Hyper Ouranos

Genere avventura/fantasy, rating verde

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  1. ciel
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    Finalmente, eccomi con la mia prima vera e propria fic originale.
    Quando in precedenza postavo una fic che per me aveva qualcosa di nuovo (ad esempio il genere, o il fandom) chiedevo di essere clementi perché quello era il mio primo lavoro di quel tipo xD
    Stavolta invece sarà l'esatto opposto: con questa fic voglio che siate spietati!
    Ringrazio la Rhae per avermi aiutato con la correzione del testo, buona lettura =D

    CITAZIONE
    Titolo: Hyper Ouranos
    Autore: ciel
    Fandom: original
    Rating: Yellow
    Warning: armi da fuoco, morte, politica.
    Trama: La storia si colloca in un mondo immaginario, Hyper Ouranos, simile all'Europa degli inizi del '900. I protagonisti sono Weds e Rodi, due militari che sono cresciuti insieme ad Archiki Selida, un piccolo villaggio di periferia, e sono entrati nell'esercito di Hyper Ouranos.
    Il mondo, che vive un periodo di prosperità ed allegria, grazie anche alla saggezza ed umiltà del Demiurgo (il capo dello stato), viene minacciato da una banda di terroristi che si fa chiamare Anarkism...
    Wordcounter (Prologo): 331

    Hyper Ouranos



    Preludio

    Era una piccola stanza dalle mura spoglie. Vi erano un paio di tavoli e, affiancato ad uno di essi, uno specchio. Sul pavimento erano stato gettati alla rinfusa strumenti di sartoria: spolette di ogni genere e lunghezza, aghi, metri e della stoffa in pezzi o rotoli interi; nonostante questo disordine però, il resto della sala era pulito. C'era un'unica porta chiusa e sul muro opposto una grande finestra coperta da un'alta tenda color porpora.
    Seduto al centro della stanza e avvolto dalla penombra, un uomo se ne stava fermo sulla sedia a fissare il soffitto sopra di lui.
    Era difficile decifrarne lo sguardo: i suoi occhi castani erano vaghi, come se fosse ancora provato da quello che aveva fatto e ancora indeciso su cosa doveva fare.
    La bocca schiusa, quasi fosse sorpreso. Oppure demoralizzato. O, più probabilmente, semplicemente teso.
    Sospirò. Non aveva avuto difficoltà ad accettare quanto era già successo, ma... sarebbe riuscito a farlo anche con ciò che avrebbe fatto di lì in poi? Sapeva che sarebbe stato causa di dolore e tristezza per molta gente, ma non era quello che lo impensieriva... le persone soffrono, è nella natura umana. Ciò che stava accuratamente soppesando in quegli ultimi attimi di tranquillità era a cosa avrebbe portato.
    Riuscire a cambiare il luogo in cui abitava, Hyper Ouranos... qualunque fosse stato il prezzo da pagare, avrebbe reso quel mondo che tanto amava un paradiso terrestre. Era pronto a tutto.
    Sospirò una seconda volta, poi si alzò dalla sedia e passò le mani fra i corposi boccoli mori, cercando di rilassarsi; dopotutto, il più era già stato fatto.
    Voltandosi, si diresse verso un appendipanni posto in un angolo della stanza ed afferrò un largo soprabito blu scuro. Indossò l'indumento, e finalmente si diresse verso la grande finestra. Aprendo le tende la luce del sole lo investì, facendo risplendere il suo abito ultimato da poco.
    Prese fiato; infine uscì sul balcone, dove gente venuta da ogni angolo di quel mondo attendeva di conoscerlo.

    Edited by ciel - 3/10/2011, 00:00
     
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    Essendo solo il prologo è un pò presto per esprimere giudizi,ma non ho notato nessun errore di grammatica ne di sintassi. Mi piace il modo in cui scrivi,con poche frasi riesci comunque a descrivere l'ambiente e il personaggio. Continuerò a seguirti,stanne tranquillo! ^^
     
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  3. ciel
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    CITAZIONE (Sisthra @ 12/8/2010, 17:23)
    Essendo solo il prologo è un pò presto per esprimere giudizi,ma non ho notato nessun errore di grammatica ne di sintassi. Mi piace il modo in cui scrivi,con poche frasi riesci comunque a descrivere l'ambiente e il personaggio. Continuerò a seguirti,stanne tranquillo! ^^

    Hai ragione, il prologo è molto (troppo) corto, ma se l'avessi allungato avrei rovinato tutta la sorpresa sulla vera identità del personaggio ^^"
    Grazie mille =D
     
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  4. ciel
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    Scusatemi se ci ho messo tanto per scrivere il primo capitolo, ma purtroppo in questi ultimi tempi sono stato molto indaffarato ^^"
    Comunque finalmente posso aggiornare °ò° ringrazio la cara Rhae per il prezioso aiuto.
    Ecco a voi il primo capitolo, buona lettura! E ricordatevi, siate spietati!

    CITAZIONE
    Wordcounter (Capitolo 1): 1'965

    Capitolo 1
    Il Concilio


    “La situazione sta raggiungendo ogni apice possibile ed immaginabile!” sbottò un uomo sbattendo le mani sul banco. “Non possiamo più tollerarla!”
    “Si calmi” intervenne un altro signore seduto dalla parte opposta del tavolo. Dimostrava tra i trenta e i quarant'anni, vestiva un abito preciso e semplice, di colore grigiastro con il simbolo militare di un sole sovrastato da due spade a lame incrociate sul petto, e sulle spalle dei distintivi di sfarzosi colori che ne indicavano la massima autorità nell'esercito. Con fare rassegnato tolse il copricapo facente parte dell'uniforme e lo poggiò sul piano.
    Il capo era completamente rasato, con gli occhi azzurri come il cielo; una lunga cicatrice gli attraversava la guancia sinistra.
    “Per favore, signor Voreja” disse ancora, “cerchi di calmarsi”.
    Il primo sbatté nuovamente le mani sul tavolo, più forte di prima.
    “Come faccio a calmarmi?!”
    La lunga chioma di biondi capelli lisci sobbalzò al movimento brusco dell'uomo, agitandosi davanti alla sua espressione adirata e agli occhi grigi colmi di rabbia. “Dopo l'omicidio di Anatolì è stato lei a disporre a Dysi e Notia delle scorte personali, eppure li hanno ammazzati lo stesso!”
    “Signor Voreja, sono sorpreso quanto lei...”
    “Io ho paura di morire, altro che essere sorpreso! Se voi ufficiali dell'esercito vi assicuraste meglio delle doti dei vostri uomini, ora gli altri Reggenti di Hyper Ouranos sarebbero ancora vivi!”
    “Non provi mai più a diffamare i miei uomini!” urlò il comandante delle forze armate, sbattendo anch'egli i pugni sul banco e alzandosi di scatto in piedi. “Il nostro esercito può vantare della più alta preparazione che abbia mai avuto dalla sua fondazione!”
    “Avrei qualche dubbio a riguardo” replicò il Reggente del Nord.
    “Calmatevi” intervenne una terza persona, seduta a capotavola. Era un uomo di mezz'età, rimasto per quasi tutto il tempo ad ascoltare il dibattito fra i due, con le braccia conserte ed il capo chino. Vestiva un largo soprabito blu e sotto di esso vi era un'uniforme con il simbolo di quel mondo, un sole con quattro raggi splendenti che formavano una croce.
    Alzò lo sguardo mostrando gli occhi castani e aprì appena la bocca, in procinto di aggiungere qualcosa al discorso.
    La richiuse subito dopo, mentre si passava una mano fra i capelli bianchi. Il comandante e il Reggente rimasero in attesa, pendendo dalle sue labbra. Infine riuscì a trovare le parole giuste: “Signor Voreja, capisco che lei sia preoccupato per la sua vita, ma noi membri del Concilio di Hyper Ouranos ci occupiamo dell'intero popolo”.
    Il Reggente del Nord rimase qualche secondo in silenzio, a metà fra lo stupore e la perplessità. Di certo non si aspettava un'affermazione tanto banale.
    “Signor Demiurgo” parlò di nuovo il comandante. “E' cosa certa che dobbiamo pensare al popolo, ma se prima di esso non salvaguardiamo noi stessi, non potremo più farlo”.
    “Hmm... è vero” affermò l'uomo. “Ma in tal caso per lei significherebbe ammettere che l'esercito di Hyper Ouranos sia davvero di dubbia formazione come sostiene Voreja”.
    “No, n-non intendevo questo... i-io—” balbettò il soldato.
    Il Reggente ridacchiò, senza nasconderne minimamente il gusto. “Come dicevo, è quello il punto della questione”.
    “Non direi” intervenne ancora il Demiurgo. “Piuttosto, la stiamo solo osservando dal lato sbagliato”.
    “Cosa intende?” chiese l'autorità militare rimettendosi a sedere.
    “Signor notaio, può riassumerci il ruolo che hanno il Concilio e questa seduta?”
    Dall'altra parte del tavolo vi era un uomo con il volto coperto da una maschera nera che mostrava solo gli occhi della persona. Vestiva con un soprabito, nero anch'esso; in una mano teneva un cartella con numerosi fogli di carta e nell'altra una penna.
    Posò gli attrezzi del mestiere sul tavolo per poi portare una mano alla maschera e aprì una chiusura lampo all'altezza della bocca. Si alzò in piedi ed esordì: “Il Concilio di Hyper Ouranos è composto da otto membri. Il primo è il Demiurgo, capo dello stato eletto dai Reggenti e in assoluto la più importante carica politica del paese; in seguito vi sono i Reggenti del Nord, dell'Est, dell'Ovest e del Sud, ognuno eletto dal popolo. Infine vi prendono parte anche il comandante dell'esercito e la Papessa, la massima autorità religiosa”.
    Di fatto, a destra del suo posto sedeva una giovane donna, abbigliata con una lunga tunica e una tiara, ambedue bianche. Tuttavia ella sembrava aver prestato ben poca attenzione a cosa si era detto fino a quel momento.
    “Oltre a questi” proseguì il notaio “partecipa anche un ottavo elemento che ha il compito di stilare il verbale dell'udienza e che ha il permesso di parlare solo se interpellato; per ogni incontro verrà scelto ogni volta un giurato differente e la sua identità sarà celata ad ogni membro. La scelta di rendere ignoto tale individuo sta a rappresentare il diretto contatto con il popolo di Hyper Ouranos e l'impossibilità per i membri di Concilio di poter manovrare il potere a loro piacimento, per poter sottostare alla finalità delle udienze: garantire il massimo benestare della popolazione; questa udienza è stata indetta per discutere e prevenire, in seguito agli omicidi di tre dei Reggenti, rispettivamente quelli dell'Est e dell'Ovest, e giusto stamane quello del Sud”.
    “Grazie, può bastare” riprese il Demiurgo. L'uomo in nero richiuse la lampo posta all'altezza della bocca e si riaccomodò sulla sedia.
    “Dunque...” continuò la più alta carica di Hyper Ouranos. “La signora Papessa non ha ancora proferito parola. Se ha qualcosa da dire, altrimenti proseguirei io”.
    La donna però rimase impassibile, e con un cenno del capo fece segno al Demiurgo di andare avanti.
    “Ecco, quello che volevo non era ricordarvi le dimensioni della minaccia, ma a chi essa è rivolta”.
    “In che senso?” chiese Voreja. “Siamo noi i loro bersagli”.
    “O forse siamo solo dei mezzi per raggiungere un obiettivo ancor più grande?”
    “Come?”
    “Ho capito” intervenne il capitano dell'esercito. “In effetti, basta pensare che stiamo parlando di Anarkism”.
    “Esattamente” riprese il Demiurgo. “Probabilmente ci hanno presi di mira... ma solo per controllare l'intero paese in seguito”.
    “Mi spiace, ma qui devo dissentire” parlò di nuovo il Reggente. “E' vero, i precedenti omicidi presentano molte analogie con altri casi di cui il gruppo Anarkism era senza dubbio il colpevole, ma stavolta non ci sono simboli o lettere lasciate lì come nelle altre situazioni. Per quel che ne sappiamo, potrebbe benissimo essere opera di qualcuno che cerca di sviare le indagini”.
    “Sarebbe pur sempre una pista da seguire, tuttavia abbiamo ben più che semplici supposizioni” dichiarò il Demiurgo, prendendo da una tasca interna del suo soprabito blu una busta.
    “Una lettera?” chiese Voreja.
    Fu il comandante a rispondere: “E' stata recapitata direttamente al palazzo del Demiurgo da un anonimo. Non appena ne sono stato informato ho mandato alcuni soldati alla ricerca di quest'uomo”.
    “Ovviamente, non l'avete trovato” affermò il Reggente prendendo la lettera e cominciando a leggerla.
    “A dir la verità, sì. Il problema è che si trattava di un senzatetto pagato da qualcun altro per recapitare il messaggio, e naturalmente il mandante ha tenuto nascosta la sua identità”.
    “Una situazione piacevole, eh?” chiese ironicamente Voreja poco prima di leggere il messaggio da cima a fondo; erano solo poche righe.

    La sfida è già stata lanciata e voi l'avrete sicuramente capito.
    Non starò a dilungarmi troppo: presto toccherà anche al Reggente del Nord e poi a lei, sua signoria il Demiurgo.
    L'ora sta per scoccare e la pistola farà fuoco...


    “La pistola?” si chiese confuso il Reggente. Poi vide che in basso a destra del foglio c'era il marchio di un cerchio giallo sovrastato da una croce color cremisi. Lì accanto, nella stessa grafia del messaggio, vi era un nome: Quaz.
    “Questo è il simbolo di Anarkism! Quella banda di terroristi ha appena firmato la sua condanna a morte!”
    “Ne è sicuro?” chiese il Demiurgo. “Non nota nulla di... insolito?”
    “Del tipo?” ribatté l'altro osservando con più attenzione la lettera.
    “La firma. Finora, in ogni suo omicidio, Anarkism lasciava sempre una lettera oppure solo il simbolo sul luogo dell'omicidio, spesso usando il sangue della vittima per marcare la croce in rosso. Ma qui non si è limitato al logo di quel gruppo, ha aggiunto anche un nome... finora non siamo mai riusciti a scoprire nulla su di loro, perché questo Quaz vorrebbe uscire allo scoperto e firmarsi come uno di essi?”
    “... lei pensa che non si tratti di un membro di Anarkism, ma possa essere qualcos'altro?”
    “Non ne ho idea. Solo, la cosa mi ha lasciato basito...”
    “Se posso dire la mia” avanzò il comandante, “dubito che un estraneo ad Anarkism si firmi come uno di loro così a cuor leggero quando l'intera popolazione di Hyper Ouranos sa che questi terroristi sono più pericolosi della morte stessa. Credo che quel nome possa significare solo due cose: può trattarsi di un indizio che ci ha voluto fornire per affrontare questa sfida, come la chiama lui...”
    “Oppure?” chiese Voreja.
    “Forse è davvero un membro di Anarkism che sta agendo all'insaputa dei suoi colleghi. Quel nome potrebbe significare che qualcuno sta cercando di distaccarsi dal resto dell'organizzazione...”
    “E questo varrebbe a dire che attualmente all'interno di Anarkism ci sono delle spaccature fra i vari membri”.
    “Proprio così. Quale situazione migliore per approfondire le indagini e meditare un attacco?”
    Il Reggente ridacchiò di gusto, proprio come poco prima. “Finalmente una breccia nel muro di quegli sporchi anarchici assetati di potere...”
    “E noi la sfrutteremo al massimo”.
    “Lei però dovrebbe pensare prima di tutto a se stesso” lo bloccò l'ufficiale.
    “Come?”
    “Nella lettera c'è scritto che sarà una delle prossime vittime. Non possiamo ignorarlo, farò in modo che venga sorvegliato notte e giorno da scorte d'eccezione”.
    Vojera ridacchiò ancora una volta. “Come quelle che ha dato a Dysi e Notia. Allora sì che avrà bisogno di una scorta che possa difenderlo dalle scorte”.
    “Non ho intenzione di farmi perseguitare da altre guardie. Oltre a quelle che già ho... piuttosto, usi i suoi soldati per proteggere il popolo”.
    “Signore, ha già scordato cosa hanno fatto a suo fratello tredici anni fa?!”
    “Certo che no” rispose il Demiurgo con calma e decisione. “E' proprio per questo che non ho intenzione di farli agire come vogliono anche stavolta”.
    I suoi occhi castani si erano improvvisamente fatti freddi come il ghiaccio, distaccandosi da quello che sarebbe dovuto essere esclusivamente il suo impegno politico.
    Il comandante dell'esercito pensò per un solo secondo di rispondere, poi rinunciò.
    Voreja ridacchiò nuovamente. “Quando fa quello sguardo è impossibile dissuaderlo”.
    “Lo so... è grazie a questo suo animo caloroso che è riuscito a diventare un sovrano affidabile ed amato come pochi”.
    Il Demiurgo sorrise, quasi divertito. “E lei, signora Papessa? Adesso ha qualcosa da aggiungere?”
    La donna stavolta non si limitò a restare in silenzio. Si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta della stanza.
    “Perfetto. Direi che possiamo chiudere qui questa seduta”.
    Il Reggente del Nord e il comandante annuirono e si alzarono anche loro. A quelle parole il notaio, che aveva scritto fino a quel momento senza perdere una lettera del discorso, concluse le ultime righe del suo verbale e chiuse ufficialmente l'incontro.
    Mentre gli altri tre si dirigevano all'uscita, Voreja domandò: “Mi ero quasi dimenticato di chiedere, quali sono i dettagli dell'omicidio di Notia?”
    “Sostanzialmente, gli stessi degli altri due delitti” rispose il comandante. “Ho mandato comunque due dei miei uomini per un sopralluogo sulla scena”.
    “Spero che almeno ad ispezionare siano capaci...”

    Edited by ciel - 8/2/2011, 16:31
     
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  5. ciel
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    Scusate il lungo tempo trascorso fra il primo e il secondo capitolo, ma fra diverse cose non ho potuto fare altrimenti. Quanto meno adesso cercherò di velocizzare il più possibile.
    Buona lettura =D

    CITAZIONE
    Wordcounter (Capitolo 2): 1'971

    Capitolo 2
    Sulla scena del delitto


    Numerosi frammenti di vetro erano sparsi per diversi metri in tutta la stanza, luminosi ai raggi del sole che entravano da una finestra rotta. Il resto dello spazioso salone era in ordine, arredato con mobilia raffinata e costosa; vistosi soprammobili arricchivano l'intera visuale della stanza, lasciando intuire già ad un primo impatto il lusso da cui il proprietario di quell'abitazione piaceva farsi circondare.
    Un tavolo di legno, probabilmente un prezioso pezzo d'antiquario, era stato gettato contro un muro e fracassato. Al suo posto, al centro della stanza, c'erano due giovani uomini.
    “Nulla di nuovo, direi” affermò uno dei soldati mentre ispezionava la scena del delitto. Il ragazzo stava con un ginocchio poggiato sul pavimento a studiare con lo sguardo il cadavere del Reggente del Sud, coperto da un lenzuolo.
    Adagiò il telo sul corpo e si alzò in piedi; come qualsiasi altro militare che si rispetti, aveva un fisico prestante e ben allenato che risaltava anche sotto l'uniforme grigia dell'esercito. Sulla parte destra del petto era appuntata una spilla rettangolare che indicava a caratteri maiuscoli il nome della sua squadra: SERPENTE.
    I suoi capelli erano mori, mediamente lunghi ed arruffati, una piccola chioma nera come un cielo notturno senza stelle. Gli occhi esibivano invece un verde tanto profondo da sembrare, per chiunque lo scrutasse con attenzione, di potersi affacciare nei più reconditi angoli del suo animo.
    Alzò lo sguardo. Un viso pulito, un naso a punta e i lineamenti laterali che scorrevano dolci verso il mento; forse un po' troppo delicati per un diciannovenne, quasi femminili.
    Con il capo indicò il corpo ad un altro soldato lì accanto e chiese: “Rodi, altri dettagli?”
    “No” rispose il secondo. “Nessuna prova, impronta o traccia che possa far risalire al colpevole o a dei sospetti”.
    Rodi sembrava molto adulto rispetto al compagno. Nonostante fossero coetanei, era decisamente più alto e muscoloso, e sulla divisa grigia indossava lo stesso distintivo della squadra SERPENTE.
    Teneva i corti capelli castani accuratamente pettinati; il viso aveva lineamenti più spigolosi e marcati, rendendo il suo sguardo maggiormente penetrante e deciso, e anche il naso aveva una forma più squadrata. Dava l'aria di essere un colosso vero e proprio.
    I suoi occhi plumbei scorrevano avanti e indietro sulla cartella dove aveva segnato in maniera minuziosa ogni singolo dettaglio dell'assassinio di Notia.
    “Di solito è Anarkism ad agire così, o sbaglio?” chiese ancora l'altro soldato.
    Rodi spaginò qualche facciata dalla sua cartella, diede un'ultima occhiata veloce e rispose: “Sì Weds, hanno sempre agito così. Però stavolta ci sono due enormi differenze”.
    “La prima è che non hanno lasciato alcuna firma o simbolo di riconoscimento, ma l'altra?”
    “Hanno spostato il corpo” rispose il castano. Si avviò verso la porta della stanza, seguendo una scia di sangue fino ad arrivare alla camera da letto del Reggente, da dove partiva la traccia. Continuò: “Notia è stato ucciso qui, poi è stato trascinato fino al salone, dove è stato spostato il tavolo, e l'hanno posto al centro della stanza”.
    Weds si fece passare la cartella dall'amico e lesse bene i rapporti riguardanti gli omicidi precedenti a quello. Tutti i particolari combaciavano.
    “Proprio come per gli assassinii di Anatolì e Dysi... quindi, che si tratti di Anarkism o meno, sappiamo che tutti e tre i casi sono collegati”.
    L'altro osservò per qualche secondo la scia di sangue, tornò nel salone, seguito dal compagno, e spostò lo sguardo verso la finestra rotta. “Per la sedia invece?”
    Un terzo militare entrò nella stanza, la faccia coperta da un casco scuro. “Scusate se vi interrompo, ma ora dovremmo portare via il corpo”.
    “Sì, fate pure” replicò il moro, restituendo la cartella all'altro. “Qui abbiamo finito”.
    La recluta chiamò un gruppo di colleghi per ultimare il lavoro; Weds e Rodi si avviarono subito verso la porta. Scesero le scale ed uscirono dall'abitazione del Reggente, che, rispetto all'aria aristocratica che regnava tra le mura domestiche, all'esterno sembrava più una semplice e cordiale villetta di campagna.
    I due soldati attraversarono metà del vialetto e si fermarono.
    “Parlavi di quella?” chiese il moro indicando in mezzo al giardino una sedia, sembrava anch'essa un pezzo antico. Due gambe si erano spezzate nell'impatto e una terza era rotta solo in parte, ciondolando dal resto del legno; nemmeno lo schienale versava in buone condizioni, scheggiato in più punti.
    Tra i fili d'erba, si notavano luccicanti varie schegge di vetro. Weds alzò lo sguardo verso la casa, in direzione della finestra rotta. “Dopo aver ucciso il signor Notia, l'assassino ha scaraventato la sedia giù dalla finestra”.
    “Secondo te perché l'ha fatto?” chiese Rodi.
    “Beh, l'assassino si è dileguato subito dopo. E nessuno dei vicini ha visto individui sospetti nei dintorni prima del delitto. Sarebbe potuto fuggire in tutta calma, e invece...”
    “Già, voleva che si venisse subito a conoscenza dell'omicidio”.
    “Secondo te, per quale motivo?”
    “Chi può dirlo?”
    Il colosso scosse la testa, confuso. Effettivamente il crimine era avvenuto la mattina molto presto, in un orario in cui molta gente ancora dormiva o era assonnata... ma perché rischiare addirittura di farsi vedere? Cosa avrebbe potuto guadagnarci?
    “Rodi” lo chiamò Weds. “Faremo tardi se non ci muoviamo”.
    “Sì, andiamo” ribatté l'altro. I due si incamminarono nuovamente, stavolta verso la macchina che li attendeva oltre il cancello.
    Un altro gruppo di reclute era impegnato a tenere a debita distanza dall'abitazione dei giornalisti che, armati di taccuini e penne, si spingevano a vicenda a caccia dello scoop del giorno.
    I due soldati li ignorarono, raggiungendo la macchina e salendo al suo interno. Una volta seduti, Rodi sospirò e diede all'autista l'ordine di partire. Alcuni giornalisti provarono a correre dietro all'auto, rinunciando però dopo pochi metri.
    Mentre il mezzo aumentava di velocità, Weds osservava dal finestrino la gente e le case scorrere sempre più velocemente. Sbuffò con fare stanco e affermò: “Sai, non ho tanta voglia di andare all'appuntamento”.
    “Neanche io” rispose l'altro, “ma immagina quanto casino farebbe se non ci presentassimo”.
    “Oh” rabbrividì il moro. “Quella donna sarebbe capace di radiarci dall'esercito...”
    “Alla fine qualunque cosa facciamo lei avrà sempre da ridire, quindi tanto vale presentarsi e starla ad ascoltare come bravi bambini”.
    “Sì maestra, ha ragione lei maestra, noi siamo solo dei piccoli bambini cattivi che non sanno fare una sega” commentò sarcastico il soldato. “Certo maestra, le stiamo leccando il suo bel culetto, e sappiamo che le piace”.
    Rodi scoppiò a ridere. La sua possente voce all'interno di quella piccola vettura sembrò suonare come l'eco del verso di un orso montano in una caverna angusta e stretta.
    Weds ridacchiò. Quando entrambi finirono di scherzare, il moro tirò un sospiro di sollievo e disse: “Meno male che ci sei tu che mi aiuti a tirarmi su di morale!”
    “Lo stesso vale per me. Mi manca tanto il villaggio...”
    Il moro si girò verso il compagno. Entrambi erano nati e cresciuti nello stesso luogo, si erano arruolati insieme ed erano anche finiti nella stessa squadra. Uniti, si erano sempre trovati spalla a spalla.
    Niente li aveva mai separati, e nessuno lo avrebbe mai fatto.
    Eppure Rodi era un tipo che raramente parlava di sé, anche con il suo migliore amico. Quando faceva così, Weds aveva capito che non doveva cercare di confortarlo, ma bastava dire giusto due parole di supporto e fermarsi lì.
    “I prossimi giorni di congedo torneremo ad Archiki Selida e rivedremo i nostri genitori. Sai, anche a me manca il villaggio”.
    Come suo consueto, il colosso sembrò tranquillizzarsi.

    Gli occhi ambrati scorrevano da sinistra verso destra, saltando velocemente alla riga successiva.
    La donna stava seduta al tavolo di un bar a leggere il rapporto sull'omicidio del Reggente del Sud, consegnatole da Weds e Rodi. I due soldati stavano di fronte a lei ognuno a bere la propria bibita, nell'attesa che finisse di esaminare il documento.
    I suoi lineamenti erano molto fini e delicati, dandole l'aria di una danzatrice. Anche il suo corpo, snello, e non tanto formoso, contribuiva alla cosa.
    Addirittura il piccolo naso a punta e le labbra minute rendevano l'insieme molto grazioso. Nemmeno il suo abito, una divisa militare, stonava, forse grazie al colore grigio che faceva risaltare i suoi capelli argentei.
    Il sergente Asimi posò il rapporto sul tavolo e guardò i due ragazzi.
    “Un lavoro mediocre, come sempre” esordì la donna.
    Weds si trattenne dal risponderle, limitandosi a bere facendo molto rumore con la sua bibita.
    Questo potrei anche farlo finire nel rapporto”.
    “Un rapporto del rapporto?” chiese sarcastico il moro.
    La donna squadrò male il soldato mentre egli teneva lo sguardo chino sul suo bicchiere.
    “Quello che il mio compagno voleva dire, sergente” intervenne Rodi, “è che la prossima volta sapremo fare di meglio. O almeno credo che volesse dire questo...”
    “Lasciamo perdere... anche se vi mettessi una nota di demerito, ci sarebbe la vostra amichetta a toglierla”.
    Il moro fece un altro sorso parecchio rumoroso, ma stavolta il sergente ignorò la cosa. “Tuttavia, avete raccolto abbastanza informazioni da permettermi di individuare l'identità del responsabile dei tre omicidi”.
    Weds alzò di scatto la testa e domandò: “Come? Non può essere, abbiamo analizzato ogni possibile elemento, ci saremmo accorti se c'era un qualsiasi indizio tanto significativo!”
    “Certo, non ne dubito” ridacchiò Asimi. “Ma è un tipo di indizio di cui solo chi ha effettuato un sopralluogo nelle altre due scene può rendersi conto”.
    “E chi sarebbe l'assassino?” chiese Rodi.
    Con un veloce gesto della mano, la donna scostò un ciuffo di capelli dagli occhi e poi rispose, con tono appagato: “Anarkism”.
    “Non può essere!” intervenne il moro, quasi innervosito da quell'affermazione. “Abbiamo indagato dappertutto, e quel gruppo lascia sempre una firma! Pensa che non ce ne saremmo accorti?!”
    “A quanto pare è così” ribatté con sicurezza la donna. “Ditemi, siete rimasti anche dopo che le reclute hanno spostato il corpo?”
    I due soldati si scambiarono un'occhiata, confusi.
    Fu il colosso a rispondere: “A dir la verità, ce ne siamo andati proprio mentre è arrivato il gruppo che se ne occupava”.
    Asimi sorrise e prese da una tasca dell'uniforme un paio di fotografie, che porse ai due ragazzi.
    “Nei giorni scorsi ho voluto fare un sopralluogo anche sulle altre scene. Cosa vedete lì?”
    “E' solo... la sagoma del corpo” notò Rodi riconoscendo le striscie bianche che delimitavano la posizione del cadavere.
    “Entrambi i corpi sono stati spostati. E, nelle foto, in che posizione li hanno lasciati?”
    “Gambe e braccia ampiamente divaricate” rispose nuovamente il castano.
    “La stessa del signor Notia” identificò Weds osservando con cura gli scatti.
    Asimi sbuffò, quasi seccata da quella conversazione. “Adesso guardate ancora la foto, stavolta concentratevi sul sangue... non dà forma ad un simbolo particolare?”
    “A me sembra solo una croce”.
    “Ma certo!” capì il moro. “Anarkism si firma sempre con una croce rossa!”
    “Allora si tratta davvero di loro...”
    “Finalmente ci siamo arrivati!” commentò Asimi con un sorriso falsamente amichevole. Subito dopo uno squillo si intromise fra i tre, e l'argentea prese in mano una piccola radiolina appesa alla cintura. Rispose e rimase in ascolto per qualche istante.
    “Sì, sono entrambi qui davanti a me”.
    Il suo viso si fece subito serio. Continuò: “Certo, glielo dirò subito”, e mise giù.
    “... preparatevi, voi due” disse con tono grave. “Fra pochissimo passerà la vostra squadra a prendervi”.
    “Cos'è successo?” chiesero i militari in coro.
    “E' in corso un attentato al tribunale di questa città, hanno preso un giudice in ostaggio. E sapendo che voi eravate qui, hanno inviato gli altri membri della squadra SERPENTE!”

    Edited by ciel - 8/2/2011, 16:32
     
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  6. axel36
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    Complimenti davvero, bellissimi capitoli. Ho letto abbastanza frettolosamente quindi non so bene dirti su errori et similia, ma credo non ce ne siano. L'unica curiosità che ho è il collegamento con il pensiero platonico.

    COntinua presto
     
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  7. ciel
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    CITAZIONE (axel36 @ 17/10/2010, 12:26)
    Complimenti davvero, bellissimi capitoli. Ho letto abbastanza frettolosamente quindi non so bene dirti su errori et similia, ma credo non ce ne siano. L'unica curiosità che ho è il collegamento con il pensiero platonico.

    COntinua presto

    A dir la verità un vero e proprio collegamente col pensiero di Platone non c'è, l'idea mi è solo venuta durante un'ora di filosofia xD
    Grazie =D
     
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  8. ciel
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    Sì lo so, un ritardo di sei mesi è un po' eccessivo. Però non è dipeso solamente da me, abbiate pietà. Ho dovuto ricorrere ad un secondo beta per velocizzare la cosa, che ringrazio: thanks, Ome. E ovviamente grazie anche alla Rhae ^^
    Dai, spero che un capitolo più lungo dei precedenti due messi insieme sia abbastanza per farmi perdonare

    CITAZIONE
    Wordcounter (Capitolo 3): 4'679

    Capitolo 3
    Scontro armato in tribunale


    La gente per strada si voltava al sentire il rombo che provocava quello strano mezzo di trasporto del governo: un'enorme vettura senza cavalli e con ruote molto larghe, spinta da uno di quei chiassosi motori... o almeno era così che li chiamavano.
    Le pareti del furgone erano rivestite da una lega metallica, ben più resistente di quella usata per le carrozze. Le ruote, di maggior spessore, erano realizzate appositamente per reggere tutto quel peso, compreso l'arsenale all'interno del veicolo ed il piccolo gruppo di soldati che si preparava all'irruzione.
    Weds e Rodi stavano indossando il giubbotto antiproiettile, mentre dietro di essi una giovane donna riassumeva loro la situazione.
    “Quella stronza di Asimi dovrebbe avervi già detto tutto, no?”
    La ragazza era poco più bassa del moro. I suoi capelli, lunghi fino al collo, erano rossicci e raccolti in una treccia; gli occhi color nocciola, fissi sulla cartella dell'esercito, creavano un certo contrasto con il viso della donna: il piccolo naso a punta, gli zigomi che risaltavano appena e i lineamenti a tratti sfuggevoli. Uno sguardo quasi tagliente.
    Il corpo era snello; non saltavano agli occhi forme o curve sensuali, era di corporatura fine e composta.
    “Già” rispose Weds. “Beh, certo che sai come sbrigare il tuo lavoro, Egia”.
    “Non lo sapevi?” ribatté lei sarcastica.
    Il ragazzo scambiò velocemente un'occhiata divertita con il compagno. Domandò: “E cosa vogliono?”
    “Oh, allora non vi ha detto tutto” notò l'altra con un tono alquanto compiaciuto. “Beh, questa è la parte interessante: non hanno chiesto nulla”.
    Weds tornò con lo sguardo verso la ragazza. “Come, scusa?”
    “Davvero, è così. Non ci sono richieste, eppure hanno preso in ostaggio il giudice Gheum”.
    “Non penso d'aver mai sentito nulla del genere, prima d'ora.” commentò Rodi.
    La rossa si voltò dalla parte opposta, dove gli altri soldati della squadra SERPENTE stavano preparando il contrattacco: erano in quattro. Il primo, Rheon, era un ragazzo dalla carnagione pallida e dai capelli albini; il viso era talmente squadrato che, se non fosse stato per i grandi occhi color mandorla, sarebbe stato un agglomerato di angoli e spigoli. Anche se cercava di non darlo a vedere, il labbro inferiore del militare tremava nervosamente, acompagnato da quasi l'intera mascella. Stava indossando il giubbotto antiproiettile, che aderiva alla perfezione sulle spalle larghe e muscolose.
    Jarrett era un ragazzo alto un metro e settanta, poco più del primo. Già ad una prima occhiata era possibile constatare che fosse un tipo molto serio. Il suo sguardo era glaciale, con due occhi azzurri talmente grandi che sembravano dover scoppiare da un momento all'altro ed un mento decisamente esposto. Anche la sua divisa metteva in risalto il suo fisico scolpito. Era rasato, il cranio assolutamento liscio metteva in risalto i suoi lineamenti longinei e appena accentuati.
    Di fianco a loro c'era l'unica ragazza, esclusa Egia. Uyma era la più bassa dell'intero gruppo, ma assolutamente più attraente della rossa: il suo corpo, decisamente più formoso, alla sola vista sembrava morbido e soffice, anche se nascosto dall'uniforme grigia dell'esercito. I lunghi e mossi capelli bruni davano l'impressione che i suoi occhi gialli brillassero come l'oro. Il viso era tondeggiante e sensuale, dai lineamenti delicati e le labbra carnose.
    Infine c'era Altin, il più alto della squadra dopo Rodi. Smilzo, con un fisico che si notava appena sotto la divisa, che, al contrario di quella degli altri, era di qualche taglia in più.
    Gli occhi erano scuri e la sua faccia era contraddistinta da due zigomi accentuati, in sintonia con il viso appena paffutello. Si guardava allo specchio con un ghigno soddisfatto, mentre con un pettine sistemava meticolosamente i lunghi capelli biondi in modo che coprissero interamente la fronte spaziosa.
    Egia diede un'occhiata veloce a tutta la squadra per poi rivolgersi all'ultimo ragazzo del gruppo: “Altin, smettila di fare il buffone davanti allo specchio e preparati come si deve!”
    “Sì, signora.” sbuffò il militare. Ripose il pettine in una tasca interna alla giacca grigia e con la mano sinistra finì di sistemare un ciuffo ribelle che gli finiva davanti agli occhi.
    “Mi raccomando ragazzi” continuò la rossa voltandosi nuovamente verso Weds e Rodi. “Scegliete bene le armi, e rimanete sempre in allerta”.
    “Come mai tutte queste precauzioni?” chiese Weds. “Attacchi del genere da parte di pseudo-terroristi sono all'ordine del giorno ormai, non dovrebbero essere più difficili di una qualunque esercitazione”.
    “Già!” aggiunse Altin, poco distante.
    “No, ragazzi” li riprese la giovane donna. “C'è la possibilità che non si tratti di un attacco come gli altri. Forse c'è un insieme di persone ben organizzate dietro”.
    “Come?” chiese Rodi squadrando con i suoi occhi plumbei la superiore.
    Egia, cercando di mantenere una voce atona, spiegò: “Stiamo parlando di un attacco diretto al tribunale di Mesimeri, una delle cinque più grandi città di Hyper Ouranos. C'è il rischio che si tratti di un'irruzione da parte di Anarkism”.
    A quelle parole, i volti dell'intero gruppo si tinsero di paura e stupore.
    Jarrett si fece ancora più cupo in viso e ripeté: “Anarkism...”
    Rheon, già pallido di suo, divenne praticamente vitreo e serrò completamente le labbra sottili.
    “No... non può essere” esordì Uyma con un filo di voce. La ragazza mosse la bocca, come se stesse cercando di aggiungere qualcosa, ma non riuscì più ad emettere alcun suono.
    Rodi e Weds si scambiarono un'occhiata perplessa, ripensando all'istante il rapporto che avevano consegnato poco prima al sergente Asimi.
    “No, aspetti un secondo, caporale!” irruppe lo smilzo avanzando di qualche passo verso la rossa. “Questo è uno scherzo di pessimo gusto! Deve essere uno scherzo!”
    Nonostante fosse un ragazzo superficiale e spavaldo, cercava di non dare a vedere quando aveva paura. In quella frase, però, tutti i suoi compagni riuscirono a percepirne.
    “Non lo è” rispose con semplicità la superiore.
    “Caporale, Altin ha ragione” intervenne il colosso. “La nostra squadra non ha abbastanza esperienza per poter affrontare nemici del genere. Perché i piani alti avrebbero dovuto inviare proprio noi?!”
    La ragazza scosse la testa. “Ragazzi, vi state facendo troppi problemi”.
    “Troppi problemi?!” sbottò Jarrett. “Questa è praticamente una missione suicida!”
    “Infatti” aggiunse Uyma. Deglutì, poi continuò: “Deve esserci un motivo per cui hanno mandato proprio noi!”
    “Ve l'ho già detto, Weds e Rodi si trovavano già qui e hanno pensato di inviare il resto della squadra”.
    “No...” esordì finalmente Rheon con la sua voce profonda. “Anche il sergente Asimi si trovava qui, avrebbero potuto mandare la squadra speciale”.
    La caporale sbuffò. “Soldati, piantatela e finite di prepararvi!”
    “EGIA!”
    L'urlo di Weds risuonò fra le pareti metalliche del mezzo. Tutto il resto della squadra si girò di scatto verso il ragazzo, che guardava dritta negli occhi la rossa. Lentamente cambiò espressione, senza più mostrare la fronte corrugata e le labbra increspate dalla rabbia, ma mantenendo uno sguardo deciso e penetrante.
    La donna rimase impietrita da quella sgridata, quasi fosse stato lui il più grande. I due si fissarono intensamente negli occhi per qualche secondo, poi la superiore cedette e chinò il capo. Abbassò lievemente le palpebre e con tono seccato spiegò: “Questa mattina è arrivata al Demiurgo una lettera minatoria firmata da un membro di Anarkism, per questo il comandante Aster ha ipotizzato che potesse trattarsi di loro: non si sono mai mossi tanto e così velocemente come in questi giorni, contando anche gli assassinii dei Reggenti. Ma non avendone la certezza i piani alti hanno preferito mandare un gruppo di soldati semplici, per evitare di scatenare il panico fra la gente di Mesimeri per un falso allarme”.
    I sei soldati della squadra SERPENTE rimasero in silenzio per qualche minuto. Jarrett, Altin e Rodi tornarono a ultimare i preparativi. Gli altri cercarono di far passare l'agitazione, finché Rheon non aprì bocca, probabilmente cercando conforto. Balbettò: “Qu-quindi... potrebbero anche essere dei comuni criminali”.
    Egia fece cenno positivo con il capo, subito seguito da una domanda di Uyma: “Ma se invece si trattasse proprio di loro?” Il tono di voce della ragazza si fece sempre più rotto e insicuro, cominciando a spezzare le parole e a concludere con difficoltà la frase: “Io non so se ce la farei contro di loro, loro... e io... io non ci riuscirei”.
    A quelle parole Altin si voltò, per osservare, come facevano quasi tutti gli altri, la militare, ormai in preda alle lacrime. Solo Jarrett rimase impassibile, si limitò a chinare il capo e a sospirare.
    “Ehi, ascoltami bene” la chiamò la caporale avvicinandosi. “Il comandante in persona è venuto da me prima di inviare la nostra squadra per parlare del rischio. Ho accettato perché credo che siate pronti... e perché prima o poi dovrai affrontare la tua situazione”.
    La bruna alzò lo sguardo arrossato, stupita da quelle parole. Tirò su col naso, dopodiché Egia le passò un fazzoletto e, guardandola dritta negli occhi dorati, aggiunse: “E' per questo che tu e tuo fratello siete entrati nell'esercito, no?”
    Uyma quasi sobbalzò a quelle parole. Si asciugò le lacrime, cercando di mascherare la paura con un velo di determinazione.
    “Non c'è bisogno di ricordarglielo” intervenne Jarrett, voltandosi verso le due ragazze. Incrociò le braccia e concluse: “Mia sorella è più forte di quanto possa sembrare”.

    L'unica particolarità del tribunale di Mesimeri, visto dall'esterno, era il tetto giallo dalla forma semisferica, che sembrava quasi disegnasse un secondo e gigantesco sole in cielo; per il resto, non presentava affatto un capolavoro di architettura. Era un palazzo di tre piani, ognuno dei quali decorato da nove ampie finestre. L'entrata principale era un enorme portone con ai lati due colonne che arrivavano fino alla cupola, terminando in un frontone dove era posta la grande statua di un uomo che, con le braccia rivolte verso il tetto del tribunale, sembrava uscire dal sole artificiale. Lo sguardo della scultura era rivolto alla strada, come se scrutasse attentamente tutti coloro che entravano nel tribunale.
    Weds osservò l'opera d'arte per qualche altro secondo prima di indossare il casco grigio. Tutta la squadra SERPENTE era quasi pronta a fare irruzione nell'edificio, Egia stava dando le ultime indicazioni ai suoi subordinati.
    “Rodi e Jarrett faranno il giro dell'edificio e creeranno un diversivo per permettere a noialtri di entrare dall'ingresso principale e prendere i terroristi fra due fuochi. Dopodiché ci divideremo in altri due gruppi per avanzare nel palazzo. Sono solo in sei, quindi dovremmo cavarcela senza problemi. Avete capito?”
    Tutti i membri fecero cenno positivo con la testa, Jarrett si fece scappare un: “Roger”.
    Poco lontano da loro, la folla in strada si stava velocemente radunando intorno alle transenne che impedivano qualunque accesso alla zona del tribunale per almeno venti metri. L'attenzione era completamente rivolta verso quel piccolo gruppo di soldati coperti dalla testa ai piedi con la divisa antiproiettile, caschi e anfibi corazzati, armi in mano e caricatori appesi ai fianchi.
    “Rodi, Jarrett” chiamò la caporale. “Farvi aggirare semplicemente il palazzo sarebbe da sciocchi, i terroristi vi noterebbero all'istante solo guardando fuori da una delle finestre; perciò dovrete salire sul camion, che vi farà scendere dall'altra parte dell'isolato. Fortunatamente il tribunale è alto solo tre piani, quindi non potranno notarvi se arriverete coperti dagli altri palazzi. Lanciate il solito segnale non appena sarete in posizione”.
    “Roger” esclamò nuovamente il ragazzo rasato. Subito dopo lui e il compagno salirono a bordo del furgone, mentre delle reclute cercavano di aprire un varco fra le transenne per permettere il passaggio alla vettura ma senza far introdurre i civili, ancora appostati dietro la barriera a curiosare.
    Una volta partito il mezzo, Weds si avvicinò alla caporale. “Scusami se prima ho alzato la voce”.
    “Non preoccuparti” rispose la rossa. “Ci conosciamo da quando eravamo bambini, probabilmente avrei fatto lo stesso al posto tuo”.
    Il moro potè notare senza difficoltà un pizzico di nostalgia nel tono della ragazza. Domandò: “Ti manca Archiki Selida?”
    “Non l'avrei mai detto, però... forse potrebbe mancarmi. Un po'”.
    “Lo prendo come un sì?”.
    “Se anche fosse, a te cosa importerebbe, soldato semplice Weds?” ribatté con sarcasmo la ragazza.
    “Nulla, caporale Egia. Io e il mio collega Rodi stavamo giusto pensando di far visita al villaggio durante i prossimi giorni di congedo”.
    “Ci rifletterò su, soldato” rispose la rossa divertita.
    “Ho capito, lo prendo come un sì” ridacchiò il moro.
    Egia indossò il casco, coprendo il sorriso che stava allargandosi da guancia a guancia. Rimasero visibili solo gi occhi color nocciola, che, attraverso la visiera verdastra, sembrarono tingersi di nero.
    “Basta perdere tempo” concluse la donna. “Ormai Rodi e Jarrett dovrebbero essere pronti”.

    I due militari avanzavano lentamente nascosti nell'ombra di uno stretto vicolo, l'ultimo prima di arrivare al tribunale. Il ragazzo rasato si sporse appena oltre il muro per controllare se l'area fosse libera dagli sguardi dei terroristi.
    Nessuno in vista. Fece un cenno con due dita al compagno, che prese dalla fondina una pistola segnalatrice; la impugnò saldamente e cominciarono a muoversi verso il tribunale. Appena raggiunsero i muri si chinarono per proseguire sotto le finestre. Jarrett avanzò alzando appena il viso per sbirciare la situazione all'interno dell'edificio e trovare la stanza in cui si nascondevano i nemici.
    Non appena ne ebbe individuati due si fermò sotto una finestra. Rodi, che gli stava dietro, si arrestò anche lui e puntò la pistola verso l'alto. Premette il grilletto, e un razzo segnalatore sfrecciò verso il cielo ed esplose, formando la piccola nube grigia che fungeva da segnale per gli altri serpenti.
    “Che diavolo succede?” esclamò uno dei terroristi sentendo il rumore dello scoppio.
    “Non lo so. Vado a controllare” gli rispose il compagno e si avviò verso la finestra. Sollevò il vetro, ma non appena si affacciò due mani lo afferrarono per le spalle e lo trascinarono fuori. Jarrett lasciò subito la presa e se ne occupò il colosso, bloccando il nemico sul terreno e facendo pressione con la mano destra sulla carotide dell'avversario, portandolo allo svenimento.
    “Che cazzo succede?!” sbraitò l'altro correndo al riparo dietro un angolo. Controllò che il suo mitragliatore, un MP40, avesse il caricatore pronto, ma non ebbe nemmeno il tempo di togliere la sicura all'arma che dall'entrata principale fecero irruzione i cinque membri rimanenti della squadra.
    “Fermo lì!” ordinò Egia, puntando contro il nemico la sua pistola Colt M1911. Il terrorista rimase immobile ad osservare lo schieramento di divise grigie che già lo tenevano sotto mira. Si voltò e vide che pure gli altri due soldati, entrati dalla finestra, lo stavano accerchiando. Il più basso di loro impugnava un MP40, sottratto al primo criminale.
    L'uomo sbuffò innervosito, abbassò lentamente il braccio destro per poggiare la sua arma sul pavimento mentre teneva l'altro ben alzato. La caporale si avvicinò, continuando a tenere sotto mira l'avversario; una volta raggiunto fece scivolare con un calcio il mitragliatore e subito dopo afferrò il terrorista per l'arto, chiudendolo verso la schiena.
    “Ottimo lavoro, ragazzi” si complimentò Egia. “Io, Uyma e Rheon rimarremo qui per evitare mosse inaspettate o tentativi di fuga. Weds e Altin, voi unitevi a Rodi e Jarrett e proseguite verso i piani superiori. Cercate di far uscire incolume il giudice Gheum”.
    “Ricevuto” rispose il moro.
    Il secondo ripose nella fondina la Colt e prese da un fodero sulla schiena un fucile d'assalto, la sua arma preferita: un Fedorov Avtomat.
    La caporale lo richiamò: “Cerca di non esagerare con quel giocattolo!”
    “Sì, sì” rispose con tono svogliato il sottoposto mentre caricava l'arma. Appena finì si girò verso i compagni ed esclamò: “Facci strada, campione”.
    Jarrett sbuffò. “Non ricordo più quante volte ti avrò detto di non chiamarmi così”, replicò mentre avanzava verso le scale. Gli altri tre lo seguirono; salirono fino al piano superiore, cercando di non farsi sentire dai nemici.
    Arrivati in cima alla scalinata, il campione si sporse appena oltre il muro, come aveva fatto poco prima. Verso la fine del corridoio poteva scorgere altri terroristi.
    “Sono solo in due” annunciò Jarrett ai commilitoni, “ma sono comunque troppo distanti per un attacco a sorpresa”.
    Weds e Rodi si scambiarono un'occhiata veloce. “Allora possiamo solo tentare un attacco preventivo, prima che ci scoprano” propose il moro.
    L'altro gettò un secondo sguardo. Uno dei nemici guardava fuori dalla finestra, probabilmente ancora insospettito del razzo segnlatore sparato dal colosso; fortunatamente non avevano fatto troppo rumore nel breve scontro al piano inferiore, quindi gli avversari non si erano allarmati troppo. “Va bene” accordò. “Però muoviamoci con cautela”.
    “Ricevuto” esclamò Altin, passando al fianco del gruppo con il fucile carico.
    “Aspetta Altin! Ehi, aspetta!” cercò di richiamarlo Jarrett, ma lo smilzo riuscì ad avanzare sino al corridoio. Puntò rapidamente verso la coppia di terroristi e fece fuoco.
    L'uomo alla finestra venne colpito ad una gamba, crollando al suolo. Il compagno si voltò istintivamente, scrutando per un solo istante il militare che stava mirando verso di lui. Si gettò al riparo dietro una colonna appena prima di essere colpito da un secondo proiettile, che si impattò sul muro di fronte.
    Rimase impietrito ad aspettare una raffica di colpi... che non arrivarono. Dopo qualche secondo si sporse appena oltre il muro e vide un altro soldato dare un calcio sul sedere a quello con il fucile!
    “Per l'ira di Zoì, che diavolo ti è preso?!” sbraitò Jarrett, incredulo di aver assistito da così vicino un'azione tanto avventata.
    “Ho fatto come hai detto tu!” replicò l'altro, massaggiandosi con una mano la natica dolorante. “Ho cercato di prendere vantaggio con un attacco preventivo!”
    “E quale parte di 'muoviamoci con cautela' non hai capito?”
    Altin boccheggiò, cercando le parole giuste per ribattere al tono noioso ed irritante del commilitone, ma, come ogni volta, si vide costretto a serrare le labbra. Si fece scappare un verso arrogante e si alzò in piedi.
    Il rumore metallico di un caricatore fece ricordare loro dove si trovavano. Jarrett tornò immediatamente dietro il muro e l'altro scattò dietro una colonna, appena un secondo prima di essere investito da un pioggia di pallottole.
    “Complimenti, genio!”
    “Allora facci di vedere come avresti fatto tu, campione!”
    “Ragazzi, potremmo cercare di collaborare?” chiese Weds. “Almeno un po'?”
    Jarrett sbuffò, poi portò una mano al giubbotto antiproiettili, dove erano appese delle granate. Ne prese una bianca di forma cilindrica e si preparò a lanciarla con la sinistra, mentre con la destra si teneva pronto ad estrarre la spoletta.
    Attese qualche secondo. L'avversario continuò a sparare ripetutamente con il suo MP40 finché non finì la prima serie di colpi. Non appena udì nuovamente il rumore del caricatore, il militare staccò con rapidità la spola e lanciò il lacrimogeno oltre la parete. La granata rimbalzò, arrivando alla fine del corridoio, rilasciando una piccola nube. Dopo poco si sentì il terrorista tossire, seguito da un rumore metallico; il caricatore cadde a terra, o forse la mitragliatrice stessa.
    “Via!” ordinò Jarrett. I quattro ragazzi scattarono verso la piccola coltre di fumo. I caschi gli avrebbero evitato di risentire degli effetti del gas. Rintracciare il nemico, o perlomeno la sua sagoma, non fu troppo complicato, grazie ai suoi numerosi e continui colpi di tosse. I soldati lo accerchiarono e nel giro di un minuto la nube stava già disperdendosi.
    Il terrorista era carponi sul pavimento. “Mi... mi arrendo” disse fra un colpo di tosse e l'altro.
    Mentre Altin lo teneva fermo, Rodi prese una corda da un piccolo scomparto all'interno del suo giubbotto antiproiettili, e legò l'uomo. Subito dopo prese un pezzo di stoffa e lo imbavagliò, per evitare che gridasse e potesse avvertire l'ultima coppia di nemici rimasta.
    Nel frettempo Weds fece lo stesso con il terrorista colpito alla gamba. Aveva perso i sensi, ma non sembrava in condizioni gravi. Gli fasciò la ferita sulla coscia e legò anche lui. Infine lo imbavagliò e lo distese sul pavimento.
    “Ho fatto” annunciò al resto del gruppo.
    Il colosso sospirò sollevato. “Bene”, disse.

    “Sapete, non sono più tanto preoccupato” esclamò lo smilzo mentre, assieme agli altri, si dirigeva al secondo piano. “Ne abbiamo sconfitti quattro abbastanza facilmente. Immagino che Anarkism non centri nulla”.
    “Meglio così, no?” domandò Weds, con tono sollevato.
    “Non saprei” rispose Jarrett. “C'è qualcosa che mi lascia perplesso”.
    “Cosa?”
    “Proprio il fatto che non siano membri di Anarkism” affermò, continuando a camminare e senza distogliere lo sguardo da davanti a sé. “Perché mai un gruppo di criminali da quattro soldi, di appena sei persone, dovrebbe attaccare il tribunale di una delle cinque grandi città e prendere in ostaggio un giudice senza nemmeno fare richieste di alcun tipo?”
    I tre compagni rifletterono su ogni possibile teoria. Rimasero in silenzio fino ad arrivare alle scale, quando Altin esclamò: “Forse il loro capo è semplicemente impazzito!”
    Il campione si fermò, voltandosi verso i compagni. “Se la caporale dovesse impazzire, di certo non ubbidirei ad ordini suicidi”.
    “Ma Egia è già pazza da anni.” ribatté sarcastico il moro, avanzando su per i gradini.
    “Oh, andate al diavolo!” sbottò l'altro. “Possibile che non riusciate mai a prendere nulla sul serio?”
    Lo smilzo soffiò spazientito. “Ma perché devi farti tutti questi problemi? Adesso ci basta pensare ad eseguire gli ordini e catturare gli ultimi due rapitori”.
    “Già” concordò Rodi. “A chiarire tutto basteranno gli interrogatori”.
    “Esatto!” aggiunse Altin con entusiasmo, come se l'intervento del colosso gli avesse acceso una lampadina.
    Il campione sbuffò. Anche se di solito capitava solo con sua sorella Uyma, non amava dover ammettere di essere nel torto. Riprese a camminare, arrivando in cima alle scale; Weds stava già controllando se ci fossero nemici nei paraggi.
    “Ne vedo solo uno” annunciò. “Si trova davanti ad una porta... sembra che stia facendo il palo”.
    “E come volete agire, eminenza?” domandò lo smilzo rivolto a Jarrett, che come risposta lo ignorò completamente.
    “Stai a guardare, genio” fece il moro. Aprì il caricatore della sua Colt e prese un singolo proiettile, dopodiché si appiattì contro il muro e lanciò verso l'angolo opposto il bossolo metallico.
    All'udire di quel piccolo suono tintinnante, il terrorista alzò istintivamente il capo. Fece un paio di passi per avere una visuale completa del corridoio, ma non riuscì a capire cose fosse stato.
    “C'è nessuno?” esordì a gran voce. Nessuna risposta, ovviamente. I militari rimasero in assoluto silenzio. L'uomo tirò su col naso e controllò che la sua mitragliatrice fosse carica. Gli tremavano le mani, quindi gli ci volle un po' per reinserire i colpi nell'arma. Una volta finito cominciò ad avanzare molto lentamente verso la zona opposta a dove si trovava.
    Weds rimase immobile, pronto a colpire con la sua semi-automatica non appena il rapitore si fosse avvicinato abbastanza. Il rumore dei passi si avvicinava sempre di più, finché finalmente vide spuntare da dietro l'angolo il naso dell'uomo.
    Il moro lo colpì duramente sul viso con il calcio della pistola e in una manciata di secondi l'uomo venne placcato da quattro soldati che lo presero e lo sbatterono al suolo. Gli ci volle un po' per rendersi conto di cosa fosse successo, ritrovandosi legato e imbavagliato, con il fucile a diversi metri di distanza.
    “Ecco, questa si può definire strategia”.
    “Ma piantala” ribatté lo smilzo dirigendosi verso la porta. Jarrett e Rodi si trovavano già lì davanti. Gli altri due si piazzarono ai lati dell'entrata, ben appiattiti sul muro.
    Il primo fece un cenno col capo e subito il colosso diede un potente calcio che spalancò la porta. Il campione entrò di getto tenendo pronta l'MP40 che si era procurato al piano terra, subito seguito dagli altri tre serpenti.
    Era la sala delle udienze, con tanto di posti a sedere e banco degli imputati; su alcuni di essi vi erano dei grossi buchi. In fondo alla stanza, seduto al suo tavolo, vi era un uomo di mezza età, con il viso contornato da corti capelli e una folta barba, entrambi grigi. Portava un paio di occhiali dalle lenti molto spesse che gli coprivano gli occhi ed indossava una toga nera. Il giudice Gheum.
    Jarrett guardò meglio e notò che non era solamente seduto, ma aveva le mani legate alla sedia e un pezzo di scotch sulla bocca. L'uomo cercava nervosamente di indicare qualcosa con la testa, rivolto verso il tavolo.
    Il soldato riuscì a notare in tempo una canna argentea sbucare da lì sotto. “GIU'!”
    Lui e i suoi tre compagni saltarono appena in tempo fra una fila di panche e un'altra. Un proiettile esplose su una di esse.
    “Che potenza” commentò eccitato Altin mentre fissava il foro nel legno, largo almeno quanto un pugno.
    “Quello... è un revolver!” disse sbalordito Weds mentre osservava anche lui la cavità. “Siamo messi male”.
    Rodi, che si era gettato nella fila opposta di panche, cercò di studiare velocemente la situazione. Si guardò intorno e contò tutte le munizioni che erano già state usate. Arrivò fino ad otto quando a pochi centimetri dalla sua testa esplose un altro colpo. Si abbassò di scatto sul pavimento, e con quello facevano nove.
    - Un revolver può tenere al massimo sei colpi per volta... quindi gli rimangono tre colpi prima di dover ricaricare. -
    Il colosso si concesse un respiro profondo, poi, cercando di contenere il tono di voce, chiamò: “Altin! Passami il tuo fucile!”
    L'altro rispose con un'espressione incredula, come se non credesse a ciò che aveva sentito.
    “Passami il tuo fucile!”
    Il genio scosse la testa, deciso a non separarsi dalla sua arma.
    “Passamelo!” ripeté Rodi, ma l'altro continuò a dire di no.
    “Per l'amor di Zoì, gli vuoi passare quel cazzo di fucile?!” intervenne Jarrett ad alta voce, dalla panca dietro a quella dove si nascondevano Altin e Weds. Il nemico sparò in direzione della voce del militare, invece il colpo raggiunse il posto davanti a lui, dove c'era il moro. Il soldato semplice si piegò su se stesso, cercando di trattenere i gemiti. Si portò la mano sinistra alla spalla ferita; la pallattola era arrivata sulla cinghia destra.
    “Merda!” sbottò lo smilzo a bassa voce. Si allungò sul pavimento e fece scivolare il suo amato Fedorov Avtomat, in direzione del compagno. Da dietro il banco del giudice partì un colpo non appena il rapitore vide sbucare l'arma, ma mancò il bersaglio.
    Il fucile si fermò a pochi centimetri dalla panca. Rodi rimase disteso ad osservare l'amico d'infanzia che si contorceva, cercando di resistere al dolore. Chinò il capo, cercando di abbassare la tensione, e di concentarsi: un colpo. Al nemico rimaneva una singola cartuccia, c'era ancora una possibilità di portare fuori di lì Weds prima che la situazione diventasse critica... ma si sarebbe dovuto sbrigare!
    Allungò la mano e prese il fucile. Alla vista del braccio del soldato subito il rombo di uno sparo echeggiò nella stanza, ma nemmeno quest'ultimo tentativo andò a segnò.
    Il colosso si alzò subito in piedi e iniziò a sparare in direzione del banco, mirando solo a un lato per non colpire il giudice. Cominciò ad avanzare, accoppiando un colpo ad ogni passo. Dopo un poco il legno non solo si riempì di fori, ma prese anche a saltare in pezzi. Rodi continuò ad avanzare sparando anche accanto al tavolo, per assicurarsi che il nemico non saltasse fuori di scatto.
    Raggiunse il tavolo in fondo all'aula che della scrivania era rimasta una metà scarsa. Il castano arrivò con il fucile puntato verso il pavimento, dove era accovacciato il rapitore, e capo dei criminali. L'uomo aveva ancora in mano la sua revolver e nell'altra le pallottole di ricambio. Quando si ritrovò faccia a faccia con il soldato si fece pallido. Poi sospirò, come se sapesse già dall'inizio che sarebbe successo.
    Infine aprì le dita e fece cadere a terra arma e munizioni, rimanendo con le mani alzate in segno di resa.

    Edited by ciel - 8/9/2011, 21:40
     
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  9. ciel
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    Ed ecco (finalmente) il nuovo capitolo. Sì, lo so, meriterei la pena capitale...

    CITAZIONE
    Wordcounter (Capitolo 4): 3'906

    Capitolo 4
    Alfa


    Egia, Uyma a Rheon ancora attendevano al piano terra. La caporale teneva costantemente d'occhio i due delinquenti legati ed imbavagliati; ogni tanto faceva qualche passo, per smorzare l'attesa.
    L'altra ragazza invece passeggiava continuamente avanti e indietro, tenendo d'occhio le scale, sperando che suo fratello e gli altri sarebbero tornati tutti interi. Infine, l'albino era fermo immobile in un angolo della stanza. Era talmente nervoso e rigido che, se ogni tanto non avesse mosso la testa per controllare prima la scalinata e poi la porta d'ingresso, lo si poteva davvero scambiare per una statua di marmo.
    All'ennesima volta che si girava verso l'entrata, notò un gruppo di uomini vestiti di grigio avanzare verso di loro. Ne erano sei, anch'essi soldati. Uno con un calcio spalancò la porta e gli altri entrarono velocemente puntando le loro Colt verso il centro della stanza, dove si trovavano immobilizzati i terroristi. Ad incitarli vi era il colonnello Asimi, che entrò subito dopo di loro ed avanzò in mezzo alla stanza abbaiando ordini.
    “Assicuratevi che i nemici siano ben legati, poi portateli fuori di qui e setacciate bene l'edificio! Non voglio che i novellini della SERPENTE si siano lasciati sfuggire sorprese indesiderate!”
    Egia si tolse il casco, mostrando un'espressione incredula quanto infuriata. “Asimi! Che diavolo ci fai qui?!”
    “Ho richiesto personalmente che sia la squadra VOLPE ad occuparsi del trasporto e dell'interrogatorio dei terroristi” affermò la donna.
    “Ah certo, il lavoro pesante lo lasci agli altri!” sbottò la rossa.
    “Bada a come parli, ragazzina! Devo ricordarti chi è il colonnello, qui?”
    La caporale sgranò gli occhi. Uyma e Rheon conoscevano bene quello sguardo, la rabbia stava divenendo puro istinto omicida. Tuttavia riuscì a contenersi, e rispose alla superiore: “Nossignora... lo ricordo”.
    “Mi auguro che i tuoi cani siano altrettanto bravi a mettere la coda fra le gambe, quando serve” continuò l'argentea, dopo essersi lasciata scappare un verso di soddisfazione.
    Le due donne rimasero immobili a fissarsi negli occhi, ogni secondo passato si sentiva nell'atmosfera una crescente aria di sfida. Ma appena prima che potessero gettarsi l'una al collo dell'altra, dalle scale si sentì l'eco di numerosi passi scendere velocemente.
    Tutte le persone ebbero appena il tempo di voltarsi, che subito arrivarono in fretta e furia Altin e Rodi. Weds era fra di loro, sorretto a braccetto, indebolito dalla perdita di sangue alla spalla.
    “Oh cielo!” esordì Uyma vedendo il compagno ferito. Rheon invece rimase impietrito, impallidendo tanto da sfidare nuovamente ogni possibile legge della natura.
    “Weds!” lo chiamò Egia. Si avvicinò velocemente al moro, chiamandolo ancora. “Weds!”
    Asimi si avvicinò e chiese: “Dov'è il giudice Gheum?”
    “Dobbiamo portarlo immediatamente in ospedale” affermò Altin, ignorando il colonnello.
    La rossa annuì con la testa. Tolse il moro all'amico, per farlo respirare meglio, e subito ordinò: “Qualcuno dica all'autista di portare immediatamente la macchina all'entrata!”
    Uyma e un membro della squadra VOLPE scattarono subito verso l'esterno. Uscendo, la mora si fece scappare un altro: “Oh cielo!”
    “Ehi!” esclamò l'argentea. “Ho chiesto dove si trova Gheum!”
    “E' qui con me” rispose una voce dalle scale. Dal piano superiore scese Jarrett, seguito subito dietro dal giudice.
    L'uomo aveva un'espressione attonita, quasi shockata; a stento riusciva a formulare una frase di senso compiuto.
    “Signor Gheum! Sono il colonnello Asimi, ora andrà tutto bene” disse la donna avvicinandosi. Poi, voltandosi verso l'ultimo arrivato, chiese: “Gli altri terroristi?”
    “Sono stati tutti immobilizzati” rispose il ragazzo. “Il loro capo si trova nella sala delle udienze dell'ultimo piano”.
    Con un veloce gesto del capo, il colonnello si voltò verso le volpi e ordinò: “Salite a prenderli e portateli tutti giù”.
    Un trio di soldati si avviarono velocemente verso le scale impugnando saldamente le loro Colt. Nello stesso istante rientrò nella sala Uyma, avvisando che il furgone era pronto.
    “Forza ragazzi, andiamo!” ordinò Egia. Poi, diretta verso l'autista: “All'ospedale militare di Mesimeri!”. E, infine, si girò verso Asimi e concluse: “Lascio il resto a te. Tanto, sei venuta per questo, no?”
    La squadra SERPENTE caricò Weds a gran velocità a bordo del mezzo; salirono anch'essi e la vettura partì.
    Il colonnello sbuffò, innervosita dal comportamento indisciplinato di quei soldati. - Mezze cartucce – pensò, mentre le veniva in mente quanto assomigliassero ad Egia durante il suo periodo di addestramento.

    Il sole era quasi tramontato e i suoi raggi si stavano indebolendo, lasciando posto alla notte.
    “Accendi la luce” disse un militare ad un altro.
    Il compagno si alzò dalla sedia e si diresse verso l'interruttore. Un secondo dopo la stanza si illuminò e il soldato rimase lì, appoggiandosi con la schiena al muro.
    Era una piccola sala completamente quasi priva di arredamento. Vi erano solo un tavolo, al centro, con due sedie; lì vicino vi era un archivio dove erano poggiate tre tazze da caffè vuote. Uno dei cassetti era aperto, mostrando una lunga fila di cartelle, le più vecchie datate dieci anni prima.
    Il militare seduto al tavolo stava rileggendo il rapporto con fare annoiato. Dopo pochi minuti cominciò a sfogliare più velocemente, senza neanche soffermarsi sulle parole scritte.
    Il collega giocherellava con una moneta da cinque dracme, lanciandola continuamente in aria e riprendendola al volo prima che cadesse.
    Passò qualche minuto, finché si sentì bussare alla porta. “Avanti”, esordì il militare poggiato al muro. Entrò un signore alto vestito con un lungo cappotto scuro ed un cappello nero in testa.
    “Entri pure, generale Juin” disse il primo soldato alzandosi in piedi.
    “Scusate se ci ho messo tanto” disse subito il nuovo arrivato, togliendosi il copricapo. Dal viso poteva avere poco più di trent'anni, al massimo. I suoi capelli castani erano pettinati accuratamente all'indietro; gli occhi piccoli e neri si posarono sull'individuo dalla parte opposta del tavolo, seduto con lo sguardo rivolto verso il basso e le mani legate.
    “Purtroppo il comandante Aster è impegnato al Prostomiaion” continuò l'ufficiale, “ma quando ha ricevuto il telegramma mi ha subito spedito qui. Del resto, non ci aspettavamo di certo di trovare te coinvolto in questa faccenda... Zisk”.
    Il criminale alzò il viso. Era un uomo fra i quaranta e i cinquant'anni, robusto e muscoloso. Un lungo sorriso gli attraversò la faccia, contraendola per le rughe che cominciavano a farsi ben visibili. Gli occhi blu scuri, scavati, erano soprassediati da lunghi ciuffi color zafferano che coprivano la fronte spaziosa; il naso largo, il mento pronunciato e i lineamenti decisi e marcati formavano il disegno esatto di un volto, tutto sommato, tanto squadrato quanto affascinante.
    “Quanto tempo, Juin!” esordì finalmente l'uomo. “E' dal famoso incidente alla sede di ricerca militare di Chefalau che non ci si vedeva. Quanto anni sono passati, dieci?”
    “Dieci anni, Zisk” confermò il generale. “Dove ti sei nascosto per tutto questo tempo?”
    “Non spererai davvero che ti sveli una cosa del genere!”
    “No, infatti” disse l'altro sfilandosi il cappotto. Poggiò l'abito sul tavolo e si mise a sedere. “Fra due anni il tuo caso sarebbe caduto in prescrizione, perciò dimmi: perché hai deciso di tornare proprio ora, dopo tanti anni di inattività... con un attentato al tribunale di Mesimeri?”
    Il biondo non rispose subito. Abbassò lo sguardo per qualche secondo, come se stesse cercando le parole.
    Il generale continuò: “Non sarà un'altra delle tue crociate anti governative?”
    “A dir la verità non proprio. Per farla breve, mi è stata fatta un'offerta”.
    “Un'offerta?”
    “Già”.
    I due si fissarono negli occhi per un po'. Juin sembrava insospettito, al contrario di Zisk che dava tutta l'aria di essere a suo agio. Nel frattempo, il soldato seduto al banco lì vicino si stava occupando di trascrivere con una macchina da scrivere accuratamente ogni parola del dialogo.
    Il militare proseguì: “Hai cominciato partecipando a piccole manifestazioni che si lamentavano del precedente Demiurgo. Poco alla volta ti sei spostato verso attacchi di piccolo stampo, per poi arrivare a vere e proprie azioni terroristiche, fino a dieci anni fa. Sei rimasto latitante per tutto questo tempo, ma spesso hai spedito delle lettere intimidatorie alle più grandi testate periodiche del paese, accusandole di infangare le notizie con delle falsità... ma ora Hyper Ouranos è un paese nuovo, il popolo è felice di questo nuovo governo. Che genere di offerta ti è stata fatta per convincerti a tornare in pista?”
    “Una proposta molto allettante” rispose il criminale. “Questo mondo, e il sistema alla sua base, soffrono ancora di molti approfittatori affamati di potere e denaro! Su questo sarai d'accordo con me”.
    Il soldato al banco continuava a battere, senza lasciare una singola parola. Il suono dei tasti premuti in continuazione riempivano quelle piccole pause.
    “Vai avanti” fece Juin.
    “Poi è arrivato lui, che mi ha offerto questo lavoro in cambio di un ingente somma di denaro: io ed alcuni dei miei uomini avremmo attaccato il tribunale. Aveva anche detto che avrei già trovato sul posto, travestiti da civili, i suoi subordinati”.
    Zisk si fermò. Mentre fissava il tavolo, un alone di malinconia sembrò attraversargli gli occhi. Il generale chiese: “Ma questi subordinati non c'erano, giusto?”
    “Già. Io e i miei cinque uomini ci siamo ritrovati a nostra volta come degli ostaggi, ma ce ne siamo resi conto troppo tardi”.
    “Quanto denaro ti ha offerto, per gabbarti così?”
    “Svariate... svariate decine di milioni di dracme. Una somma più che sufficiente per permettere a me ed ai miei uomini di continuare a fuggire, oppure di riprende il nostro operato con più mezzi e possibilità di prima”.
    “Capisco... ma chi è questo tizio che ti ha offerto un lavoro? Come ti ha trovato?”
    “Effettivamente non so neanche io come mi abbia trovato. Ha affermato di avere conoscenze e mezzi non indifferenti, e che comunque non avevo bisogno di saperlo”.
    “Ti sei lasciato abbindolare così?” chiese incredulo l'ufficiale.
    “Fra dissidenti politici ci si capisce” rispose il biondo accennando ad un ghigno.
    “Terroristi, direi. Ma lui chi è, un membro di Anarkism?”
    A quel nome, Zisk ebbe un sussulto. Ma dall'espressione, sembrava più un cenno di ammirazione. “No” rispose. “Non credo. Altrimenti perché avrebbe dovuto ricorrere ad un fuggitivo?”
    Juin sospirò e disse: “Sai, un capro espiatorio torna spesso utile”.
    Il tono del terrorista si fece cupo, diventando quasi minaccioso. “Stai insinuando che mi ha soltanto usato come copertura? Per che cosa?”
    “Non lo so, Zisk. E' solo un'ipotesi, quindi non vorrei scendere nei particolari”.
    “Però in questa ipotesi abbiamo a che fare pure con Anarkism, vero? Altrimenti non me lo avresti chiesto”.
    L'altro lo riprese con tono severo: “Non sei tu quello che fa le domande, qui. Ora, rispondi a questa domanda e chiudiamo qui questa faccenda: lui chi è?! Come si chiama?”
    Zisk sbuffò, come se facesse fatica ad accettare l'idea di esser stato solamente un pedone su un campo da gioco molto più grande. Poi prese fiato e rispose: “Quaz”.
    “Quaz?”
    “Non so se sia il suo vero nome. A me ha detto di chiamarsi così”.
    “Ho capito”. Juin si alzò in piedi, riprese il suo cappotto lungo e il suo cappello scuro e, voltandosi verso il soldato che si era occupato di stilare il rapporto, chiese: “Hai trascritto tutto?”
    “Certo”.
    “Ottimo. Speditene subito un telegramma al Demiurgo” ordinò l'uomo. Indossò il soprabito e, avviandosi verso la porta, concluse: “Ah, e naturalmente sbattetelo in cella. Chissà che standosene al fresco non gli torni in mente qualcos'altro”.

    Gli occhi si aprirono lentamente, dando poco alla volta forma a tutti gli oggetti nella stanza.
    Weds si tirò su, mettendosi a sedere sul letto. La spalla destra e parte del petto erano fasciati stretti e con cura; si stiracchiò e con il volto ancora assonnato si guardò intorno, gli ci volle poco per capire che era la stanza di un ospedale. L'odore di disinfettante, i cassetti straripanti di garze e Rodi seduto su una sedia proprio di fianco al letto.
    “Ben svegliato” esordì il colosso; la sua voce grossa e profonda quel giorno era più rauca del solito. Chiuse un libro che teneva fra le mani e lo poggiò sul comodino lì vicino.
    “Quanto—” cominciò il moro. Si fermò per schiarire la voce e riprese: “Quanto tempo ho dormito?”
    “Quasi un giorno intero”.
    “Sei rimasto qui tutto il tempo?”
    Il castano blaterò qualcosa, lasciando alcune parole a metà. Sospirò, poi pronunciò bene: “Erano tutti molto preoccupati. Sono qui fuori, i dottori non volevano che rimanessimo in più di uno”.
    “Bene”. I due amici rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Weds chiese: “Possono entrare oppure vogliamo goderci questo momento di intimità fra di noi?”
    “Non cominciare” rispose l'altro alzandosi in piedi; accennò un sorriso. Aprì la porta della stanza e si affacciò fuori, dove gli altri cinque serpenti attendevano da parecchie ore. La voce cavernosa di Rodi echeggiò dal corridoio e poco dopo tutti i loro compagni fecero irruzione nella stanza. Fra i sospiri di sollievo dei ragazzi si sentì Umya esclamare un “Oh cielo!” e, poco dopo, quando tutti erano già entrati, anche Egia chiamare l'amico d'infanzia.
    “Ciao caporale!” la salutò allegro il ferito.
    “Ciao un corno!” rispose la ragazza con tono stizzito. “Dovevi proprio farti colpire mentre arrivava Asimi?!”
    “Oh, buon Zoì, sarebbe stato meglio se avessi continuato a dormire...”
    Uyma, Rheon ed Altin si lasciarono scappare una fragorosa risata. Persino Jarrett sembrò divertito.
    Per Weds la sorpresa di aver catturato uno dei più ricercati terroristi degli ultimi vent'anni fu enorme. L'intero gruppo rimase a chiacchierare per quasi due ore, finché un'infermiera entrò nella stanza annunciando che era l'ora di cambiare le fasciature, e che quindi poteva rimanere solo uno di loro; restò Egia.
    Con fare automatico, la medicante tolse le garze svelando la ferita rotonda sulla spalla destra del ragazzo; subito dopo si diresse verso i cassetti e tirò fuori da uno di essi una bottiglia di disinfettante, vuota. La donna brontolò qualcosa che i due ragazzi presenti nella stanza non colsero bene, poggiò malamente il flacone di plastica sulla cassettiera ed uscì dalla stanza per andare a prendere una bottiglia piena, ignorando completamente quella vuota rovesciarsi e cadere per terra. Weds ed Egia rimasero ad osservarla rotolare sul pavimento, fino a fermarsi contro il muro.
    La ragazza sospirò, si sedette sul letto e poggiò una mano sul braccio dell'amico, strattonandolo per vedere meglio la ferita.
    “Ehi, sta' più attenta!” la riprese il moro. “Fa ancora male!”
    La rossa lasciò la presa e commentò: “Nulla di grave... come avevano detto i dottori, per fortuna”.
    “Lo credo bene, sono medici! Sapranno fare il loro lavoro, no?”
    Egia si fece scappare una risatina. Contemplò per qualche altro secondo la ferita dell'amico e, spostando lo sguardo, chiese: “E quella cos'è?”
    “Cosa?”
    “Questa”. La caporale indicò un simbolo appena dietro la spalla sinistra di Weds, una macchia sulla pelle dalla forma simile a quella di una lettera: α.
    “Oh, questa? E' solo una voglia che ho dalla nascita” spiegò il ragazzo.
    La rossa continuò a fissare il segno. “Curioso: somiglia molto ad un'alfa, la prima lettera dell'alfabeto della lingua antica...”.
    “Già” disse l'altro, cercando di scrutare la voglia volgendo lo sguardo verso la spalla. “Detta così potrebbe sembrare uno dei due simboli della profezia degli Elleni, non trovi?”
    “Vero. Però è solo una favoletta, non illuderti: di certo non sei uno degli eletti!” Egia si alzò dal letto e, con tono scherzoso, aggiunse: “E poi, uno come te non sarebbe in grado di compiere la profezia!”
    “Oh, grazie mille per la fiducia!” esclamò ridendo il ragazzo.
    La ragazza si diresse verso la porta, ma prima di uscire si fermò, voltandosi nuovamente verso l'amico e disse: “Ora scusami, ma devo finire il rapporto per quella stronza di Asimi”. L'ultima parte della frase la sussurrò appena. “E un'altra cosa: mentre dormivi ho richiesto un congedo di tre giorni per l'intera squadra. Non sono molti, ma visto che sei stato ferito sul campo ci verrà concesso sicuramente. Potremo partire per Archiki non appena ti sarai ripreso!”
    “Oh, grandioso!” esultò il moro. “Grazie mille!”
    La rossa sorrise. “Siamo amici, no?” chiese, appena prima di uscire.

    I primi raggi del sole illuminavano gli elevati grattacieli e gli enormi complessi residenziali di Chefalau, la capitale di Hyper Ouranos.
    Al centro vi era un vertiginoso palazzo che gettava su una parte della metropoli un'intensa striscia d'ombra; paradossalmente però, quello stesso edificio vantava di un'architettura composta di colonne in marmo bianco e immense vetrate che riflettevano la luce solare, donando ancora più luminosità a quasi tutta la città. Da terra era difficile notare la balconata dell'ultimo piano e, più in alto, sopra il tetto spiovente, un ulteriore piano composto da una sola piccola stanza circondata da mure candide e, all'esterno, altre colonne. Da essa si innalzava, ancora più in alto, un'asta dove sventolava una gigantesca bandiera blu dove era riportato il disegno del sole con quattro raggi che formavano una croce, il simbolo del mondo. Era il Prostomiaion, residenza del Demiurgo e sede del Concilio.
    Il capo di stato si trovava nella balconata ad ammirare la città svegliarsi, quando dalla porta finestra arrivarono il comandante Aster e Voreja.
    “Buongiorno” li salutò il Demiurgo con un ampio sorriso sul suo volto vissuto. “Mi è dispiaciuto avervi buttato giù dal letto così presto, ma il telegramma che vi ho inoltrato a me è arrivato nel bel mezzo della notte. E dato che il Reggente del Nord non è ancora ripartito per Mesanychta, sarebbe stato il caso di convocarvi entrambi qui”.
    “Non si preoccupi, signore, ero già in piedi quando è arrivato il telegramma” disse l'ufficiale dell'esercito.
    Voreja rimase in silenzio, cercando di tenere chino il capo per nascondere le occhiaie. Il Demiurgo sorrise e domandò: “Avete letto il telegramma del generale Juin?”
    Entrambi annuirono. Fu sempre Aster a parlare: “Non mi aspettavo di certo che avremmo nuovamente avuto a che fare con quel traditore di Zisk”.
    “Magari fosse solo questo il problema!” esordì il Reggente del Nord, interrompendo bruscamente l'altro. “Sarà anche un criminale come pochi, ma Zisk con la sua versione dei fatti ha reso molto più plausibile l'ipotesi che abbiamo formulato giusto ieri: secondo me, Quaz è veramente un membro di Anarkism che vuole staccarsi dal gruppo!”
    Il Demiurgo rimase in silenzio. Alzò lo sguardo al cielo sospirando e si girò, tornando ad osservare Chefalau.
    “Non possiamo esserne certi” ribatté Aster. “Il modus operandi rientrerà pure nelle strategie già usate da Anarkism, ma non possiamo decretare con certezza che sia davvero di un solo individuo che agisce per conto proprio!”
    Voreja lanciò un'occhiataccia al militare, ma prima che uno dei due potesse dire altro, fu il Demiurgo ad intervenire.
    “Signori, state di nuovo perdendo di vista il vero punto della questione”. L'uomo continuò a parlare dando le spalle agli altri due presenti. “Dovremmo cercare una buona strategia difensiva per il governo senza che il popolo debba intimorirsi, chiunque sia il nemico in questione... Anarkism o non Anarkism”.
    “Ha ragione” rispose Aster, “ma come possiamo difenderci se non sappiamo nemmeno qual'è il nostro avversario”.
    Il Demiurgo sospirò nuovamente e chinò il capo, cercando le parole adatte, ma prima di poter aprire bocca fu Voreja a rispondere per lui. “Finché continui a ragionare come un militare, non troverai mai una soluzione a problemi che non si risolvono con le pistole”.
    Il comandante alzò di scatto un pugno chiuso con l'intento di colpire il Reggente, ma si bloccò da solo quando si accorse che il capo dello stato si stava girando. Abbassò in fretta il braccio e, con tono insolente, chiese: “E sentiamo, lei cosa propone?”
    L'altro ridacchiò, poi rispose: “E' vero: non sappiamo con certezza chi sia il nemico, ma possiamo comunque difenderci rendendo vane le sue azioni compiute finora”.
    “Come?” chiese il militare. “Cioè... cosa intende per rendere vani tre omicidi?”
    “Le tre vittime sono tutte figure di spicco della politica, quindi è ovvio che fra le conseguenze l'assassino sperava di ottenere l'orrore e il panico nella popolazione. Ma se invece noi...”
    “N-no!” lo interruppe il Demiurgo. L'uomo si voltò verso gli altri due con un'espressione a metà fra lo stupore e la rabbia. “Già ero incerto quando mi avete convinto a frenare la fuga di notizie sugli altri tre omicidi, ma ora addirittura far finta che non sia successo nulla... no, non ha la minima intenzione di fare nulla di tutto ciò!”
    “Ma signore, cercate di riflettere” proseguì Voreja. “L'unico motivo per cui vi abbiamo chiesto di trattenere le notizie già dalla morte di Anatolì era proprio per evitare che la popolazione cadesse nel panico, almeno finché non avessimo saputo con certezza chi ne era il responsabile!”
    “Ma la popolazione non si merita di essere portata in giro! Vuole la verità, e io voglio darle la verità! Le persone non hanno bisogno di queste... queste cazzate per sentirsi meglio!”
    “Ma a volte la gente ha paura della verità, se la verità è qualcosa che non conosce” replicò Aster. Sia Voreja che il Demiurgo rimasero sorpresi dall'intervento del militare.
    “E allora... cosa consigliate di fare?” chiese il capo dello stato con un tono di voce avvilito.
    Il Reggente del Nord scrutò velocemente lo sguardo del comandante, poi si schiarì la voce e disse: “Io proporrei di continuare a tenere nascoste le morti dei tre Reggenti. Però—” si affrettò ad aggiungere l'uomo, “ovviamente, solo fino a quando non avremo acciuffato almeno questo Quaz”.
    “Ma... sono più di dieci anni che l'esercito è sulle tracce di Anarkism. Non potremo fare finta di niente troppo a lungo” ribatté il Demiurgo. Soffiò, come per scacciare la tensione, e chiese: “A questo avevate pensato?”
    “A dir la verità, sì” rispose sicuro Voreja. “Basterà far sì che non serva più nascondere i loro omicidi... mostrando in pubblico Anatolì, Dysi e Notia”.
    Aster e il Demiurgo si scambiarono un'occhiata perplessa, dopodiché entrambi volsero lo sguardo verso il Reggente del Nord, che già ridacchiava...

    Le pareti di roccia venivano illuminate di un colore caldo dalle numerose candele appese alla caverna. Un arredamento spartano: un tavolo, un letto e pochi altri mobili riempivano la stanza.
    Sdraiato sul letto c'era un uomo sulla trentina; i lunghi boccoli neri si allargavano sul cuscino soffice, gli occhi azzurri si muovevano da un lato all'altro nel leggere il quotidiano che il giovane teneva fra le mani.
    L'articolo che lo interessava annunciava una celebrazione in onore degli dei che si sarebbe tenuta la settimana successiva a Chefalau. Ma ciò che veramente incuriosiva l'individuo erano poche righe: “Alla celebrazione prenderanno parte anche il comandante Aster e i quattro Reggenti”.
    L'uomo si alzò a sedere sul materasso. Il fisico era longilineo, appena nascosto sotto la stoffa rossa di un soprabito, e i tratti del viso addirittura gli davano un'aria quasi sciupata. Sul volto di Quaz si allargò un ghigno e, pensando ad alta voce, esclamò: “Sono rimasti zitti e buoni per tre giorni e adesso se ne escono con questa storia? Bene... sono proprio curioso di sapere cosa si sono inventati!”
     
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8 replies since 12/8/2010, 16:09   218 views
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