Pènelope

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  1. ~ S u n n y «
     
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    Titolo: Pènelope;
    Autore: ~ Sunny « ;
    Fandom: Libro, "l'ombra del vento";
    Rating: Giallo;
    Warning: Potrebbe essere Spoiler per chi non ha letto il libro!
    Pairing: Lievi accenni al Julian Carax/Pènelope Aldaya;
    Trama: E' una breve one shot su una scena che mi ha lasciata sconvolta a bocca aperta, ovvero il momento del parto del piccolo figlio di Julian e Pènelope.
    Note: L'ombra del vento è di sicuro il libro più bello che abbia letto e Pènelope è uno dei miei personaggi preferiti. Come già detto, la scena mi ha lasciato sbalordita e impressionata allo stesso tempo e dato che Zafon con il suo stile impeccabile ha, però, usato saltarne i particolari, ho voluto immaginare come siano stati quei momenti tragici per la bella Pènelope.
    Wordcounter: 853

    Pènelope


    Le luci della notte giungevano fioche dal piccolo spiraglio ancora aperto dalla finestra.
    Pènelope Aldaya era inginocchiata ai piedi del suo maestoso letto ormai denso di pestifero dolore e rabbia. Il suo sfarzoso abito color pesca, quello che indossava da mesi ormai rassegnata al destino della prigionia eterna, le copriva il ventre gonfio, artefice insieme alla pelle secca e al viso scarno del decadimento della sua pura e eterea bellezza d'adolescente.
    Annaspava, le labbra premute contro il suo stesso braccio sottile, piangendo e soffrendo, maledicendo il dolore che le attanagliava il bassoventre mentre le sue iridi lucide si posavano sul suo maestoso e ricco ritratto. Era sospeso su una parete della camera di una bambina prigioniera di sé stessa, una cornice dorata intorno. Pènelope si guardò e cercò nella propria sagoma sfigurata la ragazza del dipinto. Cercò le sue gote rosse come mele, i capelli lisci e lucenti alla luce del sole, la pelle morbida e diafana come quella di una principessa, autentica porcellana di una bambola con gli occhi di zaffiro.
    Cercò il respiro che con l'apice del dolore annunciò l'imminente parto. Sentì il suo stanco corpo cedere e con fatica si gettò sulle mattonelle color ambra del pavimento.
    Alcune ciocche di capelli appesantite dal sudore le caddero sul viso, ma la sedicenne tenne concreta dinnanzi a sé la figura sfocata della porta che poi svanì con una seconda fitta di dolore. Un urlo lancinante si levò dalla sua gola ormai bruciante e secca come il suo cuore.
    In quegli istanti che gli parvero la caduta nel vuoto di un burrone, il viso chiaro di un ragazzo le apparve nitido alla vista.
    Julian ,il volto spensierato ma ribelle incorniciato da ciocche color del grano, le tendeva le mani, le dita affusolate e sottili che avevano scritto per lei, che le avevano accarezzato il viso durante i loro incontri segreti. Con i suoi denti bianchi e perfetti le mostrava un sorriso che lei non comprendeva ma a cui tentò ugualmente di aggrapparsi, gettandosi con uno scatto delle ginocchia verso la sua figura alta, sentendo concreta – solamente per un attimo – la stoffa dei suoi pantaloni, l'unica cosa che era riuscita a raggiungere.
    Quando il nome del giovane si levò imponente e silenzioso dalle sue labbra l'illusione pacifica scomparve e Pènelope si ritrovò nella faticosa realtà della sua prigionia, del doloroso parto e delle sue grida straziate.
    Si trascinò faticosamente sino all'enorme porta in legno intagliato da figure che in quei mesi aveva imparato a riconoscere, a cui aveva dato un nome. Piccoli angeli dallo scuro viso in mogano che erano diventati i suoi unici confessori sulla superficie dura e impenetrabile di quella porta. Sì aggrappò alla maniglia con tutte le sue forze, spingendola e cercando di forzarla, di rompere la serratura che la chiave - che aveva utilizzato suo padre, Ricardo Aldaya, colui il quale aveva inconsciamente cercato di dimenticare - aveva chiuso per sempre.
    «Julian...» Mormorò, sperando nel suo arrivo eroico da un momento all'altro. Lo aveva immaginato tante volte prendere il treno, quello su cui sarebbero dovuti salire insieme per Parigi, allontanarsi da lei inconsapevole di quello che le accadeva e ciò che sarebbe accaduto a lui. «Julian... Julian...» La sua ultima preghiera soffocò in un urlo.
    La sua voce gracchiante e stanca, aveva attirato qualcuno all'altro lato della porta. Ne sentiva i singhiozzi, sommessi, silenziosi, ma al cuore della giovane arrivavano come crudeli fendenti. Per un attimo in lei si accese un barlume di speranza nei confronti dell'uomo che piangeva, suo padre, lo stesso che l'aveva rinchiusa lì, aveva ripudiato lei e suo figlio cercando di dimenticarli, sbarrandogli la strada della salvezza.
    Pènelope cercò di dimenticarsi dei lividi che lui, potente e arrabbiato, le aveva procurato al ritorno dal viaggio di lavoro dopo che sua madre aveva colto lei e Julian a letto, serrò gli occhi, tremando e sudando, finché le sue labbra si aprirono in una disperata richiesta.
    «Padre!»
    Non ci fu risposta. La ragazza cercò di alzarsi in piedi graffiando con le unghie la porta, tirandosi su con fatica, lasciando che il legno si rigasse sotto il suo dolore, mentre le dita – dopo minuti che parvero ore di torture – le si macchiavano di scarlatto, sangue che continuava a bagnarla irrefrenabile, scendendo lungo i palmi, il dorso della mano, sui polsi e sulle braccia sottili, macchiandole la veste rosa di cui la gonna era già impresentabile, sgualcita e sporca di peccato, di morte.
    David Aldaya quel giorno di settembre non vide mai il volto di sua madre, pallido come la luna piena, imperlato di sudore, terrorizzato nel vedere la sua creatura senza respiro, mentre lentamente una pozza di sangue si formava sotto di lei, togliendole pian piano l'ossigeno, smorzando ogni sua speranza come il volto di Julian poco prima era volato via nell'illusione.
    Si spense, il bambino mai nato fra le braccia, macchiata di sangue, di un peccato accusatogli da chi avrebbe voluto volerle più bene e dal rimpianto di non aver mai raggiunto colui che credeva l'uomo della sua vita.
    «Quando sarà l'ora, raggiungici e non dimenticarci, Julian...»

    Pènelope Aldaya † David Aldaya


     
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