Babilonia

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  1. _Holy
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    Questo è un remake di una vecchia fiction che scrissi, spero possa piacere a qualcuno.

    Titolo: Babilonia
    Autore: _Holy
    Fandom: Original
    Rating: R
    Warning: Volgarità, Stupro, Violenza, Omosessualità, Incesto, Religione, Morte.
    Pairing: Original
    Trama: Il mondo è costretto a far fronte alla minaccia degli Spiriti Irosi, dodici esseri malefici ed onnipotenti che per poter operare necessitano di un corpo umano che possa ospitare la loro essenza.
    L'Alta Croce, un'istituzione militare nata al seguito di questa grave minaccia, si ritroverà con due obiettivi da portare a termine: Conquistare la città santa Jerusalem in territorio nemico e sterminare gli spiriti irosi in quella che verrà definita come "Crociata".
    Tra le fila di questa armata vi è Coris, fanciullo ingenuo e debole, che ben presto scoprirà di esser detentore di uno spaventoso segreto, decisivo per le sorti del mondo
    Note: Solo: commentate in tanti! >w<
    Wordcounter:



    IL BACIO NELLA TEMPESTA


    "Quando la prole angelica riverserà sul mondo il cesto di agonia che si porta in grembo, sarà l'alba scarlatta che tumulterà nei cuori dei sovrani e degli straccioni..."


    Aprì l'occhio, riversando il proprio sguardo innocente su quel cielo, stranamente non pervaso da nubi cupe come era solito attendersi da una simile cupola infinita imperante su campi crociati... si destò dalla posizione distesa che aveva impiegato durante il sonnellino compiuto, e sbadigliò accompagnandosi con uno stiramento piacevole delle braccia, corte ed esili. Era solo un bambino, dopotutto...
    Inquadrò, là dove le nuvole erano palpabili, un qualcosa che interruppe la linea del sole, un corvo... un animale in netto contrasto con la splendida giornata data la sua natura macabra... affinando però lo sguardo se ne potevano riconoscere i tratti anormali: le piume scarlatte.

    "E' il momento!"


    Le sue piume, accarezzate dal gesto compiuto dalle battenti ali, respinsero i furiosi raggi solari con la loro lucidità quasi perfetta, per essere un corvo era maestoso come un'aquila reale.
    Volò, superò le diverse sponde e biforcazioni del fiume argenteo corridore di quelle lande desolate, vide il paesaggio sottostante cambiare da rigoglioso a deserto, da fastidiosamente freddo a insopportabilmente caldo, da pregno di foreste e macchie d'alberi, a nido di insediamenti umani di vario genere, fino alla costa, là dove l'armata più ipocrita del creato stazionava inerme, in attesa di un incentivo dal proprio malvagio re per accingersi a compiere gesti abominevoli.
    Era decisivo il cambio di atmosfera, ora macabra e tendente ad uno spento grigio, come erano spenti i luoghi, come era spento il sole, l'aria, il cielo, i riflessi sulle armature dei soldati e l'animo degli stessi...
    Gli occhi bluastri di quel rosso corvo videro... videro... alte e spesse mura adornate da pericolanti spuntoni di rugginoso metallo là dove si facevano più addolcite e ricurve, quasi come se chi le avesse innalzate volesse compensare il tutto in una macabra rappresentazione di sicurezza e privazione di libertà; videro le case pregne di fumosi comignoli all'interno di quella recinzione possente, videro il ponte levatoio in marcio legno di natura indefinibile, il fossato d'acqua piovana, sporca, ospitante qualche oggetto abbandonato, ma sopratutto videro l'enorme castello imperante su tutto questo panorama: torri altissime, visibili a chilometri e chilometri di distanza, spalti merlati occupati da pigri arcieri, vetrate scolorite oltre le quali era impossibile gettare sguardo da lontano.

    "Amore, morte, amicizia... tre concetti che segneranno eternamente la vita di tre persone, rispettivamente abbinate ad uno di questi termini... "



    Portò le mani, entrambe, fino alla zona lombare, incrociando le dita e dandosi ad una totale contemplazione di quel cielo, e di quel borgo fumoso dimora di cavalieri senza onore, quella vetrata dinnanzi a sé glielo consentiva, facendolo sentire imperatore di quel posto.
    - Generale, è in corso la riunione mensile in sala grande! - Fece una voce alle sue spalle, indispettendo i suoi interessi, puntati ad una semplice introspezione di sé stesso, piuttosto che al far presenza in riunioni di quello stampo.
    Che cosa videro i suoi occhi, quando la fonte della voce tornò ai suoi compiti? Oltre alla vetrata, lì dove stazionava un'asta portante bandiera con croce sanguigna su sfondo bianco, lo stesso corvo scorso in lontananza, impassabile, con occhio puntato al generale.
    - Beato te... che voli... che potresti fuggire... -
    I loro sguardi collisero, come quelli di due rivali in stazione sulle speculari sponde di un fiume, finché il generale non vide l'asta della bandiera spezzarsi di fronte alla pressione esercitata da uno sparo di archibugio, il corvo sobbalzò dando impeto alle proprie ali, e riprese il volo perdendo diverse penne rossastre, che molto rimasero sospinte prima di cadere sul crudele asfalto.
    Si affacciò al vetro portando i palmi sulla sua superficie, e vide che due archibugieri scelti si stavano scambiando amarezze sul colpo errato, ciò lo fece sospirare, e abbandonare la signorile stanza, seguito da un mantello regale e di color blu, spento anch'esso, ovviamente...
    Percorse gli scorrevoli corridoi del castello, quasi tutti presentanti vetrate simili alla precedente, alle quali il generale non perdeva tempo ad affacciarsi coperto dall'ombra dei corridoi, ombra che si scrollava di dosso ad ogni incrocio con la luce solare. Vedeva i migliaia di commilitoni intenti in attività prive di spessore, quali lucidarsi gli stivali, mangiare con compostezza non differente da quella di un suino, o punzecchiarsi a vicenda con appellativi decisamente non signorili, il tutto con aereggiante un'atmosfera che sembrava aver voce, una voce inquietante che urlava "nessuno di voi avrà salva l'anima".
    Sospirò ancora, il generale, che tanto si sentiva pari ad una santa fanciulla in mezzo ad un mare di sgualdrine, un paragone non rispettoso per la carica che rivestiva e che aveva rivestito nel corso degli ultimi cinque anni: Generale dell'armata crociata, unico possessore delle ambite vesti color zaffiro, secondo solo al Generale Supremo, e al Re, i due uomini che minuti dopo incontrò nella sala grande, in riunione con altri esponenti dell'esercito.
    Alti comandanti, comandanti, capitani, generali di altra assegnazione, tutti posti su seggi disposti circolarmente attorno ad una grande tavolata, già in accesa conversazione come amici di taverna; ci mise poco a comprendere quanto il suo lieve ritardo avesse scocciato i presenti, in particolar modo l'uomo che dopo il Re aveva in mano l'intera armata: Generale Supremo Dazio, seduto alla destra di Pilatte, il discusso sovrano.
    Dopo esser stato fulminato da gran parte dei presenti con il solo uso dello sguardo, il generale si mise a sedere al posto assegnatogli da un biondo amico, di grado inferiore, eppure di età più anziana; là dove il generale non andava oltre i ventisette anni, quell'uomo dalla chioma prosperosa e la barba pungente incolta lungo le guance e attorno alla bocca era già trentaseienne. Si adagiò completamente allo schienale adeso al seggio, guardò negli occhi il biondo crociato, che sorrise mostrando una limpida dentatura, strana cosa da un comandante come lui, abituato al fango e alla sporcizia; nonstante ciò, il generale non si sprecò in nessun cenno particolare, tese invece l'orecchio quando udì il Re aprire la riunione con tono rauco e profondo.
    - Voglio un resoconto sulla spedizione in territorio eretico iniziata almeno... - Si grattò la grigia e riccia barba cadente fino alla pancia - ... due settimane fa! - In seguito, si aggiustò la corona.
    - Nessun messaggio alle colombaie cittadine! - Fece il crociato biondo, innalzandosi dal proprio seggio come consentito dalla norma - L'ultima lettera recapitata risale a cinque giorni fa, e recava informazioni riguardo lo stato del plotone inviato in missione! -
    - Esplicati meglio, capitano! - Tuonò Dazio, accompagnandosi con un affannoso gesticolare.
    - Fine delle provviste, soldati in condizioni pietose... allusione a come le colombe dedite ai messaggi potessero saziare almeno tre uomini diversi. -
    Il re mosse la mano ornata da differenti anelli e bracciali, valore inestimabile per ciascuno di loro, ordinando a quanto pare di cessare la conversazione - Nel giro di tre giorni sarebbero già dovuti tornare, quindi inutile affannarsi troppo a riguardo: sono morti! L'importante è sperare che abbiano conseguito il compito a loro assegnatogli. - Abbassò la mano e tornò alla sua regale compostezza.
    Quel biondo crociato, dalle vesti simili a quelle del generale alla sua sinistra, solo rappresentanti una croce rossa su sfondo nero, non si smosse dall'ultima espressione facciale acquisita.
    - Siediti Ambrus! - Ordinò Dazio.


    "La pietra dietro a cui il cucciolo trova riparo dalla tempesta"


    Il vento fece cascare il cappuccio del condottiero, rivelando la sua brizzolata chioma, scompigliata e smossa dall'impetuoso andazzo dell'aria, la sabbia finì nei suoi grigi occhi interromendo la sua capacità di scrutare l'orizzonte dinnanzi a sé, quella linea oltre le dune desertiche che non accennava a farsi più vicina, nemmeno dopo ore e ore di moto su due piedi, con un considerevole carico inerme sulle proprie braccia, inerme e privo di sensi: un ragazzo di età forse pari a quella del condottiero stesso, di consistenza però meno possente, meno robusta, dagli abiti straziati e sporchi di sangue, come la sua pelle.
    Lo trasportava tenendolo stretto a sé, privandolo del contatto con la sabbia sospinta dal vento, lo proteggeva come se fosse l'unica cosa su cui valesse la pena contare, lottare, vivere...
    Attorno ai due: il nulla, un deserto immenso che non sembrava voler trovar fine nella sua desolazione, e nella sua ampiezza.
    Il polverone innalzato dalle sabbie rendeva difficile scorgere il colore del cielo, e interfacciarsi con la luce solare che, comunque, batteva prepotentemente sui corpi dei due ragazzi... faceva caldo, impossibile negarlo, e il condottiero dai capelli bianchi avrebbe tanto desiderato privarsi di quelle vesti, di quel soprabito pesante tanto usufruito dagli abitanti del deserto per ovviare alle ustioni provocate dal sole, ma appunto per questa concisa evenienza non volle separarsene.
    Posò gli occhi sul viso fanciullesco del ragazzo tra le sue braccia, definendone i tratti facciali gentili, una pelle di timbro più scuro, capelli color nocciola che non superavano metà collo, sparpagliati dal vento. Anche in balia di quelle condizioni pietose, mostrava una beatitudine immensa.
    Un fruscio insistente giunse alle orecchie del soldato eretto, facendo sì che insorgesse una sensazione anomala di pericolo, si guardò attorno più volte con circospezione, infischiandosene di quanto la tempesta sabbiosa avrebbe infierito sui bulbi bianchi dei suoi occhi; se lo sentiva: non erano soli. C'era qualcosa lì attorno, il fruscio che emanava ne era testimone, un suono simile lo si sarebbe potuto udire vibrando alla cieca un veloce colpo di spada: stava tagliando l'aria, muovendosi forse a velocità incredibile.
    Istintivamente innalzò lo sguardo al di sopra di sé, ma fu troppo tardi per scansarsi, quell'essere piombò addosso al soldato, che immediatamente si rannicchiò di schiena, offrendosi come scudo umano al seguito del ragazzo tra le braccia. Il mostro posò i piedi sulla rovente sabbia, portando le sue mani esili alle spalle del brizzolato, con fare quasi amichevole o rassicurativo, non era altro che una provocazione.
    Sudò freddo a denti stretti sentendo le grinfie del proprio inseguitore stringersi nella loro presa, non volle voltarsi a vedere il suo volto, gli bastava lo spaventoso colore di quelle mani: nere, di un nero impossibile, quasi uno squarcio nell'esistenza modellato a forma di essere malefico. Sentì l'alito del mostro avvicinarsi all'orecchio, toccare i lunghi capelli bianchi, collidere sulla guancia, e poi, udì anche la sua voce: un angosciante connubio di una voce femminile accoppiata con una seconda, stridente, di sesso indefinibile.
    - E' davvero un bel ragazzo, vero? -
    Si sentì come trafiggersi da un pugnale in pieno stomaco, aprì persino la bocca come se stesse provando quel dolore, non riusciva a fare nulla, quell'essere alle sue spalle, così vicino, così spaventoso ed enigmatico... gli aveva davvero rivolto la parola?
    - Io lo farei... Lithos... - Alluse il mostro avanzando un tono malizioso.
    Lithos, questo il nome del soldato coi capelli bianchi, provò un disgustoso senso di impotenza quando l'essere posò le sue labbra secche e fredde sulla sua guancia, baciandone la liscia superficie.
    Il crociato si diede ad un fremito, non di piacere, ma di terrore.

    "Io lo farei... Lithos..."


    Farlo? Ma... fare cosa?
    Guardò il viso perfetto del fanciullo tra le braccia, possibile che alludesse a... no... non era possibile, come avrebbe potuto quel mostro fugare così velocemente nei desideri di Lithos?
    - Fallo... fammi divertire! - Esclamò nuovamente, e il soldato sentì che la presa di quell'essere si era fatta meno potente, quasi amorosa, intenta in un flebile massaggio sollecitativo.
    La sabbia si placò, quasi come se volesse lasciare campo libero al crociato. Il cielo azzurro adornato da un sole splendente non era più difficile da vedere, era lì sopra, placido, privo di nuvole di ogni sorta.
    Sembrava... un sogno... e se lo fosse stato davvero? Un incubo, un incubo da riequilibrare con il conseguimento di un desiderio, una ardente voglia di dar sfogo al proprio sentimento...
    Spostò il viso del ragazzo in modo da averne una chiara visione frontale, della sua pelle, di ogni sua sfaccettatura positiva, perché non possedeva difetti, quel fanciullo; la mano destra andò a brancarne dolcemente il mento come se intendesse sorreggere il resto del viso, e mentre le labbra di Lithos stavano incominciando a macinare la distanza da quelle opposte, gli occhi del ragazzo, di uno scolorito porpora, si aprirono, esplodendo immediatamente in un intenso e invincibile cremisi adornato da un bagliore sovrannaturale. L'avvenimento provocò un riverberante susseguirsi di macabre note, che ad aumentare di intensità alternavano la costituzione di quel posto.
    Lithos, per quanto attratto dagli occhi di fuoco del ragazzo, non potè fare a meno di guardarsi attorno, e notare che il deserto, la sabbia biancastra, si era tinta di un macabro rosso, così come il cielo, e il sole stesso, che rifletteva i suoi ormai scarlatti raggi nell'iride dei presenti: di Lithos, del ragazzo tra le sue braccia e del mostro.
    Sentì che le grinfie oscure dell'essere si stavano affievolendo, staccandosi infine dalle spalle, così si voltò e inquadrò perfettamente l'intera effige del nero inseguitore: non era altro che una donna, apparentemente priva di vestiti, dai tratti indistinguibili a causa di quel colorito che ne ricopriva ogni particolare, eccetto gli occhi, rossi e portanti una pupilla di colore non differente al resto del corpo.
    Strinse i denti affrontando lo spaventoso sguardo del nemico, perché nemico era - Tu chi sei?! - Chiese, impetuosamente, ed il mostro rispose...
    - Io sono Lilith... e comando gli osceni! - Spalancò le braccia e fece sua quell'alba cremisi, dileguandosi nei suoi meandri, nelle sue nubi lontane e nefaste, a velocità non indifferente a quella di un raggio solare.
    Cessato il pericolo scaturito da quell'essere, cessò anche la visione di quel panorama impazzito, favorendone uno di differente concezione di pazzia: nubi grigie, fili d'erba scoloriti, freddo vento palustre recante umidità.
    Lithos lanciò l'occhio oltre alle colline erbose, scorgendo le alte torri cittadine... lo posò poi sul viso del ragazzo, che era tornato sopito e beato.
    - Grazie di esistere... Coris... - Sorrise, innalzandosi dal terriccio con quel fanciullo, Coris, tra le braccia.

    "Anima violenta e cuore iracondo, affogherai nel sangue l'intero mondo..."

    Edited by _Holy - 20/9/2011, 14:52
     
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    Twilight Player

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    Mi scuso con te, per non aver commentato su EFP e averti costretto a postare qui. (anche se non te l'ho chiesto verbalmente)
    Beh, te l'avevo promesso e infine commento.
    Babilonia è Babilonia.
    Il capitolo è ben strutturato, non ho trovato errori, e continuo a dire che odio Lithos, anche se non l'ho mai detto.

    "Anima violenta e cuore iracondo, affogherai nel sangue l'intero mondo.."

    Questa frase l'amo. :Q_
     
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  3. Roxy!
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    Madonna com'è scritto bene!! :epilec:

    Cioè, non è il mio genere primario e quindi non posso dire se hai preso spunto da altre trame, però devo dire dalla mia esperienza cartacea che è molto originale (specialmente per i luoghi) e anche se è impegnativo l'ho trovato mooolto godibilee
     
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  4. Arden‚ The Alchemist
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    CITAZIONE
    Io lo farei... Lithos... - Alluse il mostro avanzando un tono malizioso.
    Lithos, questo il nome del soldato coi capelli bianchi, provò un disgustoso senso di impotenza quando l'essere posò le sue labbra secche e fredde sulla sua guancia, baciandone la liscia superficie.
    Il crociato si diede ad un fremito, non di piacere, ma di terrore.

    "Io lo farei... Lithos..."

    Brividi.... :sese:

    Lilith non era la seconda moglie di Adamo? secondo le leggende la loro unione decretò l'inizio della stirpe dei vampiri, mi pare.
    Comunque il testo è grandioso!
     
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  5. _Holy
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    CITAZIONE
    Mi scuso con te, per non aver commentato su EFP e averti costretto a postare qui. (anche se non te l'ho chiesto verbalmente)
    Beh, te l'avevo promesso e infine commento.
    Babilonia è Babilonia.
    Il capitolo è ben strutturato, non ho trovato errori, e continuo a dire che odio Lithos, anche se non l'ho mai detto.

    "Anima violenta e cuore iracondo, affogherai nel sangue l'intero mondo.."

    Questa frase l'amo. :Q_

    ^^
    Grazie, compare.
    Il remake è stato effettuato quasi in tutto e per tutto, sono rimasti i rapporti e le linee caratteriali (eccetto Coris, che qui è più.. checca? x°°)
    Ti ringrazio di cuore per il commento, Nemesis ^^

    CITAZIONE
    Madonna com'è scritto bene!!

    Cioè, non è il mio genere primario e quindi non posso dire se hai preso spunto da altre trame, però devo dire dalla mia esperienza cartacea che è molto originale (specialmente per i luoghi) e anche se è impegnativo l'ho trovato mooolto godibilee

    *////* grazie...

    La trama è originale, ma ispirata a diverse tematiche presenti nei libri di Enoch (ebraici), e al periodo storico della terza crociata.

    CITAZIONE
    Brividi....

    Lilith non era la seconda moglie di Adamo? secondo le leggende la loro unione decretò l'inizio della stirpe dei vampiri, mi pare.
    Comunque il testo è grandioso!

    Non lo sapevo O.O
    *prende nota*
    chissà che non mi possa essere utile ^^
    Ad ogni modo, ringrazio anche te per il commento.

    Tre commenti al primo capitolo... molto di più di quanto mi fossi immaginato.. vi ringrazio di cuore e spero che possiate apprezzare il resto della storia ^^
     
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  6. Roxy!
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    Si lilith ha molte leggende, si dice che era la responsabile dell'eiaculazione notturna dei ragazzi con cui generava figli, di essere una Succube, un Vampiro, e c'entra anche con la religione wicca ma non mi ricordo :look:
     
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  7. _Holy
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    Well, direi che posso andare con il secondo capitolo. Ringrazio di cuore chi ha letto il primo, sperando che possa seguirmi ^^


    IL RITORNO DEL MOSTRO

    - Due settimane di viaggio! In due settimane ci si può spingere ben oltre queste zone paludose e collinari, volendo si può arrivare persino alle vette dei monti più alti! Si può arrivare anche alla capitale del regno eretico! -
    Il capitano Ambrus stava perseverando da almeno un'ora la propria ira inerente la scomparsa del plotone, e la presunta morte dei due soldati a suo capo, non voleva apertamente confessarlo, ma aveva una gran stima in quei ragazzi.
    Sedeva ancora alla tavola circolare dedita alle riunioni, priva però di alcuni individui cardine, quali il re e Dazio; era rimasto il generale dalle vesti zaffiro, interessato agli scopi di Ambrus, nonché colui che avrebbe promosso o negato le intenzioni del medesimo.
    Ciò che il capitano voleva fare era semplice: mettersi sulle tracce del plotone scomparso; per quanto i suoi scopi potessero risultare nobili e premurosi, avrebbero favorito un dispiegamento pressocché inutile di crociati, non ne valeva la pena per la carica rivestita dagli smarriti.
    Il re, Dazio, chiunque altro sarebbe stato contrario... eppure, il generale zaffiro avrebbe tanto voluto fare qualcosa per ovviare alla situazione.
    La discussione portò via ingente tempo, facendo passare in secondo piano la figura di un messaggero irrotto nella sala grande, la sua presenza doveva essere giustificata solo da notizie di una certa rilevanza.
    - Il caposquadra Lithos è alle porte, signore! Reduce dalla missione! -
    Ambrus e l'amico si scambiarono due veloci occhiate, per poi destarsi dai rispettivi seggi e precipitare i propri passi fino al di fuori del castello, superarono l'enorme salone d'ingresso, e imboccarono l'alta e larga porta d'entrata, a doppia anta, presentante lavorazioni evocative nel legno, macabre per lo più: uomini aggregati in massa con le mani protese verso un'enorme creatura angelica adornata da aureola.
    Le vie cittadine gli si pararono dinnanzi immediatamente, la piazzuola subito fuori il castello fu dopo pochi secondi un ricordo dell'occhio, data la fretta con cui i due si stavano dirigendo alle porte cittadine.
    Lo videro, in lontananza: l'enorme cancello in ferro rugginoso che si sarebbe aperto con il pratico uso di un marchingegno posto nella torre adesa; quando vi furono vicini, il generale ordinò immediatamente la sua apertura.
    L'uomo designato a questa operazione, posto sulle mura con orecchio attento, diede impeto alla forza delle braccia mettendosi a girare una ferrea manovella posta orizzontalmente, che emergeva dal pavimento.
    Il connubio, l'incastro di ingranaggi, avrebbe definito la totale apertura di un'anta del cancello, troppo possente da venir aperto manualmente.
    Ambrus ansimò, tanto aveva temuto per le loro vite... il fatto che Lithos fosse sopravvissuto sembrava una provvedizione divina... ma che ne era del secondo soldato che il capitano era solito portarsi nel cuore, ancor più del brizzolato?
    Ebbe la sua risposta quando metà cancello si aprì, Lithos si fece avanti adornato dalla fioca luce solare che ne illuminava l'avanzata come il reale reduce che era, tra le sue braccia, come un oggetto di inestimabile valore, stazionava il ragazzo dagli occhi porporei, ancora inerme e privo di sensi, il ragazzo che Ambrus adorava quanto un figlio.
    - Lithos... Coris! - Ambrus, al contrario del generale zaffiro, si gettò in corsa verso l'amico, fermandosi solo a mezzo metro di distanza da lui; gli sorrise, incredulo riguardo al suo ritorno, e al ritorno di Coris.
    - Capitano, portatelo immediatamente al più vicino ospedale militare, urge un ricovero immediato! - Esclamò con formalità il brizzolato cavaliere, porgendo l'esile corpo di Coris all'amico, che in quel momento era obbligato a trattare come ciò che era: un superiore.
    - Provvederò! - Accettò il corpo esanime del ragazzo, se lo caricò in spalla con facilità e, prima di andare, lasciò indetto a Lithos - Avremo modo di parlarci più tardi, ora l'importante è badare a Coris. - Detto questo si avviò, superando parallelamente l'amico generale che invece rimase lì, immobile, a rimirare il reduce eretto.
    Lithos notò che una folla di cavalieri e cittadini si era radunata tutta attorno, istigata dalla curiosità, ma lui non diede peso ai loro sguardi giuridici, si limitò ad avanzare impassabile con fare aggraziato, giungendo di fronte al crociato dalle vesti blu.
    - Resoconto della missione, subito. - Fece lui ad un Lithos amareggiato.
    Sbuffò ondeggiando la testa, e poi si espresse con rassegnazione - La piccola armata al seguito di Giòanne Do Arc è stata decimata, ma ella è riuscita a sopravvivere... -
    - Perché è riuscita a sopravvivere? -
    - Non eravamo pronti, le nostre truppe erano state già sfoltite dalla battaglia con i comuni cadetti... ella era... Lilith! -
    I crociati attorno al generale e a Lithos si fecero emittenti di un brusio indistinto, curioso.
    Owen portò una mano alla spalla di Lithos, coperta dall'armatura e dal soprabito marrone; lo condusse lontano dalla folla affamata di novità e informazioni riguardanti l'avvenimento.
    - Concedo un giorno di riposo a te, e due giorni al tuo amico, nel mentre troverai le parole più adatte a compilare un rapporto scritto su quanto è accaduto. Sono stato chiaro? -
    Lithos annuì con convinzione.
    - Bene, e ora raggiungi il comandante e il tuo amico all'ospedale, fatti rimettere in sesto... Sergente Lithos! -
    Non se ne rese conto immediatamente, che nella frase del generale vi era una anomalia - "Caposquadra Lithos" ... - Corresse lui, ingenuo.
    - Sei stato appena promosso. - Staccò la mano dalla spalla di Lithos e cominciò il suo apatico ritorno al castello, per le fumose vie cittadine.
    - La ringrazio, generale Owen! - Urlò prima che potesse dileguarsi troppo velocemente...
    "Sergente Lithos"... il primo, vero, rango da acquisire per poter sperare in una carriera militare brillante... non ci credeva... anni e anni passati a rivestire il ruolo di mero caposquadra, per poi finire, grazie ad una macabra provvidenza, al fianco dei possenti comandanti come lo erano uomini dello stampo di Ambrus.

    "Fu così che la morte mi macchiò di un nuovo grado..."

    L'ospedale militare altro non era che una vecchia scuderia, restaurata e ampliata per aiutare la nuova causa, siccome i medici avevano ordinariamente poco tempo per far visita ai tanti crociati feriti; aprendo un ospedale, si era resa disponibile anche la possibilità di intraprendere la professione di medico in territorio di guerra, molti erano gli illustri uomini di scienza che attraversavano il mare per far domanda. La paga per i malati singoli non era assai cospicua, ma ve ne erano così tanti che alla fine del mese avrebbero rappresentato un malloppo allettante.
    Ambrus, giunto in fretta e furia in quel luogo, notò gli inservienti in tunica bianca recante croce sanguigna: medici crociati; si avvicinò a loro lasciando intendere che il ragazzo doveva urgentemente disporre di cure, i medici se lo imbarcarono quasi immediatamente, giusto il tempo di recuperare una barella ancora intatta e pulita, lo fecero, e condussero il giovane Coris all'interno di quell'edificio con ingresso ad arco, soffitto piuttosto basso e bandiera bianca sventolante sulla sommità del tetto.
    Lo scortarono con sufficienza per i corridoi del posto, giù per le scale conducenti ai piani sotterranei, dove, man mano che la profondità aumentava, aumentava la gravità dei malati. Ambrus fu con lui per tutto il tempo, anche quando ne calpestarono l'intimità svestendolo e ripulendolo da cima a fondo dal sangue e dalla sporcizia, richiudendo all'occorrenza eventuali ferite che, stranamente, non erano un granché riguardo a profondità e pericolosità, lo svenimento di Coris doveva essere stato innescato da qualche anomalo shock...
    Passò almeno un'ora, e nel frattempo era giunto anche Lithos in quel posto, si fece ritrovare con Ambrus nella stessa stanza di Coris quando egli si destò dal sonno, gustando la bella sensazione che si provava in un letto comodo, ricoperto da abiti puliti e senza più la sporcizia a insidiare i capelli.
    I suoi occhi innocenti definirono ogni particolare della stanza, un tugurio piuttosto piacevole, ma buio, con unica fonte luminosa rappresentata da un candelabro penzolante. Alla sinistra del bianco letto vi era un ripiano provvisto di specchio e bacinella d'acqua.
    - Buongiorno. - Esclamò Lithos, che aveva preso posto seduto sullo stesso letto dell'amico.
    - Questo... non è il deserto! - Guardò in un angolo della stanza, scorgendo Ambrus poggiato ad una parete con braccia incrociate e aria premurosa quanto quella di un padre.
    - Sei di nuovo ad Accidia, Coris... - Fece il sergente.
    - Dov'è il plotone? Giòanne... il mostro... -
    - Mostro? Che stai dicendo? -
    Intervenne Lithos - Ambrus, Giòanne non era altro che uno di loro, uno spirito iroso! -
    Spalancò le verdi pupille - Uno spirito iroso? -
    - Si è risvegliato in lei dopo l'annientamento della sua squadra... non siamo riusciti ad ucciderlo, ci ha tallonato per tutto il deserto, ma siamo riusciti a seminarlo... -
    Gli si avvicinò brancandolo per le spalle - Lithos! Lo hai detto alle alte sfere, vero? Owen lo sa? -
    - Lo saprà a breve, mi ha detto di compilare un rapporto scritto durante il giorno di riposo assegnatomi. -
    - Santo cielo, ti rendi conto che uno spirito iroso sveglio è in grado di apportare danni irreparabili? La Santa Sede lo deve sapere, e subito! -
    - Ambrus, io sono in ricovero forzato, non posso assentarmi... - Ponderò per un istante - Carta e penna, compilerò immediatamente il rapporto, così potrai consegnarlo a chi di dovere al posto mio. -
    Ambrus si assentò per esaudire la richiesta di Lithos; tornò qualche istante dopo provvisto di calamaio, penna d'oca e papiro, porse il tutto all'amico, che cominciò a "duellare" su quel pezzo di carta usufruendo della punta aguzza di penna.
    Riportò le seguenti parole:

    "Rapporto missione di data III. IV. MXCVIII di pugno del Sergente Lithos.
    Il plotone di trenta uomini mandato alla volta della ribelle Giòanne Do Arc è stato sterminato dai soldati della medesima donna alla volta di una gola desertica, covo dei ribelli stessi. Tuttavia, la battaglia ha visto perire l'intero schieramento crociato, sfoltito e completamente messo a soqquadro dalla donna, rivelatasi lo spirito iroso Lilith, padrone degli osceni. Unici reduci dell'aggressione sono il sottoscritto e il diciottenne caposquadra Coris, tornati sui propri passi sprovvisti di cavalcature e armi, ma fortunatamente privi di lesioni gravose. Di Lilith nessuna traccia."

    Il biondo crociato ci diede una rapida lettura, prima di arrotolare il papiro e insidiarlo nella propria tasca - Sergente Lithos... - Realizzò poi.
    - Una promozione, Ambrus. -
    Coris aprì bocca, emanando parole flebili e innocenti - Lithos... complimenti... vuol dire che da adesso in poi lavorerai al fianco di Ambrus. -
    Il cavaliere brizzolato si voltò, scorgendo gli occhi intensi dell'amico, ne rimase come abbagliato...
    - E' meglio che vada. Simili notizie devono giungere immediatamente alle orecchie della chiesa! - Salutò con bonari sguardi, indirizzati sopratutto a Coris, adagiato sempre su quel morbido letto, poi se ne andò, lasciò la stanza, lasciò l'ospedale, facendo finta di non vedere tutti quei deviati mentali per i corridoi oscuri della struttura, ricondotti alla razionalità da medici fornitori di supporto.
    Da quanto tempo operava sotto quel freddo metallo? Dodici anni? Forse di più... ma da allora, la realtà sembrava aver assunto una sfumatura differente agli occhi di Ambrus...

    "La prima ci garantì un approdo a nuovi potenziali feudi, la seconda estenderà il nostro credo e ci coprirà d'oro!"


    - Re Pilatte! - Bussò, come stava facendo da almeno quindici minuti alla grossa porta conducente agli appartamenti regali.
    L'anziano signore di Accidia, assentatosi in seguito alla riunione, non accennava ad alcuna risposta dalla sua elegante stanza.
    La notizia del ritorno dei due ragazzi aveva viaggiato fino alle orecchie del generale supremo Dazio, che trovò giusto informare il re a riguardo, ma ciò gli veniva negato dall'imposizione della spessa porta alla sua camera.
    Che stesse dormendo? Improbabile, dato il forte rumore provocato dal bussare impetuoso di Dazio, che scaturiva un lieve riecheggiare per il corridoio del castello: buio, portante statue angeliche e colonne adiacenti ai muri, come guardiani.
    Dazio: maturo energumeno dalle spalle larghe, capelli color pece e infeltriti, una prosperosa barba attorno alla bocca, meno gentile e più folta di quella portata da Ambrus... questo era il generale supremo, custode delle vesti d'ebano, ovvero abiti con una simil gonna cadente fino alle caviglie, portati sopra la cotta di maglia e l'armatura, in questo caso, per osannare la posizione privilegiata, apparivano su di essi delle raffigurazioni ben più altisonanti di quanto lo erano le comuni croci, nel caso di Dazio appariva un demòne alato e urlante, trafitto al petto da quattro spade, posizionate come per formare i quattro angoli di un quadrato.
    Mantello nero sulle spalle, portante questa volta una croce canonica.
    - Sire! Non si sente bene? Mi risponda, dannazione! - Urlò lui.
    Dalla scalinata che avrebbe condotto a quel corridoio apparì la figura bluastra del generale Owen, esercitante una bella camminata da nobile, costui notò lo strano comportamento di Dazio, e non si sottrasse dallo scoprirne il motivo.
    - Generale supremo... che accade? - Chiese Owen con l'apatia che lo distingueva.
    Dazio guardò negli occhi il nuovo arrivato, prima di esprimersi in aspri timbri vocali - Sua maestà non dà segni di vita... la porta alla sua stanza è chiusa e non proviene nessuna risposta... che si sia sentito male? -
    Owen adocchiò dapprima la porta, poi Dazio, poi di nuovo la porta - Scostatevi... - Esclamò poi, facendosi spazio.
    - Che vuoi fare? -
    Si slanciò leggermente all'indietro, concentrando tutta la sua forza nel piede destro... lo fece collidere con l'incontro delle due ante, una volta, due volte, tre volte, finché alla quarta non riuscì a spalancarla completamente; i due si insidiarono.
    - Sire... -
    Che cosa videro gli occhi dei due crociati, una volta infranta quella barriera visiva? La stanza del re, dimora di eccentrici mobili e altrettanto complessi cuscini, candelabri, statue e coperte, messa a soqquadro.
    Lì dove stazionava una cavalleresca statua, vi erano solo le macerie; lì dove il letto del re dava la sinistra ad una splendida e ampia finestra, contornata da tende violacee, si contorcevano i tessuti, strappati, scompigliati nella loro interezza.
    Quella vetrata, in frantumi, concedente al sole di entrare e illuminare la camera da letto, rivelava la stravagante effige di... qualcosa...
    Un alto uomo coperto da lunghe e svolazzanti vesti, eretto sui propri piedi, con una mano aggrappata ai capelli di Pilatte stesso: inerme e grondante fluido rosso.
    - Maestà! - Urlò Dazio alla vista dell'aggressore; senza perdere tempo mise mano sull'elsa della propria spada infoderata e assicurata al fianco, ma nel momento in cui lo fece, l'assassino mollò la presa dal corpo del sovrano, dileguandosi dalla vetrata stessa con un coreografico movimento.
    Owen notò chiaramente che non si era calato, non aveva puntato all'asfalto, bensì alla sommità della struttura... il suo istintò gli comandò di gettarsi verso quella finestra, poggiare i piedi sul davanzale e inerpicarsi su per la stessa strada scelta dall'assassino.
    Dazio non volle negargli la possibilità di inseguirlo, indi rimase solo in quel confuso sito del castello, calpestò i vari quadri giacenti al pavimento, le lenzuola lorde del sangue di quell'uomo lì, a poca distanza, sguazzante nel suo stesso fluido rossastro fuoriuscente da uno straziato torace. Sentì il battito... inesistente... era morto... Accidia, l'Alta Croce... avevano perso il loro re...

    "Disgraziate Aquile e corvi maestosi, si scorgono da quassù..."

    Una mano dopo l'altra agli appigli estetici e cornicioni presenti sulla facciata del castello, e Owen arrivò, non senza fatica, all'appiglio più desiderato: quello del tetto.
    Spinse con le braccia, gemendo per la fatica, e grazie a differenti manovre di equilibrio raggiunse la superficie piana; avrebbe voluto riposare le braccia, le gambe, ma non ne aveva il tempo.
    Si guardò attorno: l'area non era delle più comode su cui poggiar piede data l'inclinazione del tetto, e le diverse torri lì adiacenti sottraevano la perfetta circospezione dell'orizzonte. Era su una di queste torri che attendeva l'assassino... come aveva fatto a raggiungerne la vetta in così poco tempo, era un mistero, meno importante del movente che lo spinse ad aggredire Pilatte, ovviamente.
    Owen gettò i suoi occhi all'aria, anallizando ogni movenza, ogni suo particolare ora distinguibile grazie alla luce del sole: una tunica rossa lunga fino ai piedi, strappata ai lati opposti dal basso verso l'alto, fino all'anca, e dalle maniche lunghe solo a metà bicipite; le zone scoperte dalla vestaglia sembravano tenute al riparo da un anomalo cuoio nero, mentre un cappuccio sempre rosso si levava fin sopra il suo volto, rendendo impossibile verificarne i tratti.
    Egli parlò, con voce graffiata ed indistinguibile.
    - Temerario, cavaliere... o forse incredibilmente stupido? -
    Il generale sbuffò, inarcando le sopracciglia - Chiunque tu sia, sei in arresto nel nome dell'Alta Croce per aver sottratto la vita a Re Pilatte! -
    - No... non sono in vena di farmi arrestare da te, non te lo meriti per niente... giusto oggi mi hai avuto sotto gli occhi, e non mi hai fermato! -
    - ... Cosa? - Non comprese - Mostrami il tuo volto... -
    - Il mio volto? Ma tu lo conosci già... lo conosci molto bene, Owen... -
    L'assassino aprì le braccia lasciandosi trasportare emozionalmente dal forte vento che soffiò e che consentì lo svolazzamento teatrale della sua tunica, nonché del mantello blu di Owen, questo finì sul suo viso, impedendogli la momentanea visione dell'assassino, tanto fu l'impeto per levarselo di dosso, poiché pervaso dal timore di rivelarsi facile preda, e alla fine ci riuscì, notando che l'aggressore era scomparso.
    - No... bastardo... - Inspirò aria a denti premuti, soffocando autonomamente la voglia di urlare al vento quell'aggettivo: "bastardo".
    Non si godè la visione panoramica di Accidia, delle case tutte uguali, tutte grigie, fumose, rovinate dal tempo... un panorama deprimente anche al seguito di parecchi mesi di abitudine in quelle lande desolate...

    "Vola via sfoltendo queste avvelenate nubi, con le sue ali rosse"

    Essendo in condizione meno cagionevole, a Lithos era permesso passeggiare per le vie di quell'ospedale. Era pomeriggio, si sentiva solo, la presenza dei medici non lo aiutava a sentirsi meglio, avrebbe voluto rimanere insieme a Coris, ma non gli era possibile, poteva solo accingersi a visite temporanee di massimo venti minuti.
    Imboccò senza rendersene conto la rampa di scale conducente al cortile dell'ospedale, dove Lithos non potè non subire il drastico cambio di atmosfera, fatta prima di lugubri corridoi, e ora di spazi più ampi, aperti alla luce solare.
    Grande quasi quanto la sala d'entrata del castello di Pilatte, quel cortile altro non era che uno spazio dedicato allo svago dei ricoverati, in cui la luce del giorno poteva filtrare grazie ad un foro circolare dal diametro di almeno cinque metri posto sul soffitto, al centro della stanza; Lithos si guardò attorno, scorgendo i malati avvolti da un'aria apatica, per nulla divertita o interessata a qualche sorta di attività... più che un luogo di svago sembrava un campo di profughi.
    Avanzò verso il cerchio di luce formato da quell'apertura, identificando ideogrammi sbiaditi sulle colonne presenti in quel posto, portanti il soffitto, una di esse recitava la frase "Il dolore è frutto del purgatorio, e monda l'anima; piangete si lacrime per il male subìto, ma poi sorridete, consci del fatto di esservi lavati da una colpa... " ...
    Non potè fare altro se non ragionare con cinismo a quella frase riportata, gemella di altre scritte rampicanti circolarmente per quelle colonne; quando fu al centro della luce, guardò in alto e si bagnò di sole, non potendo però sopportare l'impeto di quei raggi, chiuse gli occhi... quando li riaprì, in seguito ad almeno un minuto di introspezione personale, vide che quella luce si era fatta cremisi, e macchiava il cielo ed il cortile di un'atmosfera tendente ad un inquietante rosso.
    Il cuore... se lo sentì grande due volte la sua dimensione originale, e impattare violentemente contro la cassa toracica, quasi esplodendo... se lo resse con una mano temendo che lo potesse fare davvero. Si guardò attorno, nei meandri del cortile svuotato dei malati precedenti, come avevano fatto ad andarsene in così poco tempo, e tutti insieme?
    Ancora quel fruscio a frustare le sue orecchie, proveniva dalle sue spalle, ma non era in grado di voltarsi, non ne ebbe bisogno... Lilith intervenne ancora una volta portando le sue mani nere alle spalle del giovane.
    - Non lo hai ancora fatto? - Chiese con un afrodisiaco tono.
    - Io... non capisco... cosa vuoi da me? -
    - Calmo... - Accarezzò i suoi lunghi capelli brizzolati come per sedurlo - Non ti farò del male... sarebbe ingiusto nei confronti di un così bel fanciullo, dai sentimenti così incondizionati -
    - Sentimenti? -
    - Così come tu nascondi all'Alta Croce la reale natura di quel ragazzo, nascondi a te stesso la verità. -
    Preso dalla rabbia, Lithos se ne infischiò del terrore provato, voltandosi prese Lilith al collo, sentendo la sua pelle secca e fredda, ma se ne infischiò anche di essa, e urlò - Tu... cosa mi stavi facendo fare, nel deserto?! -
    - Ti stavo incentivando... niente di più! -
    - Non sono quel tipo di persona! Io sono un crociato, sono al servizio di Dio, e lui non permetterebbe una cosa del genere... - Volle continuare, ma non ne ebbe modo, la risata che scaturì dalle fauci di Lilith coprì ogni sua parola, sfoltì il suo coraggio, e lo fece cadere nuovamente nel terrore.
    La spinse via senza riuscire a interrompere la sua risata ossessiva e malefica, indi corse velocemente verso l'uscita del cortile, sicuro di sottrarsi al demòne, ma fu del tutto inutile... Lilith gli ricomparve dinnanzi dopo essersi spostata a velocità fulminea, la sua risata era comunque terminata, ma riecheggiava ancora per le vie del cortile.
    - Dio... parli di Dio... - Avanzò a passi lenti e aggrazziati verso Lithos, che indietreggiò mantenendo le distanze - Ha mai fatto qualcosa, per voi? Si è mai mostrato? -
    - Stai lontano, spirito iroso... non osare avvicinarti! -
    - Voi crociati tenete alto il vessillo della vostra divinità benigna, senza accorgervi che ben presto verrà debellata... noi siamo più forti, Lithos... -
    - No... - perse l'equilibrio e cadde di schiena al centro di quella macchia di luce riflessa sul pavimento, Lilith lo raggiunse e si inginocchiò dinnanzi a lui.
    - Io sono più forte... Baal, Moloch, Beelzebub e Bodon, Lucifugo, Astaroth, Asmodeo, Belphegor, Adramelech, Abraxas... e Nahenia... siamo più forti... e anche Coris è più forte... -
    Ingrandì le sue pupille vibranti e accese - Coris? -
    - Prima o poi il momento verrà... anche lui, come noi, troverà pienezza... e affogherà questo mondo nel sangue! -
    - Coris è mio amico! Brutta puttana, Coris è mio amico! -
    - Silenzio! - Tuonò - Col tempo avrai modo di cambiare opinione riguardo a Coris... e ora svegliati, non ti sei ancora accorto che stai sognando? -
    Fu proprio come Lilith disse: il crociato riaprì gli occhi grigi e vide l'apertura sul soffitto del cortile, grondante pioggia... doveva essersi addormentato lì, quando poco prima imperersava il sole.

    "Anima violenta e cuore iracondo, affogherai nel sangue l'intero mondo..."
     
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  8. Roxy!
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    :omgsaw:

    Sarà che sto guardando The game of trhone ma riesco a visualizzare bene le scene :zxgiro:


    CITAZIONE
    "Rapporto missione di data III. IV. MXCVIII di pugno del Sergente Lithos.

    sarebbe in numeri arabi?? X****D

    Mi piace il nome della città Accidia : anche io uso questi esempi di nomi a località nel mio "futuro" romanz
     
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    Bel capitolo, HHHHoly. :)
    Lithos e le pippe mentali hanno stretto amicizia. E Coris fa uscire il proprio lato gaysuperomobimbocrying!

    Non so che altro dire.

    Mi piacciono i treni.
     
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  10. _Holy
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    RRRRRIGHT, ecco il terzo capitolo, gentilmente offerto dalla ditta Strozzastruzzi & Co.
    Okay, deliri a parte, ringrazio Francesco e Francesco (Che colpa ne ho se Roxy e Nemesis hanno lo stesso nome? X°°°), sperando che possano continuare a seguirmi (perché sennò mi metto a piangere)

    Ringrazio anche coloro che hanno letto pur non commentando.
    Ecco il chapter.

    TEMPO DI DECISIONI


    - Ero venuto qui per consegnarti il rapporto di Lithos... -
    - Sì, grazie... lo invierò al Papa, appena avrò un po' di tempo libero...-
    Owen, e Ambrus, situati al di fuori del castello, dinnanzi alla sua entrata, videro il corpo del re venir condotto al di fuori, oltre a quella evocativa soglia, trasportato al di sopra di una principesca barella adornata da fiori e grondante risvolti di tessuti pregiati.
    Tutta quanta l'Alta Croce si era raccolta in quella piazza per poter celebrare il funerale del tanto detestato re, con ipocrisia; nessuno di loro si era degnato di vestire abiti più in tema con la situazione, la loro rozza natura gli imponeva di non farlo, di infischiarsene dei principi morali e del buon gusto... anni di servizio in territorio eretico avrebbero cambiato chiunque, ma Ambrus, Owen, Lithos... Coris... costoro non avevano perso di vista la luce del proprio animo.
    I quattro uomini al seguito del corpo regale lo posero su una piattaforma rialzata di forma rettangolare, in pietra, alla base giacevano accumuli di paglia.
    Owen, apatico e per nulla toccato dalla morte del sovrano, disse ad Ambrus - Tempo fa uno dei suoi antenati, accusato ingiustamente dal proprio popolo, scelse di morire tra le fiamme... da allora la stirpe di Pilatte si dà al rituale della cremazione, per poi venir posta nel mausoleo di famiglia, in patria... -
    - Seguire le tradizioni... che cosa stupida! - Ribattè il comandante.
    - Dici così solo perché non ne fai parte. -
    Giunse l'agognato momento: Dazio si fece da cerimoniere, brandendo una torcia portante una limpida e grondante fiamma, si pose ad un'estremità di quell'altare in pietra, e pronunziò le seguenti parole...
    - Così come dalla cenere i nostri corpi sono sorti, alla cenere i nostri corpi ritorneranno! -
    Si trattava di una battuta del tutto funeraria, che mai Dazio avrebbe espresso in circostanze normali. Gettò la torcia alla base dell'altare, dove la paglia stazionava, e attese che le fiamme la divorassero, innalzandosi come quattro mura attorno al cadavere di Pilatte, esercitando calore e degenerandolo lentamente.
    Fu un'attesa che i crociati dovettero obbligatoriamente subire, per nulla provati dalla scomparsa del re, anzi, piuttosto impazienti di sapere quanto ciò avrebbe mutato le sorti della guerra.
    Ci pensò la pioggia a spegnere quelle fiamme, che tanto in alto si erano protese; fu un acquazzone improvviso e pungente, le cui gocce battevano con fittizia imposizione sulle placche metalliche dei soldati. Ora era possibile contemplare gli effetti del fuoco sul corpo del re: nient'altro che cenere, cenere immediatamente recuperata prima che l'acqua potesse disperne i granelli.
    Owen camminò a passo veloce verso un fradicio Dazio, quest'ultimo lo accolse con uno sguardo piuttosto scocciato.
    - Ora che il re è morto, che ne sarà dell'armata? -
    Sbuffò, abbassando il capo.
    Il generale parlò di nuovo - Ti esplico il mio parere, Dazio... è meglio provvedere immediatamente a informare la Santa Sede, prima che l'anarchia riesca a divagare tra le nostre fila... -
    - Non parlare come se ci tenessi all'armata! Tu hai sempre aspettato il momento giusto per tornartene a Serenissima! -
    - In patria non ci torneremo neppure, se non ci metteremo d'impegno... guardali! - Alluse ai centinaia di soldati radunati nella piazza, ormai interessati a ben altre faccende - Sono privi di ideali... si lasciano facilmente andare alla libidine... una simile armata non può pretendere di durare senza l'appoggio di un legale sovrano, e ora che Pilatte è morto, è caduto il significato dei ranghi che portiamo... -
    - Manderò una lettera a sua santità, lo informerò che l'Alta Croce non ha più un re, e che urgono istruzioni... -
    Owen notò che Ambrus era scomparso dal mare di soldati, ma non si chiese dove potesse essere, lo intuiva.

    "Amarezza pungente e desiderio di fuggire... stroncati da un'alleanza imminente..."

    Cosa gli stava accadendo? Il suo fanciullesco e impeccabile viso sembrava essersi emaciato da chissà cosa... la sensazione che provava influiva pesantemente anche sull'aspetto esteriore, quello più soggetto a giudizi.
    Raccolse l'acqua dalla bacinella dinnanzi mettendo le mani a scodella, e se la gettò in faccia per ovviare alla spossatezza, quindi si guardò allo specchio di fronte a sé, sfidando il proprio sguardo come se lo odiasse a morte.
    Cosa comparve, alle spalle della sua immagine riflessa?
    - Fallo Lithos... ti sentirai meglio... -
    Lilith poggiata alla schiena del cavaliere, quest'ultimo sapeva che non si trattava d'altro che una visione della pungente indecisione, scelse quindi di non prestare sguardo al suo onirico riflesso.
    Si trovava seduto su uno sgabello con dinnanzi un tavolo ed una lastra di tagliente vetro che assorbiva il riflesso, questa postazione non era altro che un complemento adeso alla stanza assegnata dai dottori, distante non molto da quella dell'amico Coris.
    - Tu e Coris fate parte dello stesso plotone, avete sempre lavorato bene in coppia, questo gli alti ufficiali lo sanno, ergo non verrete mai separati... ergo, prima o poi, il tuo desiderio di dar voce al sentimento si farà talmente scottante da diventare un peso da gettar via. -
    - Lithos... -
    Quest'ultima voce non apparteneva alla Lilith riflessa, bensì all'uomo che posò la mano sulla spalla del brizzolato cavaliere: Ambrus; Lithos si voltò di scatto gettando un gemito di spavento, accompagnato da occhi visibilmente provati.
    - Sono io... - Rassicurò il capitano - Sono venuto a darti una notizia... -
    - Mi hai fatto spaventare, Ambrus... -
    - Il re è morto, Lithos... -
    Si fece trovare impreparato, non doveva aver capito appieno il concetto dato il suo rimuginare impetuoso - ... morto? -
    - E' stato assassinato da qualcuno... si sono già celebrati i funerali, non ho avuto modo di avvisarti... -
    - Ma... ma... e ora? -
    - E ora siamo nella merda! - Poggiò il braccio alla parete - Un solo erede, il piccolo principe Inoze di Apollonia, troppo piccolo per comandare un'armata, troppo inesperto per dirigere le sorti di una guerra... -
    - Cosa credi accadrà all'Alta Croce? -
    - Non lo so, Owen ha provveduto a invire una missiva al Papa, facendo mente locale sulle condizioni dell'armata e sul risveglio dello spirito iroso Lilith... attenderemo istruzioni... è l'unica cosa da fare... -
    Lithos si guardò in quello specchio rudimentale - Pensi che torneremo a casa? -
    - Te l'ho detto, non ne ho idea! So solo che questa guerra è troppo importante affinché Apollonia si ritiri, vi son fin troppi obiettivi in ballo! -
    - Lo so per certo... ma nessuno ha legalmente diritto a prendere in mano le sorti di una nazione, a meno che non si tratti di un erede diretto del sovrano... -
    - Inoze è troppo piccolo, Lithos! -
    - Si, ovviamente... - Gettò un profondo sospiro a denti stretti, e ciò insospettì il biondo capitano.
    - Ti comporti come se ci tenessi all'Alta Croce. -
    - Non ci tengo, anzi, la detesto... però è l'unico posto che posso chiamare "casa"... non ho nessun luogo in cui tornare, nel caso ci facessero rimpatriare... -
    - Idem, Lithos... -
    Lo guardò.
    - Idem... - Tolse il braccio dalla parete, avviando i propri passi verso l'uscita.
    - Te ne vai? - Chiese Lithos.
    - Immagino avranno bisogno di me, al castello... c'è un gran bailamme in quel posto... -
    La voce afrodisiaca ma inquietante dello spirito iroso tornò a fare eco nei pensieri di Lithos quando Ambrus se ne andò: era nella sua testa, Lilith, si era imposta...
    - Oh? Che cosa sentono le mie orecchie? Il re è morto, l'armata è in crisi... e se vi facessero tornare a Serenissima? -
    Lithos strinse le mani attorno al cranio, volendo far cessare quella voce.
    - Perderai Coris, non avrai modo di rivederlo... perché a te non è concesso di tornare in patria, lo sai bene... -
    - Smettila, ti prego... Lilith! -
    - Che cosa hai fatto a Serenissima? Perché sei fuggito nell'armata? -
    - Non sono affari che ti riguardano... -
    - Tuo padre meritava la morte? Perché? -
    - Lilith! - Scaraventò le proprie nocche sullo specchio dinnanzi, e la voce cessò alla rottura del medesimo...

    "Lo farò!"

    Coris voltò pagina, stava leggendo un libro di racconti infantili, l'unico che ebbe modo di recuperare intatto dai dottori; nonostante la sua età appena approdata alle frontiere degli adulti, nel leggere quelle righe assurde e fantasiose non potè fare a meno che gettare dei sorrisi puri e cristallini quanto quelli di un bambino.
    Si guardò attorno, il grigio delle pareti in pietra era diventato limpido, la luce si era fatta più intensa e calorosa, l'aria nauseabonda che emanava l'ospedale pareva in quell'istante pervasa da dolci arome floreali... e tutto ciò lo aveva scaturito la sua fantasia e spensieratezza, ciò che nei suoi anni di gioventù più volte andò a mancare.
    Non pensò a come venne mandato dai suoi genitori nell'esercito serenino, non pensò alla propria innocenza macchiata dai molti combattimenti consumati, non pensò agli anni trascorsi nella più totale tristezza, avvolto da quel turbinare di atmosfere malsane tendenti ad uno scolorito e perverso grigio; in quel momento di pace voleva pensare solo a sé stesso, alla beatitudine che la stasi e la lettura conferivano al suo animo.
    Gli parve quasi di scorgere delle figure animate muoversi per quella stanza, portatrici di scie colorate e sinfonie celestiali... interrotte però dalla collisione della apatica effige di Lithos con la loro essenza; terminato l'onirismo, terminò il sorriso dipinto sul volto del ragazzo.
    - Sei tu, Lithos... - Fece in modo flebile, osservando l'amico sedersi sul bordo di quel letto bianco.
    La mancanza di argomentazioni da parte del crociato scaturì un silenzio concreto quasi come una cupola di cristallo, rotta di tanto in tanto dalle esclamazioni di Coris.
    - Stai bene? - Chiese, ma non ottenne la risposta desiderata dalla domanda.
    Lithos guardò l'amico con la coda nell'occhio - Coris... tu... hai un posto in cui tornare? -
    - Te lo dissi tempo fa... no Lithos... non ce l'ho... -
    - Nessuno che ti voglia bene? -
    - Perché mi fai queste domande? -
    - Coris... amico mio... io non posso tornare a Serenissima... -

    "Il motivo è il seguente..."

    La neve offuscò la vista di Lithos, tanto imperterrito sui suoi passi diretti all'abitazione poco distante, ne intravedeva la luce dalle finestre.
    I suoi piedi e le sue mani si ritrovavano coperti unicamente da bende sporche e sudice, assicurate strettamente quasi privando la circolazione del sangue, il loro scopo era ben altro: fornire debole riparo alle interperie presenti sul terreno, o, molto più semplicemente, tenere al caldo i piedi e le mani al posto di molto più convenzionali scarpe e sandali.
    Alitò con il caldo fiato tra i palmi delle mani per poi premerli al seguito dei bicipiti; il resto del corpo era ricoperto da abiti lunghi ricavati forse da dei sacchi di grano.
    Giunto dinnanzi alla porta chiusa di quell'abitazione, esercitò impetuosamente i pugni sulla sua superficie, bussando ne consentì l'apertura da parte di una donna matura ed emaciata, magra e con i capelli infeltriti.
    - Lithos! - Realizzò lei.
    Il ragazzo si gettò immediatamente all'interno dell'abitazione, ma sprecò il suo provato equilibrio e cadde inerme sul pavimento. La donna richiuse in fretta prima che la tormenta di neve potesse portar via il calore, e andò a sostenere Lithos facendo sì che potesse ergersi almeno fino al caminetto; ci arrivò con molta fatica, ma fu come ritrovarsi in Paradiso... quel bel calduccio che ammorbidiva nuovamente il suo corpo screpolato dal pungente e devastante freddo... sospirò più volte immerso nella beatitudine, finché non udì dei pesanti passi farsi più vicini a lui e a quella donna.
    La voce che stuprò la tranquillità di Lithos era decisamente mascolina, profonda... una voce che al solo udito già scaturiva fastidio ed odio - Già di ritorno? Hai guadagnato qualcosa? -
    Premurosa nei confronti del giovane Lithos, quella donna esclamò - Lascialo stare, è stanco... lo hai fatto lavorare sotto questa tormenta, devi essere impazzito! -
    La scostò dal ragazzo, e brancò lui violentemente, sottraendolo al calore e scrutando i suoi occhi grigi e stanchi - Piccolo bastardo, avresti dovuto portare a casa almeno quanto basta per permetterci un pezzo di pane! Come credi che possa pagare i mille debiti che abbiamo? -
    Quel suo impetuoso sputar sentenze lasciava disperdere degli schizzi di saliva che, collidendo al viso di Lithos, lo irritavano quasi quanto il comportamento che quell'uomo esercitava su di lui.
    - Lasciami stare, papà... avevo freddo... -
    - Avevi freddo? -
    Quelle innocenti e veritiere parole sembravano esplicare fatti criminosi pari ad uno stupro o ad un omicidio, alle orecchie del burbero e violento padre, che senza attendere un secondo di più sollevò Lithos da terra premendolo ad una delle pareti, intimandogli cose inaugurabili ad un figlio.
    La madre del ragazzo, sottomessa al volere di quell'uomo, non volle muovere parola a favore della propria opinione, aveva paura di suo marito, e anche suo figlio ne aveva...
    - Tu... - Disse quell'uomo - Non hai portato nulla di buono in questa casa! Solo miseria! - Brancò la collotta del figlio e lo spinse violentemente al muro facendogli picchiare la nuca - La puttana che vedi qui dietro non ha fatto altro che darmi una bocca in più da sfamare... e se le cose non si metteranno per il verso giusto, farai la fine dei tuoi fratellastri, sono stato chiaro?! -
    - Che cosa... ? - Fu l'unica cosa che Lithos potè dire, siccome suo padre gli impedì di pronunciare altro ammontando un pugno poderoso al suo stomaco. Lithos spalancò la bocca e gli occhi, ospitanti pupille divenute spesse quanto un granello di sabbia; venne lasciato cadere sulle ginocchia.
    - Ti prego caro... smettila... smettila... - Implorò la madre - Smettila... -
    - Chiudi la bocca! Le cose sono andate in questo modo! O noi o i nostri figli... e io non intendo morire di fame per un errore! -
    Lithos strisciò lontano dalle scarpe di suo padre, ansimando quanto un cavallo stanco, ma non potè andare lontano, suo padre lo prese immediatamente per i capelli brizzolati, trascinandolo nuovamente ai suoi piedi - Non ho finito, piccolo bastardo! Te la sei bevuta la storia dei tuoi fratelli morti sbranati dai lupi, vero? - Lo guardò dall'alto verso il basso.
    Il ragazzo rimase in attesa della frase determinante, quasi non gliene importava del dolore provato.
    - Sono stati sbranati, si... ma dai tuoi stessi genitori! Io e tua madre! -
    - No... -
    Non comprese più nulla... il suo sguardo si fece ancora più inespressivo e vuoto... era... era un inferno...
    - Toccherà anche a te se non riuscirai a procurarci di che vivere, piccolo bastardo! -
    Prese fiato e gridò - Chiudi quella bocca! -
    - Cosa? - Mollò la presa, per poi mettersi a calpestare con furia sul suo torace, colpì almeno sei volte con l'intento di fermare l'andazzo del suo cuore depresso, ma alla fine si accontentò del dolore che ebbe modo di fargli provare.
    Quel momento di tregua venne consumato da Lithos per leccarsi le ferite, per premere sul suo cuore pervaso da dolore indicibile... i suoi fratelli morti per saziare i suoi stessi genitori... era una cosa abominevole, immorale... Lithos versò delle pesanti lacrime dopo essersi reso conto che anche sua madre, tanto premurosa e buona, altro non aveva fatto che lasciarsi andare alle angherie di quell'uomo, divenendo egoista quanto lui.
    Pianse come un bambino, gemendo più e più volte di fronte a quella notizia così assurda e crudele.
    - Piangi pure, parassita! Piangi come la femminuccia che sei, le femminucce che sono i tuoi amici: tutti voi non siete altro che falliti! -
    L'attizzatoio in balia del camino era così a poca distanza... presto fu tra le mani di un Lithos emerso dalla tristezza, dal disagio e dall'orrore, un Lithos pronto a far giustizia con quello strumento rudimentale puntato a mò di spada affilata contro suo padre, si era innalzato da terra, era pronto e deciso, con sguardo svuotato da ogni forma di amore...
    - Ti ammazzo... piccolo bastardo... -
    Nulla potè fermarlo: si avventò come un lupo affamato addosso a suo padre, la punta ardente dell'attizzatoio ustionò il suo pettò, inizialmente, per poi insidiarsi come un verme nella sabbia tra le viscere di quel maledetto, che urlò... urlò come il demonio che era, che aveva dimostrato di essere...
    Lithos non fu felice fino a quando non raggiunse il cuore, privandolo del battito, ma ancora sentiva il bisogno fremente di infierire su quel corpo ormai morto e disteso a terra.
    - Lithos... - La voce della madre arrivò alle sue orecchie.
    Alzò il viso mostrando gli occhi pervasi da istinto omicida, così piccoli e spaventosi, che tornarono pieni ed espressivi una volta resosi conto di ciò che aveva fatto; tra le sue mani giaceva il corpo del padre... morto per mano sua...
    Era una notte, la notte in cui Lithos fuggì dalla sua magione natia, per darsi alla completa ricerca di una strada luminescente al di fuori del suo villaggio, che apprese mantenere intatta quella piaga del cannibalismo da almeno venti anni...

    "Mia madre stava piangendo... ancora oggi mi chiedo se stesse piangendo per me, per mio padre, o per sé stessa..."

    Rifoderò i ricordi...
    - Da allora cominciai a vivere come un cane randagio... un fuggitivo... altro non ero... calcolai che entrare nell'armata fosse l'unica cosa da fare per continuare a vivere, ma sopratutto per fuggire da quel regno in cui, tutt'ora, sono ricercato... -
    Il racconto stupì Coris, che mai e poi mai avrebbe creduto Lithos capace di un gesto così cruciale - Hai ucciso tuo padre? -
    Si adirò - Che avresti fatto? Io... non sai quanto volevo bene ai miei fratelli... - Sospirò a denti stretti, paonazzo di rabbia - Coris... è stata una cosa abominevole... chi mai divorerebbe i propri figli? Chi? -
    - Ho capito Lithos! Smettila! -
    Silenzio... e assenza di sguardi.
    - Coris ti ho... spaventato? -
    - Mi sento solo un po'... avvilito... -
    - Io... -
    Non riuscì a sedare i suoi istinti, dopotutto per che scopo voleva realmente incontrarlo? Guardò negli occhi porporei l'amico... era... incantevole...
    - Coris, io... -
    - Ma... che ti succede? -
    Lithos perse la testa quando vide un rossore insidiarsi sul viso del fanciullo dinnanzi; infischiandosene di quanto predicava la sua religione, e dando orecchio ai consigli della succinta Lilith, atterrò con le braccia addosso a Coris tenendo i palmi premuti alle lenzuola...
    - Lithos! Che fai? - Non comprese.
    I loro visi erano così vicini... poco meno di una piuma di falco faceva da tragitto dallo sguardo porporeo, acceso e stupito di Coris, a quello metallico, sicuro e desideroso, di Lithos.
    Ci pensò il crociato dai capelli color neve a dire qualcosa, in modo flebile, quasi come un sospiro - Voglio che tu venga via con me... -
    - Ma io... -
    - "Ma io" che cosa? Vuoi tornare in patria? -
    - Lithos... in patria non ho nulla, proprio come te... - Guardò altrove, schiacciato dall'imbarazzo.
    - Io non ci tornerò ad Apollonia... - Prese il mento dell'amico con delicatezza, riposizionando il suo sguardo sul proprio - Nel mio regno... io non ci tornerò! ... è per questo che quando ci daranno il via libera per tornare a casa, io fuggirò verso ovest, verso l'epicentro di questa terra desolata... -
    - Lithos... - Lo disse in maniera così flebile...
    - Coris... tu verrai con me, non è vero? -
    - Con te? -
    - Con me... scapperai... -
    E quando tra i due fanciulli non ci fu più nulla da aggiungere, quando la dolcezza raggiunse il suo apice... le loro labbra si incontrarono in un connubio che felicitò Lithos, e sorprese Coris... non... non aveva mai baciato nessuno prima di allora, ed era così strano... stava veramente baciando il ragazzo che per tutto quel tempo altro non era stato che un amico, un compagno d'armi?
    Rimasero avvolti in quella dolce effusione per molto tempo, il minimo indispensabile per potersi abituare l'uno al tepore dell'altro, e Lithos aveva già incominciato ad assaporare le morbide labbra del fanciullo, muovendo le proprie in vari modi, come se volesse mordergliele usufruendo delle labbra stesse.
    Un'inerzia profonda balenò in tutto l'animo di Coris, non si sentiva altro che una vittima, e ancora non aveva capito quanto quel bacio gli piacesse... era ancora stupito ed estraniato dal mondo circostante, così perso nella nuova sensazione che stava provando... gemette lanciando fiato, e comprese che gli piaceva... gli piaceva tanto, lo fece intendere quando poggiò le proprie mani alla schiena dell'amico, spingendolo a sé, accentuando il passionale contatto delle loro bocche...
    Diciotto anni immersi nella più totale assenza di amore, di affetto... quanto Lithos stava facendo lo colmò fino all'ultimo centimetro della sua anima, lo fece sentire finalmente amato da qualcuno...
    Il biancastro cavaliere lo elevò, privando alla sua schiena la comodità del materasso, ma Coris non si sentì indispettito da ciò, siccome ormai con la schiena eretta poteva aggrapparsi alle spalle dell'amico, senza interrompere l'afflusso di passione filtrante nei loro corpi, attraverso le loro labbra.
    Quel bacio stava durando così a lungo... nessuno dei due voleva separarsi dell'altro, non in quel momento che avevano acquisito così tanta intimità... ma alla fine dovettero farlo, siccome esausti e desiderosi di scrutare il reciproco sguardo.
    Ansimarono senza impeto, per non distruggere quell'armoniosa atmosfera... gli occhi porpora di Coris riversati addosso a quelli grigi di Lithos...
    - Uniti Coris... non voglio separarmi da te... - Passò il pollice sullo zigomo dell'amico.
    Accolse il gesto levando un sorriso, cosa rara da parte sua - E io da te... -

    "Bravo Lithos... ma ricordati di chi è realmente quel fanciullo... ricorda che la sua anima violenta e il suo cuore iracondo affogheranno nel sangue l'intero mondo..."



     
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  11. Roxy!
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    E ma Francesco è il nome più bello del mondo!!!11111!!!!

    per ora non metterti a piangere :flower:

    Uhhh :ahno: questo deve essere un capitolo "finestra" nel senso che incomincia a spiegare i vari intreci futuri, penso...

    Certo che hai proprio descritto la trombata in ottima maniera! Mai volgare e davvero poetica!!
     
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    Twilight Player

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    Bel capitolo Emy, mi ero un po' scordato questa parte di Lithos.. anche se l'ho sempre odiato e lo sai, IO VOGLIO IL VERO CORIS >-<
    Scherzi a parte, Francesco è il nome più bello del mondo e io lo porto per FRANCESCO TOTTI.
    Scherzi a parte (la storia del mio nome), non ho notato errori (vorrei vedè!)
    La tua capacità di mettere i puntini sospensivi mi piace sempre, nelle frasi di stallo e un pochino lente..

    ANIMA VIOLENTA E CUORE IRACONDOOO!
     
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  13. _Holy
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    CITAZIONE
    E ma Francesco è il nome più bello del mondo!!!11111!!!!

    Egocentrismo pervenuto? X°°
    CITAZIONE
    Scherzi a parte, Francesco è il nome più bello del mondo e io lo porto per FRANCESCO TOTTI.

    Stessa risposta per te ùWù
    CITAZIONE
    Uhhh questo deve essere un capitolo "finestra" nel senso che incomincia a spiegare i vari intreci futuri, penso...

    Sì, una cosa del genere, ma ci vorrà tempo affinché il piano di Lithos trovi fondamento.
    CITAZIONE
    Certo che hai proprio descritto la trombata in ottima maniera! Mai volgare e davvero poetica!!

    Trombata? Ma non era una trombata, era un semplice bacio XDD
    Non ti dico la fatica immane che ho fatto nel descriverla, non sono tagliato per il romanticismo o per le scene sentimentali/passionali, preferisco lasciarmi andare alle malsane voglie omicide dei mille mostri aborriti nel mio grembo mentale (leggi: pedobear)

    CITAZIONE
    Bel capitolo Emy, mi ero un po' scordato questa parte di Lithos..

    I brutti ricordi tendono ad andare rimossi ù_ù
    CITAZIONE
    IO VOGLIO IL VERO CORIS >-<

    Cos'ha che non va il Coris checca in confronto al vecchio, irruento, sadico Cavaliere Giovane? :epilec:
    CITAZIONE
    La tua capacità di mettere i puntini sospensivi mi piace sempre, nelle frasi di stallo e un pochino lente..

    Ad alcuni non piace. E' un'abitudine che non riesco a scrollarmi di dosso, sopratutto nel caso di OWen, in quanto lo descrivo come un personaggio composto, apatico, e con una tremenda scopa in culo.
    :sese:
    CITAZIONE
    ANIMA VIOLENTA E CUORE IRACONDOOO!

    AFFOGHERAI NEL SANGUE L'INTERO MONDOOOOOOOOOOOOOO *inciampa*



    Okay, grazie ad entrambi per i commenti ^^ Il prossimo capitolo sarà molto più movimentato.
    Sono giunto al nono, ma preferisco attendere qualche giorno prima di postarli.
     
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  14. _Holy
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    Ecco il nuovo capitolo, gentilmente offerto dalla ditta "mani in mano al nano".
    Ringrazio Roxy e Nemesis per avermi seguito in questi tre capitoli ^^
    okay... ecco a voi lo scempio di la italica grammatica.


    ORIZZONTI FUTURI

    Una settimana passò, per tutti quanti, apportando cambiamenti più o meno significativi agli uomini dell'armata.
    Sette giorni prima, Coris non avrebbe potuto alzare nemmeno una spada viste le sue condizioni cagionevoli.
    Lithos, in seguito all'adempimento di quanto intimatogli da Lilith, non rivolse più la parola all'amico... per chissà quale ragione si sentiva come se gli avesse inflitto un torto pesante; nonostante ciò, Lilith non smise di imperare nei suoi momenti di solitudine, gettando innesti a tentazioni ben più cruciali...
    Ambrus, perplesso riguardo al suo futuro tra quelle schiere, durante quei pesanti giorni di altrettanto pesante inerzia non fece altro che coltivare la propria introspezione, decidere cosa più lo interessasse riguardo al futuro, scegliere una strada, un ideale da tenere alto, un qualcosa che potesse farlo sentire migliore rispetto al mare di crociati burberi e rozzi... lui, più di chiunque altro, ambiva a sentirsi un cavaliere vero, uno di quelli che popolavano i racconti, e forse era davvero questa la strada che il biondo capitano intendeva rincorrere con bruciante ambizione.
    Non seppe di Coris e Lithos, di quanto quest'ultimo fosse pesantemente invaghito del primo, e mai l'avrebbe voluto sapere se gli fosse stata concessa scelta.
    Con l'armata in quel pietoso stato, ma comunque tranquillizzata dalla pausa, Dazio si incaricò di tenerla salda e lontana dall'anarchia, facendo pressione su quanto la disciplina avrebbe aiutato le sorti... inutile dire che ogni crociato non sperava in nient'altro che un permesso per poter tornare a casa, dalla famiglia, lontano dalle affilate lame di spada e dalle frigide corazze divenute quasi un complemento del loro stesso corpo.
    Owen, incaricato dall'unico uomo rimasto teoricamente al di sopra di lui, ma anche armato di tanto buon senso, ebbe il compito di dirigersi immediatamente a Serenissima, là dove la Santa Sede si riuniva e orchestrava comodamente le mosse dei propri eserciti dispiegati nelle Terre Eretiche; fu un viaggio navale che fortunatamente non impiegò un enorme dispendio di risorse, i crociati al seguito del generale approdarono ad un golfo serenino non molto distante rispetto al resto delle coste della patria, e da lì si mossero quindi verso l'epicentro di Serenissima: Apollonia.
    Il regno sotto lo stretto dominio del defunto Pilatte, ospitante l'indipendente sezione dedita alla Santa Sede, dimora del Papa e dei cardinali a lui sottostanti; un posto verdeggiante e ricco di proprietà agrarie, ma anche di città prestigiose quali Ira, capitale e fu dimora del re, lasciata in mano al principe Inoze, di soli dieci anni.
    - Serenissima... così diversa dalle aride Terre Eretiche... - Pensò Owen nell'esatto momento in cui approdò, per poi darsi a ben altri pensieri contemplativi lungo il tragitto che separava lui e crociati da Città Mondana: la città indipendente in mano alla chiesa.
    Era partito il mattino del terzo giorno di quella settimana, arrivando alla meta durante la nottata.
    Città Mondana era posta su un terreno circondato da una gola scavata circolarmente, riempita fino all'orlo da acqua formando un limpido specchio naturale, quella sezione acquatica veniva chiamata dagli abitanti con l'altisonante nome di "Lago della Serenità", un nome veramente significativo, dato l'impeto praticamente assente da parte delle onde.
    Un ponte faceva da unico lembo d'unione dalle lande verdeggianti a quella santa città, una costruzione di indubbia lunghezza, percorsa ai lati da ben lavorate statue di uomini adornati da corna, Owen e i suoi uomini lo percorsero dovendo necessariamente usufruire dei propri trasporti equini.
    Nell'attraversamento, fu impossibile non perdersi nella limpida consistenza del Lago della Serenità, specchio della argentea luna stagliante su un cielo invaso da stelle; essendo notte, il ponte e le vie cittadine si ritrovavano illuminate da torce adese a varie pareti.
    Giunsero finalmente alla sponda agognata, non era più possibile aver visione dell'imponente costruzione sede del Papa, ma ben presto la avrebbero potuta contemplare da una distanza più esigua, ad ogni modo, le vie cittadine sapevano compensarne l'eleganza almeno in parte, con dimore di ricchi cardinali rese in unico colore per ognunga di esse: bianco... un bianco quasi disturbante, ossessivo, presente in ogni dove.
    Imboccarono varie vie, solitarie dato il tardo orario, ma attirando l'attenzione di qualche santo vescovo incuriosito da un simile battere di zoccoli, nonché dalla presenza di crociati sul suolo serenino. Di tanto in tanto era possibile imbattersi in qualche monumento evocativo, immediatamnete ricoperto da elogi o critiche di cattivo gusto dai crociati alle spalle di Owen, apatico come sempre... detestava esprimersi in inutili sentenze dinnanzi a persone che non conosceva a fondo, non come Ambrus, il suo migliore amico, con cui spesso e volentieri si lasciava andare a divagazioni non realmente utili o interessanti.
    E in seguito ad almeno nove minuti di peregrinare, giunsero dove tanto desideravano arrivare: Piazza di Santo Iggo, tratto d'unione alla sala grande della Santa Sede e diverse strade più o meno importanti; i crociati la percorsero tutta, disdegnando l'enorme fontana posta al centro di essa come la ferma pupilla di un occhio di cristallo, paragone pressoché azzeccato data l'eleganza di quel sito. Fu però impossibile non perdersi nell'altezza dell'edificio ospitante sua santità: altissimo, con un grazioso tetto a cupola, ma anche di larghezza esso sapeva impressionare, con la facciata principale invasa da vetrate alte dieci uomini, che davano la vista sulle eleganti aiuole adiacenti alle finestre.
    Owen e la squadra a suo seguito si fermarono ai piedi della bianca e lunga scalinata conducente al colossale portone d'ingresso, così grande da rendere invidioso quello presente al castello di Accidia, già di per sé imponente.
    Il generale smontò da cavallo - Mi aspetterete qui! - Intimò ai suoi soldati, conscio del fatto che i cardinali non amavano le visite inopportune, indi affrontò i ripidi gradini fino a giungere al portone d'ingresso, che venne lentamente ma prontamente aperto da due persone sull'altro lato... Owen ne rimase sbalordito, di come avessero saputo che stava giungendo un visitatore, ma non ci diede peso, ormai era dentro, a perdersi nella magnificenza di quel luogo...
    Quanto era alto il soffitto? Fu difficile definirlo, ma bensì altissimo, riportante un fittizio cielo dipinto che pareva esser vero da quanto era stato replicato bene; sul lato della enorme sala d'ingresso si ergevano colonne impossibili da cingere interamente con le braccia, che percorrevano l'intera facciata sinistra interrotte di tanto in tanto da qualche mosaico colorato sempre sostenitore di quell'idea di imponenza e di elevate dimensioni.
    A destra, una scalinata ricurva verso luoghi sconosciuti, in fondo alla stanza, una porta di dimensioni minori che sembrava esser la destinazione del generale.
    I due uomini che avevano avuto la prontezza di aprire si posizionarono ai lati di Owen, lasciandogli intendere quanto desideravano che si incamminasse, e lui lo fece con diffidenza dai loro sguardi e dalle loro toghe rossastre con cappuccio... gli ricordavano l'assassino del re, ma era cosa stupida formulare collegamenti.
    Impiegarono un minuto netto e qualche secondo per giunsere a quell'ingresso, che subito aperto come con la porta precedente rivelò la sala delle udienze, presentante alti ripiani su cui i seggi dei cardinali più illustri si stagliavano a mezzaluna, circondando la piazzole circolare posta al centro della stanza, postazione dei "bersagli" dell'udienza che in quel caso erano Owen e un altro individuo in attesa poco oltre, anche lui incaricato dal Papa di accorrere a Città Mondana.
    Lo riconubbe subito: Generale Luisian, a capo dell'esercito di Eriseà, nazione confinante con Apollonia unita sotto lo stendardo del continente serenino, nonché il secondo esercito per ordine di importanza ad aver intrapreso le Crociate.
    Biondo, giovane ed elegante, Luisian, proprio come Owen, non si era preso la briga di indossare qualcosa di diverso della propria divisa, che nel suo caso era di color rosso, riportante lo stemma di Erisea: un sole sfoggiante un vistoso sorriso.
    I due generali andarono ad affiancarsi, colui al di sotto dell'Alta Croce non si degnò di nessun saluto, al contrario dell'eriseano, ben più colorito, ma dall'apparenza arrogante.
    Prestarono immediatamente occhi e orecchie alla figura illustre che giaceva al seggio con braccioli ben più vistoso e privilegiato, con rifiniture dorate: Il Papa... anzi... la papessa... era una donna, apparentemente così burbera e priva di femminilità, con un viso ospitante rughe più o meno vistose, uno sguardo socchiuso e accusatorio, capelli castani con prosperosi ricci.
    Di nome faceva Inamod, e proveniva da una dinastia di regali origini, che mai aveva gettato gli artigli nella religione.
    Le sue vesti bianche e pregiate con maniche larghe, la sua corona d'oro a forma di aureola acuminata: questi erano gli elementi del "potere" che nei secoli erano passati di mano a diversi uomini, ma mai ad una donna.
    - Ci avete messo parecchio per giungere fin qui, generale Owen... - Esclamò privilegiandosi con tono combattivo.
    Il corvino Owen rispose con un cenno del capo.
    - Siete pregato di rispondermi! - Tuonò ella.
    - Si, sua santità... ma le Terre Eretiche distano parecchio... -
    - Non mi importa! -
    Il cavaliere al fianco di Owen nascose un sorrisetto.
    - Non siamo qui per parlare del vostro viaggio! Bensì delle ripercussioni che la morte del vostro re avrà su Apollonia, e sulla santa armata! -
    "Santa Armata", questo era il secondo nome dato all'Alta Croce: un esercito di uomini benedetti dalla chiesa, portatori del suo vessillo e della sua impronta religiosa in ogni angolo del globo.
    - Preferisco non dilungarmi troppo su quanto Pilatte è stato stupido! Avrebbe dovuto prendere esempio dal re di Eriseà, rimasto in patria ad amministrare il proprio paese e incaricando il qui presente Luisian di prendersi cura dell'intera armata! Pilatte ha invece abbandonato il suo paese in mano ad un erede di età troppo bassa per ereditarne le fortune, ha edificato una città sulla costa eretica, esponendosi a eventuali pericoli o attentati! Era uno sprovveduto, se l'è cercata! -
    Si era contraddetta: si era dilungata notevolmente esponendo la propria opinione riguardo il re serenino.
    I cardinali tutti attorno si scambiarono rumorosi commenti, quasi tutti appoggianti il verdetto della papessa, finché ella non li intimò di tacere, in nome della compostezza generale.
    Owen chinò il capo, rassegnandosi piacevolmente a quanto detto.
    - Vi starete chiedendo, generale della santa armata, il motivo della presenza di Luisian, nevvero? -
    Annuì con la solita apatia.
    - Ebbene, in seguito alle due missive speditemi, una recante il resoconto di un certo Lithos, l'altra recante la notizia della morte del re, mi è parso più che giusto meditare ad una soluzione affinché la vostra armata possa continuare ad esistere... la soluzione è la seguente... - Si sgranchì la voce - Appena voi, Owen, tornerete sul suolo eretico, l'intera armata dell'Alta Croce verrà affidata alla custodia dell'esercito eriseano! -
    Esordì in uno sguardo intenso rivolto alla papessa, il generale corvino, mentre Luisian esercitò un lieve inchino.
    - E' la cosa migliore da fare! La vostra armata è troppo importante per cessare di esistere, sia ai fini delle Crociate sia ai fini della caccia agli spiriti irosi! Da quanto riportato sulla lettera di quel sergente, pare che Lilith abbia trovato pienezza... dovete immediatamente debellarla prima che possa incarnare l'Initium! E per quanto riguarda la missione generale in territorio eretico, non sperate di non aver voce in capitolo! Siete sempre una fetta rilevante nell'esercito crociato, quindi non estraniati dall'appoggiare Luisian e le altre armate serenine nella conquista di Jerusalem! Quellà città è di vitale importanza per i nostri scopi futuri... vi ricordo che la crescita economica del nostro continente è visibilmente storpiata, e che un passivo avvenire non ci permetterebbe di vivere agiati come sempre abbiamo fatto! Conquistate quella città, strappatela di mano all'eretico Salahad, e annientate gli spiriti irosi! -
    Quella fu l'ultima altisonante sentenza emanata dal Papa prima che Owen e Luisian venissero congedati dalla conversazione, e scortati al di fuori della regale stanza.
    La percorsero per tutta la sua interezza, finché, giunto a metà di essa, il crociato dalle vesti zaffiro non udì un fruscio familiare, preso dall'interesse si voltò in sua direzione, ovvero alle proprie spalle, ma non vide null'altro se non una piuma volteggiare nell'aeree, rossa come le vesti di Luisian, come le vesti dei cardinali...
    Come riusciva a mantenersi così stabile in quel vuoto separato dalla concretezza garantita dal suolo? Non era una stanza assai arieggiata, avrebbe dovuto posarsi a terra, eppure continuava a svolazzare in quel modo così sovrannaturale...
    - Una piuma? Qui? - Accennò Luisian, vedendo Owen avvicinarsi ad essa, sottrarla dalle angherie dell'aria, scrutarla nel palmo della sua mano, e alludere ad un nome...

    "Baal..."


    La settimana, come dissi, passò... e la mattinata seguente al settimo giorno fu portatrice di novità, sottoforma di una grande schiera di uomini in rosso, con in testa l'altezzoso Luisian.
    Era giunto il momento di trasferire l'intera Alta Croce nel settore eretico controllato dagli eriseani, era giunto il momento di abbandonare quella città.
    La mattina e il pomeriggio andarono a perdersi in ingenti preparativi: ogni crociato si accollò i propri oggetti, i propri strumenti di guerra, e alle prime ombre della sera, l'armata eriseana e dell'Alta Croce si raccolsero sulla palustre collina poco distante dalle porte di Accidia.
    Ogni soldato in groppa al proprio destriero, a contemplare il panorama cittadino pervaso da lingue di fuoco. Colonne di fumo si innalzarono dai tetti in fiamme fino al cielo portante un dorato sole al tramonto.
    Ambrus era detentore di un destriero bruno con la criniera bionda, ben carico degli effetti del padrone, si affiancò a quello bianco e regale del generale Owen, e gli chiese - Era proprio necessario dare alle fiamme la città? -
    - L'ordine viene da Luisian... non ci era possibile trasferire tutte le risorse e i viveri, li abbiamo bruciati affinché nel futuro non finissero in mani nemiche... -
    - Capisco... "non si lascia nulla al caso", vero? -
    - Qualcosa del genere... -
    Ambrus sospirò come un nostalgico uomo vissuto - L'unica cosa che mi crea dispiacere è il fatto che questa città abbia richiesto un enorme dispendio di materiale e di capitali per venir eretta... Pilatte si starà rivoltando nella tomba... -
    - Ti interessava così tanto Accidia? -
    - No, per nulla... la detestavo con tutto me stesso... quell'atmosfera, quello stile di vita a cui eravamo obbligati... un inferno, per tutti quanti... -
    - Già... - Voltò le redini in direzione del sentiero che avrebbe condotto alla terra designata - Ma non sperare in meglio: gli eriseani e la Santa Sede non ci vedono di buon occhio a causa del nostro re imprudente... temo per le discriminazioni a cui saremo sottoposti... -
    Ambrus rimase quindi da solo, alla volta dello squadrone assegnatogli, quello che avrebbe dovuto condurre spontaneamente all'avamposto eriseano; notò che dai piedi dell'ingente collina un crociato di rango assai minore stava esercitato impetuosamente i propri passi lungo la sua notevole pendenza, con affanno e impazienza.
    - Che accade, soldato? - Chiese a gran voce.
    - Ho appena eseguito l'appello generale, capitano Ambrus! Ne mancano due! -
    - ... "due"?! -
    - Due uomini! Il sergente Lithos e caposquadra Coris! -
    Spalancò gli occhi ospitanti assottigliate pupille color smeraldo - Che cosa? - Volse lo sguardo in direzione di Accidia - Ma... allora... -

    "Giungerà il tempo per colmare l'incognita nella storia dell'angelico pargolo..."

    Dinnanzi a sé un'asse in legno pervasa dalle fiamme ad ostacolare il cammino, la scostò brancandola a palmi indifesi, fu impossibile non soffrire di un'ustione, ma poco gli importava, siccome era mosso da un fuoco ancor più ardente di quello imperante per tutta la città.
    Coris, liberato quel vicolo dalla presenza di ostacoli vari, fu in grado di giungere alla piazza cittadina, stagliante di fronte all'ingresso del castello, con il medesimo altare su cui il corpo del re era stato polverizzato. Si guardò attorno definendo ogni particolare.
    - Ah! - Gemette guardando le proprie mani, rovinate dal contatto con il crudele fuoco, stavano iniziando a procurargli dolore; quando le abbassò, i suoi porporei occhi inquadrarono quanto di più in primo piano potesse essere visto in quella piazza: il portone d'ingresso al castello di Pilatte, devastato nella sua evocativa compostezza, la bellezza di quell'angelo raffigurato era scemata in favore del degrado scaturito dalle fiamme e dalla devastazione turbinante.
    Una più o meno fitta foschia di cenere incandescente si frappose tra Coris e l'entrata al castello, egli si riparò da essa parandosi con il braccio, indi avanzò impedendo ai propri bulbi oculari di incontrare l'effetto di quella nebbia.
    Giunto in prossimità della soglia, si poggiò con un braccio e ansimò con disperazione, il suo peregrinare si stava protraendo da parecchio tempo, e di Lithos nessuna traccia... tanto valeva dedicare le proprie attenzioni al castello: luogo in cui le probabilità di successo toccavano basse percentuali.
    Si incamminò lungo la sala d'entrata, percorsa nella parte alta da delle vetrate più o meno ampie attraverso cui la calda luce del tramonto filtrava, un vermiglio e lunghissimo tappeto si estendeva fino ai piedi del trono di Pilatte, lo stesso trono su cui stazionava inerme e pervasa da falsa beatitudine l'effige aggraziata di una donna bionda, capelli a caschetto e sorriso stampato sulle labbra... nessuna veste a impedire di godere delle sue sinuose curve adornate da un pallido colorito.
    Nel buio della stanza, la sua postazione era investita da un fascio di luce tanto evocativo quanto altisonante.
    Le sue dita apparentemente fragili sostenevano uno strumento musicale allungato e portante dei fori lungo una delle sue facce, altro non era che un "nay", tipico flauto utilizzato dagli eretici per comporre brani inneggianti a gioia, o disperazione, come in quel caso... il suono dello strumento riecheggiò malsano per l'intera sala, tanto povera di luce, e si inerpicò come un velenoso insetto su per la colonna vertebrale del fanciullo, ben terrorizzato ma non intento a mostrarlo.
    Mise mano al suo fianco, da cui pendeva il fodero della propria spada, ma non la estrasse... si limitò ad accarezzarne l'elsa in acciaio. Parecchi metri lo separavano da quella donna, quindi, nel caso avesse accennato ad intenzioni bellicose, Coris avrebbe avuto abbastanza tempo per armarsi e difendersi.
    - Giòanne Do Arc! - Tuonò, facendo riecheggiare la voce per la sala.
    Ella si destò interrompendo il demoniaco brano che stava componendo, visibilmente scocciata - Il giovane Coris è qui... sei arrivato, finalmente! -
    - Sei... ancora viva? -
    - Lo sono sempre stata! Il fatto che lo spirito iroso mi abbia contagiata non significa che la mia anima sia andata perduta... no... ci vorrà tempo prima di ciò... -
    Scosse lievemente il capo - Tu non sei Giòanne... non saresti così tranquilla! -
    - Non lo sono, infatti... la voce che senti non viene da questa bella ragazza, bensì da Lilith... -
    Coris ne ebbe abbastanza, indi sfilò lentamente la spada dal fodero: il suo fragore indispettì lo spirito iroso.
    - Vuoi combattere, ragazzino? -
    Interruppe l'atto a metà del suo compimento, spogliato del coraggio.
    Ella rise, e si resse la fronte con il palmo della mano - No... io lo vedo... i tuoi occhi possono sembrare minacciosi, ma in realtà non recano altro che insicurezza! Quante persone hai ucciso, Coris? -
    - Questi... - Strinse i denti - Non sono affari tuoi! Dov'è Lithos? -
    Lilith sorrise tra sé e sé nuovamente, prima di alzarsi dalla impropria regale postazione, atteggiarsi sensualmente dinnanzi ad un imbarazzato Coris, protrarre il braccio sinistro in direzione di una vetrata ed esclamare con la doppia voce dello spirito iroso - Osserva! - La compostezza del vetro scomparve, i frammenti si scagliarono dove più la gravità gli imponeva arresto, lasciarono spazio all'ampio raggio luminoso che dalla finestra rotta collise in un angolo della stanza... Lithos era lì, rannicchiato su sé stesso, privo di vesti, impaurito e tremolante.
    Coris urlò il suo nome e corse verso la sua direzione, non ebbe modo di giungerci abbastanza vicino, poiché Lilith fu pronta a materializzarsi sul tragitto... a dir la verità non si era materializzata, bensì aveva eseguito uno spostamento fulmineo.
    - Buono, bambino... buono! -
    - Dannata! - Fu veloce ad estrarre il brando, fu altrettanto veloce a vibrare un affondo verso quella donna, ma l'opposizione del potere demoniaco fu abbastanza elevata da far sì che la punta di spada si scheggiasse contro un qualche invisibile muro, facendo sì che Coris venisse scagliato all'indietro. Cadde di schiena sul tappeto polveroso.
    Da quella finestra in frantumi, con la luce, stavano iniziando a filtrare pure i granelli di cenere incandescenti che decoravano l'intero ambiente fuoristante.
    Coris usò la spada come stampella di fortuna, ergendosi nuovamente sulle proprie gambe - Che cosa... hai fatto... a Lithos?! -
    - Mi sono divertita! Ti lascio immaginare come... -
    - Tu... maledetta... -
    - Oh, lui ti ama davvero molto... eppure, proprio come me, ha goduto tantissimo... -
    - No... non è vero... -
    - Che hai? Ti ha spezzato il cuore? -
    Era davvero così? Spirito Iroso Lilith, padrone degli osceni... non dei bugiardi... le sue parole avevano sempre recato un fondo veritiero, se non una completa forma di verità, sia quando Lithos si trovava perplesso sul sentimento coltivato per Coris, sia quando venne spronato a compiere il gesto più decisivo ed esplicativo dell'amore: il connubio tra le labbra.
    Anche in quel caso poteva essere portrice di verità, ma era inutile lasciare che subentrasse la gelosia o l'amarezza; vi era un compito da portare a termine, e Coris intendeva farlo, intendeva salvare Lithos, in nome dell'amicizia che li aveva tenuti legati fin dal loro primo incontro.
    I pugni si strinsero attorno al manico dell'arma, lo sguardo porporeo di Coris invitava al duello.
    Lilith lasciò scaturire un'aspra risata dalle fauci aggrazziate di Giòanne - Ancora quegli occhi! Credi di farmi paura, ragazzino?! -
    Stava per colpire nuovamente, approfittando della distrazione dell'avversaria, ma non poté farlo.
    - Che diavolo succede? - Esordì Coris, notando che la propria stretta stava perdendo di sensibilità e spontaneità, riversando la lama della spada in tutt'altra posizione rispetto al nemico.
    Le dita giocherellarono con il manico dominate dal potere di Lilith, stringendosi poi sull'arma posta in posizione verticale con la lama traversa. L'ultimo gesto che il sensuale spirito iroso volle fare eseguire al ragazzino fu quello di premere la punta dell'arma contro il proprio addome, privandosi spontaneamente della vita.
    Coris vide la lama farsi sempre più vicina, le sue forze fisiche non sembravano nuocere in alcun modo al potere esercitato - No... no... no! no! no! -
    - Vuoi salvarti, figlio mio? Allora avanti, sprigiona la tua collera, annega la tua anima nel sangue! Sorgi! Sorgi! -

    "Destati dalle umane spoglie e decora i tuoi occhi con la rossa iride della verità!"

    Lithos cessò la sua postura imbevuta nell'insicurezza in favore di una più contemplativa, rivolta all'amico Coris e allo spirito Lilith in forma umana.
    - Così... avanti... - Incitò lei, notando il giovane farsi detentore di un bagliore cremisi attorno agli occhi tornati di un turbinante ed infinito rosso.
    Rossa fu la luce dalle finestre, rosso fu il cielo: messaggio che qualcosa di malefico era sorto in quell'istante, esattamente quanto l'avvento di uno spirito iroso... solo che Coris non era uno di essi.
    Terminò l'influsso malefico esercitato sulle azioni del ragazzo, la spada cadde in un tonfo metallico.
    Gli occhi del ragazzo puntarono Lilith come due archibugi sul bersaglio, paragone denigratorio, quello sguardo non era minimamente associabile a due rudi e umane bocche di fuoco, no, era ben più temibile... la donna ne soffrì le conseguenze dirette quando notò che il suolo sottostante lei si era manipolato sottoforma di acuminate fauci, che la azzannarono alle caviglie impedendone qualunque forma di deambulazione.
    - Io... no! Non volevo questo! Lasciami andare! - Urlò con la sua doppia voce nel mentre della trasmutazione in reale spirito iroso: pelle nera come il cosmo e occhi rossi contrastanti, ma non intensi come quelli di Coris.
    - Spirito iroso Lilith! Questa è la tua fine... la tua esistenza in questo mondo termina qui! Tornatene nell'abisso da cui provieni! -
    - E' dunque così?! Tu puoi ucciderci, Coris? Tu sei in grado di ammazzare gli spiriti irosi?! -
    - Non è Coris che pronuncia queste parole! -
    Lithos, Lilith... entrambi spalancarono i propri occhi di fronte ad un affermazione tanto criptica.
    Espresse la sua sanguinaria voglia di esordire con un sorriso sottile e malvagio - Ben presto... quando troverà pienezza ciò che alberga nel grembo di questo ragazzo... - Scrutò la propria mano con interesse, percorsa da ustioni più o meno gravi, ed urlò - Questo mondo... cesserà di esistere! -
    Fu impossibile non soffrire delle violente scosse sismiche che pervasero l'intero castello del defunto re: crepe larghe quando una spanna si aprirono lungo le pareti, protraendosi verso l'alto come per inseguire il cielo, e terminarono scomponendo la sapiente idea di stabilità che quel complesso faceva sfoggio.
    Le pareti crollarono, il pavimento si squilibrò come una tavola di legno in balia delle onde... il caos si impose padrone, e inghiottì nei suoi abissi una Lilith ancorata alla pavimentazione da quelle acuminate fauci, impossibilitata di qualsiasi movimento, per quanto il suo potere potesse essere grande, era messo a dura prova in quell'istante...
    Lithos stava soffrendo le conseguenze dirette dell'avvenimento, il suo corpo stanco e inerme cominciò a scivolare lungo il pavimento inclinato, sarebbe capitombolato nell'abisso apertosi, sotterrato poi dalle macerie, e fu qui che l'aiuto di Coris fu provvidenziale.
    Balzò al seguito dell'amico brizzolato, lo cinse con forza intimandogli di chiudere gli occhi, sempre adornato da quel bagliore sovrannaturale e scarlatto.
    Lithos eseguì, chiuse i propri occhi metallici...
    Quando li riaprì, fu felice di ritrovare la stabilità di un comune asfalto cittadino, quello presente nella piazza subito dinnanzi al castello, che nel mentre si stava contorcendo, sprofondando nelle proprie stesse fondamente viscerali.
    Quelle altissime torri si armarono di pericolosità nel momento in cui persero il proprio equilibrio, collidendo dove più gli era comodo, recando distruzione ad un sacco di abitazioni adiacenti e già in parte smosse dall'impeto del fuoco ormai quasi estinto, rimaneva solo la brace.
    La calma si fece attendere qualche minuto, il momento esatto in cui l'intera struttura castellana cessò il suo crollo adagiandosi in forma di macerie.
    Il crociato dai capelli bianchi, sempre privo di vesti, diede gli occhi ad un Coris disteso a pochi centimetri da lui, in posizione fetale, avvolto dalla spensieratezza che decorava i bambini.
    - Coris... ehi, Coris! - Lo scosse sulla spalla, non ricevette risposta - No... non sarai... -
    Non era ancora finita, per nulla...
    L'accumulo informe di brandelli materiali subì una violenta scossa che ne fece disperdere i pezzi più piccoli, emerse nuovamente Lilith, visibilmente deteriorata, ma pronta a dar voce alla sua voglia di morte.
    Ella invocò al cielo rosso il nome di Coris, con rabbia.
     
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    CORIS FIGO!
    Però è sempre una checchetta!
    Lilith dentro Giovanna d'Arco? Mi ha fatto impressione immaginare la figura XD
    Bel capitolo Oly *ç*
     
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