Scattered Picture.

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    Schwarz

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    Vam Abgrund

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    Auotre: Sanè / I m mortal
    Titolo: Scattered Picture.
    Tipo: One Shot.
    Genere: ??? Sorry, non ho trovato una vera e propria categoria a cui questo scritto possa appartenere =/
    Rating: Verde.
    Note: Ooookay, dopo un bel po' di tempo a non far niente, si torna sul palcoscenico. Devo dire che scrivere questa One Shot mi ha appassionato parecchio, sebbene, dopo averne discusso con una persona fidata, non sia risultata il massimo: sarà perchè è confusa e a volte non si riesce a capire chi faccia cosa, sarà perchè non sono riuscito a rendere bene il tutto, sarà che sono arrugginito, fatto sta che non decolla. Però, bo', avevo voglia di postarla, mi è dispiaciuto lasciarla lì, morta e mezza sepolta x°D.
    Dopo questa lunga pappardella, vi lascio alla lettura.
    Enjoy.

    Scattered Picture.

    Lentamente, senza pensiero, senza un comando preciso a muovere la mano, le setole del pennello fluivano lungo la tela, lasciando una scia di colore ceruleo, che continuava a seguire quel percorso, che finiva sul limite del papiro.
    Poi, la mano immerse il pennello in una boccetta di vetro, che rifletteva il colore del suo contenuto: un azzurro spento ma al tempo stesso brillante, denso di un fascino misterioso, che lo rendeva migliore del suo ‘fratello’ più chiaro e vivace. E, di nuovo, un’ombra simile alla prima venne gettata sui fili intrecciati, sporcandoli con la tempera. Un’altra, e poi un’altra ancora, e tante altre ancora seguirono, prima che la mano smettesse di continuare quella che stava diventando per lei una routine.
    Aprì l’astuccio, veloce, vi mise dentro il pennello e ne prese un altro, più grosso.
    Prima, però, di rimettersi al lavorò, due occhi color ambra scrutarono il lavoro finito qualche secondo prima: una grande, grande distesa azzurrina s’apriva davanti allo sguardo soddisfatto dell’uomo, un grande cielo, terso e tranquillo, che sovrastava un’ancor più grande spazio bianco. Neanche la luce di un sole dipinto osava rovinare la meraviglia di quella tavola così monotona, così piatta, eppur così romantica e incantevole.
    Solo il cielo, un unico, grande, immenso cielo, che sembrava inghiottire chiunque provasse a guardarlo.
    Annuì soddisfatto, la chioma nera che frustava l’aria nel muoversi, le labbra carnose che assumevano una piega vagamente rassomigliante ad un sorriso. Inspirò, poi esaminò per bene la punta del pennello: con l’ arnese leggermente snucciato, avrebbe finito il lavoro in meno tempo. Ottimo.
    Chiuse con cura il contenitore del colore usato poc’anzi e, messo a posto anche quello in una cassetta, vi tolse un altro, che brillava, però, di tante sfumature smeraldine; prese un’altra bottiglietta, dalle tonalità più chiare, ed un’altra ancora, dalle tonalità più scure. Non degnò la tavolozza nemmeno di una passata di straccio, ma subito ci versò sopra parte del contenuto di tutte e tre, mischiando prima questo con quello, poi quello con quell’altro e quell’altro con questo. Con scatti secchi del polso, intinse il pennello, e subito una nuova scia, che sembrava sfavillare di tante pagliuzze, si delineò sulla tela, pronta a sfidare le altre cento - o forse mille? - che stavano sopra di lei.
    Prima una pennellata di questo, poi di quello, poi di quell’altro. E fu così che, scia dopo scia, linea dopo linea, sfumatura dopo sfumatura, un campo verde colmò il vuoto lasciato dalla tempera celeste.
    Senza tempo da perdere, la mano lasciò andare la presa sullo strumento, per dirigersi veloce verso il bordo del cavalletto. Afferrò i pettini che stavano lì riposti, poi lasciò il resto alla mente.
    L’uomo si inginocchiò, arrivando col viso al limite tra la tela e il supporto di acero; le iridi piene di miele scrutarono con attenzione ogni minimo particolare del lavoro appena compiuto, notando anche la minima imperfezione. Come se avessero dato un comando, la mano scelse il pettine più adatto, uno con le punte strette, e si rimise a lavorare: dovunque notasse un bagliore, un riflesso, una minuscola sfumatura, passava i denti dell’utensile, grattando, smuovendo la tintura, facendole assumere la direzione che voleva, distorcendola, frammentandola; nei punti dove si presentava più nitida o troppo omogenea, usava pettini dalle punte più larghe, in modo da disperdere ogni ombra ed ogni luce.
    A lavoro terminato, si asciugò il sudore dalla fronte, si alzò, si stiracchiò e sondò, ancora una volta, il papiro: una scintilla di soddisfazione accentuò la gradazione bizzarra dei suoi occhi, nel vedere come il prato fosse ora più realistico, nel vedere come desse la sensazione di poter toccare ogni singolo stelo, ogni singolo filo d’erba con mano, nel vedere le forme fini ma al contempo ben definite che lui stesso aveva creato. Quella scintilla, però, si spense non appena capì.
    Cadde in ginocchio, davanti alla sua creazione.
    Era stato uno stupido a pensare di poterci riuscire; era stato davvero stupido, stolto ed arrogante, pensando di poter ottenere un risultato di cui poter andare orgoglioso con troppa ‘facilità’.
    C’aveva perso tempo ed energie, certo, c’aveva messo l’anima, certo, era un qualcosa di cui poter andare comunque ieri, certo, era un regalo comunque apprezzabile, certo. Ma non era abbastanza. Non era finito, non era completo: mancava l’elemento più importante, quello più gradito, quello più bello, quello che avrebbe dato un senso a tutto. Quello che non sapeva fare.
    E adesso?
    “Qual è il problema?”, accompagnate da una voce cristallina e melodiosa, dita sottili e candide si poggiarono sulla camicia immacolata. Sebbene il contatto fosse delicato, si riscosse, sorpreso, e si voltò: incontrò due grandi occhioni azzurri, della stessa tinta che si stava lentamente seccando sulla tela, come incastonati sul volto gentile e grazioso di lei, incorniciato da lunghe ciocche bianche. Abbassò lo sguardo sul vestitino di seta nera, che andava a coprire il corpo della ragazzina lì dove l’abito bianco di gessato non arrivava, deluso. Perfino la sorpresa era svanita. Non rimaneva più niente. Niente.
    “Ti sei fatto male? Hai paura?”, sentì la mano della piccola accarezzargli delicatamente la guancia affilata, mentre si chinava verso di lui, sorridente, “è bello, lo sai?”; schioccò un bacio sul palmo vitreo, per poi girarsi verso il quadro.
    “Non riesco a fare i fiori.”
    Sei, profonde, marcate parole, che fino a mezz’ora prima non significavano un ostacolo per lui, ma ora erano il divieto più insormontabile, l’unico muro che non riusciva ad abbattere. Non da solo, almeno.
    Portò la mano alla fronte, scompigliando il ciuffo che ricadeva disordinato davanti al naso ed agli occhi, e stette così, immobile, ad aspettare che la frustrazione sparisse in qualche modo; la sentì ridere, ridere del cinguettio che adorava, il tintinnio di una campanella di cristallo, puro, limpido e dolce. Di nuovo, si accorse della mano sulla sua spalla, poi la senti scivolare sul petto, lì dove batteva il cuore, poi senti l’altro braccio aggregarsi alla stretta, poi senti il corpicino premere sulla sua schiena: “Posso aiutarti io, se vuoi.”.
    Era strano. Davvero strano.
    Strano vederla così concentrata nello scegliere il pennello più adatto, nel selezionare i colori con cura e gestire e toccare ogni singolo strumento con maestria; nonostante sapesse di quante volte l’aveva visto al lavoro, non riusciva a capacitarsi di come apprendesse con tanta facilità. Era il suo piccolo miracolo, molto più bello e prezioso della tela che tanto aveva voluto terminare.
    “Vieni”, con la mano che cingeva la sua, aiutandolo a reggere la cannuccia sottilissima del pennello, lo guidava, fermandolo qualora il tremolio fosse troppo forte o di disturbo, e aiutandolo a tingere minuscoli, leggeri boccioli variopinti; qui una chiazza rossa, là una gialla, lì tre bianche, qua cinque lilla: puntino dopo puntino, pausa dopo pausa, sospiro dopo sospiro, il prato si popolò di una miriade di fiori non ancora nati, ma stranamente densi di una passione che mai la più fulgida delle corolle avrebbe potuto trasmettergli.
    Adesso, sì, adesso era un’opera d’arte.
    L’uomo rivolse un’occhiata, finalmente serena, alla ragazza, che ricambiò con un sorriso che trapelava una calda e innocente spensieratezza. Intrecciò le dita fra le sue, e si alzarono, incamminandosi verso la vetrata poco distante dal cavalletto.
    Sei lastre di vetro, incastonate in due colonne ordinate nell’intelaiatura di piombo, aprivano il panorama che si poneva dinanzi a loro: una grande, grande distesa azzurrina, un grande cielo, terso e tranquillo , senza alcuna luce di un sole a rovinare la meraviglia di quella tavola così monotona, così piatta, eppur così romantica e incantevole.
    Sotto il suo sguardo ceruleo si stendeva un manto color smeraldo, pieno di tante sfumature, come sparpagliate lungo il cammino, onde di fili d’erba che si muovevano cullate da un vento invisibile, perdendosi oltre la linea indistinta dell’orizzonte. E a coronare tale spettacolo, migliaia di boccioli, non ancora nati, ma più belli e densi di fascino delle più fulgide corolle.
    L’uomo e la ragazzina, dall’interno della stanza, osservavano ammaliati, cercando di non badare alle crepe che spezzavano l’immagine in alcuni punti; la sentì avvicinarsi a sé, stringendo il braccio tra le sue, ed appoggiando la testa sulla spalla, in un’unica cascata bianca, quella dei suoi capelli, che scendeva come una fitta pioggia nel lago bianco, quello della camicia. All’improvviso, la vide sorprendersi, come se si fosse accorta di un dettaglio, come se si fosse ricordata di un pensiero dimenticato: “Manca qualcosa”, esordì pacata.
    Mentre osservava la figurina di lei dirigersi verso la tela, la solita voce di cristallo arrivò alle orecchie: “Posso?”: teneva in mano due pennelli fini, uno unto con la tempera bianca, l’altro con la nera; l’uomo annuì, e lei si mise al lavoro, tracciando giusto qualche linea decisa, irregolare, dritta, prima con uno, poi con l’altro. Si avvicinò, non appena capì che aveva finito. Ridacchiò sommessamente: con un gioco di luci ed ombre, aveva reso lo stesso effetto del vetro rotto, come se, guardando nel quadro, si potesse guardare fuori dalla finestra.
    “Adesso è più bello, vero?”, chiese lei, giungendo le mani, emozionata. “Molto più bello.”.
    “Be’”, l’uomo sbuffò, divertito, poi posò lo sguardo tenero, color dell’ambra, su di lei, indicando la tela: “Buon compleanno”. La ragazza sorrise, riducendo gli occhi a stille azzurrine e arrossendo.
    “Grazie.”.


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    Non male. Sul serio, mi è piaciuta. Forse non... decolla, come hai già osservato tu, ma ciò non toglie che sia comunque una shot davvero piacevole alla lettura. Fluida. Sì, mi sembra un aggettivo adatto. Fluida esattamente come lo scorrere del pennello dell'uomo sulla tela. Ed è proprio questo, che mi ha colpito maggiormente del tuo scritto: la sintonia tra lo stile adottato e la descrizione della pittura. Erano amalgamati in un modo ... perfetto. Davvero perfetto direi. Buon uso lessicale, buon ritmo, tutto. Davvero, la prima parte -anche se non posso sapere se questa fosse una cosa voluta- mi ha lasciato quest'idea che, sinceramente, mi ha colpito davvero positivamente. E' forse la seconda parte, che non carbura allo stesso modo. Certo, lì risiede il cuore vero è proprio della shot, il compimento del suo "messaggio", ma... non so, per come l'avevi iniziata, forse, giustamente, ci si potrebbe aspettare un finale impeccabile, incisivo, perfetto, e forse, è un po' questa aspettativa troppo alta che potrebbe dare l'illusione che la fic non sia riuscita. Ma, se vogliamo tener fede alle nostre parole, io ho parlato di un illusione. Di fatto, in effetti (oh, ma come mi esprimo bene oggi .-.), a una seconda letta, l'ultima parte non ha nulla da che invidiare alla prima, dal punto di vista stilistico. E' leggendole insieme, quando si è trasportati dalla piacevole fluidità del racconto, che appaiono... non so, differenti. Ma probabilmente, sono solo io che non l'ho letta attentamente. Bah, un mucchio di chiacchiere inutili, ecco quello che sto facendo. La shot mi è piaciuta, insomma; e non poco. Spero vivamente di potermi imbattere presto in qualche tuo altro scritto, davvero ù__ù
     
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    CITAZIONE (Frenz; @ 7/9/2010, 00:10)
    Non male. Sul serio, mi è piaciuta. Forse non... decolla, come hai già osservato tu, ma ciò non toglie che sia comunque una shot davvero piacevole alla lettura. Fluida. Sì, mi sembra un aggettivo adatto. Fluida esattamente come lo scorrere del pennello dell'uomo sulla tela. Ed è proprio questo, che mi ha colpito maggiormente del tuo scritto: la sintonia tra lo stile adottato e la descrizione della pittura. Erano amalgamati in un modo ... perfetto. Davvero perfetto direi. Buon uso lessicale, buon ritmo, tutto. Davvero, la prima parte -anche se non posso sapere se questa fosse una cosa voluta- mi ha lasciato quest'idea che, sinceramente, mi ha colpito davvero positivamente. E' forse la seconda parte, che non carbura allo stesso modo. Certo, lì risiede il cuore vero è proprio della shot, il compimento del suo "messaggio", ma... non so, per come l'avevi iniziata, forse, giustamente, ci si potrebbe aspettare un finale impeccabile, incisivo, perfetto, e forse, è un po' questa aspettativa troppo alta che potrebbe dare l'illusione che la fic non sia riuscita. Ma, se vogliamo tener fede alle nostre parole, io ho parlato di un illusione. Di fatto, in effetti (oh, ma come mi esprimo bene oggi .-.), a una seconda letta, l'ultima parte non ha nulla da che invidiare alla prima, dal punto di vista stilistico. E' leggendole insieme, quando si è trasportati dalla piacevole fluidità del racconto, che appaiono... non so, differenti. Ma probabilmente, sono solo io che non l'ho letta attentamente. Bah, un mucchio di chiacchiere inutili, ecco quello che sto facendo. La shot mi è piaciuta, insomma; e non poco. Spero vivamente di potermi imbattere presto in qualche tuo altro scritto, davvero ù__ù

    Gweh =ç=.
    Seriamente, sarà perchè alla fine ho chiuso frettolosamente, ma boh, appena m'è stato fatto notare mi sono accorto anch'io che c'è qualcosa di poco convincente =/
    Ad ogni modo, grazie x°D, non è mucchio di ciance inutili, quello che hai fatto, tutt'altro, potrebbe aiutarmi a capire dove sia l'effettivo problema della one shot :sisi:
    Per quanto riguarda la 'produzione', io vado a fasi: o sono immerso in un periodo in cui sforno OS e sketch a ripetizione, o in uno di blocco in cui rilascio qualcosa ogni morte di papa. E adesso non sono né nel primo, né nel secondo .
    Graze ancora, e alla prossima ^^
     
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2 replies since 6/9/2010, 18:35   37 views
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