Bloody Tears

One Shot su Black Cat

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  1. misterious detective
     
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    Ciao a tutti i miei amici lettori ^^ chi si aspettava un mio ritorno con un nuovo capitolo della mia long fic su KH, beh, si è sbagliato ^o^ non pensate male, non mi è nemmeno passato per la testa di interromperla, solo ho sentito la necessità di svagarmi un po' con qualche altra opera. Il capitolo è attualmente in lavorazione e presto sarà pronto per la pubblicazione. Ci scusiamo con la gentile clientela (stile voce del supermercato XD)
    Bene, dato che so che queste cazzabubbole non importano proprio a nessuno ora passo a presentarvi questa one shot.
    In origine dovevo scriverla per un contest, ma visto che di splatter (che doveva essere il tema della fic) ce n'era ben poco, ho deciso di invertire rotta e fare una one shot totalmente come pareva a me medesimo tale quale :sese:
    Il fandom è Black Cat, manga forse non particolarmente famoso qui in Italia, e il paring è Sharden x Kyoko. non che i due siano personaggi che mi stanno particolarmente a cuore, ma nell'idea iniziale, come ho già detto, questa sarebbe dovuta essere una splatter fic (se esiste il termine XD) e avevo pensato che il taoista del sangue fosse il personaggio perfetto.

    Beh, buona lettura ^^


    Bloody Tears

    Sono passati almeno otto mesi da quando Kyoko ha mandato quel messaggio al cellulare:”Ho appena sentito il mio Cat. Gli Apostoli delle Stelle sono stati sconfitti grazie a lui! A presto ciccino ^_^
    Questa è la prova che gli ideali di Creed, che voleva atteggiarsi a Dio, erano totalmente sbagliati. Ciononostante, non ho intenzione di rinunciare al mio sogno utopico di un mondo libero dai fili dei tre burattinai che lo manovrano dietro le quinte.
    Confesso che, quando avevo letto quel messaggio, avevo provato una rabbia i cui non capivo l’origine. Ora credo di sapere il perché di quel sentimento: nelle diciannove parole di quel sms leggevo unicamente l'ammirazione e l'amore della ragazza nei confronti Black Cat, tutto il resto passava in secondo piano.
    Ero geloso, ecco cosa.
    Più ci penso, più la realtà mi appare chiara: sono innamorato di quella stupida, ingenua, fantastica ragazza.
    Faccio qualche passo verso il muretto di pietra, facendo attenzione a non scivolare su una pozzanghera vermiglia sotto i miei piedi. Mi appoggio al muro e scruto con sguardo perso davanti a me: le colline verdi, costellate di bianche casette, si inseguono lungo una linea discontinua.
    All’improvviso lo squillo assordante e snervante di un cellulare, il mio cellulare, mi riscuote da quello stato di contemplazione.
    -Pronto?- avevo già riconosciuto il numero.
    -Ciao Sharden chan! Tutto bene?-
    -Certo…e tu?- rispondo, sforzandomi di fingermi più allegro possibile di sentirla. Per quanto strano possa essere, non avevo proprio voglia di parlare con la ragazza che mi piace proprio ora. Mi siedo comodamente sul muretto, mentre do dei piccoli calci ad un cadavere ai miei piedi, facendolo rotolare avanti e indietro, avanti e indietro…a vederlo sembrava dover essere giovane, avrà avuto si e no trent’anni. Un ragazzino dai corti capelli spettinati, dalla faccia contorta nel dolore e nella paura, la pelle tirata e le guance infossate, gli occhi schizzanti fuori dalle orbite punteggiati di vene scarlatte.
    -A me va benissimo! Ho preso A nell’ultimo compito di mate!-
    -Bene…- cosa vuoi che me ne freghi del tuo compito di matematica?!
    -Senti Sharden, stai cercando ancora di…- mi chiede, lasciando intendere a cosa si riferisse.
    Smetto di giocherellare col cadavere dello sconosciuto, c’è qualche secondo di silenzio.
    -Si…- rispondo laconico.
    -Ti prego, rinunciaci! Non voglio che tu muoia.- mi supplica.
    -Non intendo venir meno ai miei ideali!- ribatto aggressivo, sbattendole il telefono in faccia.
    Mi porto una mano sul volto, sconsolato. So che è un’idiozia, ma mi da fastidio che lei si preoccupi per me quando il suo cuore è di qualcun altro. Infantile, vero?
    Dentro di me sento che non la sentirò più; per quanto mi sia sforzato in questi mesi, Kronos è un’organizzazione invisibile agli occhi dei più, e trovare chi ha informazioni utili è un’impresa, per non parlare di quanto sia difficile scovare alleati validi!
    Mi sistemo il grosso cilindro sui miei lunghi capelli, biondi e mossi, e gli occhiali dalle lenti scure. Mi avvolgo nel mantello nero e mi volto, pronto ad andarmene. Cammino lentamente sui corpi dei miei nemici senza nome, le loro ossa scricchiolano sotto i miei piedi.
    Un ultimo sguardo indietro, rivolto al massacro che ho appena compiuto e me ne vado, rendendomi trasparente tra la folla.

    È un palazzo gigantesco, poco meno imponente di un grattacielo. Si trattano bene quei bastardi di Kronos!
    Ho il cuore in gola, sento il sangue pulsare frenetico nelle mie vene. Più tentenno, più la paura mi assale. Molto meglio far leva su quella rabbia che mi agita le membra e farne un’arma.
    Attraverso la porta girevole, per trovarmi poi in un’ampia hall. Trattengo a fatica le risate, pensando che come copertura sono una ditta di lavatrici.
    Il piano è semplice: in questa base di Kronos ho già fatto numerosi sopralluoghi: l’accesso ai piani superiori, dove si trova il cuore dell’organizzazione, è sorvegliato solo da due guardie, per non destare sospetti. Da lì in poi ho già studiato il percorso più sicuro, che mi consentirà di arrivare in fondo senza problemi, nella peggiore delle ipotesi uccidendo le poche guardie che mi si pareranno davanti. E da lì si apriranno le porte verso i numbers, gli assassini scelti di Kronos, che rappresentano per me il pericolo più grande.
    Cercando di non farmi notare, svolto l’angolo trovandomi in un lungo corridoio grigio bloccato da due guardie.
    -Cosa fai qua?- mi interroga una.
    -Cercavo i bagni.- mento io.
    -Hai sbagliato strada, devi andare da quella parte.- mi spiega la seconda.
    -Grazie, molto gentili.- li ringrazio, mentre estraggo un pugnale dal fodero e mi tolgo il guanto sinistro coi denti.
    Non do loro nemmeno il tempo di stupirsi: mi ferisco con la mia arma; come una fontana il sangue inizia ad sgorgare dalla ferita sul palmo della mano, rimanendo sospeso per aria mentre sotto il mio volere si modella, prendendo le sembianze del tristo mietitore con la sua falce in mano.
    Due rapidi colpi di lama e i petti dei due gorilla vengono lacerati e macchiati di rosso. I due cadono a terra, doloranti, ma controllando il mio sangue tappò loro la bocca con quel liquido prima che possano gridare.
    La figura di sangue si scompone, tornando informe, e il fluido si divide in due flussi che penetrano nelle ferite dei due uomini. Inizio a succhiare la vita dei due soldati di Kronos, portandomi dietro insieme alla linfa anche le interiora, finché non mi sento sazio.
    Il sangue si ritira nel mio palmo, tornandosene da dove è venuta. Perdo qualche secondo per risistemare il guanto nero e ricomincio a camminare, con la mia andatura lenta, guardando sempre avanti.

    Le cose procedono esattamente come previsto, tanto che è quasi noioso infiltrarsi qua dentro.
    Un’altra guardia mi si para davanti, puntandomi contro la sua rivoltella.
    Ormai non ho più bisogno di ripetere il processo: il sangue esce da solo dalla ferita non ancora rimarginata e, come una corda, si stringe attorno all’uomo che cerca inutilmente di liberarsi. Lo vedo diventare sempre più pallido, boccheggia a fatica. All’improvviso smette di opporre resistenza.
    Lo lascio andare, permettendomi di rubargli un po’ del suo liquido purpureo, tanto quanto basta per rinvigorirmi.
    Continuo a camminare. Ad ogni passo il mio cuore batto più forte. Ad ogni passo sento la morte più vicina. La cosa non mi stupisce.
    L’ennesimo corridoio ha sbocco in un ampio salone: le mura vermiglie ricordano il colore del sangue, un lampadario d’oro, che getta una lugubre luce di candela sulla stanza, è appeso al soffitto,a numerosi metri d’altezza. Circa a metà dell’altezza, il salone è attraversato in tutto il suo perimetro da una rampa connessa ad un piano superiore.
    Deglutisco. Sento rumore di passi.
    Tutt’intorno e sopra di me, la sala viene circondata da uomini in divisa, tutti con lenti scure come le mie. Uno dopo l’altro, come una lunga onda, sguainarono le loro armi, in genere pistole.
    Mi intimano di stare fermo, ma io, come fosse la cosa più naturale del mondo, alzò il palmo ferito e il sangue si modella assumendo le sembianze di un me molto più piccolo dell’originale.
    -Bloody Rain.- sussurro io, imitato dalla mia opera vermiglia che, non avendo voce, muove solo le labbra sanguigne.
    Essa porta avanti le mani e, da tutto il suo molle corpo, scoccano in tutte le direzioni centinaia di aghi rossi ad una velocità pari a quella di un proiettile.
    Un unico grido di terrore, un unico grido di dolore.
    Com’è che si chiama? Ah, si: effetto domino. Uno dopo l’altro, proprio come tessere del domino, cadono a terra, chi trafitto in fronte, chi al cuore, chi ancora vivo ricoperto da decine di aghi che, come da mio comando, succhiano loro il sangue.
    Qualche attimo di grida e poi il silenzio piomba nuovamente sulla sala.
    Gli aculei perdono consistenza, fino a ritornare fluidi, mischiandosi col alla linfa, sparsa a terra, di tutti quei cadaveri. Il pavimento prende il colore scarlatto delle mura.
    Altri passi.
    Una seconda volta il salone viene invaso da quegli uomini, ma stavolta c’è dell’altro. Sopra di me appare un uomo alto, dai capelli marroni arruffati, col pizzetto sul mento, vestito più elegante degli altri. Mastica un chewinggum e porta con se uno strano maglio. Ha il numero “VIII” tatuato sul collo. È un number!
    -Ma bene, allora c’era ancora un fante del tao recidivo. Come mai sei entrato nella tana del lupo?- mi domanda, sbeffeggiandomi.
    Stringo i pugni e lo guardo con odio, i miei occhi blu fissi in quelli castani suoi. –Per distruggere voi numbers e i tre del consiglio!-
    -Che stupido.- commenta quello. –Come se farlo da solo…fosse possibile!- grida.
    Il number, mentre dice quelle ultime due parole, stringe la palla ferrata e me la lancia contro.
    La schivo con facilità, convinto di essere al sicuro. Improvvisamente essa cambia direzione e mi colpisce al fianco. Aveva dei razzi direzionali sul dorso.
    Riesco a tenermi in piedi. Se Fossimo stati uno contro uno non avrei avuto problemi a battermi, ma così….
    -FUOCO!- intima il number ai suoi inferiori. Istantaneamente mi sparano a decine.
    Tentò di alzare una barriera di sangue, ma un colpo alla gamba mi raggiunge prima.
    Non faccio in tempo a piegarmi in ginocchio dal dolore che, come acqua piovana, proiettili su proiettili piovono contro di me, crivellandomi il corpo.

    Cado a terra.
    Che fortuna, se sono ancora vivo significa che non mi hanno colpito punti vitali. Ma capisco anche io che, se non mi stanno più sparando, il motivo può essere uno solo.
    Sto morendo. Non mi sforzo di alzarmi seduto per vedere il sangue, che tante volte ho usato in combattimento, che fluisce da numerosi buchi sul mio corpo.
    Chiudo gli occhi.
    Ma perché diamine sono venuto qui a farmi ammazzare?
    Credevo di essere nel giusto, credevo fosse bene eliminare Kronos e liberare il mondo. Erano questi i miei ideali. Ma forse, ripensandoci, erano i miei ideali di un anno fa.
    Sorrido in punto di morte.
    Lo ammetto: se mi sono fatto la tomba da solo non è certo per diventare un eroe che si è opposto all’organizzazione cattiva, non siamo mica in un manga!
    L’unico motivo per cui l’ho fatto è che ero stanco di soffrire. Non pensavo di poter arrivare a simili follie per amore. Fingevo di voler vincere per Kyoko, perché vivesse in un mondo migliore, in realtà volevo semplicemente dimenticarla, perché so che non valgo niente per lei. Dimenticare Kyoko, dimenticare Kronos, dimenticare Black Cat, dimenticare tutto. Dimenticare tutto con la morte.
    Scusami amica mia, mi sono rivelato addirittura più idiota di te. Vorrei…vorrei poter rivedere il tuo viso sorridente, mentre mi fai la ramanzina per come mi sono comportato.
    Sono convinto che non capiresti nemmeno la gravità di quello che ho fatto, quindi nella tua ingenuità ti chiedo solo una cosa:

    perdonami.
     
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