Orizzonte

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  1. Eneru92
     
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    Preparata per un contest,La shot non è altro che il rimpianto di un vecchio marinaio che non può più solcare il mare per via dell'età e della malattia, ma fondamentalmente è un racconto che offre anche una certa interpretazione personale... il marinaio può essere un qualunque uomo, come il mare la somma dei suoi progetti falliti. Spero di aver fatto un buon lavoro!



    Orizzonte

    Taciturna, solitaria, anziana, una figura avvolta dall’ombra passeggiava stancamente in una piccola via del paese addormentato, buio, il cui surreale, dolce silenzio rendeva soave e leggero il bacio degli astri incastonati nel cielo, estinte com’erano le centinaia di piccole stelle artificiali che coi loro colori di fiamma, flebili sfumature di cremisi unite a intensi bagliori dorati, illuminavano solitamente a giorno gli angoli più remoti del borgo.
    Il vento spirava delicato tra quelle sinuose contrade, simile al sospiro sommesso di una notte anch’essa dormiente, e il suo fischio accompagnava leggero i passi cadenzati dell’uomo in cammino, immerso nelle nebbie del proprio lento, enigmatico e inesorabile vagabondare.
    Svoltando a destra, a sinistra e poi nuovamente a destra, la serpe di mattonelle sul cui dorso si compiva il misterioso pellegrinaggio converse in uno spiazzale circolare, un antico e maestoso belvedere in cui il metallo arabescato della ringhiera, lucente, sposava felicemente la pallida pietra della pavimentazione, creando il magnifico effetto di un balcone che desse sull’infinito.
    Svettando come il sommo trono dei ricordi alla vista del passante, rivolta con aria malinconica all’immenso, emozionante abbraccio di cielo e mare che il panorama aveva da offrire, una vecchia panchina di legno e ferro sorgeva nostalgica nella parte più occidentale della piazza, posta direttamente sullo strapiombo che, tranciando bruscamente le armoniose curve del promontorio, si tuffava ripido e inespugnabile nella spuma delle onde sottostanti.
    Con l’anima e la mente bagnate dalla pioggia della memoria, umide gocce di gioia, tristezza, rimpianto e felicità che facevano germogliare in lui la commozione, l’uomo avanzò febbrilmente in direzione della panca, vi si sedette , alzò gli occhi ardenti e squadrò simile ad una civetta l’impero che sorge ad ogni caduta del sole.
    L’oscuro, profondo abisso della notte.
    Bianca regina di un tale dominio, la luna splendeva come un dolce lume di cristallo sul mare sterminato, quel calmo velo di seta nera che lo zefiro lasciava oscillare con fare quasi materno, e proiettava su di esso la propria immagine di sposa fresca e sontuosa.
    Invaso da un’emozione dirompente, simile ad una fenice risorta che avesse in quello spiazzale il suo sacro altare, e traboccante per il torrente di ricordi che gli invadeva il cervello, l’uomo spostò lo sguardo vivido dalla dama del cielo al suo limpido specchio, senza poter evitare di pensare al valore che quell’imprevedibile distesa aveva per lui, più bella e più passionale di qualsiasi donna.
    Tutta la sua vita e tutto il suo passato erano sempre lì, nell’oceano, ma non erano nient’altro che immobili relitti colati a picco per i flutti devastanti del destino, carcasse a cui sogni da tempo naufragati si attaccavano come coralli, e nessun miracolo avrebbe permesso alla vele del presente e del futuro di tornare a battere alte, maestose e vincitrici sulla galea della sua esistenza.
    Gli anni della libertà, della bella giovinezza, del corpo forte e vigoroso si erano conclusi, morti per mai più ritornare a vivere, sepolti nel liquido ventre del mare, e la sua anima addolorata si struggeva nel loro straziante rimpianto.
    Non importava quanti avvenimenti felici potessero verificarsi nel corso del tempo, quante liete novelle potessero animare ancora una volta le sue interminabili giornate, dando nuova legna all’agonizzante bivacco della sua gioia.
    La funebre nostalgia e il tetro ricordo di ciò che aveva perduto, delle onde che non poteva più solcare, si riaffacciavano nella sua mente come amanti pazze di gelosia, cortigiane invidiose che lo riprendevano, lo seducevano e lo riportavano nel letto della tristezza più nera, costringendolo a perdurare nella sua passione col dolore.
    Un amore fitto, intricato, possessivo e invalicabile del quale non riusciva a liberarsi.
    Sopraggiunta la vecchiaia, insorta la malattia, sciolti i suoi desideri al sinistro calore emanato da quella duplice croce, non gli rimaneva infatti più nulla della luce che un tempo animava il suo spirito, se non un confuso, triste riverbero che sapeva di sepolcro.
    La tenue, piccola candela del ricordo, il debole fuoco in cui gettava tutto se stesso, la torcia insaziabile che si accendeva nel momento in cui la sua schiena toccava il legno della panca solitaria, bruciando i giorni che gli rimanevano in quel mondo ladro.
    Perché se il suo corpo, la sua patologia e le sue fragili, miserabili membra decadute non gli consentivano di possedere il mare, nulla gli impediva di continuare ad anelarlo e a desiderarlo, di far si che la sua fantasia e la sua memoria si librassero su di esso, varcando la linea immaginaria che unisce l’acqua con l’aria, l’umano con il divino, l’infinito che è in terra con quello che la ricopre.
    La linea che per lui era disperazione e sollievo.
    La linea chiamata orizzonte.
     
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8 replies since 13/8/2010, 19:47   153 views
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