???” gli sbraita contro Doye. “SOLO PERCHE’ SONO BASSO, NON POSSO AVERE UN RUOLO COSI??”
    “No, no, non è per quello” si schermisce Tidus, agitando le mani. “E’ solo che...ehm...non dai proprio l’impressione di un tizio affidabile per una cosa del genere...”
    “E’ PROPRIO QUELLO CHE STAVO DICENDO!!! MA CHE VUOI FARE A BOTTE, BIONDINO???” Ormai a Doye è regredito allo stadio di belva feroce. Sputacchia per bene Tidus urlando ocme un pazzo, poi si calma e fa un verso di disprezzo. “Tsè, non ci crede, LUI, si crede un mito, LUI”
    Tidus ha la goccia stile manga: “E’ strano parlare da soli...”
    “Tsè!” Doye gli punta un dito contro, aggressivo. “E allora tu che stavi facendo prima di incontrare l‘illustre sottoscritto, eh? Spazzavi la strada?”
    Il volto di Tidus si adombra, non per un mancamento, ma perchè gli è tornata alla mente la spiacevole situazione in cui si trova.
    “Ecco...” tentenna; non trova le parole. “Ho litigato con la mia fidanzata...”
    “Come? Parla più forte!” incita Doye, con una mano sull’orecchio.
    “Ho litigato con la mia fidanzata...”
    “Che hai fatto??” chiede Doye, allibito.
    A quel punto non ne può più e sbotta, sfondando i timpani a tutti, grilli compresi: “HO LITIGATO CON LA MIA FIDANZATAAAA!!!!”
    “E CHE CACCHIO TI URLI???? HO CAPITO!!! ERA PER DIRE -Eeeeh, ma và?-”
    Tidus distoglie lo sguardo, offeso, e borbotta tra sè: “Se, era per dire...se, se...”
    “Comunque!” Doye tira fuori una pipa dalla barba e se la ficca in bocca. Poi, estrae anche un fiammifero e lo accende sfregandolo contro la roccia con un movimento esperto. In pochi attimi l’odore di tabacco riempie la piccola caverna. “Che hai combinato per farla arrabbiare, ragazzo?” Complice, comincia a dare di gomito a Tidus. “Hai messo gli occhi su qualche altra pollastrella, eh? Racconta tutto al vecchio Doye, dai, e non preoccuparti, la mia bocca sarà una tomba”
    Non che i fatti sentimentali di quel biondino ingenuotto gli interessassero più di una gomma sotto la scarpa, ma, dopo aver preso la botta in testa, il cervello di Doye si era rimesso inavvertitamente in moto e aveva sbloccato vecchie memorie sepolte che potevano tornare molto utili in quel momento. Ci era voluto un bel po’ per ritrovarle: l’omino verde che abitava in una casetta nella parte bassa del cranio aveva dovuto versare parecchio olio sugli ingranaggi arrugginiti, ma alla fine ne era valsa la pena, e una piccola lampadina con le gambe e le braccine, un’idea, era corsa ad informare i piani alti battendo in alfabeto Morse con la scopa contro il soffitto.
    Ricevuta la notizia, uno dei due neuroni non ancora emigrati a Ibiza era corso a suonare la sirena posta appena sotto l’orecchio destro e aveva bisbigliato l’incredibile notizia dentro l‘altoparlante: quel tizio, Tidus, non era un Tailandese immigrato in un videogioco di Giapponesi, come aveva pensato Doye all’inizio; era proprio il protagonista di quella storia.
    Appena era venuta a conoscenza di ciò, la calcolatrice malvagia posizionata al centro del cervello aveva subito iniziato a progettare un machiavellico piano per sfruttare quel fatto a favore del suo ospite: se Tidus era l’eroe protagonista di quel mondo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerlo. Quindi sarebbe bastato dirgli che una grave minaccia pendeva sulla salvezza dei suoi cari e Doye avrebbe anche potuto appendere le scarpe al chiodo e passare una vacanza in spiaggia, tanto ci avrebbe pensato il biondino a risolvere tutto.
    Il progetto era stato ritenuto buono dal geometra del catasto, diplomato a pieni voti con la terza elementare, che supervisionava il lavoro del cervello leggendo il giornale, fumando come un turco e mettendo timbri su tutto quello che gli passava sotto il naso, ed era stato inviato al centro della consapevolezza nervosa, una trombetta, che l’aveva fatto arrivare a Doye.
    Adesso, sicuro di quel piano infallibile, il nano se la ridacchia bellamente sotto i baffi, già pensando se, una volta in spiaggia, prendersi una bevanda di mango o una al cocco, il tutto senza rendersi conto che si è intoppato a fare l’occhiolino alla sua ignara vittima.
    La vittima in questione, Tidus, si allontana di scatto dal nano, metà scandalizzato e metà schifato:
    “Non fare l’occhiolino! Fai impressione!” afferma. “Se Yuna scopre che penso a qualcun altra, ci finisco io dentro una tomba! E poi non la tradirei mai! Cioè, ci sono volute 40 ore di gioco per capirlo, però io le voglio bene!”
    “Se, se...le api, i fiori...conosco la storia...” commenta Doye annuendo con la testa. Poi, vedendo lo sguardo interrogativo di Tidus: “Niente, niente, lascia stare, quando sarai più grande te ne parlerò un po’ meglio...” Fa una pausa per togliersi la pipa di bocca e soffia una nuvola di fumo in faccia a Tidus. “Quindi?
    “Quindi...coff...cosa?” boccheggia, immerso nella nube, Tidus, che non ha mai sopportato il tabacco neanche a vederlo da lontano e adesso gli sono venuti gli occhi rosso sangue e il colorito a pallini azzurri.
    Doye scuote la testa e sospira, rilasciando l’anidride carbonica di una cisterna di Coca-Cola: “Devi sapere, caro Tiduban, che ogni volta che succede un litigio nelle sceneggiature viene sempre messo che la colpa è del maschi. E, conoscendo quel fetente dell’Autore, credo che succeda lo stesso pure adesso”
    Tidus è sbigottito: “Ma che diavolo...”
    “Su, non farti pregare, Tebenan!”
    A quelle parole il ragazzo si piega. “Oh, no, ci stiamo allontanando sempre di più dalla pronuncia giusta...”
    “Il Narratore non intendeva in quel senso, Toad”
    “Uff, beh...ecco...” Tidus sembra titubante. Un vago rossore gli affiora sulle guance.
    “Beh?” lo esorta Doye, ansioso. Quello era solo il primo passo per conquistarsi la fiducia di quel biondino. Magari lo avrebbe anche aiutato a fare pace con la fidanzatina, cosi poi avrebbe fatto quello che lui diceva.
    “Muahahahahah, ma quanto sono cattivo” dice, fregandosi malvagiamente le mani.
    “Uhm, non so se mi piace il suono di quella risata...”
    Solo in quel momento, Doye si accorge di aver parlato ad alta voce.
    “Eh-ehm, no, era la raucedine, dicevamo?”
    “Nessuno crederebbe a una scusa cosi banale...”
    “Tu credici! E parla altrimenti mi appello al sindacato e ti faccio radiare dalla storia!”
    “Quale sindacato?”
    “Zitto e racconta, Tisber!”
    “Uff, va bene...va bene...senti...”
    Doye tende l’orecchio. Già sta preparando una decina di metodi anti-litigio, che gli erano stati consigliati dalla nonna...
    All’improvviso, un urlo di donna risuona all’esterno, interrompendo la discussione tra i due.
    “Che succede?” chiede Tidus, allarmato.
    Doye, con gli occhi iniettati di sangue e un sorriso a 3000 denti appuntiti, si trattiene dal andare a controllare con un randello placcato d’acciaio: “Chi lo sa?” chiede a denti stretti. “Dovremmo, anzi, dovresti andare a vedere, vero?”
    Non arriva nessuna risposta. Tidus è già fuori dalla grotta e sta correndo verso il sentiero, da cui è giunto l’urlo. Doye lo guarda allontanarsi con un espressione seria. Scuote la testa, sospira, poi con fare estremamente cool dice: “Beh, a sto punto non resta che farsi una pennichella”
    Non fa manco a finire di pensarlo che un raggio di luce scende dal cielo e gli si posa sopra.
    “Ti ho puntato con il raggio distruggi-pianeti caricato alla massima potenza, se non gli corri dietro, premo il grilletto” dice la voce familiare del computer.

    [Da “Meraviglie e Stranezze degli Anime, Manga, Videogame e dintorni” del Prof. Dott. Shaktul Noctambulotti]

    CANNONE DISTRUGGI-PIANETI

    Fa male, fa molto, molto male, fa molto, molto, molto male, ma male, male, male, eh?

    Doye è felicissimo di sentirlo, tanto che tre secondi dopo sta correndo goffamente sulla scia d Tidus, mugugnando tra sè e borbottando frasi che non possiamo ripetere a casa della convenzione di Ginevra.
    In lontananza, si sente giungere un canto stonato, ma Doye è troppo impegnato a sfogliare il calendario dei Santi per farci caso.

    Suona chitarra, falli divertire!
    Suona chitarra, non farli mai pensare!
    Suona chitarra mia!

    Suona, chitarra, suona i tuoi accordi!
    Suona più forte, che si diventi sordi!
    Tutto è già passato
    E’ già dimenticato
    E solo chi oggi è buono
    Domani avrà il perdono,
    Il foglio del condono!


    Edited by Mr.Bianconiglio - 6/10/2011, 16:04
     
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    Saltare, ballare, trallallà!

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    Quella voce, la più stonata che si sia mai sentita dal giorno in cui a Godzilla era venuto il pallino della canzone lirica, giungono dalle antiche rovine che fiancheggiano il sentiero, oltre un piccolo dosso che non permette di vedere cosa sesse accadendo di tanto orribile per scatenare tali lamenti.
    Con la sua corsa di blitzballer allenato e spinto dall’urgenza, Tidus distanzia rapidamente Doye e svanisce oltre il dosso in un batter d‘occhio.
    Al nano, invece, occorre un po’ più di tempo: una breve corsa di un‘ora e quarantacinque minuti, costellata di ipertensione, spasmi, sinusite, asma, crisi respiratorie, arresti cardio-vascolari, aerofagia, crampo dello scrittore e gomito della lavandaia.
    “Anf...anf...” ansima, appoggiandosi a una gruccia, una volta giunto sulla cima della china. “Anf..maledetto sentiero...pansh...maledetto sentiero...anf...maledetto sentiero...pant...”
    L’urlo di poco prima si ripete ancora.
    Con le ultime forze, Doye alza la lo sguardo in quella direzione e vede una scena che lo lascia strabiliato, specie perchè si è appena ricordato che deve ancora cambiarsi le mutande dalla corsa con i mostri: una ragazza dai lunghi capelli biondi chiusi in tante trecce giace riversa a lato del sentiero. A Doye non sembra ferita, ma solo incosciente, che può voler dire anche che ha un trauma cranico, ma il nano era assente alla lezione della patente sul primo soccorso e cosi se ne infischia.
    A pochi metri di distanza, Tidus, spada d’acqua alla mano, cerca disperatamente di respingere un gruppetto di strani esseri che lo insidiano da tutti i lati.
    A Doye non sembra che Tidus sia in grave pericolo, ma solo un po’ in difficoltà, che può anche voler dire che sta per soccombere ed essere selvaggiamente massacrato, ma il nano era assente alla lezione di strategia al campo di addestramento in Canada e cosi se ne infischia.
    Quello che lo preoccupano di più sono i mostri contro cui il biondino si è lanciato come uno scemo.
    Dai corpi snelli, completamente neri e attraversati da lunghe righe rosse, con teste piccole e allungate dotate di due paia di antenne, gli esseri osservano il ragazzo con famelici occhi color cremisi, minacciandolo con lunghi arti tentacolari terminanti in artigli dall’aria pericolosa. Tidus cerca di difendersi come può, ma i suoi colpi di spada sono troppo lenti e goffi anche solo per riuscire a sfiorare gli assalitori che, muovendosi con movimenti rapidi ed imprevedibili, ad ogni perfetta schivata lasciano uscire risate di derisione da bocche simili a squarci incurvati pieni di denti.
    “Oh, mamma...” Mai, in tutta la sua vita faticosamente passata ad accumulare saggezza davanti a un televisore, Doye ha visto creature cosi spaventose. Al massimo, un Heartless ogni tanto, quando faceva il doppio con l’Autore a Kingdom Hearts, e già quello bastava a farlo nascondere sotto il cuscino, ma quelli sembrano i fratelli maggiori dei NeoShadow, anzi, i cugini, il che significa che devono essere più forti, più cattivi e più popolari!!!
    Brutta, brutta prospettiva.
    “Qua ci rimetto la pelle, meglio filarsela...” dice tra sè il nano, e già comincia a mettere in atto quel proposito cercando di squagliarsela all’inglese.
    Fa un passo, poi un altro, poi un altro ancora. Si gira per controllare che nessuno si sia accorto di lui, no, per fortuna sono ancora tutti impegnati a cercare di scannare Tidus. Si gira di nuovo e riprende a camminare. Fa un altro passo, sembra che possa farcela, ne fa un altro ancora, ormai è quasi fuori dalla loro visuale, manca pochissimo...poi prende una buccia di banana, scivola e comicia a rotolare per tutta la china come una palla da bowling.
    Sentendo la terra tremare, Tidus e i mostri smettono di combattere ed alzano lo sguardo.
    E lo vedono arrivare, con la stessa velocità e peso specifico di una palla di cannone!!
    “PISTAAAAA!!!”
    Tutti i poveri sfigati presenti sbarrano gli occhi al vedere la morte con la falce salutargli sorridendo e si lanciano ai lati con grida terrorizzate. Solo una delle creature è troppo lenta e finisce investita violentemente e spiccicata per terra come un tappeto persiano.
    “M-ma che diavolo era quello?” balbetta Tidus, finito a gambe all’aria un po’ più in là, con tante palle da blitzball alate che gli girano attorno alla capoccia. Da sotto, qualcosa gli picchietta sulla schiena. Incuriosito, abbassa lo sguardo e vede che è finito seduto su un mucchio di quelle strane creature tutte in vistoso stato cianotico, di cui una delle quali gli fa faticosamente cenno di alzarsi.
    Cosa farà il nostro eroe di fronte a una tale opportunità?
    “Oh, scusate tanto”
    Si alza di scatto e comincia a scusarsi.
    “Ben gentile” gli risponde la creatura con la nonchalance di un agente di cambio, e si rimette in piedi in tutto il suo disarticolato splendore da essere invertebrato.
    Tidus si affretta a scusarsi, imbarazzato: “Mi scusi, non l’avevo proprio vista; è successo tutto cosi in fretta, non era mia intenzione usarla come zerbino”
    “Ma le pare, sono cose che succedono” si schermisce l’essere oscuro, con perfetto self-control all’inglese. “Nessuno, in coscienza, avrebbe potuto prevedere una cosa del genere. No nsi preoccupi, giovanotto, nè il sottoscritto nè i miei colleghi nutriamo alcun astio nei suoi confronti, nevvero, ragazzi?” E nel dire questo, si rivolge al gruppetto di altri esseri, che nel frattempo si erano rimessi in piedi uno dopo l’altro e si stavano sciogliendo le membra indolenzite con alcun esercizi di stretching combinato.
    “Eccome no?” risponde uno, mentre due suoi gemelli cercano di sciogliergli i tentacoli annodati. Il risultato è che finiscono tutti e tre legati come salami.“Stamo na’ bellezza, che ’n se vede?” rispondono tutti e tre in coro.
    La creatura annuisce bonariamente, prima di rispondere a Tidus: “Vede, giovanotto? Tutto risolto. Non c’è bisogno neanche del C.I.D.”
    “Fiuuu, meno male” sospira di sollievo il ragazzo, visibilmente più a suo agio. “Stavo già pensando di aver combinato qualche guaio. Sa, non sembra, ma sono un po’ pasticcione”
    “Si figuri, ma sa che succede anche a me ogni tanto di dimenticare dove ho lasciato i cuori strappati alle persone innocenti?”
    “E chissà come deve arrabbiarsi il suo capo, ahahahah”
    “Ma no, lui si che ha un cuore d’oro, ohohohoh”
    “Questa è carina, ahahahah”
    “TIDUS!!! PIANTALA DI STARE LI’ A DIR CAGATE E VIENI A TIRARMI FUORI DA QUESTA ROCCIA!!!!”
    L’urlo repentino da baritono di Doye riporta subito il biondo ragazzo al proprio dovere, facendolo scattare sull’attenti con tanto di saluto militare.
    “Arrivo, arrivo, arrivo!” grida correndo a tutto spiano lungo il solco lasciato dal passaggio del nano.
    Mentre si allontana di corsa, i tre mostri ancor annodati si avvicinano a quello gentile.
    “Ehi, Lord Pendleton, ma quello chi era?” chiedono con curiosità.
    L’altro sospira: “Un povero ragazzo che si è imbarcato in qualcosa di troppo grosso per lui, pensando che sia solo un contrattempo...”
    Una voce proveniente dalle loro spalle, carica di ilarità, li richiama: “Ohohoh, e orsudunque, signori miei, quanto dovrò attendere ancora?”
    Le tre creature arretrano impaurite, e finiscono in un fosso.
    Lord Pendleton sospira e scuote la tesa: “Ci dia cinque minuti, padrone”. Fa una pausa. Con uno scintillio, un grosso monocolo gli appare sull’occhio destro, seguito da un largo cilindro scuro sulla stretta testolina.
    Tutt’attorno a lui, le creature oscure cominciano a risollevarsi e a strisciare, le lingue che sibilano nell’aria.
    Ua luce scarlatta compare nello sguardo di Pendleton, la stessa che arde negli occhi dei suoi simili. “Il tempo necessario per ucciderli e strappare loro il cuore”
    Alle sue spalle, si ode una lunga risata divertita. Un accordo vibrante di chitarra risuona nell’aria.

    Tidus è incredulo.
    Rotolando con la stessa delicatezza di una valanga che scende giù dagli Appennini, Doye aveva spianato al suolo un paio di alberi, quattro Sahagin, tremila gabbiani e una vecchietta, per poi andare ad infilarsi in una strada con divieto d‘accesso, senza apparente motivo. Nonostante le rimostranze della vecchietta, che aveva inveito parecchio contro la gioventù indisciplinata di questi tempi, mentre veniva caricata in barella su un’autoambulanza, Tidus aveva ignorato il cartello per seguire il tragitto del nano e adesso è lì, ad osservare basito la sagoma a forma di Doye che perfora una grossa roccia che dà sulla cascata ed è talmente buia che anche Superman avrebbe già avvertito i parenti del nano di smettere di sperare.
    “Ma come cavolo hai fatto a finirci là dentro?” chiede, non credendo ai propri bulbi oculari.
    “Sono scivolato, non mi hai visto, che sei cieco?” risponde dall’interno la voce di Doye.
    “Si che ti ho visto, ma certo che sei proprio simpatico, eh? Non è che usi la carta vetrata al posto di quella igienica?”
    “Uff, dobbiamo stare qua a discutere sulla durezza delle mie chiappe ancora per molto o puoi tirarmi fuori?”.
    “Va bene, adesso ti...aspetta un secondo...cosa hai appena detto a proposito...?” Tidus si blocca, poi ci ripensa e scuote la testa. “Nah, meglio non saperlo”.
    “Se, se, come se non si capisse” La mano di Doye spunta dal buco. “Dammi una mano, và”.
    Un attimo di silenzio.
    “Ehm...” Tidus è un po‘ titubante. “E’ una battuta?”.
    “NO CHE NON E’ UNA BATTUTA!! COME DIAVOLO TE NE ESCI CON QUESTE IDIOZIE???”.
    “Ma...la mano che spunta...dammi una mano...”.
    “AGGGRRRR!!! MA PERCHE’ NON HO ACCETTATO QUEL POSTO COME SPALLA DI TOPO GIGIO?? PERCHE??? TIRAMI FUORI E BASTA!!!”.
    “Ok...va bene...” Tidus afferra saldamente la mano del nano. “Non serve mica arrabbiarsi, eh”.
    Dà uno strattone, poi, vedendo che la cosa ha lo stesso effetto di cercare di spegnere della lava con un annaffiatoio, l’afferra con entrambe le mani e comincia a tirare. “Cioè, non si capisce mai quando...ggggnn...parli sul serio...ggnnn...o quando scherzi...puff...“ Mugugna, facendo forza per estrarlo dalla roccia. Tutt’attorno, comincia a radunarsi un folto stormo di gabbiani curiosi.
    “Posso avere il beneficio del dubbio una volta?” Con un sospiro, il ragazzo lascia la presa e si asciuga la fronte. “Uff, niente, non si muove di un millimetro.
    La mano di Doye si chiude a pugno e si agita minacciosamente.
    Tidus decide di farlo bastare come avvertimento. “Ok, ok...” Chiedendosi perchè quella mattina non ha dato retta all’oroscopo e non è rimasto a letto, il ragazzo si spunta sulle mani e si prepara ad un nuovo tentativo.
    La voce di Doye lo blocca: “Un momento!”
    “Che c’è?” chiede Tidus, allarmato. I gabbiani si aspettano un colpo di scena.
    “Non ti sei sputato sulle mani, vero?”
    “Ehm...si?”
    “Ma che schifo!!! Ma dai!!! Ma come cacchio...no, dai, che schifo!! Ma tua mamma ti ha cacciato di casa, per caso?? Che schifo!!!
    Tidus è esterrefatto: “Ma...stavo solo...cercando...io...” balbetta, guardandosi le mani come se fossero imbrattate del sangue di un asilo nido e di fronte a lui ci fosse una distesa di corpi masscarati.
    “Aaaah, ma lascia stare, faccio da solo!” E mentre dice questo, Doye esce con un salto dalla roccia, esegue una perfetta evoluzione nell’aria e atterra a gambe e braccia allargate con mirabile coordinazione. L’arbitro fischia e solleva la bandierina: un nuovo record! E immediatamente i piccioni si scatenano in uno scroscio di applausi e di festa esagerata. Ci sono fischi, applausi, lanci di mutande e chi più ne ha più ne metta.
    “Ehm, Doye? Che diavolo è tutta questa roba?” chiede Tidus, guardandosi intorno un po’ impaurito con i fiori che gli cadono intorno. “Confesso che ho un po’ paura”
    “Zitto e annuisci, ragazzo, fà solo questo e andrà tutto bene” gli risponde Doye a denti stretti, senza smettere di sorridere a sessantaquattro denti e salutare la platea in visibilio, mentre un organizzatore in giacca e cravatta gli mette al collo un medaglione olimpionico.
    Di botto, cinque creature oscure irrompono dal nulla e sbranano sia arbitro che organizzatore, mentre altri cinque loro simili scacciano la folla pennuta facendo roteare dei grossi manganelli e imbracciando scudi anti-sommossa.
    In un batter d’occhio, Tidus e Doye si ritrovano circondati e con le spalle, al muro, anzi alla cascata, con un solo profondo dirupo dietro di loro.
    “Insomma, meglio di cosi non si può, eh? Stupido Autore!!!” Impreca Doye.
    E subito la cascata viene Misteriosamente colpita da un’antica maledizione azteca e si trasforma in un lago di olio a cottura lenta pieno di tanti bei demonietti in attesa, brutti come la fame e armati di forconi e oggetti cuneiformi dal dubbio utilizzo.
    “Oh, cavolo” commenta Tidus, e si tira su i pantaloni con foga.
    Doye potrebbe aggiungere un motto di saggezza alle sue parole, una stretegia, ma è troppo impegnato a bestemmiare in Turcomanno per farlo; il rating non ci consente di tradurre e di dormire tranquilli ,perciò non lo faremo.
    “Come immaginavo....cinque minuti saranno più che sufficienti...”
    Stretti tra le creature e il dirupo, Doye e Tidus vedono i mostri farsi da parte per permettere il passaggio a quello che sembra apparentemente essere il loro capo. Leggermente più grosso dei suoi simili, con un grande cilindro in testa e un monocolo sull’iride destra, Lord Pendleton avanza con un portamento nobile e disinvolto. I suoi movimenti sono calmi e i passi misurati, e ciò lo rende decisamente più spaventoso rispetto ai suoi frenetici compagni.
    Si ferma a pochi metri dai due sfigati, osservandoli per alcuni lunghi istanti con uno sguardo indecifrabile.
    Questo, ovviamente, prima di beccarsi una sassata in testa e finire a gambe all’aria come i popcorn nella padella.
    “Che cavolo ti guardi, mollusco?” sbraita Doye, già con un altro sanpietrino in mano. “Che c’è? Vuoi fare a botte? Eh? Dì un po’, vuoi fare a botte?”
    “Ehi, Doye? Non potevamo parlarne prima?” commenta Tidus, osservando con crescente preoccupazione gli esseri che li circondano cominciare a schiumare bava dalla bocca e a brandire taser con fare minaccioso.
    In tutta risposta, Doye si mette un dito nel naso e comincia a spostare i mobili: “Tsk, per questo il mondo va a rotoli, voi mocciosi non avete più coraggio! E poi, guarda! Lo stanno rimettendo già a nuovo!”
    In effetti, al vedere il proprio capo finire knock-out, gli esseri oscuri erano accorsi per soccorrerlo. Due di loro, con dei cappelli da infermieri, arrivano di corsa portandosi dietro una cassetta del pronto soccorso, e in quattro e quattr’otto, Pendleton è di nuovo in piedi, con un cerotto in fronte.
    “Ohibò! Dove eravamo rimasti? Temo di aver dimenticato quello che stavo facendo” dice il nobile, cosi, nonostante gli urli di Doye che gli dicevano che lui di mestiere faceva l’equilibrista sulla gabbia dei leoni con un pianoforte in mano, gli esseri oscuri lo ragguagliano rapidamente sulla situazione, aiutandosi con abbondanti dosi di mimica, una lavagnetta magica e tanta buona volontà.
    “Oh, ma certo, ma certo” esclama il nobile alla fine. “Stavo per introdurmi ai nostri inattesi ospiti, nevvero?” Con audaci passi da equilibrista, Pendleton storna a rivolgersi ai due: “E’ un vero piacere per l’umile sottoscritto conoscere due Cuori residenti su questa magnifica isola”
    “Il piacere è tutto tu...ehi!” inizia a dire Doye, ma Tidus gli dà una gomitata prima che finisca la frase, beccandosi in cambio un colpo di badile sulla cervice.
    Pendleton alza un sopracciglio, ma prosegue: “Lasciate che mi presenti, il mio nome è Pendleton e sono riconosciuto come un Lord tra la mia gente”
    “Mi presti 3000 Euro?” chiede Doye prontamente.
    “Oh, ma certo” Pendleton fa già per tirare fuori il libretto degli assegni, ma una delle creature gli dà una gomitata. “Oh! Giusto, giusto! La mia solita sbadataggine! Stavo quasi per cascare nel vostro audace tranello, messer nano, ohohohoh”
    Doye schiocca le dita per l’occasione perduta, quando Tidus gli si accosta e gli sussurra sottovoce: “Questi adesso ci fanno secchi e tu gli vai a chiedere 3000 Euro?”
    “Quando sarai più grande, imparerai che ogni occasione è buona per provare ad accattonare qualcosa, caro Tiduwan”
    Tidus sospira, afflitto: “Sicuro...com’è sicuro che ci stiamo allontanando sempre di più dal nome originale...”
    “Eh-ehm...”
    Il tossicchiare di Pendleton richiama la loro attenzione.
    “Ah, giusto ci stava questo che stava parlando”
    “Oh, cosi va molto meglio” esclama con un cortese assenso l’essere oscuro. “Come vi dicevo, il mio nome è Pendleton e sono un Lord tra la mia gente”
    “Questo l’hai già detto..” commenta Doye, ma nessuno se lo caga.
    “La tua gente? Cioè, intendi questi...questi mostri?” chiede Tidus con una lieve punta di disprezzo misto a disgusto, pistacchio ed amarena, mentre tiene sott’occhio una delle creature che gli era avvicinata troppo e gli sibila contro.
    Pendleton ride: “Ohohohoh, mostri? Questa non è una definizione che ci fa onore, signor Tidus. Non dovrebbe essere cosi avventato nel saltare subito a giudicarci”
    Al sentire quella creatura parlare in quel modo, il ragazzo sbianca: “Come...come sai il mio nome?” chiede, senza fiato.
    “Ohohohoh, glielo ho detto, signor Tidus” Pendleton si porta le lunghe braccia dietro la schiena e agita la testa prima da una parte o poi dall’altra, come per seguire una melodia che solo lui può sentire. Resta cosi per qualche istante, prima di stopparsi di botto e fissare uno sguardo penetrante sul ragazzo: “Non ci sottovaluti, non lo faccia mai. Noi sappiamo molte cose, noi siamo coloro che nascono dalle Tenebre più oscure, noi siamo gli Abissali e i Messaggeri dell’Oscurità”
    Uno scatto cosi veloce da essere impercettibile, e le braccia di Pendleton sono allargate in un enorme abbraccio al nulla. “Si ricordi di noi, signor Tidus, si ricordi il nostro nome...noi siamo gli Heartgear!”
    Ipnotizzato, Tidus lo osserva e ascolta le sue parole, mentre sente una morsa crescente afferrargli il cuore e decine di domande riempirgli la testa.
    Heartgear?
    Non ne aveva mai sentito parlare, eppure vederli adesso, in quella situazione, sull’isola in cui abita, glii procura un senso di familiarità. Non capisce da cosa provenga, ma di una cos aè certo: è sicuro di aver già sentito quei discorsi, come se quella scena non fosse altro che il ripetersi di qualcosa già accaduto in precedenza.
    Incapace di darsi una risposta, solleva lo sguardo verso Pendleton, nell’istintiva speranza che continui a parlare e dipani i suoi dubbi, ma le sue speranze non trovano conferma. L’essere sembra divertito dalla sua confusione e nessuna spiegazione esce dalla sua bocca piena di denti. Muove invece un dito, e gli altri Heartgear cominciano a stringere l’accerchiamento. Tidus li osserva, sa che se non fugge lo prenderanno, eppure non sente l’impulso di fuggire nè di reagire. Ha l’impressione di vedere tutto quello che sta succedendo un punto lontanissimo. Vuole solo restare lì, in silenzio, e continuare a vedere, per avere risposte e sentire la propria curiosità appagata.
    Poi, di botto, un sasso becca Pendleton in fronte e lo spedisce di nuovo a far conoscenza con Babbi l’Orsetto dei Sogni.
    Tidus si riscuote e si guarda intorno, spaesato.
    Che stava facendo? Perchè si era bloccato in quel modo?
    “Ragazzo! Che stai facendo?? Che cavolo ti blocchi in quel modo???”
    Una mano lo afferra rudemente per il colletto e lo spinge verso il basso. Tidus si ritrova a fissare il grugno duro di Doye.
    “Ehm...sono domande che mi ero appena fatto, se vuoi saperlo...” risponde senza fiato, cercando di non soccombere sotto il fiato pestilenziale del nano.
    “Eccerto! Per questo te le ho fatte! Sennò chi ti diceva niente? Parevi Freddy Mercury quando cantava! Un drogato! Mi bastava chiamare la Buoncostume e vedevi come ti facevano svegliare loro!” Con un gesto brusco, il nano lo lascia tornare all’aria pura e si volta versoil gruppetto di Heartgear accorsi a riincerottare il contuso Pendleton.
    “Ehi, voi, macchie d’inchiostro con le gambe!” esclama, puntandogli contro un dito tozzo come quelli dello Yeti. “Non so che cavolo siate, e manco mi interessa, ma guai a voi se vi mettete a fare il lavaggio del cervello a sto moccioso! Prima devo sfruttarcoff-coff, poi potete farci quello hc evi pare, pure usarlo come ramazza nelle stalle, capito??”
    Al sentire le parole del nano, Tidus non sa se sentirsi commosso o avvilito.
    Ci pensa su un attimo, poi opta per l’avvilimento.
    E si appunta mentalmente di capire cosa c’è dietro quel coff-coff, che è sospetto.
    Il povero Pendleton, con una contusione lacero-contusa nella parte occipitale del cranio, si ripiglia abbastanza per fare una domanda: “Ohibò, ma chi è lei, nano?”
    “Io non sono un nano!” sbotta Doye, facendo arretrare gli Shadowgear con la sola furia della sua voce . “Io sono Doye! Altro che voi mezze calzette, è il mio nome che va ricordato! Avete capito, schiappe?” Mentre delira, una cascata di scintille e stelle filanti lo avvolge. “ Che siate poveri, ricchi, giovani, vecchi, belli, brutti, maschi, femmine, c’è solo un nome che dovete sempre ricordare ed è quello dell’illustre sottoscritto: Doye!!!” Le stelle filanti esplosero in lampi di miriadi di colori, lasciandosi dietro scritte di luce che inneggiavano a quel nome. Doye puntò gli indici contro gli Shadowgear, visibilmente terrorizzati dalla performance. “E voi, ricordatevelo sempre e comunque, non dovete chiamarmi nano, dovete chiamarmi signor nano!!!!”
    E nel dire questo, fa il segno delle pistole che sparano con entrambe le mani, e subito un esplosione di polvere rossa detona dietro di lui, innalzandosi verso l’alto con un ruggito di orgoglio e determinazione.
    Passa qualche secondo. Nessuno si muove.
    Cala un silenzio attonito. Si sente solo il fischio del vento.
    “Wow” commenta Pendleton, sinceramente impressionato. “Ammazzateli entrambi”
    Ruggendo come leoni con l’ulcera, tutti gli Shadowgear si lanciano su Doye Tidus come un’unica creatura, gli artigli tesi in avanti e rilucenti di luce minacciosa.
    Doye è ancora fermo con indici e pollici sollevati, e li osserva venire come un automobilista con la macchina rotta che si è appena accorto di essere fermo sulle rotaie, proprio mentre il treno, per una volta, sta arrivando in orario.
    “Oh, cacchio...” commenta, per poi essere travolto da Tidus, un attimo prima che un artiglio tagli l’aria nel punto in cui si trovava la sua testa.
    Entrambi finiscono aggrovigliati nella polvere e rotolano per un bel pezzo, prima di andare ad impattare contro il guardrail sul ciglio del burrone.
    “C‘è mancato un pelo, dannazione! Quei cosi sono pericolosi!” esclama Tidus rimettendosi in piedi per primo. Sguaina la spada e si prepara a fronteggiare le creature che stanno già correndo verso di loro. “Ehi, Doye, stammi a sentire, dobbiamo fare un azione di gruppo, allora tu...” comincia, ma purtroppo nessuno seppe mai quello che voleva dire, perchè gli arriva una sassata tra capo e collo.
    “Ohè! Che sono sti modi?? Ma che non sarai pure un po’ di recchia, tu, eh?” sbraita Doye. Fa per rialzarsi di botto e dà una craniata allucinante al cartello -vietato buttarsi-.
    “MA CHE CAVOLO FAI??” sbraita Tidus di rimando, con la lacrimuccia e un bernoccolone a forma di Tour Eiffel che gli si sta formando sulla capoccia. “E CHE CACCHIATE DICI?”
    Invece di rispondere, con un bozzo in fronte a forma di Colosseo, Doye gli fa freneticamente cenno di guardare in avanti: “Lascia perdere, ma non te ne dimenticare, che sta cosa è preccupante, e pensa a qualcosa di carino da dire a quelli!”
    Tidus si volta e sbarra gli occhi nel vedere la banda di Shadowgear caricarli armati di artigli e zanne, oltre che di pessime intenzioni.
    “AAAAAARGH!!!!”
    Con un urlo di terrore che farebbe cagare addosso Munch, lui e Doye cominciano a scappare talmente veloce, ma talmente veloce, che se qualcuno avesse telefonato mentre correvano, il centralino li avrebbe dati come non raggiungibili.
    Corrono talmente veloci che gli Shadowgear devono noleggiare un paio di motociclette con il sidecar per correre loro dietro, dopo averle truccate con il motore di una Ferrari 7000.
    “Aspetta, aspetta, aspetta, aspetta, aspetta un secondo” grida Tidus, mentre percorrono il sentiero alla velocità media di 440 Km/h. “Ma che fine hanno fatto tutto quel discorso su loro che erano delle mezze calzette e non potevano niente contro il grande doye?”
    Doye risponde, ma non troopo forte per colpa del fiatone: “Tranquillo, ragazzo! E’ tutto sotto controllo! Questa è solo una...ehm...ritirata momentanea...”
    “HAI FATTO EHM!! BUGIARDOOOO!!!!”
    Nonostante l’elevata velocità, i due, salvati dal decollare per la Polonia dalla legge universale della trama, si trovano la strada sbarrata da un nuovo gruppo di creature. Gli Shadowgear osservano la scena, perplessi; qualcuno sfoglia il copione, in cerca di indizi, ma tutti hanno tanti punti interrogativi sulla testa.
    “Prendete quei due figuri, dormiglioni!” grida Lord Pendleton, e subito gli Shadowgear assumono un’aria decisa. Dopo qualche secondo di confusione, ecco che una fitta barriera di esseri nerastri blocca completamente la strada.
    “Cavoli! C’hanno fregati!” Si impanica Tidus, vedendo ogni via di fuga ormai bloccata. “Che facciamo adesso?”
    Doye sogghigna: “Ehehe, ti ricordi quando ho parlato del fatto che loro erano solo mezze calzette al mio confronto, Tirezan?”
    “Te l’ho ricordato io 10 righe fa...”
    “Hai fatto bene! Perchè adesso è giunto il momento di farlo capire anche a loro!”
    Senza nessun preavviso, Doye colpisce il terreno con il palmo aperto, e con quel gesto improvviso, una nube di polvere esplode tutt’attorno a lui, espandendosi rapidamente. Colto di sorpresa, Tidus si copre il volto con un braccio.
    “Orsù, che succede?” domanda Pendleton, un attimo prima che anche lui e i suoi accoliti vengano investiti dalla nube.
    La visibilità si azzera quasi totalmente e tutti quanti attaccano a tossire, ma, attraverso le lacrime che gli offuscano gli occhi, Tidus riesce comunque a vedere che gli Shadowgear barcollano nella nube come formiche perdute.
    Subito intuisce il piano del nano!
    Creare un diversivo e poi attaccarli e sgominarli nel momento in cui sono del tutto indifesi!
    Annuisce con un sorriso. Che sciocco era stato a non fidarsi!
    Quel piano era un’idea geniale e li avrebbe tolti dai guai. Stringe la spada, risoluto. Il minimo che poteva fare per espiare la sua mancanza di fiducia era aiutare il nano nell’abbattere quei mostri.
    Pronto a scattare verso lo Shadowgear più vicino, fa un passo in avanti, ma proprio in quel momento la polvere si posa e la visibilità torna normale.
    “Eh?”
    Tidus si guarda intorno, ricevendo un’ondata di sguardi interrogativi da Pendleton e compagnia.E’ tutto esattamente come prima.
    Poi si guarda a lato. Doye non c’è più.
    “E’ SCAPPATO!!!! BASTARDOOOOO!!!!” urla Tidus, scappando a razzo da una mandria di Shadowgear imbufaliti. Inseguito e inseguitori si lasciano dietro simpatiche scie di polvere e di fuoco e cominciano a fare su e giù correndo come pazzi.
    Dalla posizione sopraelevata di una cunetta, Pendleton osserva la scena con aria meditabonda: “A quanto pare, quel messere rumoroso se ne è andato...” Annuisce pacatamente. “Molto bene, forse non sarà necessario riferire questa intrusione imprevista al padrone. A questo punto è solo una questione di tempo” Vede Tidus tirare un calcio a uno Shadowgear, che gli aveva morso un piede, e spedirlo in orbita. “O forse no...”
    Medita cosi tra sè, quando qualcun gli picchietta sulla spalla.
    “Che succede, mio buon amico?” chiede, girandosi a guardare un altro Shadowgear.
    L’essere oscuro sembra visibilmente a disagio; si tortura i pollici e lancia di tanto in tanto occhiate preoccupate dietro di sè. “Ehm, come avevate richiesto, l’abbiamo portata da voi, Lord”
    “Molto bene, molto bene” commenta Pendleton, passando lo sguardo sulla ragazza svenuta portata in lettiga da altri due Shadowgear. “Fate in modo che non fugga, ma, mi raccomando trattatela con gentilezza”
    “Ehm, sarà fatto, ehm, Lord...”
    Pendleton inarca un sopracciglio inesistente: “C’è qualcosa che non va, mio caro amico?”
    “Ehm...” Lo Shadowgear sembra titubante. “Vede Lord, c’è questo tizio dietro di me che mi inquieta un po’” dice, indicando Doye vestito di nero, con un paio di occhialoni rossi e un cappello con quattro tentacoli di stoffa, che fa l’indifferente, cercando di mimetizzarsi tra i mostri.
    Pendleton ha la goccia stile manga: “In effetti tutto ciò è un po’ strano...” Un po’ a disagio, si sistema il monocolo sull’occhio. “Scusami! Mio buon amico!”
    Sentendo chiamare, Doye si guarda prima a destra, poi a sinistra, poi si indica. “Dice a me, dottore?”
    “Si, perdona la mia maleducazione” Pendleton lo indica, ancora un po’ scosso. “Quale è il tuo numero di riconoscimento?”
    “Il mio numero?” Doye solleva le sopracciglia e fa un sorriso pieno di charme.
    Poi comincia a correre.
    “OK! PIANO FALLITO!!!!”
    “Prendetelo!” grida Pendleton indicandolo freneticamente.
    Stupefatti dal geniale travestimento di Doye, gli Shadowgear reagiscono troppo lentamente. Si muovono al rallentatore, tipo Matrix, e il nano sfreccia tra di loro, andando a sbattere per caso contro la ragazza che ancora riposava.
    I due portantini, colti di sorpresa, non oppongono resistenza abbastanza in fretta da impedire alla barella di rovesciarsi e cosi Doye finisce per trascinarsi dietro la giovane priva di sensi
    “IAAAARGH!!!” grida il nano, facendole da materasso per tutti i sassi sulla cunetta.
    Tutti e due, il nano, in condizioni pietose, la ragazza, in perfetta forma, finiscono sulla traiettoria di Tidus, che inciampa sulla faccia di Doye e finisce pure lui per terra.
    “Ohè, ma che sta diventando un abitudine?” sbotta il nano, con un’impronta di scarpa che gli va dal naso all’orecchio.
    “Doye! Ma allora no neri scappato! Era tutta una strategia per salvare questa ragazza!” esclama Tidus al colmo della sorpresa.
    Doye fa una faccia interrogativa: “Quale ragazza?” Poi la vede, riversa accanto a sè. “Ah...Se, se, proprio quello...vabbè, finiamo in bellezza, và” dice, e si piega a mò di cavallina. Proprio in quel momento arrivano tutti gli Shadowgear, troppo lanciati per fermarsi, e succede una carneficina. Tutti finiscono contusi o lacerati a lamentarsi per terra.
    “Ehi! Bel colpo!“ Esclama Tidus, prendendo in braccio la ragazza.
    “Modestamente...adesso però filiamo! Passiamo per la strada!”
    Mentre dice cosi, tutti gli Shadowgear rimasti bloccano il sentiero.
    “Sciocchi! Fermateli! Hanno preso la ragazza! Hanno preso la ragazza! Fermateli!” grida Pendleton, mentre carica con il resto del drappello.
    Doye ci ripensa: “Ok, come non detto! Torniamo indietro!”
    Lui e Tidus voltano i tacchi e tornano precipitosamente sui loro passi, ma il dirupo sbarra loro la strada.
    “Che scena scontata...” commenta il nano, osservando l’acqua che scorre tumultuosamente una ventina di metri più giù.
    “Qualche altra idea?” chiede Tidus con un sorriso, mentre Pendleton e compagnia si fanno sempre più vicini.
    Doye ci pensa su per un attimo: “Uhm, si potrebbe passare dal...AAAAARGH!!!!” non finisce la frase, perchè Tidus lo afferra e, insieme a lui e alla ragazza, si getta nel dirupo, svanendo nel fiume sottostante.
    Beffato, irato per essere stato beffato, incacchiato per aver capito di essere stato beffato, Pendleton sbatte il piede violentemente a terra: “Poffarbacco!! Sono riusciti a salvarsi!”
    Un eco di una voce di un certo nano lo manda a quel bel paese, poi no nsi sente altro che il fragore delle acque.

     
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  9. Nyxenhaal89
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    Ahimè non sono molto portato a commentare oggi: in generale dico che sono entrambi bei capitoli, ma un po' lunghetti da leggere assieme x)
    Tidus è stato proprio ridicolizzato, ohibò X)
    E ora....? D:

    attendo il prossimo
     
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    Un grazie a Nyx (vecchio furfante, Tidus DEVE essere ridicolizzato, se lo merita) per la recensione e un grazie a tutti coloro che leggono questa piccola storiella.
    Gommenasai Gozaimasu. *si inchina*
    Proseguiamo. :wosd:

    Fermo sul ciglio del dirupo, con una luce irata negli occhi cremisi e i lunghi artigli chiusi a pugno, Lord Pendleton muove con rabbia lo sguardo sullo scorrere ribollente del fiume sottostante, maledicendo sè stesso per essersi fatto beffare in quel modo cosi scontato da due mocciosi con ancora il puzzo del latte addosso.
    Anche se, ci ripensa, il nano sapeva di qualcos’altro, di cui preferiva non ricordare nulla, ma quello era un altro discorso.
    I suoi sottoposti si accalcano come formiche sul ciglio del burrone, e il Lord li osserva accigliato, mentre agitano smarriti da una parte all’altra le teste munite di antenne.
    “Quale è il problema, Alfonso?” chiede, anche se già conosce la risposta.
    Alla sua chiamata, uno Shadowgear con una coppola in testa si stacca dagli altri e barcolla fino a lui: “Miii, l’acqua cancellato ha ogni odore, boss” afferma l’essere con uno spiccato accento siciliano, lisciandosi un paio di folti baffoni. “Nun pozziamo seguirli per adezzo, i ragazzi non sanno da che parte andare”
    Pendleton sbuffa: “Lo supponevo, mio mafioso amico...a questo punto ritengo che il provvedimento più adeguato a questa situazione sia inviare il nostro esploratore migliore lungo la corrente del fiume per localizzare l‘oggetto delle nostre preoccupazioni. Provvedi immediatamente, Alfonso.”
    “Miii, questa si che è una buona idea, boss! C’avevo pensato pure io, però Jonnhy dice che c’ha paura dell’acqua e non c’è verso di smuoverlo” E nel dire cosi, il siciliano indica uno Shadowgear abbracciato come un koala al tronco di una palma, con altri tre suoi simili che cercano inutilmente di staccarlo armati di piedi di porco e cacciacopertoni.
    Pendleton osserva per un attimo la scena pietosa, poi prende coraggio e ci riprova: “Capisco...e il nostro secondo migliore esploratore?” chiede, speranzoso, ma sempre mantenendo un perfetto self-control.
    Alfonso non risponde; si limita ad indicare l’altro Shadowgear, stavolta abbarbicato alla radice sporgente della palma, con una fila di altri esseri oscuri che cercano di staccarlo tirandolo per i piedi.
    Con la testa abbassata in segno di sconfitta, Pendleton ha un sospiro di avvilimento: “Beh, immagino che sarebbe davvero poco cortese costringere questi signori ad avere a che fare con un elemento da loro cosi odiato, nevvero?”
    “Nun sarebbe carino per niente, boss” dà l’assenso Alfonso con fare da saggio.
    “Benchè si trattasse di una domanda retorica, mio meridionale amico, devo prendere atto della cosa. Per cortesia, dai ordine che vengano inviati...”
    Le parole muoiono in gola al Lord, nel vedere una figura apparire sulla sommità del crinale. Immediatamente, come richiamati da una voce invisibile, tutti gli Shadowgear sospendono la loro attività frenetica e volgono gli sguardi verso quel unico essere, che, lentamente, sta camminando verso di loro. Cala un silenzio di pesante tensione.
    La figura avanza tranquilla, ogni passo scandito dalla rilassatezza di chi sta compiendo una semplice passeggiata in un parco. Gli Shadowgear fuggono rapidi al suo passaggio e, assiepandosi ai bordi del sentiero per non intralciargli il passo, lo osservano con timorosa soggezione; come cani di fronte all’arrivo del padrone, stanno attenti anche a non sfiorare i bordi del suo impermeabile grigio. Mentre anche Alfonso si dà a una prudente ritirata, solo Pendleton resta ad attenderlo, il mento sollevato e un espressione indecifrabile sul viso quasi privo di lineamenti.
    “Allora, Lord?” chiede la figura, e la sua è una voce di giovane uomo, colma di arroganza ed irrisione. “Come dunque procede codesta caccia ai topi? E’ fonte di tedio per la vostra buona persona a causa della sua elevata semplicità oppure la vostra rete è colma di buchi da cui i pesci sfuggono rapidi?”
    L’uomo accompagna il suo pomposo discorso con svolazzanti gesti del braccio, come un attore che declama un monologo in platea, per poi terminare portandosi il pugno chiuso all’altezza del petto e inchinandosi lievemente in avanti con un largo sorriso, in una derisoria parodia di inchino rivolta allo Shadowgear.
    “Padrone...” sospira Pendleton, abbassando il capo. “Questo vostro atteggiamento irrisorio nei miei confronti è per me fonte di grande depressione”
    Al sentire quelle parole, il sorriso sul volto dell’uomo svapora lentamente, sostituito da un‘espressione di apparente sorpresa: osserva la creatura d’ombra in silenzio, dando l’impressione che stia cercando un modo per dire qualcosa, ma poi, uno scatto improvviso d’ilarità lo coglie e scoppia in una risata sguaiata. Tutt’attorno gli Shadowgear si agitano, inquieti, ma basta un sibilo accennato da parte di Pendleton per riportare immediatamente l’ordine.
    L‘uomo non sembra curarsi di ciò e continua: “Andiamo, Lord! Non ti facevo cosi permaloso!” grida, la voce spezzata dalle risate. Picchia con la mano aperta sul cilindro di Pendleton, divertendosi a farglielo sprofondare sempre più sul viso ad ogni colpo. “Toc toc?” gli chiede. “C’è qualcuno in casa? O è tutto vuoto come sembra?”
    Pendleton assentisce, imperturbabile: “Si, mio signore...”
    L‘uomo si piega in avanti e lo osserva dritto negli occhi, gli occhi sprizzanti ilarità. “Ah? Si, signore? Si, signore cosa? Che c’è qualcosa dentro la tua piccola testolina o che è tutta vuota?” chiede come stesse parlando con un bambino stupido.
    Un brivido sembra percorrere la massa di Shadowgear che affolla tutta la zona circostante: le creature appaiono combattute, alcuni aprono e chiudono gli artigli ritmicamente, altri snudano le zanne, eppure nessuno osa muoversi.
    “C’è qualcosa, padrone...” risponde Pendleton, con freddezza.
    “Ah, si?” chiede l’uomo, con il tono carico di derisione. “E se c’è qualcosa, forse riesci anche a ricordarti quali erano gli ordini, vero? Dai, se ti sforzi ce la fai, lo so”
    Benchè il cappello sia calato fino a coprirgli gli occhi, la risposta di Pendleton è ferma e decisa: “Controllare il perimetro circolare circostante il luogo dell’operazione in un raggio di 1.5 chilometri, impedire a qualsiasi essere vivente di penetrare nel perimetro, cacciare ed eliminare ad ogni costo tutti gli intrusi, evitare assolutamente ogni tipo di fuga di notizie fino al completamento dell‘operazione. Questi ordini hanno precedenza assoluta e devono essere portati a termine.”
    Con una mano sull’orecchio, l’uomo ascolta tutto assentendo esageratamente e ostentando falsa soddisfazione. “E...?” chiede alla fine, quasi deluso. “Non manca qualcosa...?”
    Per la prima volta, il Lord Shadowgear ha un’esitazione: apre la bocca e la richiude subito dopo, in difficoltà.
    “E...?” lo incalza l’uomo, gongolando del turbamento dell‘essere oscuro.
    “E....” Pendleton deglutisce. “Trovare e ricondurre alla base...Lei...” scandisce con fatica, le parole che gli cadono di bocca come barre di piombo.
    Lo stesso disagio si ripercuote su tutti gli Shadowgear presenti, che, al solo sentire quella frase apparentemente cosi innocua, arretrano, quasi temessero di vedere qualcosa di spaventoso calare su di loro da un momento all’altro.
    “Molto bene! Molto bene!” Lontano dal turbamento generale, l’uomo applaude vigorosamente, un ghigno dipinto sul volto. “E’ strano, ma alla fine anche uno scarto come te riesce a ricordare le cose più semplici” Con noncuranza, si appoggia le mani sui fianchi e squadra il suo sottoposto con divertita sufficienza. “E quindi...? Adesso cosa bisogna fare...?”
    Ancora scosso, Pendleton si limita a chinare il capo in un titubante segno di obbedienza: “Li troveremo, padrone”
    “Eh, me lo auguro, me lo auguro, caro il mio mostriciattolo...” L’uomo scuote la testa e sospira, un largo sorriso stampato in volto. “Me lo auguro...per te...” Nel pronunciare le ultime due parole, il suo sguardo dorato sembra brillare per un istante di una sfumatura indecifrabile; passa veloce e scompare con la stessa rapidità con cui è apparsa, ma non abbastanza per sfuggire a Pendleton, che vi scorge una tacita minaccia.
    “Sarà fatto, padrone” ripete, riprendendo il controllo delle proprie emozioni e della propria voce.
    Quasi non l’avesse sentito, l’uomo gli volta le spalle e, in completa disinvoltura, comincia a tornare da dove è venuto.
    “Lo spero per te...Lord!” dice allegramente, agitando una mano dietro di sè a mò di saluto, con il lungo impermeabile che gli ondeggia leggero sulla schiena.
    Pendleton lo osserva andare via in un silenzio pieno di dubbi. Per un lungo attimo, lo Shadowgear si ritrova combattuto tra un impulso istintivo e la decisione dettata dalla ragione. Turbato, soppesa i dubbi che lo attanagliano, per poi prendere una decisione.
    “Padrone!” chiama a gran voce, attirandosi gli sguardi generali.
    L’uomo si ferma. Benchè non accenni nemmeno a voltarsi, la sua voce giunge decisa in risposta: “Cosa vuoi?”
    Pendleton digrigna la mascella, per poi declamare con voce ferma e possente: “Gli ordini saranno eseguiti, Lei vi sarà riportata in tempo per l’operazione e gli intrusi saranno annientati! lo giuro sul mo onore di Lord!”
    “Il tuo onore di Lord?”
    Sorpreso da quella domanda, lo Shadowgear non ha il tempo di ribadire i suoi propositi che una risata sguaiata lo costringe a ingoiare di nuovo ciò che aveva intenzione di dire.
    “Il tuo onore di Lord?” Sotto gli occhi sbigottiti di tutte le creature oscure, l’uomo ride senza controllo. “Il tuo onore? Il tuo onore? Vuoi davvero farmi morire dal ridere, mostriciattolo?” spizzica tra le lacrime. “Hai un onore? Un mostro come te? Davvero? E quanto vale? Quanto una scarpa rotta? Un verme morto? Di meno? Smettila di fare queste battute o va a finire che ci rimango sul serio!”
    La profonda offesa che permea quelle parole è tale che persino le creature oscure se ne sentono ffese per il proprio Lord.
    Eppure, nonostante gli sguardi preoccupati scoccatigli dai suoi subordinati, Pendleton non si muove di un centimetro di fronte a quella offesa, limitandosi ad osservare a petto in fuori e attorniato dal silenzio.
    “Ahahaha, siete veramente troppo forti, veramente troppo forti!” L’uomo ride e ride, e senza aggiungere l’altro, se ne va, abbandonando tutto il crinale a un silenzio teso.
    Con cauta circospezione, Alfonso si avvicina al Lord, rimasto fermo lì dov’era, simile ad una statua di pietra.
    “B-boss?” chiede, titubante.
    “Trovateli, Alfonso” Il comando di Pendleton è un sussurro appena percettibile, eppure ognuno degli esseri presenti lo sente chiaro come se gli venisse sussurrato direttamente nell’orecchio, e non c’è Shadowgear che non tremi nel sentire l’immensa furia che lo permea, appena celata in un tono calmo e controllato e per questo ancor più spaventosa.
    “B-boss?” si azzarda a chiedere di nuovo Alfonso.
    Gli occhi rossi del Lord bruciano intensamente, mentre fissano il punto in cui il padrone è scomparso oltre il crinale: “Trovateli, Alfonso, trovateli e portateli da me. Lei non deve essere toccata. Uccidete i nostri amici intrusi e portatemi i loro cuori, sono stato abbastanza chiaro?”
    “Chiarissimo, boss!” Uno squillo di trombe non avrebbe dato ad Alfonso la stessa motivazione del vedere la furia gelida del Lord. “De corsa, ragazzi! Sparpagliateve e trovateli, capito che ha detto il Lord? Setacciate tutto! Rivoltate ogni pietra! Usate il Ciccio del Boss, se serve! Ma trovateli, capito? Trovateli!!!” urla, correndo su e giù di fronte alla schiera di Shadowgear, che va confusamente riorganizzandosi.
    Spinta dall’urgenza di quegli ordini perentori, la grande massa di esseri oscuri si mette in moto con incredibile rapidità: in una cacofonia di zanne e artigli, sibili e richiami, le creature si dividono in una miriade di gruppi più piccoli, che, uno dopo l’altro, svaniscono, sparpagliandosi in ogni direzione come tante cavallette affamate.
    Alla fine, resta solo Lord Pendleton: una piccola figura oscura con un inquietante luce ad illuminargli lo sguardo cremisi.
    “Non fuggirete da noi...“ sussurra, avanzando lentamente sull’erba. “Nessuno può fuggire dall’Oscurità...“ Sotto i suoi passi, un‘ombra comincia ad allargarsi sul terreno; diventa sempre più grande, sempre più grande. “Nano e ragazzo...affonderete anche voi nella morsa infinita dell’Oscurità...assieme a tutto questo mondo...”
    L’ombra si increspa verso l’alto, percorsa da un sussulto, prima di iniziare a sollevarsi, come se qualcosa sotto di essa cercasse di uscire. E più tentava, più ci riusciva. Prima un braccio, poi un altro, due arti neri come la notte fuoriuscirono dalla massa liquida, si ancorarono al terreno e cominciarono a tirare per fare emergere il resto.
    Un espressione compita apparve sul volto di Pendleton: “Ma d’altronde, è inutile stare qui a fare scene” afferma, con perfetto self-control da lord inglese. “In fondo, questo non è nient’altro che il nostro lavoro”.

    A parecchia distanza dal luogo in cui sta accadendo tutto ciò, dopo aver turbinato impetuosamente nelle rapide ed essersi fatto strada rombando in curve strette e tortuose attraverso le rocce dell’isola, il fiume perde la sua violenza e rallenta la sua velocità, fino a formare un grande stagno tranquillo.
    Numerosi animali vi vivono in pace, dai Sahagin pensionati ai Budini allo stato liquido, ed oltre al tranquillo mormorare della corrente, solo i versi di uccelli e di animali ne punteggiano la profonda tranquillità.
    La luce del sole riluce allegra sulla superficie dell’acqua, divertendosi a farla splendere di riflessi dorati, che si spandono nell’aria tersa come le risate di un bambino felice.
    E’ un posto stupendo per prendersi una vacanza.
    Solo che Doye e Tidus non sono lì.
    Continuando a procedere versoi il mare, il fiume si stacca dal grande stagno e prosegue il suo corso in un letto ancora più stretto. Brontolando cupamente, si abbatte contro alte pareti rocciose e selve di rocce appuntite; parecchie esibiscono la sagoma stampata di un nano a braccia aperte. In questo tratto, la corrente è violenta, per colpa della forte pendenza del suolo e, nonostante i parecchi impedimenti segnati da tracce di colpi di zucca, si fa strada con forza.
    Proseguendo ancora, si arriva ad una cascata che precipita in un burrone alto 15 metri e svanisce in una nuvola di vapore denso. Poco prima del precipizio, accanto al corso del fiume, c’è una piccola radura piena di simpatiche farfalline, fiori colorati e spifferi piacevoli di vento.
    Ma Doye e Tidus non sono lì.
    Parecchi rami sporgenti sull’acqua, che qualcuno caduto nel fiume avrebbe potuto usare come appiglio, purtroppo sono stati colpiti proprio in quella stagione da una rarissima malattia che li ha indeboliti e, per chissà quale motivo, sono infatti tutti spezzati, tranne l’ultimo, un tronco nodoso piegato dal vento, che reca incisa sulla corteccia una perfetta sagoma nanesca e i segni di unghie e denti lasciati da qualcuno che cerca disperatamente di aggrapparsi.
    Ancora più giù, dopo la cascata e gli scogli, prima di arrivare in vista del mare, il fiume precipita in un tunnel. Questo percorso sotterraneo ha la particolarità di essere abitato da piccoli pesciolini dall’aria carina che si divertono a cercare di sbranare in gruppi non inferiori al milione tutto ciò che passa; oggi, si possono anche osservare, parecchi pezzi di mutandoni di taglia larga nell’acqua cristallina.
    Dopo un lungo tratto costellato di curve a gomito, cascate sotterrane, zone di pesca con uso di reti d’acciaio ricoperte di aculei e pescioni idrofobi, finalmente il fiume torna all’aperto; fino a quella mattina, si divideva in due rami per aggirare una grossa pietra che stava al centro della corrente, ma qualcosa l’ha fracassata in mille pezzi e adesso il fiume scorre libero e tranquillo fino a sfociare sulla dolce spiaggia di Besaid.
    Lì c’è Doye.
    O meglio, ciò che ne resta.
    “Maria! Che dolore!”
    Mentre si trascina pietosamente fuori dall’acqua, il nostro amico nano non sembra essere nei suoi momenti migliori: è bagnato fradicio, pieno di ammaccature, ha tutti e due gli occhi neri, la capoccia piena di bernoccoli, i vestiti strappati, una conchiglia in un orecchio, zoppica e un pesce-gatto gli morde tenacemente il fondoschiena.
    Proprio in quel momento, arriva Tidus di corsa.
    “Ehi, Doye? Come stai? Sei ancora intero?” chiede trafelato il biondino.
    In tutta risposta, gli arriva il pesce-gatto in faccia.
    “TI PARE CHE STO BENE?? COS’E’, SEI CIECO, BIONDINO?” sbraita il nano spruzzando getti di vapore dalle orecchie., e direbbe altro e molto di peggio, se le forze non gli venissero meno e non cadesse a faccia in giù come un birillo abbattuto da una palla da bowling.
    “Oh, ma non si può chiedere nulla” sbuffa Tidus, tirandosi via il pesce dalla faccia, che , però, apre la bocca e gli morde la testa. “AHIA!”
    “Uff, uff, oh mamma, mammina mia bella” ansima Doye, distrutto, strisciando sui gomiti verso la sabbia. Appena mette una mano sul terreno, gli sembra di tornare alla vita. Ci si butta sopra a peso morto e resta lì a riprendere fiato, mentre, dietro di lui, Tidus corre in preda al panico di quà e di là cercando disperatamente di staccarsi il pesce di dosso.
    “Ehi, biondo” dice il nano con voce lamentosa, senza muoversi di un millimetro. “Passi di avermi mancato mentre veleggiavo al centro dello stagno, ma se mi passavi un ramo decente prima della cascata non è che mi sarei offeso, eh?”
    “Ma mica è colpa mia se erano tutti marci!”
    “Se, se...mettiti dietro a ste scuse sceme”
    “Ma quali...scuse...sceme! E’ vero!” risponde con difficoltà Tidus, colpendo ripetutamente il pesce-gatto con una roccia.
    Doye solleva la testa quel tanto che basta per guardarlo affannarsi: “Non vengo là a strangolarti solo perchè mi mancano le forze”
    “Meno...male...“ Con un sonoro plop, il pesce viene via dalla faccia di Tidus. Il ragazzo lo butta via freneticamente e sospira di sollievo, sollevato: “Ah, a proposito!” dice, ricordandosi di qualcosa all’improvviso.
    “Che c’è?” chiede Doye, stancamente.
    Tidus a un sorriso titubante: “Ehm, è una cosa che forse non ti piacerà”
    “Tranquillo, non ce la faccio neanche a scoreggiare, figurati se riesco a menarti”.
    “Ok!” Il ragazzo sembra sollevato, anche se non del tutto sicuro. “Ehm, visto quando stavi per precipitare nel fiume sotterraneo e io ho provato a tirati fuori tirandoti una fune?”
    “Si? Ma vieni più vicino. Con quella vocetta da pettirosso, non riesco a sentire un cacchio”
    “Ehm, ecco...” Tidus appare un po’ restio a proseguire.
    “E parla, uomo, ti ho detto che non ti faccio niente, ma parla!!!!”
    “Dopo che eri passato, ho trovato una leva che deviava l’acqua in un affluente tranquillo!”
    “IO TI AMMAZZO, DEFICIENTE!!!!”
    “Ti pareva...”
    Dopo un breve scambio di opinioni, i nostri, molto poco, eroi lasciano la spiaggia e si incamminano nella foresta di Besaid: Doye davanti, borbottando parole che è meglio non riportare, e Tidus dietro, massaggiandosi la parte posteriore della testa, in cui appare il segno lasciato inequivocabilmente da una martellata. Le palme sono rade in quella zona vicino al mare, e il terreno è coperto solo da un prato di erba sottile, su cui i due camminano a passi spediti.
    “Ouch, non serviva mica arrabbiarsi cosi” commenta il biondo imbronciato.
    “Ragazzo, se non te ne fossi accorto, mi sono fatto un giro che al confronto farsi le montagne russe di Mirabilandia con lo skate è un’ottima idea, rendo l’idea?”
    “Cos’è Mirabilandia?”
    “LASCIA STARE!!!”
    Cala un attimo di silenzio, rotto solo dal rumore di passi e foglie spostate.
    “Uff, ma io volevo saperlo” commenta Tidus così piano che pure i colibrì si fermano in volo per un attimo a chiedersi se era solo un spiffero o se qualcuno li stava chiamando.
    “Hai detto qualcosa?” scandisce molto lentamente Doye, con gli occhi color fuoco, le zanne, le corna e il fuoco intorno.
    “Niente, niente...” borbotta Tidus, girandosi dall‘altra parte.
    “Ne ero sicuro...” commenta Doye, tornando immediatamente normale, poi riprende: “Ad ogni modo, chi cavolo erano quelli?” chiede, scocciato.
    Tidus si gira di botto verso il nano: “Cosa? Ma io pensavo che li conoscessi tu!” esclama, incredulo, ricevendo uno sguardo incolore in risposta. “Cioè, non ho mai visto mostri del genere, io che abito su quest’isola da tre anni. Appari tu dal nulla e guarda caso subito dopo di te arrivano questi cosi che provano a farci secchi senza apparente ragione, e tu vorresti farmi credere che non sai nemmeno chi sono?”
    Doye lo guarda per un attimo come se fosse una statua di sale, poi fa spallucce: “Boh...mai visti...”
    “MA COME SAREBBE A DIRE??”
    “Colpa tua...non conosci abbastanza bene st’isola”
    “Ci rinuncio...” Tidus abbassa la testa, sconfitto.
    “Ecco, bravo, rinuncia, pure a campare, se ci riesci” commenta Doye, ma tra sè, pensa a ben altro.
    I due neuroni rimasti nel suo cervello smettono di preparare le valigie e con sospiri afflitti tornano a lavorare: suonano la solita sirena attaccata sotto l’orecchio e ricevono in risposta un’imprecazione, dato che l’omino addetto stava pranzando. Nonostante ciò, gli ingranaggi si mettono in moto lo stesso, è una famiglia di gran lavoratori quella degli omini verdi, e Doye comincia a ragionare.
    Shadowgear...
    Quei cosi avevano detto di chiamarsi cosi....
    Non che quel nome gli ricordi qualcosa, a parte le lezioni d’inglese alle Elementari, però il fatto che, come diceva il biondino, erano apparsi in concomitanza col suo arrivo era una cosa da non sottovalutare. Anzi, ad essere precisi, Doye è convinto che fossero presenti sull’isola anche prima.
    Gli tornano in mente le parole di quel rottame del computer sulla minacciosa minaccia eccetera.
    Che quei mostriciattoli avessero a che fare con la storia, a causa della quale era stato buttato in quella folle avventura, era talmente lampante da risuonare quasi banale.
    Ad ogni modo, tutto porta a farlo credere, almeno secondo lui.
    Mentre scavalca con un salto un grosso cumulo di foglie, un sorriso furbo appare sul volto del nano.
    Se era veramente così che stavano le cose, allora il suo piano di far fare tutto a Torenban era più vicino che mai alla sua realizzazione. Gli bastava informarlo, aggiungere qualche dettaglio in più, qualche scenario catastrofico e al 300% il biondino si sarebbe buttato a testa bassa contro di loro per salvare la sua isola.
    Però, ripensa, atterrando di nuovo nel mezzo dell‘erba, non c’era ancora la motivazione giusta perchè il ragazzo agisse. Gli Shadowgear avevano provato a farli secchi, certo, e questo di solito bastava per chiunque, però non avevano ancora mostrato intenzioni ostili verso gli abitanti dell‘isola. Senza chiare prove sulla loro pericolosità, il massimo che Tighewan avrebbe fatto sarebbe stato tenerli d’occhio finchè non se ne fossero andati, Doye di questo è sicuro.
    “Per forza” pensa, corrucciato “Questo ragazzino sembra portato per tutta l‘impulsività che mi serve, ma non penso sia abbastanza stupido per rischiare tutto senza un motivo certo o solo per vendetta” Soprappensiero, il nano dà un calcio a un coniglio. “Magari, se non avesse mai incontrato quei cosi oscuri, potrebbe pure provarci a caricarli, ma adesso che ha visto che da solo non può tenergli testa, non lo farà mai, questo è poco ma sicuro; e se pure cercasse aiuto da quelli che abitano sto posto...” Mentre questi pensieri gli affollano la testa, lancia uno sguardo di sottecchi a Tidus, impegnato a far rotolare un grosso uovo di Garuda fuori dal sentiero, per poi fuggire a gambe levate con un paio di mega-pulcini affamati alle calcagna. “Questo tizio è un pulcino inesperto” commenta mentalmente il nano, ridacchia un attimo per la battuta, poi riprende: “Sicuro quanto il fatto che Windovs fa schifo come sistema operativo che a casa ha qualcuno che gli fa da baby-sitter e lo tiene a bada. “ Il nano ghigna tra sè. “Sto moccioso che vive da solo? Nah, non ce lo vedo proprio, va finire che si perde pure per passare tra la cucina e il cesso”
    Doye formula tutti questi giudizi in perfetta tranquillità, dimenticando che fino al giorno prima, lui viveva nuotando in mari di bibite gassate, passeggiando su banchine piene di pacchi di merendine alla cioccolata e peperone, pescando tonnellate di patatine fritte e scrutando l’orizzonte in attesa dell’arrivo di container di hamburger da 16 chili l’uno, ma questa è un’altra storia.
    Terminate le sue macchinazioni mentali, Doye, sbuffa scocciato. A quel punto la decisione possibile è solo una: sarebbe rimasto con quel ragazzino fino a che non avesse ottenuto la motivazione giusta per sconfiggere quei mostriciattoli, poi l’avrebbe piantato a combattere per lui.
    Al diavolo i dettagli e al diavolo gli ordini del rottame, a Doye non importa che sta succedendo, l’unica cosa importante è chiudere quella faccenda e tornare a casa il più presto possibile.
    “Mwahahaha, ma quanto sono cattivo” ridacchia, fregandosi malvagiamente le mani. Si blocca di botto nel vedere Tidus che lo guarda un po’ dubbioso.
    “Questa cosa comincia seriamente a preoccuparmi, lo sai?”
    “FATTI GLI AFFARI TUOI TU!!” sbotta il nano, poi borbotta tra sè: “Accidenti, devo proprio togliermi questa mania di pensare ad alta voce” Di colpo, come ricordandosi di botto qualcosa che gli era sfuggito, anche se in realtà lo fa solo per cambiare discorso, dice: “Adesso che ci penso...ma che fine ha fatto quella ragazza che ho...” Tidus lo guarda male. “...HO salvato! Te non hai fatto un cacchio! Non ci provare nemmeno a guardarmi cosi, sai?”
    “Ma...veramente sono stato io che...”
    “Che ha fatto conoscere al sottoscritto tutta la fauna marina dist’isola?”
    “Ehm...l’ho lasciata a riposare in una radura nascosta nella foresta e sono venuto a cercarti”
    “Se, se, adesso cambia pure discorso“ borbotta Doye, poi si rende conto di quello che ha detto Tidus: “TU HAI FATTO COSA???”
    “Ehi, non c‘è nessun problema” si schermisce Tidus con tranquilla sicurezza. “Tanto l’ho lasciata in una zona tranquilla. Lì gli animali feroci ci passano raramente e non c’è granchè di pericolo. Che vuoi che succeda?”
    “MA CHE C’ENTRA!! STIAMO IN UNA FORESTA! E SE PASSANO GLI ANIMALI? SE QUELLA SI SVEGLIA E NON SA DOVE ANDARE? CHE FACCIAMO, LA RINTRACCIAMO CON IL SATELLITARE? GLI MANDIAMO UN PALLONCINO? MA TI DROGHI, BIONDINO???”
    “Ehm...” fa Tidus, rendendosi lentamente conto della cavolata che ha combinato.
    Dopo la sfuriata, Doye si calma un po’. “Almeno hai messo qualcosa a coprire quella ragazzina? Che so, foglie, sterpaglie, rami, qualcosa del genere?” chiede ancora furente, ma con un tono di voce più basso.
    “Ehm...”
    “...”
    “...”
    “Ok, lascia perdere, andiamo a prenderla e basta...”
    “Ok...”
    “...Sperando che non se la sia mangiata un Coguaro”
    “Niente pessimismo, d’accordo? Già mi stanno venendo i sensi di colpa! Niente pessimismo, ok???”
    “Bah, fai strada, Giruvegan”
    Tidus annuisce e scatta di corsa lungo il sentiero. Doye lo segue immediatamente, e nel farlo molla un calcio a un gattino finitogli tra i piedi. Getta uno sguardo rapido verso il biondino e vede una profonda preoccupazione riflettersi nei suoi occhi azzurri. Sembra davvero biasimare sè stesso per la propria idiozia. Corre rapido e concentrato, e porta scritto in volto che spera di trovare la ragazza sana e salva. Eppure Doye non alleggerisce minimamente la severità che prova verso quel moccioso ingenuo. “Stupidi personaggi famosi” mormora tra sè.
    Vecchi ricordi e vecchi rancori sente raschiare dolosamente dentro lo stomaco, ancora vivi e infuocati come il giorno in cui li ha vissuti per la prima volta. Aggrotta la fronte e accelera il passo. Tiene gli occhi fissi sul ragazzo che lo precede, mentre un vecchio odio torna a richiamarlo a sè. Lo stuzzica con parole dure, di rimprovero e il nano lo ascolta; non lo abbraccia nè lo allontana, perché
    sa che è parte di lui e contiene una giusta dose di verità.
    L’odio per personaggi di storie come Tidus e quelli come lui.
    Doye pensava di averlo ormai cancellato, ma in quel momento comprende che non è mai stato cosi.
    Vede vecchi ricordi riemergere alla memoria ed ognuno di essi lo infiamma all’odio verso quel ragazzo che, inconsapevole, gli volge la schiena.
    “Da questa parte!” gli grida il ragazzo. Lui si limita ad annuire, serio, senza rispondere, nel timore che la sua voce possa tradire l’astio che prova. Prende alcuni rapidi respiri, ed è di nuovo calmo.
    Non può farsi trascinare dalle emozioni, non adesso che forse ha trovato un modo per tornare a casa.
    Con fatica, spinge indietro, nel baule dei ricordi, nell’oblio della dimenticanza, l’odio, chiude il lucchetto e ci mette una pietra sopra. Ma non basta questo a farlo svanire. Quella sensazione forte, bruciante, resta nel sottofondo, costante rintocco che dà il ritmo alla sua anima.
    A Doye sta bene cosi.
    Quel odio non deve sparire, perché è giusto che esista, ma non deve neanche intralciare i suoi passi. Solo lui è il padrone della sua mente e delle sue emozioni, mai il contrario.
    Mai.
    “Non è molto lontano da qui!
    La voce di Tidus lo richiama dai suoi pensieri, riportandolo definitivamente alla realtà.
    Annuisce di nuovo, ma quella è la fine della loro conversazione. Entrambi rimangono in silenzio, concentrato e preoccupato il primo, calmo e controllato il nano, mentre percorrono un piccolo sentiero che si fa strada tra alberi e piante tutte non inferiori al metro e mezzo, carote comprese. La volta di rami sopra di loro si fa via via sempre più fitta.
    “Da questo punto in poi diventa pericoloso camminare, attento a dove metti i piedi” avverte Tidus.
    “Tsè, stai parlando con uno che una volta è stato dalle Giovani Marmotte, ciccio”
    “Buono a sapersi...”
    Dopo qualche istante, i due si ritrovano immersi nell’ombra. La luce del sole stenta a filtrare attraverso il tetto di foglie ed entrambi si ritrovano a dover guardare attentamente dove mettono i piedi. Nonostante ciò, nano e ragazzo sono esperti e coraggiosi e il loro cammino continua senza ostacoli.
    “AHIA!”
    A parte le cadute causate da radici affioranti non viste.
    “OHIO!”
    A parte gli schianti contro i rami troppo bassi.
    “UAHIA!!”
    A parte i voli in fossi pieni di ortiche.
    “UHIO!”
    A parte le ruzzolate nei roveti.
    “UAAAAH!!”
    A parte gli investimenti dai taxi di passaggio.
    “AAAARGH!!”
    A parte gli attacchi dei T-Rex.
    “NOOOOO! NON VOGLIO!”
    A parte i venditori di ombrelli.
    A parte tutto questo, i nostri due eroi (ancora) attraversano impavidamente la selva e fuoriescono sani e salvi in una zona sgombra.
    “Sani e salvi...a chi?” ansima Doye, uscendo alla luce del sole appoggiato a una gruccia. “Ma che diavolo ha che non va quest’isola? E’ peggio di Jurassic Park! Eppure a vederla da fuori sembrava tanto bella.”
    Senza dargli retta, Tidus fa scorrere rapidamente lo sguardo aggrottato di fronte a loro. “E questo è niente” dice dopo qualche istante. “Devi ancora vedere tutta la parte che va dalla foresta alla spiaggia, là i Budini e i Garuda vengono giù come se piovesse”
    “Fantastico...non vedo l’ora di andarci” commenta Doye, e si guarda intorno: si trovano in una piccola radura circondata da ogni lato da una fitta barriera di piante e occupata solo da un leggero prato di erba alta, che gli arriva fino alla cintola, punteggiato quà e là da grosse rocce. Da quel che può vedere, quel posto spunta come un’isola nel mare verde della foresta. Nonostante l’isolamento del luogo, il fruscio delle foglie e il sospiro del vento lo rende tutt’altro che un asilo rassicurante, anzi, a Doye sembra di sentire qualcosa nell’aria, quasi una tensione nascosta.
    “Perchè non si sente nessun rumore?” pensa con una punta d’ansia.
    Tidus non sembra essersi accorto di nulla, nota, impegnato com’è a cercare qualcosa con lo sguardo.
    Il nano aggrotta le sopracciglia, inquieto.
    C’è qualcosa che non va in quel posto.
    Per quanto si sforzi di guardare, non vede nulla di anomalo, ma qualcosa, in fondo al cuore, gli grida a gran voce un pericolo imminente.
    “Ehi, Gaderabannar” chiama con circospezione. Il silenzio presente gli dice che non è il caso di fare troppo rumore. Tidus non si muove. “Ehi!” chiama un po’ più forte. Nient. L’altro non sembra neanche aver sentito. “Ehi!” ripete ancora, un po’ spazientito, poi, vedendo che l’altro lo ignora, sbotta a urlare.
    “EEHHHHIIIIIIIIIIIIIIII!!!!”
    “AAAAAARGH!!!!”
    Preso di sorpresa, Tidus grida di spavento e, mentre fa per girarsi, inciampa e cade; Doye scatta per afferrarlo, ma è troppo lento, e il ragazzo rotola fino ad andare a sbattere contro una delle forme di pietra.
    “Ma che diamine hai da urlare?” chiede arrabbiato il ragazzo appoggiatoci contro a testa in giù.
    “Ti ho chiamato trenta volte! Che c’è, non ci senti???” sbotta di rimando Doye.
    “Perchè, ce l’avevi con me?”
    “Con chi cavolo dovrei avercela, se in trecento chilometri quadrati ci stiamo solo noi due?”
    “Allora almeno imparati il mio nomeeeee!!!”
    Doye sta per rispondere che sa benissimo che si chiama Tgan’rnsan, quando si blocca di colpo e spalanca gli occhi, sbigottito.
    Ancora nella scomoda posizione di prima, Tidus solleva un sopracciglio. “Uh? Che c’è adesso?” chiede, quando anche lui fa la stessa espressione del nano.
    “E-ehi, Taberran” balbetta Doye, osservando qualcosa di grande e grosso muoversi dietro il biondo, per l’esattezza la forma che aveva scambiato per una roccia. “Ma per caso su quest’isola vivono anche delle grosse tigri che si mimetizzano da rocce?”
    “S-si...” balbetta Tidus di rimando. “E ne hai una proprio dietro di te”
    “E’ lo stesso per te” Doye sente un’ondata calda sfiorargli la nuca e riempirgli le mutande, ma non riesce a staccare gli occhi dalla tigre alta due metri e mezzo che va sollevandosi su zampe grandi quanto piatti di portata e digrignando le zanne in un ghigno ferale.
    “C-c-che facciamo?”
    “M-m-mi sa che c-c-ci resta solo u-u-una cosa”
    Entrambe le tigri spalancarono le bocche ed emisero dei ruggiti assordanti.
    “AIUTOOOOOOO!!!”
     
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  11. DavFumetto
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    Cazzarola!è più lungo dei piselli dei negri!Comunque complimenti!
     
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    Saltare, ballare, trallallà!

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    Non è che possiamo evitare queste citazioni colte?
    Grazie. -.-
     
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    “AAAAARGH!!” urlano terrorizzati i due sfigati, per poi sfrecciare via a tutta velocità.
    O meglio, ci provarono, perchè la più vicina delle tigri colma la distanza che li separa da lei con un unico balzo e taglia loro la strada con il suo corpo smisurato.
    AAAAARGH! SFIGAAAA!!!”
    I due fanno rapidamente dietrofront, solo per ritrovarsi in faccia l’alito della seconda tigre.
    “AAAARGH!!! SFIGAAAA!!!”
    Senza più vie di fuga, restano fermi dove sono, schiena contro schiena. Tidus sguaina la spada e quella sembra essere una minaccia sufficiente alla prudenza per i due felini, che, sinuosamente, cominciano a girare attorno alle loro prede, azzardando di tanto in tanto passi in avanti, sventati dal sibilare della spada di Tidus.
    “Ehi, ragazzo” chiede Doye sudando freddo, gli occhi fissi e sbarrati sui movimenti della tigre di fronte. “Non so tu, ma a me non intriga molto che quattro righe sopra c’abbiano chiamato prede. Come ne usciamo?”
    Nelle stesse condizioni del nano, Tidus respinge la tigre che si era avvicinata troppo, prima di rispondere: “Stavo per chiedertelo io! Non rubarmi la battuta!”
    “Oh, diavolo! Ma possibile che non sai fare un cavolo? Ma che ci sei venuto a fare, io mi chiedo!!!”
    “Senti chi parla! Sei stato tu a chiederlo per prima, caro il mio nanetto!”
    “Tsè, come se non stessi per fare lo stesso anche tu! Ti ho solo bruciato sul tempo!”
    “Non è vero! Io...ehm...stavo pensando ad alta voce...!”
    “Non è vero! E poi non c’entra! L’importante è l’intenzione inconscia!”
    Le due tigri guardano perplesse i due bipedi apparsi nel loro territorio mettersi a bisticciare tra loro e cominciare ad azzuffarsi. Una goccia di perplessità scende dai colli massicci dei due grossi felini.
    Ma quei due capivano in che situazione si trovavano?
    Il primo felino getta uno sguardo interrogativo al secondo, ottenendo in risposta una scrollata di spalle.
    Vabbè, tanto valeva chiuderla lì.
    Tidus e Doye si bloccarono di botto nel sentire i ruggiti degli animali e voltarono di scatto le teste in quella direzione, rispettivamente il ragazzo con il pugno del nano affondato nella guancia e il nano con le dita del ragazzo infilate nel naso.
    “Oh, mamma...” E’ tutto quello che dicono mentre le due massicce tigri piombano su di loro a bocche spalancate. In un gesto istintivo, si abbracciano e chiudono gli occhi, in attesa della fine imminente.
    Che, sorprendentemente, non giunge.
    Al posto del dolore atroce che si aspettava, arti staccati eccetera, Doye sente un‘atmosfera di profonda calma calare su di lui come un delicato abbraccio. Un soffio impalpabile gli sfiora il volto legnoso, carezzevole come la brezza di primavera sull‘acqua profonda, ed assieme ad esso la voce di delicati sussurri accarezza la sua mente. Una profonda pace si diffonde in lui, allontanando tutta la paura. Timoroso, apre gli occhi.
    E la vede.
    Alta, delicata come i petali di una rosa, bella come l’aurora; i capelli le ricadevano in una cascata dorata lungo la schiena; il volto sottile era di un candore niveo, benchè l’espressione dipinta su di esso fosse seria ed inflessibile. Doye osserva stupefatto quella ragazza, che si ergeva con sicurezza tra loro e le due tigri. Fa per aprire la bocca e gridarle di spostarsi, che è pericoloso, ma lei si volta lentamente e con un dito affusolato gli fa segno di rimanere in silenzio.
    Il nano tace, confuso, e vede rilucere in quegli occhi color nocciola, intrisi di un’espressione di profonda dolcezza, un lampo del sentimento chiamato tristezza. E se ne chiede il perchè.
    Senza far caso ai suoi dubbi, la ragazza cammina verso le due tigri, che, con sommo stupore di Doye, arretrano, impaurite; ringhiano, scoprono le zanne, ma arretrano, come se quella piccola figura, minuscola in confronto a loro, incutesse nei loro cuori un terrore abissale.
    Doye vede la ragazza avanzare: tranquilla, solleva le mani verso gli enormi felini. Con orrore, è costretto a guardare uno di essi, il più grosso, riscuotersi a quel gesto e scagliarsi in avanti ruggendo. Proprio quando sembra che stia per calare sulla piccola figura della ragazza, uno scoppio di luce avvolge la radura. Doye si ripara gli occhi con il braccio per non restare accecato, mentre venti improvvisi lo sferzano con furia e scariche di energia saettano in ogni direzione.
    Poi, il silenzio.
    La luce cessa di colpo e tutto torna tranquillo, come se non fosse mai successo nulla.
    Doye riapre gli occhi e, con immensa sorpresa, vede i felini fuggire e svanire nella foresta. Dietro di loro, la terra è devastata: l’erba è scomparsa, per lasciare il posto a un tratto circolare di terra brulla e sfondata. E al centro di questa devastazione, lei.
    Si volta lentamente, spostando lo sguardo sul nano stupefatto. I loro sguardi si incrociano. In un attimo infinito, il nano scruta nell’anima di quel apparizione cosi misteriosa. Di nuovo, vede quel barlume di tristezza. Di nuovo, la testa gli si riempie di domande, ma nessuno giunge a dare le risposte.
    Forse intuendo i suoi pensieri, la ragazza annuisce, un gesto lento e armonioso, poi, senza preavviso, crolla a terra senza un gemito.
    Colto di sorpresa, Doye lancia un grido e corre rapido verso di lei.
    “Ma che succede?” sente chiedere dietro di sè la voce di Tidus. Probabilmente il ragazzo doveva essere rimasto tutto il tempo con gli occhi chiusi e non aveva visto nulla, ma in quel momento a Doye non può fregare di meno.
    Arriva nel centro della porzione di terreno devastata, accanto alla ragazza esanime, e comincia ad esaminarla trafelato. Il panico lo invade. Che deve fare? Lei sta bene? Sta male? Non ne ha idea! Vede che respira affannosamente, il petto si solleva e si abbassa ad un ritmo veloce, ma a parte quello non sa cosa fare. Cerca di scuoterla per farla svegliare, ma tutti i tentativi si rivelano vani. Benchè chiusi, gli occhi della ragazza is muovono sotto le palpebre, come se fosse preda di un grande dolore. Geme lievemente, si lamenta e un sudore freddo le ricopre il volto.
    Maledicendosi per non aver frequentato la lezione di medicina al campus estivo per nani, la prende tra le braccia: “Ehi, moccioso!” esclama rivolto a Tidus, accorso al suo fianco in quel momento con un espressione a metà tra lo sbigottito e il costernato. “Dobbiamo subito portarla in un posto sicuro! Da che parte si va per casa tua?”
    A quelle parole, il biondino sbianca: “Aspetta! Aspetta! Aspetta! Forse possiamo fare in un altro modo!” esclama, frenetico.
    Doye apre la bocca per urlargli che non possono perdere tempo, ma la richiude subito nel vederlo tirare fuori da una tasca una piccola ampolla.
    “Questa è una Granpozione” spiega rapidamente il ragazzo. “Qui a Besaid non abbiamo medicina migliore, se questa non funziona c’è poco da fare”
    “Allora sbrigati ad usarla!” lo incalza il nano con rabbia. Sta già esaurendo la poca pazienza che ha e la situazione pericolosa non fa altro che innervosirlo maggiormente. Ancora tre secondi e gli vengono i bubboni sul deretano!!!
    Tidus non risponde, si china sulla ragazza e le appoggia il beccuccio dell’ampolla alle labbra. I due la fissano bere il contenuto; nessuno apre bocca. Alla fine, Tidus getta via il contenitore ormai vuoto.
    Cala un silenzio carico di tensione.
    Doye ha l’impressione che il cuore possa saltargli fuori dal petto da un momento all’altro, mentre sente i secondi trascorrere con lentezza snervante, al ritmo dell’ansare della fanciulla.
    Forse per il fatto che li ha salvati, forse per chissà cos’altro, prova uno strano senso di affinità per quella ragazza misteriosa, una preoccupazione per la salvezza di qualcuno che non provava da molto, molto tempo...
    Scaccia quei pensieri con forza, per tornare a concentrarsi su di lei. Semplicemente, non vuole che muoia qualcuno di fronte ai suoi occhi, ecco il motivo, dice a sè stesso, e intanto prega.
    Alla fine, le sue speranze vengono esaudite: il respiro della fanciulla si fa regolare e il pallore che si era impossessato del suo viso scompare. Adesso sembra quasi che dorma.
    Doye sospira di sollievo, sentendo tutta la tensione accumulata sciogliersi in un’atmosfera più serena.
    “Fiuuu, c’è mancato poco” esclama in un soffio, poi si rivolge con noncuranza a Tidus. “Attento a quando giri con quella roba, se ti beccano le cinofile, sono affari tuoi”
    Il ragazzo, che andava calmandosi, si scandalizza: “CHE?”
    “Ti insegno un trucco, metti la merce dentro uno zaino, accanto a un fazzoletto pieno di caffè...”
    “NON E’ DROGA!! NON INIZIARE AD IMMAGINARTI LE COSE SOLO CON LE TUE SUPPOSIZIONI!”
    “Ok, non serve arrabbiarsi tanto, eh...guarda che ti fa male al cuore”
    “Grrrr.!!”
    “...” Doye guarda Tidus.
    “...” Tidus guarda Doye.
    “Se però...”
    “NON E’ WISKY!!!”
    “Ah, si? Vabbè, aspettami un secondo...” Doye si allontana di corsa, e dopo qualche secondo, torna con tre grosse foglie, grandi abbastanza da poter contenere un uomo. “Ma che diavolo gli date da mangiare alle piante su quest’isola?” Chiede, mentre le sistema in terra una sopra l’altra. “Sembra di stare in una giungla tropicale”
    Capendo le intenzioni del nano, Tidus solleva delicatamente la ragazza svenuta tra le braccia. “Ma questa E’ una giungla tropicale e poi non è che le nutriamo noi le piante
    “Ero ironico, se non si è notato” Dye strappa il bordo estremo delle foglie, lo arrotola e accartoccia un po’ e lo appoggia sulla parte superiore, come un cuscino. “Appoggiala qua, và” dice, indicando il rozzo giaciglio.
    Usando più delicatezza che può, Tidus obbedisce. “Ma prima...” chiede. “Cos’è successo?”
    “Lascia perdere, Giugiumaru” Doye si lascia cadere di fianco al corpo dormiente e incrocia le braccia, corrucciato. “E’ troppo incredibile” E non mi va di avere altri inconvenienti al mio piano, completa mentalmente. Si accorge che Tidus lo sta indicando con un dito tremante.
    “Che c’è?”
    “C-che cavolo era quello??”
    “Quello cosa?”
    “Giu-giu-giu-giu...”
    “Che c’è? Canti adesso? Sbloccati, scemo”
    “Non ne posso più!!!!”
    E mentre urla questo, Doye gli molla un calcio al ginocchio e lo fa schiantare per terra.
    “Non urlare, potrebbero sentirci, scemo” lo rimprovera il nano con noncuranza. “Piuttosto, che problema avevi prima? Tua mamma non vuole che porti le ragazze a casa?”
    “Mia madre è morta molto tempo fa...” la risposta di Tidus è laconica.
    Doye lo guarda serio. “Pure la mia, vogliamo darci un pacca sulle spalle a vicenda o piangiamo a dirotto?”
    “Ma perchè devi essere cosi bastardo??????” chiede Tidus rialzandosi di scatto.
    “Scusa, deformazione professionale”
    “Ma che c’entra???”
    “Ancora non mi ha risposto”
    Con un sospiro sconfortato, Tidus si lascia cadere accanto al nano. “Ho litigato con la mia fidanzata”
    “O-oh, ora capisco tutto” Doye fischia ed estrae la sua pipa dalla barba.
    Sconfortato, Tidus china la testa. “Proprio cosi, e se porto una ragazza a casa adesso, sono bello che è finito, capisci, vero?”
    Capisco, capisco” Doye accende il tabacco, prima di continuare. “ Com’è successo? Stavi per raccontarmelo nella grotta, se non sbaglio”
    “Si...” Tidus esita. “Però prometti che ci crederai”
    “Parola di nano” promette Doye sollevando una mano in un gesto solenne.
    “Non so se mi basta...”
    “Parla e falla finita..altrimenti scrivo su un cartello che te la fai con le ragazze svenute e corro in giro per tutta l‘isola”
    “Va bene, va bene, va bene, racconto! Racconto, ma non farlo!”
    “Vedi che ci intendiamo? Che bella cosa il dialogo” Doye onora la bellezza della diplomazia con uno sbuffo di fumo e un sorriso soddisfatto.
    Tidus sospira, chiedendosi per la seconda volta perchè non ha dato retta all’oroscopo quella mattina, per poi cominciare a raccontare. “E’ cominciato tutto ieri notte, stavo tornando dagli allenamenti di Blitzball, quando...”

    [Flashback]

    Tidus cammina distrattamente nella notte di Besaid. La sabbia risuona dei suoi passi mentre percorre la spiaggia immersa nel buio.
    “Accidenti a Wakka” esclama soprappensiero, senza vera ostilità. “Si è fatto tardissimo a forza di provare quella formazione, speriamo che Yuna non si arrabbi”
    Ha epoche speranze verso quella prospettiva ottimistica: la sua ragazza non era un tipo paziente per quanto riguardava gli orari; l’ultima volta l’aveva lasciato fuori per tutta la notte, cosi che potesse “riflettere sulle proprie sconsideratezze” e “agire in modo più responsabile in futuro”.
    Sorride al pensiero della coperta che si era trovato addosso al momento del risveglio e alla mitezza delle notti su Besaid.
    “Beh, comunque sarà meglio sbrigarsi”
    E sta già per cominciare a correre, quando qualcosa attira la sua attenzione: una grossa forma scura adagiata sulla spiaggia, brulicante di piccoli esseri in movimento.
    Aguzza lo sguardo per capire di cosa si tratta: non aveva avuto notizia dell’arrivo di un carico dalla nave per quel giorno e soprattutto non era mai capitato che avvenisse di notte.
    “Guarda, guarda, e tu che ci fai qui?”
    Quella voce gli gela il sangue nelle vene. Era solo una sua impressione o aveva una sfumatura...sensuale?
    “Ecco...io stavo solo...”. Le parole gli vengono mozzate in bocca assieme al suo tentativo di voltarsi dal tocco delicato di dita sottili all’altezza del collo.
    “Sssh, sssh, non serve che ti scusi...”
    Le dita sconosciute si muovono leggere sulla sua pelle e a quel contatto sente le guance avvampare e un calore proibito risvegliarsi dove non avrebbe dovuto mai risvegliarsi.
    “M-ma...e-e...!” Si morde la lingua per la frustrazione e l’imbarazzo. Fantastico! Adesso balbettava pure!
    Un soffio caldo e una risatina musicale gli sfiorano l’orecchio, facendogli balzare il cuore nel petto.
    “Che carino che sei quando balbetti...come ti chiami, carino?”
    Rosso come un pomodoro, con i pensieri confusi come un vortice, con il cuore che batteva come un martello pneumatico, apre la bocca per dare una balbettante, patetica risposta.
    “TIDUS!!!”
    Furibonda, irata, spaventosa Yuna a passo carica nella sua direzione.
    Deglutisce. Perchè non era rimasto a letto?

    [Fine Flashback]

    “...e quando ho cercato di spiegare cos’era successo, mi sono accorto che quella ragazza era svanita nel nulla e con lei era sparito anche quello strano oggetto sulla spiaggia”
    Doye fissa Tidus in silenzio, soffiando di tanto in tanto nuvole di fumo.
    “Ecco tutto.” conclude il ragazzo. “Mi ha svuotato addosso due caricatori di pallottole, prima che riuscissi a scappare. E’ stato allora che ci siamo, ehm, incrociati”
    “Capisco, capisco” Il nano batte la pipa contro una roccia per far cadere il tabacco. “Immagino che sia abbastanza scontato che questa tua esperienza e quei mostriciattoli neri che hanno provato a farci le scarpe siano collegati, vero?”
    “Penso di si”
    “Pensalo pure, perchè è sicuramente cosi, ad ogni modo penso che la cosa più importante adesso di tornare al tuo villaggio”
    “Cosa? Ma se ti ho appena detto che se metto piede là dentro Yuna mi spara!”
    “Comprendo il tuo dramma, mio abbronzato amico, ma per prima cosa abbiamo un ferito” Doye indica la ragazza svenuta. “E secondo, ci serve aiuto per investigare su quello che sta succedendo qui”
    “Perchè parli al plurale?” chiede Tidus, inarcando un sopracciglio.
    “Questa è la tua isola o sbaglio?”
    “Beh, certo”
    “Ci tieni a quelli che abitano qui?”
    “Ovvio, ma...che c’entra?”
    “E se quei mostri incrociassero qualcuno dei tuoi amici?”
    Doye sorride intimamente nel vedere un espressione seria apparire sul volto di Tidus.
    “Allora” prosegue. “Vogliamo capire chi sono questi cosiddetti Shadowgear e cacciarli da quest’isola una volta per tutte?”
    “Fammi strada”
    Il sorriso di Doye si allarga. “Bene, che ne pensi di presentarmi la tua fidanzata, adesso?” Se riesco a convincere anche lei, sto a cavallo, completa tra sè.
    “COME SAREBBE A DIRE E’ PARTITA???” Doye scuote come una bottiglia di sciroppo il tizio dagli improbabili capelli rossi alzati a pennacchio alitandogli in faccia il suo fiato infernale.
    “S-si, è andata a Luka per u-un c-concerto, y-ya” farfuglia quello in risposta, riprendendosi quel tanto che basta per parlare.
    “Al diavolo!” esclama il nano, buttandolo via come un strofinaccio. “Presto, Taidargor! A Luka! Dovunque sia! Andiamoci!! La ragazza viene con noi!!”
    “Urrà...” Confinato in un angolino, Tidus è l’immagine della felicità...ironicamente parlando.
    “E-e’ u-una brutta g-giornata, y-ya?”
    “Bruttissima, Wakka, bruttissima, e può solo peggiorare”

    “Abbiamo setacciato l’isola, mio Lord! Ma non abbiamo trovato traccia dei due intrusi!” Lo Shadowgear riporta il risultato delle lunghe ricerche con la morte nel cuore.
    Pendleton fa scorrere un ultima volta lo sguardo sulla grande forma scura di fronte a sè, prima di rispondere: “D’accordo...speravo di poterli catturare, ma a questo punto non possiamo più attendere, iniziate i prearativi per il viaggio a Luka! Il piano avrà inizio durante il concerto!”
    “Si, signore” Lo Shadowgear scatta sull’attenti, ma si attarda ancora un attimo. “Mi perdoni, signore, ma non pensa che quei due potrebbero in qualche modo esserci d’intralcio?”
    Una piccola risatina sorge dalla gola del Lord. “E’ molto probabile, mio caro amico, è molto probabile” Mentre parla, un enorme ombra lo sovrasta. Due occhi gialli appaiono su una grande sagoma nera. Impaurito, lo Shadowgear arretra. “Ma d’altronde” prosegue Pendleton. “Un lavoro grande ed importante come il nostro è inevitabile che incontri problemi durante i suo svolgimento, nevvero?”
    Due braccia massicce si allargano da un corpo altrettanto gigantesco. Una bocca si spalanca in un ruggito belluino, proveniente dal più profondo degli abissi, facendo fuggire il soldato Shadowgear in preda al panico.
    Pendleton sorride. “Per fortuna abbiamo i nostri mezzi, i nostri piccoli mezzi”


    Edited by Mr.Bianconiglio - 28/10/2011, 04:03
     
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    Quella sera, una barca stranamente rumorosa solcava le acque. Due tizi sospetti, infatti, arrocati sulla tolda, si stavano insultando e urlando addosso come assatanati dalla partenza dalla spiaggia di Besaid, ovvero da cinque ore tonde tonde: il primo, un ometto bassissimo e dall’aspetto massiccio sgridava il suo compagno di non averlo avvertito prima che la sua dannata ragazza era andata in una dannata città a fare un dannato concerto e inveiva contro di lui con espressioni signorili che partivano dalla passione per il baseball di sua sorella fino a meravigliarsi di che gran cavallerizza fosse stata la sua bisnonna.
    Da parte sua, l’altro, un ragazzetto biondo dall’aspetto infantile, rispondeva a tono, argomentando che lui non aveva nessuna colpa se Yuna non lo aveva messo al corrente del concerto e che, poi, era colpa sua se non era riuscito a tornare al villaggio con una buona idea per farsi perdonare, lui e quei stramaledetti cosi nerastri assassini che si era portato dietro.
    L’equipaggio della nave al momento disoccupato, rispettivamente il primo ufficiale e il capitano, si erano appassionati particolarmente a quella disputa; avevano ascoltato ogni parola con un occhio puntato all’ultima rivista de “La mia Vicina” e l’altro alla rotta, alternando la loro solidarietà dall’uno all’altro dei due contendenti, a seconda della validità degli argomenti.
    Alla fine, dopo aver visto sfondare il tetto di due ore e quarantaquattro minuti di furiosa conversazione e il passaggio al tafferuglio furioso, la prevedibile noia per l’impicciarsi di fatti altrui sempre uguali aveva preso il posto della curiosità e avevano smesso di seguire le vicende di quel bizzarro duo. Che nano e ragazzo se la sbrigassero pure da soli per risolvere i contrasti, loro non avevano nè la forza militare nè la voglia mentale di separarli.
    Cosi, si limitarono a mettere un cartello all’uscita dalla sottocoperta che avvertisse i passeggeri che una tempesta particolarmente violenta infuriava all’esterno e non era il caso di uscire. Risolto il problema, si congratularono per l’ottima trovata e scesero a controllare le cabine.
    In fondo, la compagnia a cui appartenevano aveva grande fama per il trattamento di riguardo che riservava ai propri ospiti, e non potevano mica permettersi di intaccarla.
    Sopratutto, non quel giorno che trasportavano ospiti di particolare interesse, nonchè di sostanziosa generosità.
    Come invocato, i capo dei clienti venne verso di loro. Aveva un aspetto decisamente poco umano, con quel suo corpo piccolo e completamente nero, gli occhi cremisi e la bocca piena di denti, ma il grosso cilindro e il monocolo sull’occhio gli conferivano un’aura di austera solennità.
    Ma anche se fosse stato un gigante ricoperto di vermi a salire sulla nave, lo avrebbero accolto allo stesso modo di un re, l’importante era che pagasse profumatamente come aveva fatto quel piccoletto nero. E poi, ne avevano viste troppe sui quei mari, ai tempi di Sin, per stupirsi ancora.
    “Mi perdoni, messere” esordì Lord Pendleton con perfetto bon-ton nobiliare. “Manca ancora molto per l’attracco?”
    Il capitano si profuse in un largo sorriso di ordinanza prima di rispondere, ringraziando il vecchio Yevon che quei due sul ponte fossero troppo impegnati a fare a botte per accorgersi di chi viaggiava con loro. Poi, però, si ricordò che Yevon non esisteva più e si limitò a farsi i complimenti per la propria intraprendenza commerciale e ringraziare il poco controllo sui trasporti marittimi.

    “Allora, siamo d’accordo, tre mesi e 4 giorni”
    “Ovvio, ma fatti più vicino, amico, voglio raccontarti una barzelletta”
    Doye liquidò la questione sul pagamento sparando una testata al capitano della nave che li aveva traghettati fino a Luka e mandandolo lungo sul pontile. Il nano sbuffò d’approvazione di fronte al pover’uomo con la testa attorniata da tante stelline e fece per andarsene, ma all’ultimo minuto ci ripensò; guardò a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra, poi, veloce come una serpe, rubò il portafoglio della sua vittima e sgattaiolò via sghignazzando mefistofelicamente.
    Aveva appena messo piede sulla banchina di pietra di Luka, che una voce ben conosciuta lo richiamò con una nota di disappunto.
    “Uff, non ho capito perchè sono io quello che si è dovuto offrire di lavorare per ripagare sulla nave”
    Doye non si interessò per vedere a chi apparteneva, dato che lo sapeva già, si mise a contare i soldi trafugati. “Te l’ho già detto, Dixan” rispose monotono. “Perchè tu eri quello più prestante e se mi offrivo io non si fidavano e ci lasciavano su quella dannata spiaggia” Si leccò il pollice e riprese a sfogliare la mazzetta di banconote. “E poi io ho la sciatica, non vorrai far lavorare un povero invalido”
    “Se, come se fosse vero” sospirò Tidus, apparendo al fianco del nano. Ormai si era abituato ai discorsi astrusi di quel misterioso individuo e sapeva che, se non voleva ritrovarsi a che fare con un lavaggio del cervello, l’unica era tacere e dargli ragione.
    “Tsè, giovani diffidenti” Doye chiuse i soldi in un rotolino e, dopo averli fatti svanire nella propria barba, in un modo del tutto sconosciuto, si rivolse al ragazzo. “Allora” disse burbero come un comandante militare. “Riepiloghiamo perchè siamo qui, dobbiamo chiedere alla tua fidanzata che ci dia una mano per battere gli Shadowgear che minacciano quello sputo di terra in mezzo al mare che chiamate casa, tutto chiaro?”
    “Si, si, tutto chiaro come è sicuro che Yuna mi farà a fettine per essere venuto a disturbarla proprio il giorno del concerto, e senza neanche un regalo per giunta” sospirò di nuovo Tidus, sempre più afflitto. Non era bello presentarsi in quel modo alla propria ragazza, dopo averci appena litigato e per di più per portargli notizia di mostri sconosciuti, se poi aggiungeva il fatto che quella ragazza era Yuna, allora era finita. Tidus poteva già immaginarsi il disastro: mezza isola distrutta e lui appeso ad un albero per essersi ripresentato senza una scusa decente.
    Magari poteva approfittare della confusione, mentre Yuna massacrava i mostriciattoli neri, per squagliarsela all’inglese...
    Doye non sembrava condividere i suoi dubbi, come se gliene fregasse qualcosa, e gli battè la mano sulla spalla con noncuranza. “Su, su, tranquillo, ragazzo, anche se non ho capito perchè non potevamo chiederlo direttamente a quelli del villaggio, sono sicuro che questa signorina non si arrabbierà se glielo chiedi con gentilezza, perciò su con la vita!”
    Tanto, a lui non fregava nulla, l’isola poteva anche affondare e portarsi dietro gabbiani e isolani: se la sarebbe squagliata in ogni caso. L’importante era affibbiare quel compito a qualcun altro e tirarsi fuori da quella storia, poi poteva pure venire un’epidemia di vaiolo.
    Tidus sospirò per la terza volta. Non ricordava di essere un tipo cosi propenso ai sospiri. “Uff, ma che ci posso fare se Lulu ha pensato che fosse solo una scusa per fare pace con Yuna? Almeno mi ha fatto i complimenti per l’originalità...”
    “Si, prima di darti quella simpatica mazzata in testa” completò Doye, sempre con noncuranza. “Ma su, su, non importa! La ragazza l’abbiamo lasciata a loro, quindi noi abbiamo piena libertà d’azione, non sei contento?”
    “Contentissimo...” Nel dire quella parola, Tidus avrebbe voluto che una pietra cadesse dal cielo e lo facesse sprofondare fino al centro della terra.
    “Ne era sicuro! E adesso andiamo a sto benedetto concerto!” Doye si incamminò lungo il grande viale di pietra coperto che fungeva da punto d’approdo per le barche; si guardò intorno per qualche istante.
    “Da che parte è che lo fanno?” chiese, voltandosi.
    “Da questa parte” rispose Tidus, incamminandosi a destra, seguito subito dal trotterellare del nano. La strada svaniva oltre una stretta curva. Oltre di essa, sapeva che si stendeva il grande stadio utilizzato per il Blitzball e adesso adibito anche per i concerti. Abncora stentava a crederci che la sua Yuna, la seria, riservata Evocatrice con cui aveva condiviso tante avventure, si fosse esibita in quel posto.
    Prima di vederla, avrebbe creduto più facilmente a un nano caduto dal cielo. Dopo averla vista per la prima volta, era stato troppo impegnato ad impedire alla bava di affogarlo per stupirsi.
    Eh, si, era proprio cresciuta la sua Yuna.
    “Ehi, ciccio”
    La voce di Doye lo riscosse dai suoi pensieri. Con pura ira rabbiosa, si voltò di scatto a guardarlo .
    “Eh, no!! Va bene tutto, ma “ciccio” no!!!!” gli gridò addosso, beccandosi, in risposta, un colpo di badile in testa, che lo spedì a capitombolare per terra.
    “Non urlare. Scemo” lo rimbrottò Doye, con l’arma del delitto sulla spalla, per poi far correre lo sguardo su tutto lo spazio circostante. “E’ da un po’ che l’ho notato...è sempre cosi deserto questo posto?”
    Con un bernoccolone in fronte, Tidus si rese conto che il nano aveva, stranamente, ragione: tutto il molo era completamente deserto nè si sentivano tracce di suoni in lontananza. Le barche attraccate ondeggiavano placidamente sul mare calmo e tutto era immerso in un silenzio innaturale, rotto unicamente dal sibilare del vento.
    “Che strano...” Tidus si rialzò in piedi, guardandosi intorno. “Forse sono tutti al concerto”
    “tutta la città?” Doye inarcò un sopracciglio, la mano appoggiata su un fianco. “Se fossi in te molto, molto attento alla tua fidanzata...”
    “E CON QUESTO CHE VORRESTI INSINUARE??”

    SDONG

    Altra badilata. Altro bernoccolo. Altra scena di Tidus agonizzante.
    “Ti ho detto di non urlare, scemo” ripetè Doye, annoiato. “Tsè, voi giovinastri avete sempre questo brutto vizio di urlare tutto, cosa siete, delle scimmie? Oppure siete solo def...” Si interruppe di colpo, voltandosi a guardare verso la curva in cui il molo svoltava.
    Massaggiandosi il secondo bernoccolo, Tidus lo squadrò malamente. “Che diavolo ti prende ade...” Non riuscì a terminare la frase, perchè il nano lo afferrò per il bavero e lo trascinò bruscamente fino ai mucchi di casse che riempivano la parte del molo adibita allo scarico delle navi. Prima di potersene rendere conto, il ragazzo si ritrovò buttato come un sacco di patate dietro una montagna di barili e l’odore di sardine sott’olio che gli aggrediva ferocemente il naso.
    “Ouch! Ma che diav...”
    Doye gli fece cenno di tacere, accompagnato dalla terza badilata quando lui non lo ascoltò, e sbirciò la via dove si erano trovati fino a un secondo prima attraverso uno spiraglio tra le merci accatastate.
    “Ouch!” fece Tidus, accostandosi dolorante. “Non serviva essere cosi brutali, diamine”
    “Colpa tua che non chiudi mai il becco, moccioso” lo fulminò Doye con un’occhiataccia. “Ricorda. Chi parla sempre a voce alta o è un gran maleducato o è un politico o è sordo, in tutti quanti i casi è meglio che stia zitto” disse, agitando un dito come se fosse una bacchetta da professore.
    “Tu è da tre capitoli che urli, perchè per questo non vale la regola?” sbuffò Tidus, mettendo il broncio.
    Doye lo liquidò con un gesto noncurante. “Quello era uno sfogo innocente, andava fatto”
    “Lo sai che ti odio con tutto il cuore, vero?”
    ”Non puoi nemmeno immaginare quanto ciò mi affligga, Girugan”
    Mentre Tidus azzannava per la rabbia una delle legature di cuoio che tenevano fermi i barili, Doye tornò ad osservare la strada. Ancora non si vedeva nessuno. Eppure era convinto che...
    “Orsù, miei validi sottoposti, siate più celeri nel trasporto! Il tempo, implacabile tiranno, ci corre alle calcagna con la velocità del vento!”
    Come sospettava, numerose figure apparvero oltre la curva. Erano tutti Shadowgear e, notò Doye, portavano con loro qualcosa di grosso. Sembrava una specie di locomotiva in miniatura, con grosse ruote irte di spuntoni e un enorme ciminiera terminante in un grosso imbuto che sbuffava vapore. Un grosso telo nero impediva di vederne il contenuto, anche se Doye immaginò che dovesse trattarsi di qualcosa di importante, a giudicare da come gli esseri oscuri lo sorvegliavano, schierati attorno ad esso in una granitica formazione quadrata.
    Di fronte al grosso gruppo, uno Shadowgear con cilindro e monocolo, che aveva tutta l’aria di essere il capo, esortava i suoi simili a sbrigarsi con gesticoli e brevi parole. Questi si affannavano ad eseguire, spingendo e trascinando lo strano macchinario con operosità quasi furente.
    “Che stanno trasportando?” chiese sottovoce Tidus, affiancandosi al nano ed osservando a sua volta.
    “Non lo so, ma non mi sembra niente di buono” rispose Doye, senza notare che parte dello stupore del biondino era rivolto anche verso di lui. Tidus, infatti, non riusciva a spiegarsi come avesse fatto quel nano arrogante a sapere che gli Shadowgear stavano arrivando proprio verso di loro, ma, poichè non c’era tempo per le domande, decise di tenersi i propri dubbi per sè.
    “Che facciamo?” chiese. “Sono in troppi per poterli affondare qui”
    Doye assunse un’aria pensosa. “Che c’è da quella parte?” chiese, indicando la direzione in cui il gruppo di Shadowgear si stava dirigendo precipitosamente.
    Tidus seguì il dito del nano con lo sguardo e sentì il sangue gelarsi nelle vene.
    “Di là c’è lo stadio” pronunciò con un filo di voce, mentre la preoccupazione lo assaliva con violenza. Era là che Yuna si stava esibendo in quel momento. Se quei mostri lo avessero raggiunto...
    “Dobbiamo fermarli!” Tidus scattò violentemente in piedi, cogliendo di sorpresa Doye. La mano gli volò alla spada, ma nel farlo tirò una manata al nano, che volò all’indietro e crollò pesantemente contro dei barili. Le funi che li sostenevano si spezzarono con uno schianto sotto il suo peso. I barili caddero a terra e si sfasciarono con uno schianto assordante, riversando per terra e sul povero nano una valanga di sardine ed olio tale che neanche l’Arca di Noè lo salvava.
    “Oh, cavoli” disse Tidus, rendendosi conto del disastro.
    “Poffare, cos’è stato quel rumore oltremodo sospetto?”
    Il ragazzo sgranò gli occhi nel sentire la voce del capo degli Shadowgear. Li avevano scoperti! E tutto per colpa sua!
    “Gianni! Girolamo! Estenualdo! Numero 1 e Numero 2! Suvvia, andate a controllare, mentre noi ci avviamo verso l’obiettivo”
    Tidus cominciò a sudare freddo. Che diavolo aveva combinato? Non c’era posto per scappare e il ricordo dei suoi inutili sforzi per sconfiggere anche solo uno di quei mostri era ancora vivo nella sua mente. Era impossibile, non poteva affrontarli e vincere!
    “Dannazione! Non stare lì impalato!” La voce rabbiosa di Doye lo riscosse. Ancora mezzo intontito e semi-sepolto dalle sardine, il nano stava cercando furiosamente di rialzarsi, ma continuava a scivolare sull’olio sparso dappertutto.
    “Vieni a darmi una mano, moccioso! Dobbiamo toglierci di qui!”
    Prima di capire cosa fare, Tidus era già in movimento. Dopo esseri guardato rapidamente attorno per cercare qualcosa di utile, afferrò un remo rimasto tra le merci, forse dimenticato da qualche marinaio distratto e lo tese a Doye. Appena il nano riuscì a divincolarsi dai pesci che lo ricoprivano abbastanza da afferrarlo saldamente, cominciò a tirare con forza. Agire lo tirò fuori dalla paura gelante che l’aveva inchiodato e quasi fu sul punto di ringraziare Doye, ma poi pensò che in risposta lui gli avrebbe dato un’altra badilata e ci ripensò.
    Da dietro la montagna di casse che li separava dalla strada sentì provenire una serie di sibili e schiocchi minacciosi. Comprese che gli Shadowgear inviati a controllare si stavano avvicinando e presto li avrebbero scoperti.
    “Dannazione, moccioso! Datti una mossa!” lo esortò Doye.
    Senza indugio, prese a tirare con rinnovato vigore. Per fortuna, l’olio che aveva reso scivoloso il terreno gli rese più facile il lavoro e cosi bastarono solo pochi, rapidi strattoni per far uscire Doye da sotto il mucchio di sardine e solo un altro per farlo uscire dalla pozza oleosa.
    “Ti ucciderò dopo per questo! Adesso nascondiamoci!” disse il nano affrettandosi a rimettersi in piedi.
    Tidus non poteva essere più contento.
    Rapidamente, si gettarono nello stretto percorso formato dalle merci accatastate. Per loro fortuna, erano state scaricate in modo confusionario e i posti dove si poteva rimanere senza essere visti abbondavano. Si accucciarono dietro una cassa particolarmente grossa; Doye avrebbe preferito qualcosa di più sicuro, possibilmente in alto e senza il mare a solo quindici centimetri dai piedi, ma c’era poca scelta.
    Mentre pensava questo, gli Shadowgear spuntassero oltre la prima fila di barili e si avvicinassero alla montagna di sardine rovesciata.
    Dal loro riparo improvvisato, i nostri due eroi osservarono le creature oscure brancolare in giro annusando l’aria in cerca di tracce sospette. Un paio di loro, troppo intraprendenti, scivolarono sull’olio e si spiaccicarono pietosamente contro il muretto di pietra che delimitava il molo. I restanti sospirarono e scossero le teste in segno di afflizione, per poi continuare la ricerca.
    Ad un tratto, uno Shadowgear alzò la zampa: “L’odore di sardine continua da questa parte” annunciò, indicando proprio il luogo dove Tidus e Doye se ne stavano nascosti. Chiaramente, i nostri due eroi bestemmiarono mentalmente e cominciarono a lanciare tutte le maledizioni possibili contro quel impiccione.
    “E’ vero, anche le impronte lo confermano!” disse un altro, armato di lente d’ingrandimento, e la lista di insultati raddoppiò.
    Con sommo orrore, Tidus vide gli Shadowgear seguire la pista con la circospezione e la professionalità di un detective privato, dato che si fermavano anche a rilevare le impronte digitali.
    Era solo questione di tempo perchè li trovassero.
    “Dannazione, ma questi sono peggio di cani da caccia!” esclamò cercando di non farsi sentire. “Siamo fregati!”
    Doye scosse la testa. “No, forse no” disse, e nella sua voce Tidus sentì una nota enigmatica che non seppe decifrare.
    Sicurezza?
    Tristezza?
    Arroganza?
    Rassegnazione?
    Non sapeva quale fosse il suo vero significato.
    Il nano si afferrò la manica destra e cominciò ad arrotolarla per scoprirsi il braccio.
    Borbottava tra sè mentre compiva questa operazione, cosi piano che Tidus riuscì a stento cogliere le parole.
    “Cosi presto...al diavolo, non pensavo che avrei dovuto usare questa roba...”
    All’incirca a metà del braccio muscoloso, stava tatuato uno strano simbolo: un cerchio perfetto, contenente un intricato motivo di linee curve che si intrecciavano in un complicato arabesco. Sembrava risplendere di una lieve luminescenza nel buio della notte, ma Tidus lo attribuì ai strani giochi di luce creati dalla luna.
    Nell’osservarlo, il ragazzo sentì una strana sensazione farsi strada nello stomaco. Un timore silenzioso, che lo rese dubbioso ed insicuro verso quel simbolo dall’aspetto misterioso. Ebbe l’impressione che emanasse...qualcosa...non sapeva descriverlo con precisione, ma sentì solo una sorta di aura, e seppe istintivamente che era qualcosa da temere ed usare con estrema cautela.
    Improvvisamente titubante, sollevò lo sguardo per incrociarlo con quello di Doye, e rimase sorpreso nel vedere il nano ammiccargli con aria furba, un’espressione che sul suo volto legnoso e sempre burbero assunse lo stesso aspetto del sorriso di una belva feroce.
    Inquietante.
    “Guarda, adesso ti insegno un trucchetto, ma, mi raccomando, non raccontarlo a nessuno”
    Delicatamente, Doye appoggiò il palmo aperto sul lato della cassa che aveva di fronte. Appena lo ebbe sfiorato, una perfetta copia del suo tatuaggio vi comparve sopra, illuminandosi di luce bluastra.
    Lo stupore di Tidus aumentò con l’aumentare di quella luce, che si fece sempre più brillante, sempre più forte, fino a divenire sfavillante e a offuscare ogni altra cosa...
    “Oh, cacchio...”
    Un esplosione fragorosa avvolse tutto il molo. Le casse e i barili vennero spazzati via e fatti a pezzi quasi istantaneamente. Colti alla sprovvista, i poveri Shadowgear ebbero appena il tempo di fare “eh?”, prima che l’onda d’urto li sparasse ad incassarsi nel muro di pietra di fronte come moscerini sul parabrezza di una gummyship.
    Un polverone enorme ricoprì tutta la zona, offuscandola completamente.
    Bruciacchiati, acciaccati, ammaccati, ridotti malissimo, Doye e Tidus ne vennero fuori correndo veloci come razzi.
    “Ok, lo ammetto, forse ho sbagliato qualcosa” disse il nano, in uno stato a dir poco pietoso.
    “NON PARLARE! NON TI VOGLIO PIU’ SENTIRE!!” gli urlò di rimando addosso il biondo, talmente ricoperto di polvere e fuliggine da poterlo scambiare per un brasiliano immigrato.
    “Eh, adesso non si può neanche più sbagliare, ma come siamo nervosi”
    “MI ASTENGO DAL COMMENTARE! SI ERA DETTO DI SCAPPARE, NON DI SUICIDARSI!!!”
    “Beh, meglio, no? E’ un’esperienza in più”
    “STA’ ZITTOOOOO!!!”
    In questo clima di perfetta concordia, lasciandosi dietro gli Shadowgear piantati di testa nel muro che si agitavano a scatti, i nostri due eroi andarono di gran carriera verso lo stadio di Luka.

    Pendleton era preoccupato.
    Benchè il suo granitico self-control e i modi impeccabili non vacillassero di una virgola, il Lord era tutt’altro che tranquillo; temeva che qualcosa potesse andare storto e assieme a quel pensiero angoscioso, per qualche motivo che non sapeva spiegarsi, non poteva fare a meno di associare i due intrusi incontrati sull’isola.
    Per la millesima volta biasimò sè stesso e la propria indecisione: era impossibile che sapessero qualcosa del loro piano, nessuno poteva saperlo, nè d’altronde avrebbero potuto seguirli fino a Luka, per il semplice fatto che avevano preso l’unica nave disponile per il viaggio.
    Cercando di scacciare l’inquietudine, esaminò che i lavori filassero nel modo giusto. In quel momento, tutti gli Shadowgear al suo comando, lui compreso, erano radunati in un largo spazio vuoto. Non c’erano luci, ma ciò non era che un particolare irrilevante per creature nate dall’Oscuirità più pura come loro. Pendleton poteva sentire chiaramente la voce della cantante riecheggiare sopra di sè attraverso il basso soffitto, e dovette ammettere che ci sapeva fare.
    Anche se, presto non avrebbe avuto più nessuna importanza.
    Il Lord spostò lo sguardo rossastro su un gruppo di Shadowgear, più grandi degli altri, che avevano spalancato il carro d’acciaio e stavano disponendo tutti i componenti al suo interno in posizione. Nessuno Shadowgear poteva essere paragonato in forza fisica ai deboli e patetici Heartless, ma questi mostravano toraci larghi e muscolature possenti, costellati da pezzi di armatura biancastra saldati in modo irregolare ai loro stessi corpi; sulle teste spuntavano un paio di massicce corna da toro, terminanti in una punta a spirale.
    Nell’osservarli al lavoro, Pendleton non riuscì a reprimere un moto d’orgoglio.
    I Taurus, questo era il nome di quella specie di Shadowgear, sollevavano e si passavano pezzi di metallo grossi come tronchi d’albero con la stessa facilità con cui avrebbero spostato uno stuzzicadenti.
    Una visione che, almeno in parte, lo rassicurò: se si fossero presentati inconvenienti, non avrebbero avuto problemi ad eliminarli, non con quella forza a disposizione.
    “E poi, c’è sempre lui” pensò il Lord, gettando un rapido sguardo all’enorme sagoma accucciata in un angolo, talmente grande da doversi ripiegare su sè stessa per entrare in quello spazio angusto.
    Sospirò soddisfatto. No, non c’era davvero nulla di cui preoccuparsi.
    Mentre pensava questo, notò uno Shadowgear farsi largo tra i presenti, diretto verso di lui, probabilmente recante le notizie che aspettava.
    “Dunque, quale è la situazione, mio valido subordinato?” chiese.
    “La squadra inviata a sistemare le bombe è tornata, mio Lord” esclamò lo Shadogear, con un saluto militare.
    Pendleton annuì. Tutto stava andando come previsto.
    “Perfetto, l’orologio batte il tempo e la vittoria cavalca al nostro fianco” disse soddisfatto, poi lo colse un dubbio. “Ma toglimi una curiosità, o messaggero, questo compito, per quanto arduo, non avrebbe dovuto prendere solo mezz’ora, invece delle due ore che vedo qui trascorse?”
    “Ehm, avrebbe dovuto, mio Lord” si schermì il soldato oscuro, un po’ imbarazzato. “Ma i ragazzi della squadra hanno detto che il concerto è cosi bello che era un peccato perderselo, poi c’è stato l’intervallo e, tra la fila per comprare i pop-corn e la pausa digestione sindacale, hanno perso un po’ di tempo”
    Pendleton si mollò una manata in fronte. “Ahimè, sono queste le disgrazie che ci spingono a chiederci perchè degli sciagurati abbiano voluto abolire i lavori forzati” Sospirò. “Ebbene oggi sono magnanimo, dì loro che da stasera dovranno solo pulire la camerata a testa in giù e con uno spazzolino da denti in bocca per i prossimi settantaquattro giorni”
    Un po’ perplesso, lo Shadowgear messaggero si grattò la nuca. “Ehm, con tutto il rispetto, mio Lord, questa non è propria quella che chiamano magnanimità”
    “Devo dedurre da cotali parole che desideri unirti a loro?”
    “Vado a riferire...”
    “Bravo, mio fido, apprezzo questa tua pronta solerzia” Il Lord seguì con lo sguardo il messaggero finchè non scomparve, assorbito nell’Oscurità. Sarebbe riapparso sugli spalti, da un’altra pozza d’ombra e il suo messaggio sarebbe stato recapitato.
    Fugati ormai anche le ultime preoccupazioni, Pendleton si rivolse alla massa di Shadowgear in attesa.
    “Miei fidi!” disse, e tutti, come figli che accorrono al richiamo del padre, compreso l’enorme essere nascosto nell’ombra, interruppero le loro attività per ascoltarlo. “I preparativi principali sono stati ormai completati! L’ora è giunta per compiere ancora una volta il nostro dovere! Concediamo la gloriosa Rinascita anche per questo pianeta infestato dalla Luce! Mostriamo a questi ciechi umani il potere dell’Oscurità!”
    Bastarono quelle poche parole per far infiammare i cuori oscuri di tutti gli Shadowgear, che, come un solo essere, sollevarono gli artigli e li incrociarono in una stretta uncinata, lasciandosi andare a un grido carico di fanatica determinazione.
    “Tutto deve tornare all’Oscurità!!!”
    Nel caos delle strida, Pendleton sorrise. Tutto stava andando al suo posto. Che i patetici umani si godessero quel loro misero divertimento.
    L’ironia della situazione lo divertì.
    Proprio quella musica cosi vitale, che li aveva attirati con la prospettiva del divertimento, avrebbe fatto da requiem alle loro vite...

    Tidus e Doye giunsero a destinazione dopo alcuni, rapidi minuti: l’enorme struttura circolare si stagliava di fronte a loro in tutta la sua mole. Proveniente dall’interno, la voce di Yuna risuonava chiara, accompagnata da una musica vivace.
    “Uff, puff, ci siamo?” chiese Doye, con il fiatone.
    “Accidenti, il concerto deve essere già iniziato” disse Tidus, in agitazione per le sorti della sua ragazza. Se le fosse accaduto qualcosa, non sarebbe mai riuscito a perdonarselo. “Presto, muoviamoci! Dobbiamo entrare!”
    Stava già per riprendere la corsa, ma si fermò nel vedere Doye che gli faceva ceno di fermarsi.
    “Puff, calma, uff...prima mi riposo, uff”
    “LO FAI DOPO, VA BENE??”
    “Puff, te l’ho già detto che devi stare calmo, moccioso?”
    “NON VOGLIO STARE CALMO! DOBBIAMO ENTRARE! YUNA POTREBBE ESSERE IN PERICOLO!”
    “D’accordo...” Doye prese un lungo respiro e si raddrizzò. “Comincia a metterti in fila, vai”
    Tidus si bloccò nell’atto di tirare un cazzotto in testa a quel testone e lo guardò stupito.
    “Quale fila?”
    “Quella fila” precisò Doye, indicando la titanica fila di persone di fronte all’ingresso dello stadio, in attesa di poter entrare.
    Si sentì un chiaro e cristallino clonk: era la mascella di Tidus che cadeva per terra.
    “M-ma da dove viene tutta questa gente? Pensavo che il concerto fosse già iniziato” chiese a tutti e a nessuno con un misto di incredulità e orrore.
    “Beh, supponiamo che sia iniziato da poco e che questi siano i ritardatari, questo direi che avrebbe senso” assodò Doye con noncuranza, guardandosi le unghie.
    “E-e che si può fare?” chiese Tidus. Non sapeva più che pesci prendere.
    “Mah, non so, non mi intendo di concerti” rispose Doye sempre con la stessa noncuranza.
    Disperato, Tidus si afferrò la testa tra le mani.
    Che poteva fare? Che poteva fare? Che poteva fare?
    Era i ncasi come quelli che avrebbe voluto mettersi a urlare.
    “Ehi, moccioso, tranquillizzati” lo richiamò Doye. “Adesso facciamo una telefonata al servizio di sicurezza e gli diciamo di tenere gli occhi aperti perchè c’è il pericolo di un incidente. Considerato quanti caproni ha richiamato qua sto concerto, faranno il diavolo a quattro per controllare che tutto vada bene, beccheranno i mostriciattoli e noi dovremo solo goderci lo spettacolo da qualche parte”
    “No! Tu non capisci!” sbottò Tidus.
    Doye inarcò un sopracciglio. “Cosa non capisco? Non dare di matto, eh?”
    “Non do per niente di matto! “ gridò il ragazzo. Era teso come una corda di violino, ma un’espressione furiosa gli brillava negli occhi. “Yuna è la mia fidanzata! Sono io che devo salvarla! Io e nessun’altro! Se fosse qualcun altro a farlo, io...io...” Strinse i pugni ed abbassò lo sguardo, mentre la voce gli si spegneva. “Io mi sentirei inutile...”
    “...”
    Tidus digrignò i denti. “Io....so di non meritarla...lei aveva deciso di sacrificare sè stessa per salvare questo mondo, mentre io ero cosi stupido da non riuscire nemmeno a vedere mio padre oltre l‘invidia che provavo per lui...lei...lei è tutto ciò a cui tengo, non potrei lasciarla andare, non potrei sopportare di vederla tra le braccia di un altro” Tidus tremava mentre parlava, ogni parola intrisa di passione disperata. Si sentì immensamente ridicolo a parlare cosi apertamente proprio a quel nano bizzarro, ma credeva anche nella più piccolo di quei pensieri al punto che avrebbe preferito morire piuttosto che rinnegarle.
    Tre parole, tre piccoli sospiri indugiarono nella sua mente.
    “Io la...”
    Yuna...lei era la sua luce...
    Oltre l’amicizia, oltre l’affetto, un sentimento fortissimo lo legava a lei, cosi impetuoso che sarebbe stata follia anche solo pensare di poterlo frenare, un legame cosi fondamentale, cosi indispensabile che non sarebbe riuscito a vederlo spezzarsi e sopravvivere per piangere ciò che aveva perduto. Piuttosto che quello, piuttosto che perdere la sua luce, il suo cuore sarebbe andato in mille pezzi e si sarebbe disperso nella brezza marina.
    Tre parole, tre piccoli sospiri indugiarono nel suo cuore, troppo grandi perchè riuscissero a uscire dalla gola.
    “Io la...io la am...”
    Doye rise. La sua fu una risata di pura allegria, senza nessuna malizia nè ironia; fu unicamente lo sfogarsi di un misto di emozioni e risuonò nella notte più forte delle note del concerto.
    “Sei troppo forte, ragazzo” spizzicò il nano tra le risate.
    Tidus lo guardò, offeso, e con il cuore in tumulto. Si stava prendendo gioco di lui?
    Fece per ribattere, ma, un attimo prima che potesse farlo, una consapevolezza gli affiorò in testa, facendolo tacere. Per la prima volta, Doye non l’aveva chiamato “moccioso”.
    “Bene, bene, bene, l’avevo capito che eri un ingenuo, ma cosi mi fai sentire uno che sopravvaluta”
    Il nano aveva un gran sorriso sul volto quando si afferrò la manica del braccio opposto a quello che aveva scoperto al molo e la sollevò.
    Un altro simbolo arcano, stavolta di un giallo puro come il miele, brillò cupamente nell’aria notturna.
    “Cosa...” fece per dire Tidus, sentendosi di nuovo assalito dallo stesso timore di poco prima, ma venne zittito all’istante.
    “Taci, scemo” Doye distolse lo sguardo da lui e lo puntò verso lo stadio, cominciando a studiarlo con occhi critico. “Non voglio nemmeno provare ad entrarci dalla porta principale, tanto già si sa che sarà solo una gran perdita di tempo...”
    Con un rapido gesto, mosse l’indice nell’aria. Mentre faceva questo, la stessa luce del simbolo apparve sulla punta del dito e si impresse dove questo passava, creando delle tremolanti linee dorate che presero a svilupparsi e ad intrecciarsi come le radici di un albero.
    “E q-quindi?” balbettò Tidus, gli occhi puntati su quello spettacolo stupefacente.
    “E quindi si entra con un altro trucchetto” gli fece eco Doye, guardandolo con un sorriso, mentre di fronte a lui le linee dorate si legavano in una trama fitta. “Occhio, non dirlo a nessuno, eh?”
    Il disegno luminescente si allargò in larghezza e lunghezza finchè fu abbastanza grande da poter contenere una persona eretta. A quel punto, si illuminò di una luce intensa e forte, tanto che Tidus dovette ripararsi gli occhi per non rimanere accecato, poi sembrò quietarsi.
    Stupefatto, Tidus abbassò il braccio. Di fronte ai suoi occhi sgranati, una riproduzione dieci volte più grande del disegno sul braccio di Doye galleggiava pigramente nell’aria. Ogni linea che ne formava il complesso schema sembrava avere vita propria, si muoveva, ondeggiava, ma senza mai che il disegno nel suo complesso svanisse o cambiasse. Dava l’impressione di essere disegnata nel cielo, oppure ne fuoriusciva, era impossibile descriverlo con precisione.
    Per un breve istante, Doye squadrò il simbolo con aria critica. “Uhm, fa assolutamente schifo” ponderò, pensoso. “ma chi se ne frega, per un passaggio solo va benissimo”
    Quelle parole risuonarono come colpi di cannone alle orecchie di Tidus.
    “Un passaggio?” esclamò. “Vuoi dire che questo coso può portarci dentro lo stadio?”
    “Ma no, serve come decorazione, è che è troppo buia sta notte e mi pareva bello metterci qualche lucina...e certo che serve per entrare dentro sto cacchio di stadio! Sennò che lo facevo a fare sto spettacolo?”
    Tidus si riparò con le mani dalla furia nanesca che lo aggrediva. “Va bene! Va bene! Scusa!”
    “Ad ogni modo...” A dispetto di tutto, non venne nessuno colpo da Doye, che, anzi, si fece serio. “Adesso non perdo tempo a spiegarti che cos’è questo affare che ho disegnato, tanto non lo capisci”
    “Grazie della fiducia...”
    “Zitto. Dicevo, questo coso vale solo per l’andata, poi si chiude e addio a qualunque possibilità di ritorno”
    Tidus comprese a cosa volesse arrivare il nano. “Non mi importa” affermò, determinato. “Mi basta entrare là dentro, poi il resto non ha nessuna importanza”
    Doye osservò il ragazzo che gli stava di fronte con espressione indecifrabile, prima di lasciarsi andare a un largo sorriso. “Accidenti...” mormorò, grattandosi la testa. “Non mi pagano abbastanza per fare questa roba” Sollevò lo sguardo, una luce arrogante che gli brillava negli occhi. “Allora, moccioso, penso sia ora di andare a calciare qualche sedere di mostro oscuro, vero?”
    Tidus sbattè il pugno contro il palmo. “Puoi dirlo forte, dannazione” disse, rispondendo al sorriso del nano. Iniziò a camminare verso il portale luminoso, ma all’improvviso si fermò.
    “Ah, Doye?” chiamò, una nota di incertezza nella voce.
    “Mh? Cosa c’è ancora?”
    “Per questo...per l’aiuto che mi stai dando...” Tidus articolò le parole con imbarazzo. Non era abituato a cose del genere.
    “Grazie...”
    La risata aspra di Doye si estese nella notte. “Tieniteli per te i tuoi stronzi ringraziamenti, moccioso, di te non me frega nulla, questo lo faccio per me”
    Un’ondata di curiosità e confusione colse Tidus. “Cosa significa?” chiese, perplesso.
    “Niente che ti riguardi” ghignò Doye. “Sappi solo che mi hai fatto ricordare qualcuno che pensavo di non poter rivedere”
    Tidus fece per chiedere ancora, cosa significasse, chi avesse mai ricordato al nano, cosa significasse, ma non ne ebbe mai la possibilità. La mano di Doye gli si abbattè sulla schiena, spingendolo con violenza verso il varco.
    Colto di sorpresa, cadde in avanti, dritto dentro il simbolo dorato.
    La luce riempì il mondo e, mentre ogni cosa svaniva sopraffatta da essa, il ragazzo ebbe appena il tempo di sentire ancora la voce di Doye il nano.
    “Stupido moccioso...non capisci proprio niente”
     
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    “Mio Lord, siamo pronti ad agire!”
    Le parole dello Shadowgear messaggero erano musica per le orecchie di Pendleton.
    Il Lord gettò un rapido sguardo tutt’attorno a sè, impassibile, prima che un lungo, profondo sospiro di apprezzamento gli attraversasse la gola.
    Era un suo piccolo vezzo: amava il pensiero di essere stato l’ultimo ad aver assaporato l’odore di un pianeta cosparso di Luce.
    E sarebbe stato l’ultimo.
    Tutto era pronto. Nell’atmosfera allegra, immersa nella musica vivace che andava a ritmo con la voce della cantante, tutto era pronto. Nascosti dietro ogni ombra, le squadre di incursori avevano completamente circondato il perimetro esterno dello stadio. Confusi in ogni brandello di oscurità rimasto tra le luci cangianti del concerto, dozzine di soldati oscuri erano sparsi in ogni angolo del perimetro interno. Immerso nell’ombra di uno degli spettatori della folla scalpitante, ogni Shadowgear affilava gli artigli e le zanne. E infine, schierati dietro di lui attorno all‘essere oscuro gigante, il restante dei suoi sottoposti attendeva con trepidazione.
    Tutti non aspettavano che un suo cenno per agire.
    Pendleton si toccò la tesa del cilindro con un artiglio, calandoselo leggermente sugli occhi. Un piccolo ghigno gli si allargò sulla faccia nera.
    Come poteva deluderli?
    Lentamente, molto lentamente, gustando ogni secondo di quel momento intriso di trionfo, Pendleton sollevò il braccio verso l’alto. Tutti gli Shadowgear presenti nell’arena si tesero, pronti a scattare al comando della volontà del Lord.
    La musica del destino andava secondo il loro volere, non c’era nulla che potesse fermarli.
    Pendleton sorrise.
    E all’improvviso, un esplosione squarciò la sinfonia perfetta degli Shadowgear. La folla festante si bloccò di colpo, inorridita dalla sorpresa. La cantante tacque, il concerto si spense in un silenzio completo.
    Lo sguardo del Lord si mosse in ogni direzione, appena allarmato, alla ricerca della fonte di quella stonatura che rischiava di mandare all‘aria ogni cosa..
    “Che sa succedendo, poffarbacco?” chiese, senza perdere un briciolo di calma, mentre mormorii stupiti e preoccupati traversavano la folla come onde nel mare.
    Richiamato all‘istante, lo Shadowgear messaggero emerse dall‘ombra. “Mio Lord, tutta la tribuna 13 è stata colpita da un esplosione improvvisa!” riferì trafelato, conscio di come un simile imprevisto incidesse sul loro successo.
    Pendleton aggrottò la fronte. “Tutto ciò è frustrante” commentò, sempre calmo ed impeccabile. “Come è potuto succedere?”
    “Non lo sappiamo, mio Lord, per colpa del fumo non riusciamo ad individuare la fonte dell’esplosione”
    “Poffarbacco!” La nota d’ira, quasi impercettibile, nel tono di Pendleton fece arretrare il messaggero, terrorizzato. “Non possiamo permettere a niente di ostacolarci! Date l’ordine che tutte le squadre si mettano in azione! Immediatamente!”
    “Ma...mio Lord!” Cercò di protestare il messaggero. “In questo modo l’ordine dell’operazione non può essere rispettato!”
    “Mi permetto di insistere, mio amico” disse Pendleton, assottigliando gli occhi cremisi e la minaccia insita nella sua voce bastò al messaggero per abbassare la testa in un rapido saluto e scomparire di nuovo, diretto a portare gli ordini.
    Quando fu svanito, Pendleton scosse la testa con disappunto. No, non era infuriato, nè preoccupato, forse prima lo era stato, ma adesso non più. Gli sciocchi umani erano allarmati e, dove prima c’era una confusione ideale per un azione rapida e mirata, adesso c’era solo un silenzio attonito che non avrebbe permesso ai soldati oscuri di muoversi a proprio piacimento.
    “Ciò non cambierà nulla” borbottò Pendleton. Non cambiava nulla. Senza l’effetto sorpresa, sarebbe stato più difficile eliminare tutti gli umani per impedire che qualcuno potesse dare l’allarme al resto della città, ma questo non precludeva l’esito della missione.
    Pendleton annuì. Li avrebbero bloccati tutti prima che la voce diffondesse, dovevano solo agire in fretta.
    L’unica incognita dipendeva da ciò che aveva causato l’esplosione. Il Lord poteva immaginarne la causa, anzi gli autori, e anche se andava contro ogni concezione logica, si convinceva sempre di più che doveva trattarsi di quel irritante nano e di quel moccioso biondo.
    “Beh, che vengano” mormorò tra sè. Fece un gesto agli Shadowgear schierati di dietro di lui. Quelli spalancarono le bocche e si scagliarono in avanti, gettandosi uno dopo l’altro dalle aperture che li avrebbero condotti sugli spalti.
    Pendleton rimase fermo mentre dozzine di essi lo superavano correndo e ruggendo, lo sguardo cremisi fisso nel punto in cui il fumo oscurava la visione di parte della tribuna.
    “La vostra maleducata interruzione è una stonatura che ne ha precluso la perfezione, messer nano, ma la nostra sinfonia non è stata ancora spezzata”
    L’enorme creatura d’ombra gli si mise accanto, in attesa. Due occhi rosso sangue brillarono nell’Oscurità.
    Lo sguardo di un predatore che attende, paziente.

    A Tidus sembrava di essere stato passato in un frullatore.
    Dopo aver attraversato il portale, una luce accecante lo aveva avvolto assieme a una sensazione di freddo cosi forte che aveva temuto di morire assiderato come un pesce surgelato. Subito dopo, le orecchie gli si erano riempite di un fragore violento e si era sentito tirare da ogni direzione, quasi come se il suo corpo avesse improvvisamente deciso di smontarsi di propria volontà. Infine, quando tutto era svanito in un silenzio completo e aveva cominciato a pensare di essere morto, era stato aggredito dal calore.
    Una vampata bollente, bruciante, lo aveva travolto, aggredendogli il corpo con centinaia fitte violente; bagliori di luce gli erano balenati di fronte agli occhi e un dolore lancinante gli aveva invaso il corpo come migliaia di piccoli uncini che strappavano la carne.
    Per un attimo lungo quanto un‘esistenza, si era sentito come un filo d’erba in un incendio. Non riusciva a muoversi e il dolore gli impediva anche solo di provare a pensare a qualcosa. Con solamente un profondo terrore a cui aggrapparsi, si era lasciato andare, travolto dal tormento.
    Poi, di colpo, tutto era cessato. Il calore, la paura, la sofferenza, tutto era svanito ed era giunta una calma cosi piacevole che avrebbe potuto urlare dalla felicità se avesse avuto abbastanza voce.
    Era ancora lì, ansimante e con il cuore e la mente in tumulto. Rimase fermo per quelle che gli parvero ore, con la terrorizzante prospettiva che il tormento stesse per riprendere da un momento all’altro.
    Passarono secondi lunghissimi, scanditi solo dal suo respiro veloce e spaventato. Lentamente, mentre la consapevolezza che il dolore non sarebbe tornato prendeva piede in lui, riprese il controllo delle proprie emozioni e la calma riprese, almeno in parte, il sopravvento.
    Il pensiero di Yuna in pericolo lo travolse come un’onda di maremoto.
    Agitato e con il cuore che batteva a mille, cercò di capire se il portale creato da Doye li aveva inviati davvero dentro lo stadio.
    La prima cosa che percepì fu qualcosa di freddo e liscio sotto di sè.
    La seconda che era rimasto tutto il tempo ad occhi chiusi.
    Dandosi dello sciocco, li aprì.
    Nero. Il mondo era coperto dal nero. Non riusciva a vedere nulla, solo la completa Oscurità.
    Allarmato, battè le palpebre e cercò di mettere a fuoco, ma il risultato non cambiò Stava per sfregarsi gli occhi, quando qualcosa gli afferrò saldamente il polso.
    Tidus gridò per la sorpresa e cercò vanamente di divincolarsi. Tutto inutile, la presa dell’altro era una morsa d’acciaio. Il ragazzo digrignò i denti per la rabbia di non riuscire a vedere di chi si trattasse e cominciò a menare calci e pugni verso i punti in cui riteneva trovarsi il suo assalitore.
    “Dannazione, stà buono! Stà buono, accidenti a te! Sono io! Sono Doy...ARGH!!!”
    Tidus comprese chi aveva di fronte proprio nel momento in cui il suo piede colpiva qualcosa. Trasalì.
    Non era la gamba.
    “Oddio! Brutto grandissimo figlio di una Argh! Che maleee!!!”
    La conferma venuta dalla voce strozzata del nano lo fece vergognare fin nel profondo.
    “Ehm, prova a battere i piedi per terra” provò a consigliare, sentendosi colpevole.
    Pessimo tentativo.
    “Ma lo sai dove te li puoi ficcare i piedi?!?!? Accidenti a te, brutto...”
    Non riuscì a cogliere l’ultima parola, perchè un paio di mani callose gli serrarono bruscamente la testa, tappandogli le orecchie.
    “Ma che...” stava per chiedere, ma il grugnito assassino di Doye lo fece tacere.
    “Stà zitto, e fammi fare”
    La voce di Doye fendeva con decisione il buio che lo circondava, però non seppe dire da dover proveniva con precisione. Turbato, mantenne per sè le proprie domande e, anche se la preoccupazione per Yuna rischiava di farlo scoppiare, fece di tutto per tenerla a bada ancor aun po’.
    Per fortuna, non dovette attendere molto. Era passata appena una manciata di secondi che sentì un calore piacevole cominciare a diffondersi dalle mani tozze del nano. Come un’onda confortante, gli lenì la mente e il cuore, per poi concentrarsi sulla zona all’altezza degli occhi e lì affondare e disperdersi. Appena svanì, le mani del nano lo lasciarono e Tidus aprì gli occhi.
    Fu quasi con sollevò che accolse la visione della brutta faccia di Doye che lo osservava con un‘espressione imperturbabile. Gli era quasi mancato...molto poco, però.
    “Adesso piega la testa in diagonale e schiva verso destra” disse il nano.
    ”Eh?”
    Istintivamente, Tidus obbedì. Un paio di artigli solcarono il punto in cui si trovava la sua testa un secondo prima, gli tagliarono una ciocca di capelli e affondarono nella pietra per un palmo, sollevando polvere e frammenti.
    Tidus ci mise un po’ a capire la situaizone. Lui de Doye si guardarono, spostarono lo sguardo all’unisono sul mucchio di Shadowgear sbavanti ed urlanti che stava per assalirli, tornarono a guardarsi, poi scapparono veloci come razzi.
    “Siamo dentro lo stadio, vero?” chiese, anzi gridò Tidus, lui e il nano correvano paralleli sulle gradinate con un’orda di Shadowgear alle calcagna.
    “Diavolo! E io che pensavo di aver aperto il portale sul club di golf!” rispose di rimando Doye, dribblando un mucchio di pietre cadute.
    Tidus gettò una rapida occhiata tutt’attorno. All’inizio il fumo e le condizioni disastrate gli avevano fatto pensare di trovarsi in qualche altro posto, ma adesso che lo vedeva meglio quello era proprio lo stadio di Luka.
    Non poteva credere ai suoi occhi. Il luogo in cui le persone di tutta Spira si riunivano per divertirsi, testimone delle più importanti manifestazioni, sembrava un campo di battaglia. Polvere e fumo ammorbavano l’aria, mentre le urla degli spettatori in fuga si mischiavano ai ruggiti e ai sibili degli Shadowgear. Le creature oscure mietevano vittime con una brutalità spaventosa, uccidendo e dilaniando senza distinzioni uomini, donne o bambini e chiunque fosse cosi sfortunato da cadere loro preda. Alcune guardie tentavano di opporre resistenza, ma erano poche e deboli, e venivano sopraffatte rapidamente dalla furia degli invasori.
    Al vedere quella scena, Tidus si morse il labbro.
    “Ti fanno incazzare, vero?”
    Le parole di Doye lo presero alla sprovvista. Si voltò a guardarlo e rimase sconvolto da ciò che vide. Un ghigno feroce si allargava sul volto del nano e uno strano luccichio gli brillava negli occhi, donandogli un inquietante sfumatura cremisi.
    Tidus deglutì, avvertendo una stretta al cuore nel guardarlo. La rabbia e il timore gli impedirono di parlare, cosi si limitò ad annuire.
    “Già, anche a me...” continuò Doye. La sua mano scattò ad afferrare uno dei sassi caduti dalle tribune soprastanti, prima che si voltasse verso l’ondata di Shadowgear avanzanti.
    “Mi hanno proprio stufato questi mostriciattoli!!!!”
    Colto di sorpresa da quel improvviso mutamento, Tidus inciampò nel tentativo di fermarsi a sua volta e cadde. Una fitta di dolore gli dardeggiò lungo il braccio quando picchiò contro uno spigolo dei grossi gradini della tribuna, ma quasi non vi fece caso, assorbito dalla scena che gli si presentava di fronte.
    Doye fronteggiava da solo la massa di Shadowgear avanzante. Senza smettere di sorridere, sollevò il sasso e vi picchiò le nocche sopra. Immediatamente, sulla superficie liscia della pietra comparve un simbolo, lo stesso, notò Tidus con stupore, che aveva fatto esplodere il molo.
    “Avete sentito, mostricciattoli?” gridò Doye, sollevando il pugno verso gli Shadowgear che stavano per avventarsi su di lui. “Mi avete proprio stufato!!” gridò ancora più forte, e scagli la sua amra improvvisata.
    La pietra schizzò in avanti come un proiettile. La luce emanata dal simbolo aumentò man mano che avanzava e quando colpì in fronte lo Shadowgear di fronte agli altri era abbagliante.
    Un esplosione violentissima spazzò la tribuna. La conflagrazione spazzò via le creature oscure come fossero coriandoli. Alcuni volarono giù dalla gradinata e si schiantarono al suolo, centinaia di metri più in basso, altri strillarono e caddero, reggendosi monconi di braccia e gambe, ma la maggior parte venne semplicemente spazzata via e si disintegrò in un coro di strepiti di dolore e sbuffi di fumo nero.
    L’onda d’urto colpì Tidus con la forza di uno schiaffo. Digrignando i denti, si riparò con le braccia dall’impetuosità del vento e afferrò nel contempo il bordo della scalinata per evitare di essere sbalzato via.
    A pochi metri di stanza, Doye si era piegato su un ginocchio per resistere, la barba e i vestiti troppo larghi che gli frustavano addosso come serpenti impazziti. Il suo ghigno non era scomparso e Tidus si ritrovò a chiedersi se in quel momento fossero più pericolosi gli Shadowgear o il nano..
    Non ebbe il tempo di rispondersi, perchè appena tornata la calma, decine di ombre nero pece strisciarono giù dai muri, mentre altre risalivano dalle gradinate inferiori ed altre ancora spuntavano dalle crepe nella pietra. Era una vera e propria invasione oscura, e una dopo l’altra cominciarono a contrarsi verso l’alto, come se qualcosa spingesse da sotto per uscire, qualcosa che si concretizzò come altrettanti Shadowgear che emergevano alla luce.
    Tidus osservava con un misto di emozioni contrastanti. Era uno spettacolo incredibile, terribile, eppure anche affascinante in quanto spezzava ogni logica ed ogni legge.
    Innaturale.
    “Ehi, moccioso!” gridò Doye, strappandolo dalla trance in cui era caduto. Sollevò lo sguardo verso di lui e notò che sembrava combattuto. “Mi faccio schifo da solo a dirlo...ma ...li trattengo io! Tu vai dalla tua ragazza!” gridò, mentre la gradinata tornava a brulicare di Shadowgear, e continuavano ad aggiungersene sempre di più.
    Il cuore di Tidus ebbe un sobbalzo. Il trepestio formicolante degli Shadowgear, l’agitarsi dei loro arti e lo schioccare delle mandibole li rendevano spaventosi solo a guardarli, figuriamoci affrontarli.
    “Aspetta, Doye! Non puoi affrontarli da solo!”
    Il nano emise un verso di disprezzo.
    “Puah! Non provare a dirmi quello che devo fare, mocciosetto! Queste mezze calzette me le mangio quattro a quattro quando sono arrabbiato!”
    Uno Shadowgear ballò fuori dalla massa dei suoi consimili per lanciarsi su Doye, la mascella abnormemente spalancata a mostrare una spaventosa chiostra di denti.
    Senza scomporsi, il nano schivò il morso con un saltello laterale e, nel momento in cui lo sorpassava, picchiò il palmo aperto sulla schiena della creatura oscura.
    Il simbolo esplosivo apparve sullo Shadowgear, che cominciò a dimenarsi nel tentativo di staccarselo di dosso.
    Inutilmente. Tidus lo vide esplodere appena pochi secondi dopo in una vampa rossa e svanire, consumato dal calore, in una pioggerellina di cenere nera che cadde sulla pietra, prima che un piede la calpestasse seccamente.
    “E ADESSO SONO ARRABBIATO COME UNA IENA!!”
    Doye spalancò le braccia e gridò in faccia agli Shadowgear, che, ammoniti dalla fine del loro compagno, indietreggiarono.
    “Cosa te ne stai a fare ancora là come uno stoccafisso? Muoviti!” ordinò Doye furibondo.
    Tidus, rimasto imbambolato a guardare, si riscosse e si morse il labbro, combattuto.
    Se lasciava solo Doye contro quell’armata di mostri, c’era il rischio che facesse una brutta fine, ma se non lo faceva, allora Yuna...
    La voce furiosa di Doye si insinuò nei suo dubbi.
    “Dannazione! Vuoi muoverti o no?” gridò il nano, saltando per schivare gli artigli di un altro Shadowgear. Ricadde sul gradino superiore, mentre le creature oscure gli si avvicinavano, insidiandolo da tre lati.
    “Doye...” mormorò Tidus. Si odiò per quello che stava per fare, ma non aveva altra scelta.
    Il palco fluttuante al centro dello stadio, da dove Yuna teneva il concerto, brulicava di Shadowgear e, anche se il fumo che saliva dal macchinario inferiore a forma di robot batterista oscurava la visuale, si sentivano lampi e schianti fragorosi che non lasciavano presagire nulla di buono.
    Tidus era preoccupato oltre ogni limite.
    “Doye...“ ripetè. “Non morire, mi hai capito? Non morire!”
    Il nano respinse uno Shadowgear con un calcio troppo audace, prima di rispondergli con un ghigno.
    “Te l’ho detto, moccioso! Non devi dirmi quello che devo fare! E comunque non sprecare il fiato, io non muoio neanche se mi uccidono!”
    Con l’ombra di un sorriso per quell’ennesima spacconata, Tidus corse via. Sentiva riecheggiare dietro di sè le sfide e e parolacce che Doye lanciava agli Shadowgear, ma si costrinse a proseguire.
    Yuna aveva bisogno di aiuto.
    Un lampo di determinazione gli illuminò gli occhi azzurri, mentre attraversava rapidamente la tribuna.
    Il percorso, poco prima liscio e perfettamente agibile, era invaso dalle macerie e dalla polvere.
    Per sua fortuna, Tidus si venne venire in aiuto il proprio allenamento da Blitzballer. Saltare blocchi di pietra caduti, aggirare fiamme che si protendevano verso l’alto con fitti tentacoli di fiamma e superare barriere di fumo era nulla per chi era abituato ad immergersi fin nelle profondità nell’oceano e a resistere contro le pugnalate del gelo intenso e la sofferenza della mancanza d’aria.
    Se poi, oltre all’allenamento, quel qualcuno vedeva anche un pericolo la Luce che lo guidava il risultato era la determinazione più resistente del ferro.
    Tidus emerse ricoperto di polvere e ansimante dal caos scatenato dagli Shadowgear e si gettò precipitosamente per la scalinata che lo avrebbe portato ai passaggi inferiori da cui si accedeva allo stadio.
    Non incontrò nessuno.
    Probabilmente tutti gli occupanti delle tribune superiori erano fuggiti....oppure erano morti.
    Tidus serrò i denti dalla rabbia.
    Mentre superava la seconda rampa di scale, tre Shadowgears emersero dalle ombre, sibilando, diretti verso l‘uscita.
    Senza fermarsi ed approfittando del fatto che non l‘avessero visto, il ragazzo estrasse la spada e spiccò un salto.
    “Dannati mostri!” gridò, mentre azzerava la distanza che lo separava dagli oggetti della sua rabbia.
    Lo Shadowgear più vicino ebbe appena il tempo di voltarsi prima che il fendente lo tagliasse a metà.
    Tidus pose di nuovo piede a terra, nel momento in cui i due tronconi cadevano a terra, prima uno poi l’altro.
    Ma ormai l’effetto sorpresa era sfumato.
    Gli altri due Shadowgears, infuriati per la fine del loro compagno, sguainarono le zanne e partirono alla carica ad artigli sguainati.
    Tidus non stette ad aspettare che lo raggiungessero. Accecato dall’ira, gridò a sua volta e balzò in avanti, facendo roteare la spada in un tondo furente che squarciò il ventre del più veloce dei due avversari. Il ragazzo non fermò il proprio movimento, però, e lasciandosi trascinare dal proprio stesso impeto, roteò su sè stesso e mollò un calcio allo Shadowgear ferito, scagliandolo contro il suo stesso compagno.
    Le due creature caddero in un groviglio di arti e soffi irati e non ebbero modo di difendersi dalla spada di Tidus, che li trapassò entrambi ed eruppe dalla parte opposta, piantandosi nel pavimento.
    “Maledetti mostri...” sibilò il ragazzo, estraendo l’arma dai corpi che scomparvero subito dopo in migliaia di frammenti oscuri.
    La rapidità con cui li aveva eliminati lo sorprese e lo turbò assieme.
    Sull’isola riusciva a malapena a vedere i movimenti di quei mostri tanto erano veloci. Per quanto si fosse sforzato fino al limite delle forze, la sua spada non riusciva a colpirli, quasi fossero esseri incorporei impossibili da toccare.
    Adesso invece...
    Un dolore improvviso lo trafisse.
    Crollò in ginocchio, e dovette usare la spada come appoggio per non cadere.
    “Ma...cosa...?” chiese a nessuno in particolare. Si scoprì ad ansimare e fradicio di sudore.
    Eppure non credeva di essersi stancato tanto.
    Una nuova fitta lo assalì, strappandogli un gemito. Stavolta crollò a terra. Un’altra fitta gli trafisse il naso quando cozzò violentemente contro il pavimento, ma non era nulla in confronto al dolore che gli percorreva la testa.
    Un bruciore violento e selvaggio gli invase gli occhi e dovette sforzarsi per non urlare.
    Tremante, sollevò una mano per toccarsi e sentì qualcosa di viscido scivolargli tra le dita. Aprì gli occhi quel poco che gli permetteva il dolore e vide che si trattava di sangue.
    Un’ondata di panico lo travolse al ricordo del tormento che lo aveva colpito poco prima di entrare nello stadio.
    Forse dipendeva in qualche modo dal portale creato da Doye?
    Non seppe dirlo, e neanche gli interessava.
    Appena il dolore diminuì, sbattè entrambi le mani sulla fredda pietra del pavimento e spinse per sollevarsi. Il suo corpo protestò con una serie di fitte violente alla testa, ma si sforzò di ignorarle.
    “Yuna...”mormorò tra i denti serrati, combattendo contro la vista che si annebbiava. “Yuna...”
    Con grande fatica, riuscì a rimettersi in piedi.
    “Yuna...”
    Riuscì appena a fare un passo in avanti prima che le gambe gli si piegassero rischiando di farlo cadere di nuovo. Fu solo con un colpo di reni dettato più dalla disperazione che per un movimento calcolato che evitò di baciare ancora il pavimento e si accasciò contro la parete, ansimante.
    Lì attese, tormentato da fitte improvvise e ridondanti, che il dolore cessasse.
    I secondi passarono rapidi, febbrili, cosi veloci da dare quasi l’impressione che il tempo gli si fosse rivoltato contro.
    Tidus attese solo quel poco che bastava. Appena la visuale smise appena di traballare, spinse con la parete con mano e guancia insieme e si buttò al centro del corridoio.
    Barcollò come un ubriaco ed ebbe un altro capogiro, ma il voler smettere di perdere tempo era più forte di ogni altra cosa.
    Con un guizzo di rabbia, strinse i denti e si costrinse a camminare. L’uscita sembrava più lontana che mai, una macchia indistinta che si prendeva gioco di lui e della sua debolezza.
    Ogni passo era un’agonia: un tremore bruciante gli si diffondeva su per le gambe e riverberava in lui ogni volta che il la fredda pietra cozzava contro i suoi piedi. Era come se fosse diventato un fantoccio di paglia. Non più di carne ed ossa, sarebbe bastato uno spiffero di vento troppo forte per farlo crollare.
    “Yuna...” pronunciò di nuovo.
    Mentre avanzava a fatica, vide i ricordi farglisi incontro. Uno dopo l’altro, cominciarono a danzargli di fronte, ognuno una maschera portatrice di un momento diverso.
    Rivide sè stesso, il viziato, sciocco giocatore di Blitzball, avvelenato dall’ossessione e l’odio per suo padre e in perenne ricerca dell’approvazione che solo la folla sapeva dargli.
    Un sorriso amaro gli si stirò sul viso. Solo adesso capiva quanto era stato patetico.
    L’invidia -perchè di questo e solo questo si trattava- lo aveva roso come l’osso di un cane, spingendolo ad affogare la sua frustrazione nell’appoggio che il pubblico gli tributava. Come un buffone si era messo in mostra di fronte a milioni di persone, come un bambino in cerca di un affetto mai ottenuto da un padre troppo irraggiungibile.
    Ma ci aveva mai provato?
    Aveva mai provato a pensare a Jecht come a qualcuno da invidiare?
    Aveva mai pensato a lui come un padre?
    Ora ne era sicuro...no, non lo aveva mai fatto.
    La dura consapevolezza di quanto si fosse comportato da bambino viziato lo colpì come una stoccata al cuore, ma all’orgoglio ferito si mischiò una sorta di dolce tristezza per averlo finalmente capito.
    In fondo, presto o tardi, l’importante era arrivarci, no?
    Dopo Zanarkand e le sue luci, rivide il pellegrinaggio attraverso le terre di Spira. Rivide le battaglie, le vittorie, le sconfitte, gli intrighi, tutte le avventure che avevano attraversato in quei pericolosi momenti.
    Era un carosello di immagini ed emozioni, ognuna unica ed importantissima nella sua irripetibilità, ognuna un passo che li aveva portati avanti.
    Tutti loro. I suoi compagni di viaggio.
    Wakka, con la sua testardaggine, la sua fede bigotta e la squadra di Blitzball.
    Lulu, con il nero dei suoi abiti e dei suoi rimorsi.
    Kimarhi, il gigante silenzioso dal corno spezzato, simbolo dell’infamia del passato e delle promesse per il futuro.
    Rikku, bionda, allegra e battagliera Albhed.
    Auron, l’orgoglioso guerriero che continuava a lottare anche dopo la morte.
    E poi...lei.
    Lei cosi bella, lei cosi dolce, preziosa, insostituibile, fondamentale.
    Lei, lei, lei...
    Il muro venne dilaniato da un esplosione.
    Un mostro sbuffante e ruggente emerse con impeto dai detriti agitando un enorme paio di corna. Mosse la testa nera di quà e di là un paio di volte, prima che il suo inquietante sguardo cremisi si posasse sul ragazzo ferito.
    A fatica, Tidus si destreggiò tra le maglie del dolore quel poco per riuscire a sollevare di nuovo la spada. Le mani gli tremavano e la visuale gli oscillava di fronte, ma l’immagine di lei lo sosteneva come uno scoglio per un naufrago perso in un mare in tempesta.
    Il Taurus mugghiò e raspò a terra con uno degli zoccoli che gli sostituivano le zampe inferiori. Una scintilla elettrica balenò dal contatto con il pavimento nel momento in cui il mostro oscuro si lanciò alla carica a testa bassa, facendo tremare la terra con i suoi passi.
    “Yuna...”
    Tidus lo attese, la testa vuota di ogni altro pensiero che non fosse lei.
    Schivò la carica con un balzo laterale e menò un fendente al fianco del mostro. Il Taurus mugghiò di dolore e sferzò con il pugno verso la testa del ragazzo che l’aveva colpito.
    Tidus evitò per un pelo di ritrovarsi con il cranio spaccato saltando all’indietro. Strinse i denti talmente tanto da sentirli stridere quando la pelle coriacea delle nocche gli sfregò con violenza sul petto. Arretrò, una vistosa escoriazione all’altezza del cuore, e il dolore tornò ad invaderlo sottoforma di mille aghi che gli artigliavano il respiro.
    Lo scacciò con rabbia.
    No, non poteva perdere. Non poteva non rivederla. Non poteva.
    Ansimante, si appoggiò su un ginocchio e cercò di concentrarsi sul suo avversario.
    Il Taurus, spinto dalla sua stessa carica, aveva proseguito, ma ciò non bastava per una pausa. Infatti, il mostro allargò il braccio e lo affondò nel muro utilizzandolo come freno. Un solco lungo sei metri attraversò l’acciaio della parete prima che riuscisse a fermarsi e con un mugghio rabbioso tornasse alla carica.
    Stavolta, Tidus si lanciò alla carica a sua volta.
    “Yuna...” mormorò, nell’urlo assetato di sangue dello Shadowgear.
    Gridò e spiccò un balzo. Le corna del Taurus gli sfiorarono le ginocchia e graffiarono la pelle, mentre il loro proprietario lo osservava ad occhi spalancati innalzarsi su di lui.
    Tidus rispose con uno sguardo furente e menò un colpo dall’alto verso il basso con tutta la forza che aveva. La spada calò verso la testa scoperta del Taurus con tanta forza che avrebbe potuto tranciare l’acciaio. Se l’avesse colpito non gli avrebbe lasciato scampo.
    Ma non lo raggiunse.
    Il braccio dello Shadowgear scattò e colpì l’arma proprio nel mezzo. La spada si spezzò con uno schianto secco disseminandosi nell’aria in migliaia di frammenti.
    Per un istante infinito, Tidus li osservò danzare e fluttuare come petali di un fiore caduto. Una profonda tristezza gli offuscò gli occhi azzurri.
    Ogni frammento lo rifletteva in centinaia, migliaia di modi ed angolazioni diversi ed in ognuno di essi rivide tutti gli errori, tutti gli sbagli che aveva commesso, ognuno un immagine di condanna.
    Vide, come al rallentatore, scariche azzurrine contorcersi tra le corna del Taurus e scagliarsi contro di lui in una violenta scarica elettrica che lo avvolse completamente. Il dolore lo avvolse ancora, bruciante, completo, ma solo per un istante.
    Un vacuo torpore prese il suo posto. Non una sensazione, non un sentimento, non era nulla, niente di niente.
    Sentì qualcosa impattargli contro la schiena e pensò che si trattasse del pavimento, ma non ne era certo.
    “Yuna...” mormorò con un filo di voce, mentre un filo di sangue gli scendeva sul mento.
    La visuale gli si offuscò. Su di sè, vedeva una grande ombra nera e due pozzi di lava che lo osservavano, ma nient’altro.
    “E’ la fine?” pensò. “E’ questa la mia fine?”
    Un velo di rimpianto si tese sui suoi pensieri.
    “Yuna...”
    Poi l’ombra calò su di lui.
     
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