Metal Gear Solid: leopardus pardalis

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  1. ciel
     
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    Salve a tutti, ladies and gentlemen!
    Non sto a dire nulla, questa one shot è incentrata su uno dei miei personaggi preferiti della saga di MGS. Ho cercato di sistemare le cose in modo che potessero riallacciarsi alla trame vera senza contraddizioni... infatti è venuta molto più lunga di quanto mi aspettassi (10 pagine... menghia :UPirate: )
    Buona lettura!


    METAL GEAR SOLID
    leopardus pardalis



    1953, Groznyj Grad (URSS).
    Un bimbo di otto anni si guardava intorno fra le grandi foglie di un giardino tropicale. Con i suoi occhi blu scrutava attentamente il paesaggio verde che rigoglioso era stato fatto crescere in un luogo chiuso.
    Avanzava in punta di piedi, cercando di essere il più silenzioso possibile. Si fermò ad occhi sgranati e bocca socchiusa, come per prepararsi all'attacco.
    E poi saltò verso la sua preda.
    Un enorme micione dal manto maculato emise un verso spaventato. Con uno scatto si alzò sulle zampe e si girò su se stesso, buttando il piccolo a terra.
    Subito dopo il gattopardo cominciò a leccare il viso del padroncino, che rideva per il solletico che il suo animale gli procurava con la lingua.
    I due rimasero a giocare così per pochi altri minuti, quando arrivò un uomo alto, dagli occhi verdi, i corti capelli grigi e i lineamenti del viso duri e marcati; era vestito con la divisa militare tedesca, con il grado di colonnello del GRU (l'
    Intelligence russa) sulla spalla. Con un'espressione arcigna impressa sul volto, avanzava fra il fogliame scansandolo senza prudenza di rovinare le piante.
    “Adamska” chiamò. “Dobbiamo tornare a lezione”.
    Il bambino si girò e, non appena riconobbe l'uomo, si alzò in piedi.
    “Ci vediamo domani” salutò con una carezza sul capo del gattopardo. Subito dopo corse via verso l'uomo che senza aspettare il bambino riprese a camminare e chiese: “Cosa mi dici sui gattopardi?”
    “Il nome scientifico è
    leopardus pardalis” rispose Adamska. “E gli aztechi lo chiamavano ocelot”.
    “Bene” commentò l'altro mentre lo conduceva alle sue lezioni di spionaggio internazionale.



    10 giugno 1944, Mosca (URSS).
    Il neonato piangeva, strillava in cerca di una madre che non avrebbe mai potuto sentirlo. Troppi chilometri di distanza, lei in Normandia a combattere e lui, il figlioletto, che smaniava e urlava sopra la scrivania di Stalin.
    Il capo di stato russo si alzò dalla sedia e fece cenno alle undici persone nella stanza di avvicinarsi.
    “Ecco a voi il D-Son” esordì scrutando il piccolo.
    “D-Son?” chiese una donna di quel piccolo gruppo, con uno spiccato accento cinese.
    “Figlio del D-Day” spiegò Stalin. “Due anni fa una donna alle prima armi venne mandata a combattere in guerra. Ella fondò con altre cinque persone la Cobra Unit e, contro oltre previsione, insieme sbaragliarono parte dell'esercito nemico e alla fine venne considerata come la madre delle forze speciali americane”.
    “The Boss” specificò un altro uomo, americano, mentre si avvicinava al russo per osservare meglio il bimbo.
    “Esattamente. Quattro giorni fa la Cobra Unit è sbarcata in Normandia e proprio quel giorno, The Boss ha dato alla luce il suo bambino... e ora noi potremo usarlo come meglio crediamo!”
    A quelle parole l'uomo americano alzò lo sguardo verso Stalin e chiese: “Spero che quel noi fosse inteso come noi Filosofi, e non come noi russi”.
    “Ovviamente” rispose l'altro Filosofo. “Il ragazzo verrà istruito sia come agente del KGB che della CIA. Sarà l'anello di giunzione tra le forze armate segrete americane e sovietiche”.
    “E dove verrà cresciuto?”
    “Qui nell'Unione Sovietica, ovviamente”.
    L'ultima affermazione fece scattare le reazioni di quasi tutti i presenti nella stanza, che in lingue differenti cominciarono a sbraitare e inveire verso il capo dell'URSS.
    La donna cinese cominciò a gridare a tutti di calmarsi. Poi, quando tutti finalmente si zittorono, ella disse: “Perché dovreste essere voi sovietici a crescere il piccolo? Lei ha appena detto che sarà l'anello di giunzione tra le vostre forze armate segrete e quelle americane... e perché non noi cinesi?”
    “Il bimbo non verrà mai cresciuto in Cina, signora” sentenziò Stalin con tono irremovibile.
    “E PERCHE' MAI?” strillò, stavolta fu lei a perdere le staffe.
    Fu l'uomo americano a rispondere: “A causa della vostra rivoluzione civile. E' il simbolo che il popolo non vuole più suo marito al governo, signora, e che la Cina si sta indebolendo. Per questo proposi di far entrare il signor Stalin fra di noi, in quanto l'URSS è una nazione appena nata”.
    La consorte di Chiang Kai-shek, il capo della Repubblica di Cina, uscì indignata dalla stanza dicendo qualcosa in cinese. Nonostante gli altri presenti non potessero capirla, nove di essi si alzarono e la seguirono, ognuno brontolando qualcosa.
    Nella stanza rimasero solo Stalin e l'uomo americano.
    “Grazie per l'aiuto” disse il primo.
    “Non fraintenda. L'ho fatto perché non voglio che venga cresciuto dai Cinesi... ma nemmeno da voi comunisti”.
    “Mi spiace signore, ma non lo permetterò. Sono stati i miei uomini a raggiungere la zona di guerra normanna per recuperare il piccolo, quando là non dovevano proprio esserci”.
    “Nessuno le ha chiesto di farlo!”
    “Per questo mi sono proposto io. La prossima volta dovrà pensarci due volte prima di proporre un nuovo alleato”.
    Il Filosofo americano sbuffò e subito dopo uscì anche lui di lì, borbottando qualcosa al riguardo di un suo socio in affari.
    Dopo pochi minuti, Stalin chiamò un uomo dal suo ufficio. “Volgin!”
    Nella stanza entrò il colonnello del GRU, Boris Volgin.
    “A rapporto signore” disse l'uomo scattando sull'attenti.
    “Prendi il bambino e crescilo” ordinò con un sorrisetto in viso. “Averlo anche fra gli uomini del GRU sarà un'ottimo asso nella manica per il futuro”.

    2 dicembre 1961, Tselinoyarsk (URSS).
    Il diciassettenne Adamska stava con gli occhi controllati sul monitor di un potente computer e senza la minima esitazione digitava un tasto dietro l'altro. Era uno dei suoi primi incarichi ufficiali: gestire le direttive per il primo intervento degli USA nel Vietnam.
    Indossava delle cuffie e quindi non poteva ascoltare il dialogo che poco distante da lui stavano avendo due persone.
    “Stupefacente!” commentò Hot Coldman osservando il giovane Ocelot. “Non avrei mai creduto che a quell'età potesse essere in grado di eseguire già certi ordini. Forse non è stato un male che sia stato cresciuto dai russi”.
    “Non lo è stato affatto” ribatté il neo-colonnello del GRU Yevgeny Borisovitch Volgin.
    “Già... ma doveva rimanere un doppio agente della CIA e del KGB. La GRU non rientrava nei piani, come la mettiamo?”
    “L'idea è stata di Stalin e mio padre ha solo eseguito gli ordini. Questo grado l'ho ereditato da pochi mesi”.
    “E per caso ha ereditato anche... qualcos'altro?”
    “Vedo che va subito al sodo” commentò l'altro mettendo una mano in tasca interna della sua divisa. Subito questa riaffiorò che teneva in mano un microfilm. “L'Eredità dei Filosofi. Quando mi ha chiamato per un incontro ho subito immaginato che fosse solo per questo”.
    “A dir la verità non è così. Ormai i Filosofi sono morti... a causa sua” affermò il direttore della CIA volgendo lo sguardo verso Adamska. “Già in passato avevano avuto dei dissidi, ma il suo affidamento qui nell'Unione Sovietica è stata la questione più annosa che abbiano mai affrontato e si sono formate molte più discrepanze. E di anno in anno la Guerra Fredda è andata a trasformarsi sempre più in una competizione fra di loro... Invece hanno fatto tutti la stessa fine del Comitato dei Saggi e si sono ammazzati a vicenda”.
    “I precedenti Filosofi” disse Volgin. “Ma se non è venuto per l'Eredità, allora cosa le serve?”
    Coldman si fece scappare un ghigno e rispose: “Il ragazzo. Io ho scoperto con le mie fonti che suo padre si è appropriato dell'Eredità quando Stalin è deceduto e la cosa potrebbe diventare di dominio pubblico... già per le loro questioni private hanno scatenato un putiferio, immagini il casino che si scatenerebbe nel mondo se si venisse a sapere che lei è il deterrente di un loro interesse comune”.
    “La sto ascoltando”.
    “Poco fa ho accennato alla corsa alla luna e sicuramente conosce il Programma Mercury”.
    “Il piano americano per lanciare il primo uomo nello spazio, certo”.
    “Vede, fra i candidati vi era Strangelove, una mia spia che ho mandato per spiare un'altra candidata: The Boss”.
    “L'eroina leggendaria?” chiese stupito il russo.
    “Proprio lei. Mentre voi russi siete stati in grado di lanciare nello spazio il vostro Yuri Gagarin solo lo scorso aprile, lei è già stata nello spazio nell'ottobre dell'anno prima”.
    “Non ci credo. Una cosa del genere sarebbe di dominio pubblico mondiale!” sbottò l'altro.
    “Certo, ma purtroppo il volo è fallito e al suo rientro le condizione di The Boss erano tanto gravi da dover essere indotta al coma farmacologico per ben sei mesi”.
    Volgin ridacchiò. “Mi ha sempre incuriosito poter vedere con i miei occhi le capacità dell'eroina leggendaria e della sua Cobra Unit, ma a sentirne parlare così forse dovrei ricredermi sulle sue abilità”.
    “Mi creda, l'incidente del Programma Mercury avrebbe ammazzato chiunque altro. Il fatto che lei invece sia ancora viva dovrebbe essere sinonimo di garanzia, tanto è vero che si è risvegliata nel marzo di quest'anno e il mese dopo era già pronta a partecipare all'invasione nella Baia dei Porci a Cuba. Ma è proprio questa sua forza che mi preoccupa: l'ho fatta spiare dalla mia subordinata perché cominciava a preoccuparmi...i l suo carisma, la sua forza e il suo intelletto. Ultimamente aveva sviluppato dell idee scomode sul ruolo di un soldato e del perché dovrebbe combattere, quindi ho deciso di approfittare di quel periodo in cui era convalescente per pianificare la sua fine”.
    “E immagino che sia qui che entra in scena Adamska”.
    “Certo. Anche un mio socio dell'Unità FOX, Gene, che mi sta aiutando a pianificare l'idea e in cambio io lo aiuterò con la sua ricerca per il Progetto del Soldato Perfetto... ma ancora non basta. Ci serve qualcuno con delle potenzialità superiori alla norma da inserire nella NSA (National Security Agency)”.
    “Una spia interna al quale viene ordinato di tradire il paese? Questa è bella!”
    “Tradire? E perchè mai?”
    “Vuole che uccida lui The Boss, no?”
    “No, non sono così sadico da ordinargli di uccidere la propria madre. A dir la verità puntavamo tutto su un suo allievo che si sta dimostrando molto promettente... puntiamo a fargli rimpiazzare la sua mentore per averne il controllo. Adamska ci serve come suo appoggio, e forse aggiungeremo anche un'altra spia per assicurarci che tutto vada per il verso giusto”.
    “Divertente” commentò Volgin continuando a ridacchiare. “Se possibile, vorrei divertirmi anche io”.
    “Vedrò se riuscirò a inserirla in qualche modo nel piano” affermò sorridendo il direttore della CIA. “Anzi, forse ho già un'idea... che mi dice di quella selezione che avete fatto qualche mese fa per la produzione di un lancia missili balistici mobile?”
    “Sapete davvero tutto voi pezzi grossi dell'Intelligence americana” disse spocchioso il colonnello del GRU. “Abbiamo scelto il progetto di Sokolov e lo Shagohod è già nelle fasi finali della pre-produzione. Non sarà pronto prima di altri tre anni”.
    “Tre? Perfetto, davvero perfetto! Ho tutto il tempo necessario!”
    “Il tempo necessario per cosa?”
    “La missione di The Boss mentre si trovava a Cuba era di eliminare nientemeno che il suo amante, The Sorrow. Aggiungendovi la perdita del figlioletto, volevo assicurarmi che si affezionasse molto al suo allievo fino a potersi sacrificare per lui. Con tre anni di tempo sotto la supervisione di The Boss, avrò anche la certezza che sarà in grado di affrontare la missione”.
    Volgin si fece scappare una risata che rimbombò fra le mura della stanza. “E sia, io continuerò la produzione dello Shagohod e lei potrà inserire Adamska nell'NSA. Anzi, se vuole le posso offrire il modello scartato dalla selezione finale: il Metal Gear di Granin”.
    Coldman prese in mano alcuni fogli che l'uomo russo gli passò e dopo una veloce occhiata al progetto, disse: “No grazie, ma questi cosi non mi interessano. Adesso, la nuova svolta dell'ingegneria sono le Intelligenze Artificiali”.
    “Le IA... sono sempre stato dubbioso su queste diavolerie, non credo che una cosa elettronica possa essere indistruttibile!”
    “Punti di vista. Quando il nostro piano sarà finito potrò occuparmi di tutto il resto, ma per il momento non voglio altre distrazioni. Mi preoccupa già tanto la Cina, non vorrei che si infiltrasse nell'operazione...”
    I due continarono a discutere qualche altro minuto fino a quando si congedarono. Una volta andatosene Coldman, Volgin lasciò la stanza in cerca del maggiore Raikov per potersi divertire un po'.
    Appena chiusa la porta, il giovane Adamska si girò verso di essa e la osservò ridacchiando. Alzò una mano e prima di rimettersi al lavoro per pochi secondi giocherellò con il cavo staccato delle cuffie. Già, aveva sentito tutto...

    1972, al di sotto del Parco Nazionale delle Carlsbad Caverns (Nuovo Messico).
    Due piccoli gemelli nati il giorno dormivano all'interno della loro culla. Appoggiato su di essa, Revolver Ocelot li osservava ghignando.
    “I figli del mio idolo” pensò ad alta voce. “Non sapevo fosse fidanzato”.
    “Non lo è” rispose una donna dietro di lui. Nonostante il camice sporco di ingredienti chimici dava tutta l'aria di una persona raffinata ed elegante, nonché intelligente.
    I capelli rossi a caschetto, gli occhi marroni e i lineamenti delicati, accompagnati dalla sua parlata calma e dall'espressione seria, faceva quasi sembrare che si considerasse superiore.
    “A dir la verità” continuò Para-Medic, “non sa neanche di averli. Li abbiamo creati noi in laboratorio”.
    “Cosa?” chiese Ocelot spalancando gli occhi.
    “Ricordi quano dopo la missione a San Hieronymo e la fondazione dei Patriots, partì per Hanoi alla ricerca di EVA?”
    “Certo, fu quando tra lui e Zero cominciarono a crearsi degli attriti perché Zero stava diffondendo false notizie su di lui per farlo diventare un idolo a livello mondiale”.
    “Esatto. Approfittò dell'occasione per allontanarsi un po' da Zero, ma durante la guerra cadde in coma a causa delle esplosioni e fu salvato da un soldato che si trovava lì, un certo Kazuhira Miller”.
    “Me lo ricordo, è rimasto in coma per quasi tre settimane” replicò Ocelot mentre estrasse dalla fondina una delle sue pistole e cominciò a giocherellarci. “Non dirmi che è stato allora che...”
    “Già, mentre dormiva abbiamo preso i suoi geni e li abbiamo impiantati nell'utero di EVA, che si è offerta volontaria”.
    “La giovane Patriots si è già data da fare. Ma lo avete fatto apposta a far nascere due gemelli o è stato un caso?”
    “No, abbiamo fatto apposta. A dir la verità durante la gravidanza sono stati fatti crescere otto feti, ma dopo vari esami e controlli per decretare quali fossero i più forti, ne abbiamo fatti abortire sei qualche mese fa”.
    “Ho capito. E ' il governo cosa ne pensa?”
    “Giusto ieri è venuto a farci visita il presidente assieme al Segretario della Difesa, Jim Houseman. Hanno chiesto la paternità di quello con i geni dominanti”.
    “I geni dominanti?”
    “Abbiamo diviso i geni dominanti da quelli regressivi e abbiamo corretto il loro codice genetico. Quello biondo è quello scelto dagli USA”.
    Ocelot ripose nella fondina la sua fidata revolver e si avvicinò nuovamente alla culla. Prese in braccio il bimbo dai corti capelli biondi e lo osservò per bene. “E così questo verrà cresciuto dal SAS (Special Air Service). Verranno tutelati per non farli incontrare, immagino”.
    “Solo fino ai ventuno anni d'età. Zero si è già fatto venire un'idea su come usarli per poter studiare la società generale e il suo modus operandi di sopravvivere, e forse più avanti anche per poterla selezionare”.
    “Selezionare la società? Se Boss lo viene a sapere si creerebbero non poche rogne fra di noi”.
    “Gliel'ho detto anche io, ma fra lui e Snake non so chi sia più testardo... e pensare che entrambi combattono per realizzare i sogni di The Boss. A volte io e Sigint pensiamo che stiamo tutti fraintendendo i suoi veri ideali...”
    I due rimasero in silenzio per qualche minuto. Ocelot rimise il futuro Liquid nella culla e lanciò un'occhiata all'altro gemello, quello castano. Il piccolo Dave.
    Para-Medic allora alzò lo sguardo e commentò: “Ti sei fatto crescere il pizzetto. Se ti facessi crescere anche i capelli staresti meglio”.
    “Tu credi?” chiese l'altro ricominciando a giocare con la sua pistola.

    Due anni più tardi.
    Mai come quella volta nei suoi trenta anni di vita, Ocelot aveva riso tanto.
    Teneva fra le mano un bambino di pochi mesi che si divertiva a farsi sballottolare in aria dall'alto verso il basso e viceversa.
    “Per l'amor del cielo, ADAM” lo chiamò Para-Medic correndo verso di lui. “Mettì giù George, o rischi di farlo cadere!”
    Con le lacrime agli occhi per quanto aveva riso, poggiò il bambino nella culla. Appoggiò le mani sui davanzali e rimase a fissare il pupo con uno sguardo eccitatissimo.
    “Chi avrebbe mai detto che avrei visto Big Boss da piccolo?” chiese ad alta voce. “Il suo clone perfetto!”
    “Mi raccomando, deve rimanere un segreto di noi Patriots”.
    “Non occorre nemmeno dirlo, dottoressa Clark. Mi interessa solo sapere il motivo di questo terzo moccioso”.
    “Il solito capriccio di Zero” rispose la donna con sguardo rammaricato, mentre si sedeva. “Non gli bastavano più i due gemelli, voleva una maggiore assicurazione della riuscita dei suoi piani”.
    “Cos'ha in mente stavolta?”
    “Per adesso ha intenzione di far crescere George in Liberia, poi lo infilerà alla presidenza degli Stati Uniti”.
    “Alla presidenza?” sbottò sorpreso il pistolero. “E a che diavolo serve? Possiamo già controllare così il presidente!”
    “Vuole fare le cose in grande, pare...” rispose Para-Medic. Volse lo sguardo verso i due piccoli gemelli che stavano giocando dall'altra parte della stanza. “Mi ha addirittura fatto modificare la formula del Metodo Super Baby per poter regolare l'invecchiamento”.
    “Metodo Super Baby? Questa mi giunge nuova”.
    “In pratica rendiamo sterili i bambini e le correzioni apportate al meme sono programmate per un invecchiamento venti volte superiore al normale raggiunta la soglia dei quarant'anni”.
    “Diciotto volte?” ripeté scioccato Adamska. “Ma questo vuol dire che quando avranno quarantadue anni i loro corpi ne dimostrerà un'ottantina!”
    “Già. Per George invece è programmato in modo che per i primi anni del 2000 ne dimostri una quarantina. Così potrà subito essere messo alla presidenza in previsione del piano S3”.
    “... S3?”
    “Selezione della Sanità Mentale. Quella selezione della società, vuole farla davvero! E George verrà messo alla presidenza poco prima, quando avrà intenzione di usare tutti e due i piccoli serpenti per creare un antefatto”.
    I bambini stavano litigando, ma era quello biondo che sembrava avere la meglio.
    “I piccoli serpenti... quello biondo non doveva essere cresciuto dal governo?”
    “Verranno a ritirarlo il giorno del terzo compleanno. Per adesso rimarranno tutti e due qui dove non possono essere disturbati”.
    “L'altro invece verrà tirato su da FOX-HOUND, eh?”
    “E tu invece?” chiese la dottoressa Clark alzandosi dalla sedia. Si diresse verso i due gemelli e li separò, cercando di far cessare il pianto di David. “Dove sei stato per tutto questo tempo?”
    “A combattere nella guerra civile in Eritrea. Prossimamente dovrò partire anche per il fronte del Ciad e poi per quello del Mozambico. Si prospetta un lustro faticoso...”
    “Almeno non dovrai fare da mammo” replicò l'altra sospirando. “E neanche Sigint è messo meglio: Zero ultimamente si sta interessando alle IA ma non capendoci nulla di tecnologia deve essere aiutato...”

    1979, Afghanistan.
    L'elicottero aumentava di velocità, sempre più veloce verso il suolo.
    “Stiamo perdendo quota!” gridava il pilota del mezzo mentre cercava di tornare in alto. “Non riusciamo più a rialzarci! Quegli stronzi ci hanno fottuto il motore!”
    - Merda – pensò Ocelot scrutando con lo sguardo fuori dai finestrini dell'elicottero. Attorno a loro le montagne giravano sempre più veloci, era questione di secondi e si sarebbero schiantati sulle pareti rocciose del confine del Turkmenistan. - Spero che gli aggeggi che Sigint ha installato prima di partire funzionino! -
    Pochi altri secondi e l'aria venne riempita dal boato di un tremendo schianto fra metallo e rocce. Ma come Adamska aveva ben sperato, i regali del suo collega avevano avuto effetto: una serie di micro-reattori sviluppati dalla DARPA installati sul basso dell'elicottero e pochi altri sui fianchi, proprio per prevenire una situazione del genere. I Patriots, secondo Sigint, dovevano vivere.
    Dopo l'impatto Ocelot era rotolato pochi metri più in là, incastrandosi in un'insenatura della roccia e salvandosi per miracolo. Stava per perdere i sensi e svenire quando sentì una voce poco distante gridare.
    “Forza, forza! Tirateli fuori!”
    Il Patriots riconobbe la parlata russa; girò la testa per vedere di chi si trattasse. Aveva sì e no la forza di muovere il collo, ma riuscì a vedere poco distante un gruppo di soldati con l'uniforme della GRU.
    Uno degli uomini che si erano diretti verso l'elicottero esordì gridando: “Il pilota è morto, signore!”
    “E cosa state a fare ancora lì? Andate a vedere l'altro!”
    Mentre un altro gruppo di soldati aveva raggiunto Ocelot e lo stavano alzando di peso. Sentiva qualche ossa rotta e non riusciva nemmeno più a parlare. Doveva essere proprio conciato male, pensò.
    Finalmente il gruppo di soldati russi raggiunsero il loro comandante e poterono adagiare Adamska su di una barella.
    “Tu devi essere l'agente che sta diventando famigerato per il suo sadismo, quello che viene chiamato Shalashaska”.
    Ocelot provò ad annuire con la testa, ma invece sputò sangue.
    “Forza, muovetevi!” gridò l'uomo alla sua truppa. Il Patriot sentì la barella sollevarsi e poi, quando stava per perdere conoscenza, sentì il comandante dire un'ultima cosa: “Io sono Sergei Gurlukovich. Ho una moglie incinta che mi aspetta e quindi so quanto è preziosa la vita. Sta pur certo che non morirai qui, compagno!”

    1989, aeroporto di Atlantic City.
    “E' da parecchio tempo che non ci vediamo...” esordì Ocelot allungando il braccio verso il compagno. “Big Boss”.
    “Sei cambiato, Adam” replicò l'altro stringendo la mano. “E so anche che ti sei guadagnato un nome degno di te in Afghanistan, signor Shalashaska”.
    “L'età avanza per tutti, anche per te... Saladino”.
    John si fece scappare una risatina. “Alla mia età riesco ancora a compiere imprese tali da guadagnarmi il soprannome di salvatore. Quella bambina curda sembrava davvero decisa a voler ricalcare le mie orme nella FOX-HOUND”.
    I due si avviarono verso il bar dell'aeroporto, per poter dialogare con calma.
    “Hai sempre saputo farci con i bambini. A proposito, come sta Frank?” chiese Ocelot durante il tragitto.
    “Ha perso la memoria”.
    “Cosa?!”
    “Dopo l'Operazione Peace Walker ci siamo persi di vista e lui ha partecipato alla guerra civile in Rhodesia. E' tornato in America con un'orfana del luogo e si è innamorato di Gustava Heffner”.
    “L'atleta che ha partecipato ai giochi olimpici invernali?”
    “Proprio lei. I suoi concittadini però le è stato proibito di frequentarlo e lui è stato portato via dalla CIA, che gli ha fatto fare il lavaggio del cervello per dimenticarla e hanno ordinato a un certo Madnar di eseguire un esperimento genetico sul suo corpo per poterlo inserire come talpa nella FOX-HOUND”.
    I due arrivarono nel bar dell'aeroporto e si misero a sedere; Ocelot ordinò due caffé e poi chiese: “Sembra una bella gatta da pelare”.
    “Nah, ho già un'idea su come farlo tornare in sé” rispose l'altro accendendosi un sigaro, poi chiese: “Ma credo che sarà stato più difficile accontentarmi”.
    “In effetti non è stata proprio una passeggiata. Per farti tornare in patria non è servita molta pressione ai piani alti, ma per riuscire a rimetterti al comando di FOX-HOUND sono serviti tutti i nostri agganci. Miller e Campbell in particolare”.
    “Roy Campbell... era da un po' che non sentivo quel nome”.
    “E Miller invece?”
    “Quello stronzo che me la faceva alle spalle con Zero?” chiese quasi con disgusto il mercenario. Ispirò dal suo sigaro cubano, uno dei suoi preferiti, soffiò via il fumo e continuò: “Non ne voglio sapere nulla”.
    Ocelot sospirò ed evitò di dire che Miller stava addestrando uno dei suoi cloni. Quindi chiese: “E gli altri MSF (Militaires Sans Frontieres)? E lo ZEKE?”
    “Lo ZEKE sta venendo riciclato per il TX-55, quanto ai MSF si trovano a Galzburg, in Africa. Attendono solo il mio ritorno... ad Outer Heaven”.

    1999, sede centrale dei Patriots.
    “Big Boss non morirà. Non possiamo permettercelo” esordì un vecchio uomo sulla carrozzella. Era di origine britannica e aveva una cicatrice che attraversava l'occhio destro; indossava una vestaglia chiara che copriva il corpo invecchiato, grasso e basso, e aveva attaccato al polso una flebo.
    Di fronte a lui, su un lettino, giaceva il suo corpo. Quello di John Doe, Big Boss.
    “Che cosa vuoi dire?” sbottò una donna sulla sessantina, ancora molto affascinante nonostante l'età e con una tuta da motociclista.
    “Voglio dire che siamo riusciti a salvarlo prima che morisse a Zanzibar Land...” rispose il novantenne riferendosi anche a Para-Medic e Sigint. “EVA”.
    “E come?” intervenne Ocelot, sbottando. “E' sopravvissuto dopo esser bruciato vivo?”
    “Esattamente, lo abbiamo raggiunto appena in tempo”.
    “Appena in tempo per cosa?” domandò EVA.
    L'uomo sulla sedia a rotelle rimase in silenzio. Al suo posto parlò un tizio di colore ben vestito. “Ho installato delle nanomacchine nel suo corpo. Resterà in vita, ma la sua coscienza continuerà a dormire”.
    “La sua coscienza?”
    “In parole povere, è una specie di coma”.
    “E quando pensi che starà meglio?” chiese ancora la donna, sempre più nervosamente.
    Sigint sospirò. Abbassò il capo verso Zero che, senza neanche guardarlo, rispose: “Mai”.
    “Eh?” chieserò all'unisono ADAM ed EVA.
    “Ho fatto collegare le sue frequenze vitali alle IA. Finché il Sistema non verrà distrutto, rimarrà in questo stato. Ora basta pensare a un posto sicuro dove tenere il suo corpo”.
    Ocelot emise un verso di disappunto. “Le Intelligenze Artificiali... e Frank ha ricevuto lo stesso trattamento?”
    A rispondere fu Para-Medic. “Non proprio lo stesso. Io e la mia assistente abbiamo installato delle nanomacchine ma solo affinché gli permettano di usare senza problemi un esoscheletro?”
    “Un esoscheletro?”
    “E' necessario. Parte del suo corpo è andato distrutto nell'esplosione del QG di Zanzibar Land... adesso però, adesso Naomi vuole vendicare suo fratello”.
    “E ci credo!” sbottò EVA con tono seccato. “Ora capisco perfettamente perché Big Boss ha lasciato i Patriots anni fa. Mi fa schifo come giocate sulla vita degli altri!”
    La donna uscì dalla stanza sbattendo la porta. Ocelot sospirò e poi affermò: “Io accettai di far parte dei Patriots solo se anche lui ne avrebbe fatto parte. Te lo ricordi, Zero? Per me, Big Boss è morto a Zanzibar Land... non ho più alcun motivo di stare qui con voi”.
    “Fai come vuoi, Adamska. Sappi però che in tal caso diventeresti un nemico del Sistema”.
    “Vorrà dire che il Sistema, o lo conquisterò o lo annienterò!” concluse l'uomo uscendo dalla stanza. Big Boss, il suo idolo... non poteva finire così.
    Fece una breve corsetta e raggiunse EVA proprio quando stava per andarsene.
    “Cos'hai intenzione di fare, Tatyana?”
    “Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così” rispose la donna. Quel nome le faceva tornare alla mente il periodo in cui Volgin abusava di lei.
    “Rispondi alla mia domanda!”
    “Voglio recuperare il corpo di John e fargliela pagare!” rispose lei salendo in sella alla sua fidata moto. La stessa con la quale aveva solcato le foreste sovietiche assieme all'unico uomo che avesse mai amato...
    “E come pensi di riuscirci, EVA? Tu hai sessantatre anni e io cinquantacinque... non siamo più ragazzini! Da soli non possiamo farcela”.
    “Qualcosa mi inventerò!” ribatté lei gridando. Delle lacrime solcarono il suo volto vissuto. “Ho i miei bambini che mi aiuteranno e non glielo perdonerei comunque!”
    “Gli angioletti del tuo Paradiso Perduto” affermò Ocelot sbuffando. “Ma sarebbe ancora meglio ripagarli con la stessa moneta”.
    “Cosa vuoi dire?”
    “Zero ormai è un fantoccio delle IA. Da solo non è una minaccia, ma Sigint e Para-Medic... sono loro che vanno eliminati”.
    EVA tirò su col naso, demoralizzata. “E come preferiresti agire tu?”
    “Per Para-Medic potremmo usare proprio Gray Fox... colui che sta curando adesso. E se davvero Naomi Hunter vuole vendicarsi di Snake, avremo la possibilità di spezzare la FOX-HOUND dall'interno con le sue nanomacchine”.
    “... ti chiamo io” concluse la donna ancora con tono basso. Ocelot rimase a fissarla mentre accendeva la moto e poi sfrecciar via, mentre il forte vento le asciugò il viso dalle lacrime...

    2006, penitenziario militare dell'Alaska.
    Le sirene del carcere di massima sicurezza suonavano accompagnate dalle luci dei fari che giravano senza sosta sui muri in cerca della fuggitiva.
    Naomi Hunter salì in fretta e furia a bordo dell'elicottero, che subito dopo si alzò in volo verso il cielo notturno.
    “Dovrei ringraziarti...” esordì lei riprendendo fiato. “Ma perché mi hai aiutato, Ocelot?”
    L'anziano uomo si mise a ridere di gusto, come la prima volta che aveva preso fra le mani il piccolo Solidus. “Perché rientri nei miei piani, ovvio!”
    “Preferisco tornare in prigione! A Shadow Moses hai ucciso Donald Anderson, non mi posso fidare di te!”
    “Oh, ma tu non conosci tutta la storia” ribatté il Patriot prendendo dal posto vuoto accanto al suo una piccola scatola posa sopra una valigetta. “Io e Donald ci conoscevamo già da tempo, e una volta mi ha salvato la vita... ero in debito con lui”.
    “E per ripagarlo l'hai ucciso?!”
    Ocelot estrasse dalla scatolina un sigaro cubano, come quelli che tanto piacevano a Big Boss. Con un fiammifero ne accese uno, lo portò alla bocca, inspirò e soffiando via il fumo disse: “Se non l'avessi fatto, probabilmente sarebbe stato peggio per tutti... gli ho evitato di provare rimorso nell'aldilà”.
    “Di che stai parlando?”
    “Cara mia, ci sono tante cose che non sai... io e Donald anni fa siamo stati parte della stessa squadra. Se non l'avessi ucciso, Zero ne avrebbe potuto trarre profitto per il suo stupido piano S3... e poi Liquid avrebbe fatto soffrire molto di più il povero Donald”.
    “Non capisco di che parli... chi è Zero? Cos'è il piano S3? E di quale gruppo facevate parte?”
    “Ogni cosa a suo tempo, cara” la frenò l'uomo tirando ancora una boccata del sigaro. “Prima delle tue domande ci sono le mie richieste per averti aiutato”.
    Naomi sorrise. “Non te l'ho mai chiesto”.
    “Prima hai detto che di me non ci si può fidare...” sbuffò Ocelot mettendo il sigaro fra i denti ed estraendo la sua revolver con l'unica mano che gli era rimasta. “O mi ascolti, o ammazzo anche te”.
    La giovane scienziata si fece di nuovo seria. Provò ad aprire la bocca, ma la richiuse subito dopo.
    Ocelot ridacchiò. Mise a posto la pistola e dall'altra tasca prese dei fogli. Sembravano dei referti medici.
    “Questi sono i risultati dei test penitenziari” affermò l'uomo passando i documenti alla donna. Aspirò ancora una volta dal sigaro e proseguì: “Sei malata di cancro”.
    “... cosa?” chiese Naomi incredula. “Non può essere, io... io...”
    Tuttavia i fogli parlvano chiaro. Malata terminale.
    “Ti ho contattata perché la tua conoscenza nel campo delle nanomacchine mi sarebbe molto utile... e se accetti di collaborare, vedrò di finanziarti anche le spese mediche affinché tu possa vivere”.
    “... cosa ti serve in particolare?” chiese la scienziata abbassando il capo, rassegnata a due sole vie di fuga: ascoltare Ocelot... o morire.
    “Una nuova generazione di nanomacchine, simili a quelle che hai usato per il FOXDIE”.
    Naomi scattò in piedi, stavolta per niente demoralizzata. “Non posso compiere un lavoro del genere... non di nuovo!”
    L'altro rimase indifferente, continuando a fumare il suo sigaro. “Non ti sto chiedendo di creare un nuovo virus, ma di basarti su quelle per un uso come quello delle nanomacchine che la Clark ha installato nel corpo di tuo fratello”.
    “Che ne sai tu di quello che è accaduto a Frank? La dottoressa Clark è stata assassinata da un mostro che...”
    “Quel mostro era Gray Fox, tuo fratello, lo sai. E' inutile nascondere la verità a se stessi”.
    La ragazza si sentì la testa e il cuore scoppiare. Cacciò un urlo e si avventò su Ocelot con l'intento di strozzarlo.
    Il mezzo sigaro rimasto cadde al suolo e Adamska afferrò la donna prima che potesse toccarlo.
    “Tu che ne vuoi sapere?!” gridò lei. “Frank è stato reso pazzo da Snake!”
    “Snake non centra nulla! E' impazzito da solo dopo aver recuperato la memoria anni fa... siamo stati io e una mia collega ad assoldarlo per far ammazzare la Clark”.
    Naomi crollò al suolo. Quello era troppo... quello che aveva creduto per tutto quel tempo, aver infettato Snake con FOXDIE, suo fratello... era tutto sbagliato.
    Ocelot lasciò andare la scienziata e proseguì a parlare: “Il mondo è ingiusto, Naomi. Sono arrivato qui perché altre persone sono state ingiuste verso qualcuno che mi era caro... se tu mi ascolterai però, forse avrai qualche possibilità di riscattare i tuoi crimini”.
    La donna non ci credeva granché. Probabilmente si sarebbe macchiata la coscienza di altre malefatte, ma non aveva altra scelta...
    “Ti spiegherò meglio cosa voglio esattamente da quelle nanomacchine e ti spiegherò anche tutto ciò che vuoi sapere... ma prima devi fare un'altra cosa per me” affermò l'uomo prendendo la valigetta posta affianco a lui.
    L'aprì e dentro c'era un braccio destro in ibernazione.
    “E' l'arto di Liquid, ho faticato parecchio per riuscire a prenderlo alla Philanthropy. Voglio che tu mi operi per impiantarlo!”

    Pochi giorni dopo, Lione (Francia).
    Revolver Ocelot aprì gli occhi. Sopra di lui c'era il soffitto grigio di un piccolo ambulatorio medico dove avevano praticato l'intervento. Alzò il viso e per osservare il nuovo braccio destro: era di colore grigiastro, ma riusciva già a muoverlo. Non proprio come voleva, ma poteva già controllarlo.
    Sospirò e tornò a guardare il soffitto, pensando a come poter attaccare definitivamente Zero e le IA dei Patriots.
    Non avrebbe mai potuto completare la pianificazione prima di altri due anni, quando avrebbe visto l'Arsenal Gear, ma già nella sua testa stava prendendo l'idea di una potente base mobile... di un rifugio.
    Ebbe un sussulto. Per un secondo ebbe l'impressione che il braccio di Liquid avesse vibrato da solo.
    Sbuffò e si mise a sedere. Dal comodino prese una delle sue fide revolver col braccio destro e cominciò a giocherellare con l'arma, per poter riprendere praticità poco per volta...

    Edited by ciel - 4/8/2010, 13:49
     
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