[lilium'-one shot breve] Carnevale spento.

Pseudo-omaggio a Poe.

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    Titolo: Carnevale spento.
    Autore: lilium' (carlo croce)
    Fandom: Original
    Rating: Arancione
    Warning: Sangue
    Pairing:
    Trama: Leggete sotto, è corto, non credo serva anche una trama.
    Note:
    Wordcounter: 2520 lettere

    Ansia. Siedo su una fredda sedia: disperazione.
    Ho perso la vista, era troppa la curiosità di vedere la luce da vicino, tanto vicino quanta è la distanza che può percorrere un respiro prima di svanire, a togliermela; buio.
    E il mio respiro anela.
    La natura vuole che a occhi serrati gli altri sensi si affinino in tal modo da palpare, attraverso la loro sensibilità, tutti i movimenti che filtrano a brandelli nella percezione umana: manie di grandezza per il mio corpo. E non solo.
    Guardando nel buio: sussurri avulsi, passi inclinati. Di colpo una pace intrisa di panico, interrotta a intervalli da uno straziante rumore, un gocciolare angosciante.
    E il mio respiro anela ancora, l’aria è viziata, probabilmente per la noncuranza di chi ne abusa.
    Un odore sudicio rappresenta il luogo chiuso in cui mi trovo: un uomo claustrofobico sarebbe già morto.
    Suppongo che siano delle corde a stringere questa morsa, riesco a malapena a muovere le dita. Sfioro la sedia, un movimento flebile, ma accuso sulla pelle solo l’umidità del legno; sono marionetta dell’impotenza.
    La immagino già, la mia ora: il sapore del sangue si sposterà dalle mie labbra alla mia gola, mi persuaderà con fare cruento,
    si farà spazio dentro me, cessando il ritmo e il tepore del mio respiro affannato con un’ordita morte degustata.
    Se la natura vuole che a occhi serrati i sensi si rivoluzionino, non vuole che il cervello dell’uomo calcoli con previsioni il proprio futuro:
    il mio fu uno sbaglio, però l’ora era giunta.
    I passi inclinati si ammorbidiscono; lo scricchiolio della maniglia che viene ruotata, della porta che viene aperta,
    non s’intravede il minimo sottile filo di luce.
    Siedo nel buio, il mio respiro anela ancora e ancora, intrecciandosi a quello dell’essere che, ormai, si trovava troppo vicino a me,
    tanto vicino quanta è la distanza che può percorrere un respiro prima di svanire.
    Prima che il mio ultimo svanisca, sento una mano gentile percorre il mio volto; preferisco che non tolga la benda che mi fa cieco,
    solamente per non vedere per mano di chi morirò.
    Ma le dita avanzano, mentre guardando nel buio scopro che la morte è un carnevale di colori spenti, e i sussurri non restano più avulsi,
    perché sento bisbigliarmi: “Vieni da me, la mia oscurità è dolce”.
     
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