Dirge of Keyblade

L'Ultimo Atto della Trilogia!

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  1. Nyxenhaal89
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    Ok, direi che possiamo iniziare...

    Titolo: Dirge of Keyblade
    Genere: Avventuroso, Romantico, Fantasy, Erotico (solo alcuni pezzi sotto avviso), Drammatico
    Rating: Arancione-Rosso
    Avvertenze: Shonen-ai, Shojo-ai, Ecchi, Non per Stomaci Delicati, SPOILER!, Crossover, Alternative Universe

    Sono passati due giorni, ho raccattato ( ) quattro lettori XD
    Siamo finalmente giunti all'inizio di Dirge of Keyblade, l'ultimo atto! A Minas Tirith la battaglia è vinta, e l'Organizzazione mutilata dei suoi elementi continua a complottare, ora che la Vecchia Guardia è decisa più che mai a perseguire i suoi scopi.
    Iniziamo dunque la tappa finale di questa storia!
    Grazie a tutti i lettori di Trascinati tra Luce e Ombra e Specular, che magari si sono persi per strada ( :sobad: ) e quelli che hanno solo letto, comunicando poi il loro apprezzamento (un grande saluto a The Joker (o The Burning Joker? °-°), che mi ha citato nella sua fanfiction!); sono felice che siamo giunti qui.
    Buona lettura!

    1: Giorni Migliori

    Il caldo deserto di Dalmasca, da sempre dimora di predoni e beduini, era famoso per le sue terribili tempeste di sabbia. Grandi mulinelli color oro turbinavano per ore lungo interi chilometri di arida terra, non lasciando vedere nulla se non la propria granulosa consistenza. Erano imprevedibili ma non inevitabili: i beduini del deserto insegnavano per prima cosa ai loro figli come riconoscerle, ancora prima di insegnar loro a procacciarsi cibo e acqua, poiché “si può scappare da una belva feroce, ma se si finisce nel vortice spietato della sabbia di Dalmasca, non c’è più modo di uscirne”, come dicevano gli anziani.
    Era, in teoria, abbastanza semplice riuscire a prevederle. Bastava che il vento del deserto alzasse la sabbia al di sopra delle ginocchia, perché si capisse di tornare immediatamente al villaggio, o trovare il più vicino riparo, poiché nel giro di mezz’ora l’intera aria sarebbe diventata così densa di polvere dorata da far sembrare che il deserto avesse deciso di volare.
    Ovviamente, erano molte le carovane che viaggiavano imprudentemente attraverso una tempesta di sabbia, con la convinzione che camminando lungo la stessa rotta avrebbero comunque superato l’ostacolo. Ma il vento era forte e fischiava potente, così da far perdere ogni orientamento, spostava i piedi delle persone, le faceva girare in tondo lungo i suoi mulinelli.
    Avvolta nel suo manto scuro, affiancata dal marito, Yuuko e la loro carovana stavano subendo la stessa, inevitabile fine di migliaia di sciocchi sprovveduti prima di loro; avevano totalmente perso la strada e la cognizione dello spazio, e adesso erano persi chissà dove in quell’oceano polveroso.
    E così, mentre avanzavano lungo la spessa coltre, cercando invano un riparo e tenendo le bocche serrate per evitare di trovarsi imbottiti di sabbia, i venti membri della carovana dovettero arrendersi all’evidenza.
    Si erano persi.
    Avevano portato con loro una lunga carrozza in grado di ospitare più o meno tutti loro: le spesse armature delle guardie non erano sicuramente d’aiuto agli spostamenti, ma la celata dei loro elmi permetteva quantomeno di non ricevere troppa sabbia sul viso. Le bestie che trainavano la carrozza, grossi bufali del deserto chiamati Bantha, schiumarono per la fatica del lungo viaggio, e una volta liberati dai collari con cui trascinavano la carrozza, corsero alla ricerca di un riparo. Le guardie liberarono anche i Bantha da soma, togliendo loro il carico e depositandolo nella carrozza. In totale, sei bestie sparirono in mezzo alla sabbia. I membri della carovana erano tranquilli: i Bantha erano bestie fedelissime e la guida che avevano assoldato, Khadar, li aveva sempre ammaestrati e trattati con cura.
    Yuuko e il marito salirono sulla carrozza per primi, e subito sul pavimento legnoso si formò una pozza di sabbia che un ragazzino dai capelli scuri prese a pulire e cacciar via dalla carrozza.
    La donna si sedette, levando il cappuccio e lisciando nervosamente i lunghi capelli. L’uomo che le stava accanto era visibilmente irritato da questo ritardo, dato che a quell’ora avrebbero già dovuto scorgere la rocca di Masyaf, situata su un promontorio nel bel mezzo del deserto: poco più a ovest, a due giorni di viaggio, si poteva arrivare a Rabanastre, la città-stato che dominava Dalmasca.
    Dalmasca era una terra arida, sena nemmeno un’oasi. L’unica sorgente d’acqua era a Rabanastre, attorno alla quale era nata una fiorente città; si diceva che ce ne fosse sicuramente una anche a Masyaf, ma gli Assassini e le sue possenti mura lasciavano poche speranze a chiunque volesse andare a curiosare.
    Yuuko fissò ancora il marito, quindi squadrò gli altri membri della carovana. Mentre le guardie attivavano i paraventi della carrozza, che immediatamente distese delle lunghe tettoie di metallo a cui gli uomini attaccarono dei drappi di tela ancorati al terreno, i giovani che avevano portato stavano tutti dentro il vano, scrollandosi la sabbia. Erano otto, tutti dall’aria intelligente e capace. Uno di loro, alto e silenzioso, prese con sé il ragazzino che aveva finito di pulire, facendolo sedere accanto a sé. Il ragazzino gli si poggiò stanco, addormentandosi subito. Un altro giovane, seduto vicino a Yuuko, si mise a parlare professionalmente con suo marito, e in breve furono seppelliti nella loro discussione di cui lei non voleva sapere nulla.
    Era sempre stata contraria a ciò di cui stavano parlando, ma suo marito aveva un’opinione davvero debilitante delle donne.

    Era calata la notte, e il freddo scese sulla carrozza. Le guardie accesero un fuoco poco lontano, tenendo gli occhi aperti per i predoni Dalmaschi, le mani ben ferme sui fucili. La loro presenza passava difficilmente inosservata –a quell’epoca fucili e pistole (così come carrozze levitanti) non ne esistevano, nemmeno nelle più recondite fantasie- ma fino a quel momento erano riusciti ad evitare gli scontri.
    - Domattina prima dell’alba partiremo, Yuuko. Riposati – disse il marito, sebbene più che un’esortazione paresse un ordine perentorio. Non potevano usare liberamente la carrozza levitante, dovevano sopportare il fetore dei Bantha, e Khadar, la loro guida, puzzava come un’intera mandria di quelle bestie: per di più parlava nella sua lingua incomprensibile che nemmeno i traduttori simultanei riuscivano a comprendere appieno.
    - Non dormi, amore? – rispose lei, sebbene dire quella parola, “amore”, le risultasse facile come camminare in quel deserto nel bel mezzo della tempesta.
    Essa era cessata quando il vento si placò, più o meno verso la notte. La sabbia aveva perso rapidamente il suo calore, e le tuniche dei beduini che i dieci non-combattenti avevano comprato in un souk di un villaggio appena entrati in Dalmasca isolavano molto bene la temperatura corporea, anche se non potevano certo competere con le tute protettive ad annullamento termico delle guardie, che rendevano le loro funzioni vitali totalmente impercettibili ai sensori più potenti.
    - No, parlerò un po’ con i ragazzi, prima – rispose lui. Prese con sé uno di loro, con i capelli raccolti in una lunga coda chiara e la pelle scura, e uscirono sottobraccio, riprendendo a discutere; era lo stesso con cui parlava quella mattina.
    Da quando quel giovane era arrivato da loro, suo marito, già assorbito dalle sue ricerche, aveva smesso definitivamente di adempiere al suo ruolo coniugale. Dividevano raramente il letto persino per dormire, cosa che già facevano poco da quando l’uomo aveva scoperto, dopo dieci anni di tentativi, che Yuuko era totalmente sterile. Ora, l’uomo che aveva sposato, l’amore della sua vita (cosa di cui ormai dubitava notevolmente) passava tutto il suo tempo a parlare con quei ragazzi delle sue assurde e insensate ricerche.
    - Mi dispiace – disse uno di quei giovani, grattandosi i corti capelli rossi. Era uno dei più giovani, bistrattato dai più grandi e usato sostanzialmente per lavori di pulizia e manutenzione. Si sedette accanto a Yuuko con lo sguardo assonnato, dondolando le gambe. Aveva circa tredici o quattordici anni, e l’avevano raccolto per strada; sapeva il fatto suo, anche se la vicinanza di quegli individui aveva annichilito buona parte della sua prorompente personalità. – Tuo marito è un cafone –
    Lei fu tentata di tirargli uno schiaffo per quella mancanza di rispetto, ma si rese conto che purtroppo aveva perfettamente ragione. Quello non era più suo marito, ma un topo di laboratorio che credeva di poter cambiare il mondo con i suoi studi infruttuosi.
    Guardò di nuovo il cielo stellato. Era meraviglioso vedere quante stelle ci fossero sul deserto. In fondo, da dove veniva lei il cielo era praticamente velato dalle luci e dallo smog. L’aria così pulita, seppur impestata di sabbia, le penetrava i polmoni con una quantità di ossigeno di gran lunga superiore a quanto fosse abituata, e ci mise un po’ per stabilizzarsi.
    - Secondo te andremo lontano, Yuuko? E troveremo questa Masyaf? – chiese poi il ragazzino, cercando di intavolare una conversazione. Solo i più giovani di loro cercavano di parlarle: gli altri erano tutti troppo concentrati su suo marito.
    - Non lo so – rispose lei preoccupata guardando orizzontalmente; nient’altro che deserto, una sterminata distesa piana blu. La tempesta doveva averli deviati di parecchio. Voleva dire il suo nome, ma non lo ricordava. Un po’ se ne dispiacque, e per compensare, gli diede un’amorevole pacca tra i capelli.
    Quindi chiuse lentamente gli occhi, tentando di dormire.

    Al primo chiarore dell’alba, si sentì scossa da una grande mano.
    - Yuuko, cara – disse il suo uomo chiamandola con decisione. – Devi scendere. Non possiamo utilizzare l’impianto di condizionamento – Il che voleva dire che non appena il sole avesse raggiunto lo zenith, o anche prima, la carrozza metallica sarebbe diventata un forno. Avevano preso il modello più vecchio possibile, per evitare problemi di anacronismo: e purtroppo non era come quello a cui lei era abituata, che scaricava il calore in modo da poter vivere nel deserto per giorni.
    A malincuore e con la schiena dolorante, l’esile donna scese dalla carrozza poggiando lo stivale col tacco sul soffice terreno sabbioso. L’aria secca le prosciugò le labbra, costringendola a umettarle costantemente. Era senza trucco, ma il giovane dalla pelle scura le disse che era ugualmente una donna incantevole.
    Sarebbe arrossita per il complimento se avesse dimenticato un particolare: odiava visceralmente quel ragazzo.
    I due ragazzini più giovani, quello dai capelli rossi e un altro con lo sguardo fisso, le si misero ai lati, come a difenderla, cosa che la stupì e gratificò notevolmente. Avvolgendo il velo attorno al viso per non far passare la sabbia, si mise dietro il marito, avvolto nel suo mantello da viaggio color sangue, e proseguirono, con i puzzolenti Bantha che muggivano pazientemente mentre i fagotti e i collari tornavano ai loro posti sulle some delle bestie. Le corna a volute e lo spesso e lungo pelo marrone li facevano sembrare più adatti ad un clima artico: eppure tutta quella pelliccia isolava il loro corpo dal caldo asfissiante del deserto.
    - Dovremmo esserci! – esclamò il marito per farsi sentire. – Paladino Vargas, controllate voi per favore –
    Uno degli uomini in armatura si fece avanti con un grosso binocolo sofisticato, e lo usò per scandagliare la piana sabbiosa alla ricerca di una qualunque forma di vita.
    Ripetè la scannerizzazione per almeno un quarto d’ora, con scarsi risultati. Alla fine, rassegnato, posò il binocolo in uno scompartimento dell’armatura.
    - Negativo, signore – disse, la voce che da dietro l’elmo assumeva una tonalità fioca e acuta, quasi artificiale. – Solo qualche forma animale minore. Non c’è traccia di vite umane, ma credo di aver visto un promontorio, verso est. Se è quello su cui sorge Masyaf, è probabile che le spesse mura ostacolino lo scanner del binocolo, la distanza è notevole –
    - Quanto? –
    - Almeno un giorno di cammino – sospirò Vargas preoccupato. – Signore so che vuole rispettare la linea cronale, ma abbiamo tre ragazzini e una donna con noi. Chiedo l’autorizzazione ad attivare il motore di levitazione –
    - Permesso negato – tagliò corto l’uomo fermo nella sua decisione. – Siamo vicini, e fino ad ora non abbiamo avuto motivo di mostrare la nostra presenza e superiorità tecnologica. Gli Assassini sanno di noi, ma non questi puzzolenti beduini – aggiunse indicando Khadar con sdegno. Il beduino non capì la frase e si limitò ad annuire con calma.
    - Ma non dovevamo incontrare una scorta nei pressi della loro roccaforte? – protestò Yuuko stanca. Il sole era quasi allo zenith, erano tutti stanchi e presto si sarebbero dovuti accampare di nuovo. Quel viaggio stava diventando una condanna a morte.
    - E’ vero, signore – disse il giovane dalla pelle scura. – Avevano detto che ci avrebbero mandato una scorta per accompagnarci a Masyaf –
    L’uomo sospirò.
    - Proseguiamo verso il promontorio. Niente levitazione – concluse voltandosi e proseguendo; loro malgrado, gli altri dovettero seguirlo. Yuuko si sedette a cavallo di uno dei Bantha da soma più liberi assieme ai suoi due piccoli “guardiani”. Il ragazzino che la sera prima puliva il pavimento stava sulle spalle del giovane silenzioso, coprendosi la testa con il turbante.
    Fissò suo marito con assoluto disgusto. Come poteva essere così insensibile? Doveva lasciarci le penne qualcuno, prima di fargli finalmente breccia in quella testa piena di stupide formule che non sarebbero sopravvissuti a lungo?
    Divise la razione d’acqua coi due che stavano con lei sul Bantha, scortati dai Cavalieri e dal Paladino Vargas, che sembravano pensarla esattamente come lei.
    Poi, improvvisamente, qualcosa ruppe la mortifera monotonia di quel viaggio.
    Maestosa e fiera, solcando l’aria, una grande aquila marrone stridette sulle loro teste.
    - Guarda! – indicò entusiasticamente il ragazzino sulle spalle del grosso giovane, che alzò la testa a sua volta con un ampio sorriso di stupore. Non avevano mai visto simili animali in libertà.
    - Finalmente – sospirò il marito.
    Un corno acuto squillò nel deserto e due lunghe bandiere nere e rosse, con un’alfa maiuscola rossa e nera in mezzo, comparvero da dietro una collina. Dieci cavalli scuri spuntarono, con uomini vestiti di bianco sulle loro groppe.
    - Grazie al Creatore… - sussurrò Yuuko sorridendo ampiamente.
    L’Assassino in testa alla fila emise una sorta di comando nella sua lingua, e i dieci cavalieri galopparono verso di loro di gran carriera, circondandoli rapidamente, le selle dei loro cavalli colme di viveri.
    - Salute e Pace, amici – salutò il marito togliendo il turbante e mostrando i lunghi capelli chiari.
    - Salute e Pace a voi – disse l’Assassino più armato di tutti. Gli altri avevano delle cappe più scure, sul grigio fumo, invece che bianco, come credevano all’inizio: erano inoltre armati solo di una spada e una balestra. L’uomo che li aveva salutati invece aveva una cappa bianca sopra gli abiti grigi, aveva un cinturone di cuoio su cui erano riposti diversi pugnali da lancio, e aveva una spada e un pugnale al fodero. – Il Maestro vi attendeva –
    L’uomo chinò il capo biondo in segno di rispetto, increspando la barbetta bionda e il viso corrugato dall’età con un sorriso. Yuuko guardò con gratitudine gli Assassini, che distribuivano acqua e pane a tutti.
    - Portateci dal vostro Maestro, allora – chiese il marito.

    Autorizzati, con somma soddisfazione del Paladino Vargas, ad usare la levitazione, i carovanieri pagarono Khadar per i suoi servigi e lo lasciarono indietro; lui avrebbe raggiunto Masyaf in seguito, essendo a sua volta un Confratello Assassino. I giovani, Yuuko e il marito salirono sulla carrozza, Vargas e un Cavaliere si sedettero sul posto di guida all’esterno nella parte anteriore, e gli altri Cavalieri si sedettero tutt’intorno nella parte esterna del veicolo, che si alzò da terra e si mosse rapidamente, andando al passo con lo svelto galoppo dei loro accompagnatori. Superarono le grandi dune di sabbia, alte più di dieci metri, seguendo il percorso degli Assassini; dopo un fiumiciattolo in secca, finalmente intravidero l’immenso promontorio su cui sorgeva la possente roccaforte di Masyaf. Le sue mura di pietra scura lasciavano risaltare gli uomini in bianco e grigio che passeggiavano sulle merlature, simili a puntini bianchi.
    - Ammirate, Masyaf l’Inespugnata – disse l’Assassino fermandosi un attimo.
    Dietro le mura, un castello sorgeva ben protetto, irraggiungibile al tiro di qualsiasi catapulta, circondato da alberi e piante verdi che vi si arrampicavano.
    Videro la grande aquila tornare al castello. Evidentemente l’avevano mandata gli Assassini, come se fosse stata un razzo di segnalazione medievale.
    - Proseguiamo allora – disse lo studioso, celando l’ordine dietro quella richiesta. – Sono ansioso di parlare col vostro Maestro –
    Gli Assassini spronarono i cavalli e ripresero il galoppo.
    Per fortuna la carrozza era arrivata alle spalle della città, altrimenti avrebbero dovuto fare una deviazione di due giorni per arrivarvi; gli alti costoni rocciosi del promontorio frontale erano ripidi e difficili da risalire con mezzi e cavalli, e la via per arrivare al cancello principale (nonché l’unico) era come un barbacane naturale, da dove gli Assassini potevano comodamente bersagliare qualunque esercito con pece, frecce a qualunque altra cosa.
    Anche se un generale avesse preso la direzione giusta, la posizione sopraelevata della città garantiva che qualunque forza ostile fosse subito intercettata a due-tre giorni di distanza. A quel punto, un Assassino poteva intrufolarsi nell’accampamento nemico…
    E il resto veniva da sé.

    La carovana entrò nel villaggio sottostante al castello, con uno scalpitare di zoccoli e il ronzìo quasi impercettibile della carrozza levitante, che si posò a terra con stupore di molti bambini che erano venuti ad assistere il rientro degli Assassini. Il Paladino Vargas e i Cavalieri si disposero attorno alla carrozza coi fucili spianati, sebbene non ci fossero tracce di pericolo. Vargas si fidava poco di un’istituzione come quella degli Assassini, che anche nel loro tempo erano famosi.
    Troppo famosi.
    Un anziano in tunica nera con cappuccio, sotto il quale indossava una corta camiciola bianca ben abbottonata e una cintura rossa, scese dalla via che portava al castello. Aveva un occhio vitreo, diventato così quando effettuò il suo primo assassinio, ma l’altro era nero e vedeva benissimo; portava una lunga barba grigia incolta, e aveva un lungo naso adunco. Nonostante l’età, sembrava in perfetta forma. Tutti i popolani si inchinarono subito.
    Yuuko vide il marito inclinare la schiena con rispetto, di nuovo, e alzandola ripetè la formula di saluto.
    – Salute e Pace, Al Mualim, Signore di Masyaf e Maestro degli Assassini –
    Al Mualim sorrise, le mani dietro la schiena.
    - Salute e Pace a te, saggio Ansem, Studioso del Cuore –

     
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