Anima variopinta

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    Era pronta: indossò l'elmo, tinto di colori clamorosi, affinché potesse proteggere il suo fitto reticolato di pensieri, e l'armatura, tinta di colori clamorosi, affinché potesse difendere l'involucro in cui si sarebbe depositata, e, tinti di colori clamorosi, una spada accanto ad uno scudo, affinché potessero dare ausilio e potesse partire per il suo viaggio. L'anima variopinta, dai colori gloriosi, era pronta.






    Un'Anima variopinta: I

    «Confessa i tuoi peccati» Udì: pensava fosse un prete, un uomo di fede, un altruista, fu quello il primo sbaglio per lui. 'Visione di un mondo di luce' era corretto, ma non era sola, l'ombra era la sua compagna: l'Anima non la conosceva, sbagliò.
    «Io non ho peccati» Confessò titubante, l'Anima, e pianse involontaria una lacrima nera.
    La lacrima tinse di nero la sua lunga veste senza colori; era solo un pallino, ma era sporca.
    «Perché piangi?»gli chiese l'uomo che, non pensava al motivo della tristezza dell'Anima che aveva davanti, bensì al suo imperfetto, fragile e silenzioso pavimento di vetro soffiato; e istintivamente l'individuo si sentì ripreso: «Non piango».
    Cadde un'altra lacrima. Accigliò lo sguardo, l'uomo.
    «Se non vuoi crederci»continuava la persona intrisa di ombra «guardati, guarda la tua veste, è sporca delle tue lacrime».
    -namida ga ochitekuru made-
    Ma l'Anima, nata da poco nella realtà terrena, chiese «Come faccio a guardarmi?»sorprendendo l'umano.Così avanzò un'umile risposta «Volgi lo sguardo verso te»- l'Anima abbassò la testa, e gli occhi la seguirono: riusciva a guardarsi dal petto fino ai piedi, la veste era visibile, ma così poteva ammirarsi senza vedere il proprio volto.
    Non vedeva nessun colore, l'Anima, tuttavia scorse nel vitreo suolo il contrasto della sua veste con la sua macchia, scese sempre più giù, arrivò ad avere una visione imperfetta, come il vetro in cui si specchiava, di sé.
    «Ho capito cosa vuol dire guardarsi»con una voce flebile, diceva l'Anima «ed ho capito che da sola non posso».
    «Non mi importa, sai, sono padrone della mia lussuosa dimora, non sporcarla.»Come l'uomo accusava l'Anima, questa accusava nel petto una sensazione di instabilità, sentì di dover rendere valido il lavoro del suo fitto reticolato di pensieri: «Non sto sporcando la tua dimora, palazzo ancora» di colpo tacque.
    Come l'occhio dell'Anima percepì, ancora, una nera lacrima cadente, il pavimento non percepì nessun rumore al contatto con essa.
    «Ho ammesso nella mia casa forestieri, viandanti, perfino poveri»procedeva, l'uomo, fiero delle sue azioni «mai qualcuno però mi ringraziò in tal modo, non ammetterò più sensi di colpa né falsi, ladri né bugiardi, impostori della propria coscienza. Ti ho chiesto di confessare i tuoi peccati, chi entra qui deve essere confessato: hai pianto l'inconsapevolezza della tua castità, ma non ti sei liberato della colpa di non averne. Hai pianto perché hai capito di aver mentito a te stesso, inconsapevole».
    Volse lo sguardo verso sé, verso la sua imperfetta visione, e così l'Anima rispose: «Tu mi hai chiesto di guardarmi dentro, e la tua richiesta è stata soddisfatta: ho visto attraverso le imperfette membra della tua dimora, e da imperfette quali sono, hanno portato a guardare un diverso ideale della mia figura. Uomo, ricorderò questa sera come mai ho ricordato le altre, perché mi hai fatto conoscere il colore nero».
    Tirò la sua veste nero pece, lasciando quel luogo in balia della propria imperfezione, lasciando quella dimora all'uomo.




    Un'Anima variopinta: II

    Teneva aperti gli occhi, magari in cerca di una visione migliore di sé, magari senza motivo; viaggiava nella notte.
    E in quella notte,decise di sapere il perché di tante cose, così tante che inevitabile giunse l'alba.
    «Ricorderà, l'uomo, quando per la prima volta gli è stato chiesto di confessarsi?» questo, ad esempio, era uno di quegli interrogativi.
    V'era l'anziana lungo la curva, una di quelle della prima mattina, una di quelle con le maniche rimboccate e con fare fintamente antico.
    «La mia vita» confessava la vecchia donna «è stata così lunga, piena di dettagli, che ne ricordo solo quelli più importanti».
    L'Anima non trovò quel che cercava, decise così di essere stanca, andò a riposare sulla prima panchina di legno a sinistra: come l'Anima accusava un senso di vuoto nel petto, l'alba accusava l'Anima di non vederla nella sua forma di maggior bellezza.
    «Dopotutto è solo questo che posso fare, vivo nell'altruismo di ogni mio movimento, dono un flebile, fermo, forzato momento di visione e contemplazione» suggeriva l'alba «Provaci, mira e ammira le mie vesti, il loro richiamo».
    L'Anima teneva ancora aperti gli occhi, magari cercava una visione migliore: «Di quanti peccati bagnerò ancora questa mia veste? Non voglio piangere, non di nuovo, è così brutto piangere; sulla fitta tela della mia spenta, monocromatica e sporca veste è impresso il segno del mio giovane viaggio, della mia prima lacrima, del suo colore. Mi dispiace: non riesco ad ammirarti».
    L'alba si confessò: «Non piangere, devi sapere com'è brutto sapere che non si ha una fine, o che questa è così lontana da dover aspettare quella altrui. Ogni sorgere per me è una parte aggiunta alla mia lacrimosa conoscenza della sofferenza, ogni sorgere per me è non poter parlare al mio crudele cielo, non mi abbandonerà così facilmente. Ci sono, Anima, cose per cui piangere davvero.
    Sono qui, in compagnia dei miei colori, aspetando la fine: sarò vista come momento di eterna contemplazione per l'uomo: nella tua cecità, nella tua lacrima, se è come tu dici, v'è più oro di quanto tu possa credere.
    E d'oro mi vesto, indosso aurei colori, non rispecchio, attraverso la mia figura, il mio ideale.
    Sangue nella testa, oro sulle labbra. Ecco quel che sono, per questo ed altro, non piangere, per questo ed altro, ti chiedo di provare a guardarmi così da poterti dare almeno un pizzico della mia immateriale,inverosimile ma innaturale essenza».
    Non rispose, l'Anima, non rispose e la guardò: fu inevitabile piangere un'immateriale, inverosimile ma innaturale lacrima, una lacrima dalle fattezze dorate.
    «Ho capito cosa vuol dire guardarti» con una voce innocente, diceva l'Anima «ed ho capito che da sola non posso. Ora riesco ad intingermi della tua bellezza, come della tua tristezza.
    Alba, ricorderò questo tuo sorgere come mai ne ho ricordato altri, perché mi hai fatto conoscere il colore dell'oro».
    Tirò la sua veste, ora non più nero pece, ma nera e dorata, lasciando quel luogo in balia della propria conoscenza della sofferenza, lasciando quel cielo all'alba.

    Edited by lilium’ - 14/12/2010, 17:46
     
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  2. °Princess of darkness°
     
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    :orrid: Bella °A°
    SPOILER (click to view)
    Come fai a scrivere così bene FS?
     
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    Grazie mille. (:
     
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    OH



    MIO



    DIO

    ....

    :orrid:




    :mki:


    Devo confessarti una cosa: Non ho letto niente di più poetico e rilassante. Grazie.
     
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    Anima Variopinta; IV capitolo.

    La stabilità trasaliva sotto i suoi piedi come un’estatica visione andava allungandosi fin dove lo sguardo dell’Anima non riusciva ad arrivare: tuttavia scorse, a dispetto della distanza, un’indomabile figura.
    Essa sembrava contorcersi, dimenarsi, affannarsi; quasi un ossimoro in quell’infinita visione celestiale.
    L’Anima decise di passare avanti: tuttavia scorse, a dispetto della luce, una pittoresca, ricca immagine; piena di suggestione, l’Anima si fece avanti, avvicinandosi a quell’albero, quell’anziano, quei petali: tutto davanti al sole.
    Bastarono pochi passi, così scorse per ultima e a dispetto del mondo intero, la fine di quello che prima credeva un orizzonte il quale poteva estendersi perpetuamente così, in modo etereo.
    Uno, due, tre passi nel silenzio e nell’onnipotenza della terra.
    Mare.
    Le vesti dell’Anima s’arricciavano in pieghe adunche e, il suo viso, colmo d’un silenzio indelebile, s’avvicinava a quel lago infinito, quasi per toccarlo, baciarlo, guardarlo con due occhi muti, lontani anni luce.

    «Sei l’instabilità, e la tua essenza alata solca i miei respiri. E li sento, sento i venti, più dei miei respiri, che passano e rigano la tua crocea superficie, liscia, e quelle curve che i soffi della natura ti creano addosso sembrano diventare la tua saggezza, maestra immemore di ogni cosa. Sei, tu, davvero infinito?»
    Tali parole, provenienti dall’anima dell’Anima, non potevano essere più silenziose. Tuttavia quel mare le sentì, così, alate come la sua essenza. E l’Anima, sapendolo, porse le mani su quei granelli di sabbia, metafora degli umani minuziosi nell’universo, minuscoli, e s’intrise le mani di onde, schiuma, sale e acqua: l’Anima disse
    «Parlami.»
    e posò le mani sull’infinito, sul mare, leggero.
    «Ti sento.»
    E, per ogni senso che potessero avere quest’ultime parole, il mare rispose. Così, rispose; aveva sentito l’Anima.
    Inghiottì le sue mani, le lesse, a lungo, piano… a lungo, ma piano.
    «Sono il mare, l’oceano muto. Custodisco abissi ricolmi di storia, ho sentito i più reconditi segreti del mondo, ho visto la barba irsuta dei greci attraversarmi per le loro guerre inique, o ho visto piccole barche con vele spiegate, come ali d’uccelli, immaginifici, pronti a svettare. Ho visto i naufragi, ho visto il sangue e la morte, e anche le urla. Non le ho sentite, le ho viste, le urla. Sopra, sotto, dentro me, nel mio mare, le urla e corde vocali vibrare, fino all’istante nel nulla, la fine, cieca, la fine. »
    L’Anima tirò indietro le sue vesti. Tutto ciò era troppo grande: l’Anima non era pronta all’immensità, e ad annegarvici il proprio pensiero. Tutto ciò diventò un urlo stesso nel petto dell’Anima, che acuiva, forte, represso, e volava fino al cervello, fitto, un reticolato di pensieri, di percezioni. L’Anima tirò indietro le sue vesti: non era pronta. Lambì con la lingua della sua veste l’acqua dell’infinito –mare– così da poterselo portare con sé, e promettere di tornare a parlare con quell’infinito.
    Intanto il mare, di ricambio, lasciò all’anima lo stesso compito di tornare.
    L’Anima, lontana, mirava all’orizzonte, chiedendosi cosa davvero significhi un ritorno.
    Il mare, lontano, gli avrebbe confessato un segreto, uno come quelli complessi, indecifrabili, come quando si guarda uno specchio e ci si chiede cosa si verifichi ai bordi di esso.
     
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  6. ~Freedom
     
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    Bello, bello, bello ,bello.

    Ciemmecu, almeno che io non sia impazzito quello che hai appena postato è il capitolo III, non il IV :grat:

    SPOILER (click to view)
    Voglio scrivere anche io così bene T_T
     
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    Grazie!
    Sì, scusa, ho saltato il III in effetti. '-'
     
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  8. Roxy!
     
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    corbezzoli!! Molto bella!!
    Mi piacciono le storie profonde, dovrei fare pratica con quelle ;)

    Mi sembra una di quelle storie antiche che insegnano sempre qualcosa.
     
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    Sì, finalmente!!! Fantastico come gli altri due capitoli!
     
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    Vi ringrazio!
    Appena posso metto anche il terzo (che ho gentilmente saltato).
     
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  11. Raven`
     
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    Lo stile aulico non fa che incrementare la poeticità del testo, premettendo naturalmente che il contesto è originale ed argomentabile; in poche parole, ottimo lavoro. Ho solo un appunto da farti, dovresti inserire il modulo del testo, al fine di migliorare l'ordine della sezione. Epilogo il commento sperando che la terza parte giunga presto.
     
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    L'anima retrocede al terzo capitolo.
    Grazie raven, grazie agli altri. (:
    Buona lettura!
    Piccola nota, in questo capitolo c'è un riferimento a Narciso.



    Anima Variopinta; III capitolo.

    Giorno di lacrime, quello.
    L a c r i m o s a _ d i e s, illa.



    Col canto degli uccelli, l'Anima non si curava della prudenza che incalzava nel suo petto, addentrandosi nel bosco.
    L'erba era uno specchio per il terreno, come uno specchio d'acqua dolce rifletteva l'immagine dell'Anima.
    Creava gentili movimenti inespressi attorno al suo volto, si divertiva con la quiete del lago: «Perché tu, che come tutti mi hai guardato, non
    hai goduto di alcun sentimento di disprezzo o di piacere? Perché tu, che sosti al mio confine, non godi di me bagnandoti dell'acqua che è né acida, né salata,
    né sporca, ma fatta di dolce purezza, e che io solo possiedo? Perché, dimmi, ti diverto?» e lo specchio parlò.
    «Perché dovrei?» fu l'unica risposta a tutte le domande, così l'acqua radunò la sua rabbia: «Perché chi mi ha guardato ha preso sempre qualcosa da me, e sempre è stato
    uno scambio equo: la donna dello scorso dì ha riempito con fare tranquillo la sua giara della mia delizia, l'uomo della scorsa luna ha rifugiato la sua ira nella mia calma bagnandosi di me,
    lanciandosi nel mio morbido abbraccio e muovendo le mie acque, riempiendomi del suo desiderio di esternarsi, il cerbiatto di tutti i giorni ha inumidito il suo innocuo muso percorrendo il suo corpo per lavarlo.
    Perfino un ragazzo, da un tempo immemore, contemplò la sua bellezza nei miei riflessi».
    Il carezzevole tocco dell'Anima infastidita abbandonò il velo d'acqua; come uno zampillo lasciò il lago, la gota dell'Anima si lasciò toccare dallo schizzo.
    «Lago» diceva «ora che ti abbandono, perché dici che anche se mi sono immerso nelle tue grazie, solamente porgendoti la mia guancia, c'è stato uno scambio equo?» e
    la risposta fece piangere l'Anima.
    «Perché a qualcuno è importato di me, e mi sono sentito vivo da quando è successo».
    Si sporse sul bordo, le dita si impregnarono, e il volto sentì il calore delle lacrime e il gelo del lago che le mandava piccoli schizzi sulla sua pelle per ogni lacrima cadente; così guardava la sua immagine e piangeva, mentre il lago continuava.
    «Non c'è motivo di piangere, ci sono cose per cui piangere davvero: vieni e pulisci il tuo viso, rinfresca le mani e la mente».
    L'Anima decise di rispondere, e fu decisa: «Ora che ti ho dato qualcosa di mio, lago, dovresti sentirti felice. Prima che ti sentissi vivo, non conoscevi quello che un incolmabile
    sentimento può farti struggere nel petto, ma non sei riuscito a conoscerlo anche dopo aver provato cosa si sente ad essere vivi.
    Vorrei che l'altruismo degli altri potesse trovar conforto nel morbido abbraccio di cui mi hai parlato prima».
    L'acqua diventò silente, e lo specchio su cui l'Anima si colorò di rosa: tolse le mani dal bordo e rivolse i palmi verso l'alto, li guardò.
    I palmi presero colorito, dalle mani bagnate colavano ancora gocce del lago, erano finite sulla veste, anch'essa si colorò di una tinta rosea.
    «Lago, ricorderò questo specchio d'acqua come mai ne ho ricordato altri, perché mi hai fatto conoscere il colore rosa».
    Tirò la sua veste, ora non più nera e dorata, ma colorata da tre sfumature, lasciando quel luogo in balia della speranza che riceva altruismo, lasciò quel lago al bosco.
     
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    Ora sforna il cinque, schiavo.
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