Neve? No, cenere.

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    Titolo: Neve? No, cenere.
    Autore: lilium'
    Fandom: Original.
    Rating: Arancione.
    Warning: Morte.
    Pairing: Uomo/Donna.
    Trama: Un giorno un ragazzo pensò che il tempo fosse solo una dimensione che l’aiutava ad amare la vita. Egli guardava l’orologio, e nel cerchio ci vedeva il sole, nelle lancette i suoi raggi, e nel suo girare l’universo.
    Allora fuori le stagioni passavano, e il ragazzo realizzava che l’autunno arrivava anche per la sua anima: iniziò a farsi la barba, e faceva cadere quei irsuti peletti sul mento, come foglie che danzano via dal loro albero. Poi si copriva dell’inverno, come la neve quando copre le strade, come i suoi capelli che, bianchi, gli colmavano la fronte. Realizzò anche che le sue lentiggini non erano altro che granelli di sabbia sul suo volto opaco, il quale rappresentava l'estate non solo col calore di quei puntini rossastri e fitti, bensì anche col mare che il ragazzo possedeva negli occhi. Ma il tempo sbiadiva tutto in un unico colore, e il vento a primavera sferzava i petali della sua giovinezza. Tuttavia lui l'amava, il vento, il mare, il cielo infinito.
    Note: One shot - completa.
    Wordcounter: 1250



    ~ lilium’ / Neve? No, cenere.

    Camminavo per quei viali da tempo. Effettivamente, è qui che sono cresciuta: ricordo ogni segno delle stagioni.
    Ricordo quando i rossi tramonti descrivevano un giorno ormai finito, e desideravo tornasse indietro, come quando quella dannata neve fioccava ed io chiedevo di retrocedere nel tempo. Non volevo ammirarla, volevo evitarla.
    Dai più sublimi fenomeni naturali, che l'uomo tanto ama, io, invece, cercavo di separarmi. Senza speranza.
    Ora, in questa tormenta, ho paura d'essere amata e d'amare: il calore del mio sentimento è diventato timore, i miei ricordi sono come bianche ali cadute dal cielo. Nessuno nega la loro bellezza, la grazia trascendente di piume scese sulla Terra, ma sono pur sempre appartenute a qualcuno che se n'è dovuto separare: questo è quel che sento.
    E, sempre in questa tormenta, ho deciso di abbandonarmi per sempre, trascinando la colpa di essere arrivata a provare un amore smascherato, un Amore vero.
    Prima, però, per un'ultima volta, vorrei poterti salutare, ancora. E se anche un'infinita tristezza ti portasse via, dimmi che i nostri cuori non si separeranno mai.



    Era il 18 di maggio, precisamente sei mesi fa; quello era il mese in cui i fiori sbocciavano, e le rose nascevano, e un tepore gradevole solcava le ore fredde delle giornate.
    Venivano fuori fragole rosse, solleticanti e zuccherine, e nel verde selvaggio in cui crescevano, su un ramo e su un altro, i primi cinguettii rompevano l'uovo da cui i piccoli uccelli erano appena usciti.
    Era un bel mese, quello, aggraziato non solo dall'aria di serenità, ma anche dall'incontro risolutivo di un'anima tanto affine alla mia.
    Sarà che era il periodo delle fragole di cui vi ho parlato, ma un colorato signore travestito, all'uscita del Market, mi chiese di comprare uno di quei dolciumi tipici natalizi, anche non essendo agli ultimi di dicembre.
    Era un dolce a righe bianche e rosse, quasi come un bastone: era arrotondato dalla parte di una delle due estremità.
    Sebbene mi chiedessi cosa potesse nascondere uno sguardo fisso e vuoto, ignorai l'offerta tornando lungo la strada di casa. La sera arrivava col suo tramonto scarlatto e con il contrasto di un bianco che non poteva far a meno d'essere nitido, e di cui le nuvole s'appropriavano.
    Le vacue ore della notte passarono sul mio respiro; salì il sole col suo mattino.
    Sporsi lo sguardo verso l'esterno: c'era la neve.
    E le notti diventavano migliori, e sognavo i sogni; non chiedetemi come, ma ci conoscemmo ironicamente -e forse grazie all'ironia-.
    Sarà che m'attraeva la comicità del colorato signore travestito, ma credo fosse inevitabile.
    Indulgenti, seduti al bar, tentando di sapere di più dei colori delle nostre anime, che scoprimmo così vicine.
    M'indicava ciò che era all'ordine del quotidiano, ogni sua parola era un insegnamento inespresso, e lo ascoltavo; mi mostrava quanto fosse bella la neve.
    Balenava nei miei occhi la magnificenza del suo insinuare, ogni volta.
    Mai che non fosse uno scambio equo: non capivo cosa si celasse dietro il suo modo di ringraziarmi, ma le cose stavano in questo modo, venivo ringraziata. Secondo lui gli davo tanto, secondo me nulla.
    Approfittammo del primo giorno vestito da un clima autunnale per un'inverosimile passeggiata al parco, salendo dolci discese erbose, ridendo sul trasalire del mio sguardo per ogni sua osservazione.
    Lungo i sentieri, quando il vento istruiva le proprie foglie ballerine, mi raccontava di questa danza macabra.
    Sarà che le chiamava “passeggiate inverosimili”, ma vi trovavo più oro di quanto pensassi.
    Gli alberi, per ballare con lo spirare del vento, si separavano dalle loro foglie, e queste cadendo piroettavano, fino a raccogliersi sul terreno. Solitamente, le foglie cadenti portavano con loro il fascino che, morboso, trovava sempre di avere indietro il proprio splendore.
    Questa era la danza macabra: un malinconico albero, per raggiungere la bellezza a cui ambisce, si denuda dell'ornamento che la natura gli ha concesso, eppure non ci riesce. La bellezza tanto bramata sarà espressa dal percorso di queste foglie volteggianti.
    Ed ogni notte Morfeo mi sussurrava dolci parole, così al risveglio sporgevo lo sguardo alla finestra: c'era la neve, era il suo Amore.
    Se credevo che il Natale fosse scialbo, quando le sue labbra mi confessavano immaginifici segreti di storie sul mondo e sulle persone sotto questo periodo, sentivo l'albero natalizio respirare.
    E il mondo raggiungeva in ogni modo la bellezza, e la bellezza raggiungeva l'apogeo, grazie a Lui.
    Incessantemente, inevitabilmente coloravamo le nostre anime, tanto affini; volgarmente ci impossessavamo dei nostri corpi, era la passione.
    Iniziai a ritenere d'aver peccato: avevo raggiunto il vero Amore.
    Quasi come profezia, il mio pensiero predisse quanto, anche se rutilante, il sangue della persona che amavo fosse più debole.
    Quella notizia, che fulminea plasmò il mio cuore di rancore e incredulità, era un fulmine a ciel sereno: in questa parte della nostra vita riuscivamo ad essere sereni in cielo e nel cuore.
    Anche urlando la sua voglia di vivere, una tristezza, profonda come il rosso del sangue, tingeva il suo cuore di fragilità. E mi fu portato via dalla leucemia, e fu portato via al mondo dalla leucemia.
    Tra le sue ultime parole, quelle che avevano più significato suonavano ancora nella sua felicità di sentire che era vivo: «Cosa credi che sia la morte? Conosco già la tua risposta: una volta giunta la tua ora, perdi tutto, lasciando incompleto l'incompleto, Non è così. Quando muori, tutto perde te».
    E le notti piangevano, e non sognavo più; non chiedetemi come, iniziai ad odiare la neve.
    L’autunno tornava con le sue spietate cicatrici, e con il ricordo di un ideale che non poteva far a meno di riflettersi in Lui, e di essere crudele.
    L'attiguo fumo che s'intravedeva oltre il mio camino portava la notizia del ritorno della neve, e anche non essendo in inverno, il camino fumava, il fuoco spezzò le catene che ci legarono: dopo esser stato cremato, le bellezze di cui tanto mi parlava sublimarono in monocromatici frammenti di cenere che, ormai, erano parte di lui.
    Ho deciso di uscire a salutarti, in questo 18 di maggio innevato, per un'ultima volta. Cammino per quei viali da tempo. Effettivamente, è qui che sono cresciuta: ricordo ogni segno delle stagioni, sboccia il ricordo delle bellezze che mi hai fatto conoscere.

    I rossi tramonti descrivono un giorno ormai finito, e desidero tornare indietro, come quando quella dannata neve fiocca ed io chiedo di retrocedere nel tempo.
    Mentre questo dolore incalza e si riversa nel petto, giunge la notte: la luna ci illumina per un'ultima volta.
    Dai più sublimi fenomeni naturali, che prima tanto amavo, cerco di separarmi. Senza speranza.
    Ora, in questa tormenta, ho paura d'essere amata e d'amare: il calore del mio sentimento è diventato timore, i miei ricordi sono come bianche ali cadute dal cielo. Nessuno nega la loro bellezza, la grazia trascendente di piume scese sulla Terra, ma sono pur sempre appartenute a qualcuno che se n'è dovuto separare: questo è quel che sento.
    E, in questa tormenta, ho deciso di abbandonarmi per sempre, trascinando la colpa di essere arrivata a provare un amore smascherato, un Amore vero.
    Prima, però, per un'ultima volta, vorrei poterti salutare, ancora. E se anche un'infinita tristezza ti portasse via, dimmi che i nostri cuori non si separeranno mai.
    Col mio canto scarlatto, mentre alzo le tue ceneri, ti sussurro addio: non ti incontrerò più.
    E in questa tormenta, confonderò la tua essenza con quello di più meraviglioso che mi hai fatto mirare ed ammirare.

    Lanciai su di me le sue ceneri, sublimarono in un perfetto, flebile e dolce saluto, quando nel mio sussurro, e nella mia lacrima, dissi: «Neve? No, cenere».


    « Cosa credi che sia la morte? Conosco già la tua risposta: una volta giunta la tua ora, perdi tutto, lasciando incompleto l'incompleto. Non è così. Quando muori, tutto perde te »
    Iniziai a ritenere d'aver peccato: avevo raggiunto il vero Amore.


     
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