Dirge of Keyblade

L'Ultimo Atto della Trilogia!

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Twilight Player

    Group
    Member
    Posts
    65,055

    Status
    Anonymous
    AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA


    Bellissimo capitolo, battaglie fatte molte bene. Ah, i Keyblade che non fanno perdere sangue, adesso mancano solo Paperino e Pippo :guru:
    Ah beh, Ean tira fuori Ifrit e massacra tutti, malmenando e dando zampate a destra e manca x°°
    Avevo creduto anch'io che sarebbe finalmente arrivata la fine di Xemnas, per poi spostarci meglio su quel coglione di Vanitas e quel biondino con la mentalità disturbata di Rixfern, aka Cloud :guru:
    Comunque bella l'entrata in scena di Maliq con la Cerberus di Vincentino Valentino (aka Tnecniv :guru:) che fa partire il mega attacco a Xemnas.. ma poi tornano Demyx e Saix. .MA NON ERANO MORTI!? WHAT THE FUCK!? Dai cà, a Demizzio gli hanno spezzato il collo, a Saxofon l'ha ucciso Rasler.. a_a
    A ME NON FREGA NULLA CHE SONO TORNATI TUTTI IN VITA QUEI DUE DEVONO MORIREEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE :orrid:
    E alla fine.. Terùn!!! Mi sembrava strano quando l'avevi fatto apparire come "morto"..
    MA ADESSO.. AQUA SI E' UCCISO E CON LUI SUO FIGLIO SPERANDO DI RICONGIURSI A TERRONE E ADESSO 'STO STRONZONE (hofattolarima) E' VIVO!?
    E ALTAIRONE NON SAPEVA NULLA!?

    Scriviscriviscriviscrivi.

    Edited by Nemesis; - 11/2/2012, 15:17
     
    Top
    .
  2. Taiki Koizumi
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (_Holy @ 11/2/2012, 14:23) 
    CITAZIONE
    bravo stronzo che non fa stare Luxord e Allen assieme <3

    Dubito che Nyx voglia uscire dagli schemi, e far diventare Allen un necrofilo.
    :flower:

    *strappa i petali del fiore con rabbia*


    La necrofilia non è un ostacolo!çAç Lo dice chi una volta ha fatto un sogno erotico su Heath Ledger, pace all'anima sua.... Heath ç__________ç Ho pianto tanto quando sei morto ç_ç Anche per la mamma di Bambi!

    *afferra Nyx con due dita nelle narici e lo solleva da terra*
    Tu pensa piuttosto a trovare un modo per far stare Luxord e Allen insieme, o raggiungerai la mamma di Bambi a suon di fucilate à_à


    *si unisce a Corriscappac'èilNemesis*

    Scriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscriviscrivi.
     
    Top
    .
  3. Nyxenhaal89
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Ed eccomi qui come sempre dopo un mese T__T
    Devo decisamente metterci meno
    Ad ogni modo, dopo un bel capitolo di botte da orbi, ecco qua un bel capitolo introspettivo con diverse cosucce importanti :flower:
    Un grazie sentitissimo a Holy, Nemesis e Mizu per i commenti, sono sempre contento che vi piaccia tanto e continuiate a seguirla! ^^
    Un saluto a tutti i lettori che seguono!
    Buona lettura!


    27: L'ultimo volo


    Nessuno di loro, a parte Morrigan, era mai stato davanti alla fortezza di Weisshaupt, dimora secolare dell'Enclave delle Streghe. Tuttavia non fu con l'umore migliore che arrivarono alle sue grandi porte di legno scuro e metallo, dal momento che avevano ben pochi motivi per essere contenti. Nella mente di ognuno di loro albergavano pensieri cupi e scoraggiati, e tutti più o meno rivolti allo stesso motivo. Dal canto suo la giovane Strega non poteva biasimarli, lasciandoli dunque con i loro pensieri e limitandosi a guidare la loro via.
    Yiazmat aveva proposto di andare a Weisshaupt sulla sua groppa, ma Morrigan rifiutò seccamente, rimise in sesto i due Turk e diede loro direttive di lasciarli lungo il sentiero che portava in mezzo alle montagne di Nowart con il Vertibird. Non riuscivano a spiegarsi i motivi di una tale scelta, e solo dopo l'atterraggio la Strega rivelò con la voce incrinata dall'imbarazzo che aveva paura di cavalcare un Drago. Allen si aspettava una reazione ilare di Yiazmat, ma rimase sorpreso nel vederlo guardare da un'altra parte come se non la stesse nemmeno ascoltando.
    Fu dunque con aspetto mogio e abbattuto che i tre varcarono le porte della fortezza. Roxas sembrava essersi un po' ripreso però: in quanto amante delle altitudini e delle montagne, il Custode gradiva notevolmente la posizione della loro meta e inspirava profondamente l'aria fresca che tirava su quelle cime innevate. L'Esorcista lo sentiva respirare comunque ad ampie riprese, come se stesse cercando di placare un battito troppo veloce del cuore. A giudicare dalla sua espressione assente durante tutto il tragitto, stava ancora pensando a Denzel.
    Anche Allen ci stava pensando, ovviamente. Aveva bene in mente il volto sofferente del bambino e il riflesso ghignante di Neah durante il loro scontro, le parole ambigue che uscivano da quella bocca innocente, l'oscurità emanata da quel corpo infantile il cui unico errore era stato trovarsi sulla strada di quel mostro assassino. Furono tuttavia le parole con cui si congedò a impensierire Allen in modo particolare. Aveva detto che Denzel era un Walker: quelle parole potevano significare un mucchio di cose, se era Neah a dirle. Poteva significare che fosse un qualche parente di Mana, e dunque membro della discendenza della stessa famiglia del Noah; oppure poteva addirittura essere... un suo discendente?
    Allen non progettava di sposarsi in tempi brevi, ma se c'era una ragazza che avrebbe voluto al suo fianco per tutta la vita, questa era senz'altro Linalee. Non solo era bella, ma anche determinata e decisa. Nonostante le cose che avevano passato sembrassero averle fiaccato il carattere, quando finalmente la guerra coi Noah terminò venne nuovamente alla luce quella Linalee che gli aveva fatto girare la testa molteplici volte. Certo, era petulante e tanto, capricciosa e viziata dal fratello, ma quei difetti non facevano che attirarlo maggiormente. E poi Allen sapeva che su di lei si poteva contare in qualunque situazione, lo aveva capito da quella volta nella villa di Miranda.
    Ad ogni modo, il fatto che Denzel fosse un suo parente non gli sembrava del tutto impossibile. Non si somigliavano granché, ma aveva sentito qualcosa di strano nel cuore quando si scontrarono. La sua Innocence sembrava in qualche modo richiamata da lui, già quando lo salvarono dalle macerie a Kilika. E anche durante il combattimento di qualche giorno prima, ma quella volta Allen lo ricollegò alla presenza di Neah. Si rallegrò per qualche istante, pensando che Denzel potesse essere un suo discendente... e che Roxas potesse essere una sorta di nipote acquisito. Guardò il Custode pensando a una simile parentela, ma poi decise di abbandonare quelle riflessioni per ammirare la fortezza.
    Roxas si guardò attorno intanto, osservando con interesse la struttura. Nonostante non sembrasse militarmente forte, sapeva che la fortezza aveva resistito a notevoli assedi e solo dopo molti sacrifici gli attaccanti riuscivano ad espugnarla. Ma si parlava comunque di un modo di fare la guerra ben diverso da quello di Xemnas. A Minas Tirith aveva fatto l'errore di mettersi alla pari col suo nemico, venendone infine sconfitto anche se per un soffio. Non sapeva se avrebbe commesso lo stesso errore con Weisshaupt, ma la domanda era, eventualmente, cosa avrebbe messo in campo per affrontare maghi e streghe.
    Il cortile della fortezza era spazioso e affollato: uomini e donne si addestravano nella parte adiacente alle mura, mentre alcuni giardinetti recintati da pietre lucenti e insolite ospitavano un contorno di panche dove figure avvolte in tonache e vesti svolazzanti parlavano e discutevano serenamente tra loro. Una strada di pietra bianca conduceva all'ingresso della fortezza, protetto da soldati in armatura robusta che portavano una tunica rossa dalla vita fino alle caviglie. Parole e clangori di spade e scudi risuonavano dappertutto e nonostante la tranquillità apparente, l'aria era imperniata di una tensione innaturale che raggiungeva i loro cuori e quasi opprimeva le loro orecchie. Era una sensazione strana, come se Weisshaupt fosse stata cinta da una mano di ghiaccio che rendeva l'aria densa e bruciante per il gelo che emanava.
    - Vado - disse Yiazmat con lo sguardo spento, improvvisamente atono. Non era mai stato così prima, anche se Allen ipotizzò che si sentisse sconfitto a causa di Denzel e della sua fuga.
    - Dove? - chiese Roxas pensoso, a sua volta insospettito dal cambio d'umore del Drago.
    - In giro - rispose questi senza cambiare tono. - Mi farò vedere -
    Prima ancora che potessero anche solo chiedergli cosa gli fosse preso, o se potessero aiutarlo in qualche modo, Yiazmat si era già volatilizzato. Non aveva preso la sua forma draconica, ma si allontanò talmente in fretta che non lo videro più nel giro di qualche secondo, in mezzo alla poca gente che sostava nel cortile con noncuranza.
    - Sarebbe l'ideale trovare un posto dove mettere qualcosa sotto i denti - lamentò Allen toccandosi lo stomaco. - Non mangiamo da un giorno, forse di più -
    - Concordo - rispose Morrigan un po' oppressa dall'aura di pessimismo che vibrava attorno ai ragazzi. - Una volta entrato prendi la porta immediatamente a sinistra, dà sul refettorio - spiegò con un sorriso disponibile. - Roxas, preferirei tu venissi con me prima - aggiunse notando che il Custode si incamminava con l'Esorcista verso un meritato pasto. - Dobbiamo dire a Theresa di Ansem -
    Roxas sospirò stanco. Non era riuscito neanche a dormire in elicottero, ed era davvero l'ombra di se stesso: sperava che stare a Weisshaupt gli avrebbe permesso di riposarsi un po', ma comprese al volo di starsi sbagliando, evidentemente. I suoi doveri prima di tutto, come gli diceva sempre Altair quando si lamentava di essere troppo stanco per continuare. Annuì e seguì il gruppetto verso l'entrata del castello, dove gli uomini in armatura li accolsero con un inchino. Aprirono le porte, mostrando loro l'anticamera: era spaziosa e ospitava due scalinate che andavano verso l'alto, ai lati di un altro grande portone che conduceva alla sala del trono. Quando Zack era andato a Weisshaupt era aperto, ma adesso era chiuso, segno che la Signora non si trovava sul posto.
    - Theresa sarà all'Osservatorio - realizzò Morrigan adocchiando la scalinata a destra. Roxas guardò Allen imboccare la porta del refettorio, non senza un misto di invidia e rassegnazione, come un bambino che guardava desideroso le caramelle con la coscienza di non poterle mai avere perché il genitore era contrario. Mandò un altro lungo sospiro e seguì la Strega su per la scala di pietra scura. Il castello aveva un'aria fredda e desolata, come se fosse fatto di ghiaccio, ma era caldo grazie ai numerosi fuochi che ardevano allegramente dai bracieri disposti sui lati di stanze e corridoi.
    Nonostante i vari pensieri che lo assalivano e gli stringevano il petto, Roxas notava comunque la bellezza di quel posto. Aveva l'aspetto di una fortezza ordinaria, ma sentiva distintamente la magia che pulsava entro le sue mura: ogni pietra sembrava potesse raccontare storie degne dei romanzi fantasy che piacevano tanto a Sora. A pensare a lui, il suo cuore si strinse ancora di più. Dov'era adesso? Stava bene?
    Non aveva idea del perché Morrigan li avesse accompagnati a Esthar, era convinto che lì avrebbe trovato una cura per la cecità del suo amato Custode e invece non fu così. Non che Yiazmat fosse meno utile, magari avrebbe potuto usare i suoi immensi poteri di Drago per guarirlo? Tuttavia la Strega stava dando la priorità ai suoi Keyblade. Sperò davvero che ne valesse la pena, dal momento che dall'attacco a Minas Tirith stavano praticamente girando in tondo senza uno scopo preciso.
    Se almeno ci fosse stato Sora con lui, avrebbe sentito il suo cuore più leggero. Gli mancava, gli mancava tremendamente. Dopo tutto quel tempo passato insieme, doversene separare ancora e con la certezza di essergli totalmente lontano era davvero troppo pesante, per lui. Stavolta non poteva seguirlo in incognito, non poteva proteggerlo in alcun modo. Se gli fosse accaduto qualcosa, sarebbe stato troppo lontano anche solo per percepirlo. Sapeva bene che non era da solo, c'erano gli altri con lui, e gli Assassini. Non avrebbero certo permesso che gli succedesse una qualche disgrazia, ma in quel mondo confuso e caotico dai tempi distorti, dove l'antico e il moderno si intrecciavano, il pericolo era ancora più subdolo e incessante che in precedenza.
    Doveva avere fiducia, nei suoi compagni e in Sora. Nonostante non si fidasse del mondo che era nato da quel connubio di tempi confusi, doveva invece fidarsi di loro e convincersi seriamente che andasse tutto bene. Sperò solo che qualunque cosa dovessero fare sarebbero presto venuti a Weisshaupt, così che potessero essere tutti insieme, di nuovo. E stavolta non si sarebbero separati, non l'avrebbe permesso: qualunque pericolo si fosse parato loro davanti l'avrebbero affrontato uniti.
    Stava pensando con così tanta concentrazione da non accorgersi neppure di dove stesse andando: il suo corpo si limitava a seguire docilmente Morrigan senza fiatare, in una zelante attesa di ordini. Si era reso conto di non voler minimamente essere lì, e non solo perché gli altri erano lontani da lui: man mano che passava il tempo nella fortezza dell'Enclave avvertiva un crescente senso di minaccia stringersi tutt'attorno alle mura. C'era qualcosa in agguato, di sinistro e silenzioso, che stava lentamente svolgendo le sue trame. Roxas sentiva di essere capitato di nuovo in mezzo ad un momento cruciale, come a Minas Tirith, e quella sensazione lo metteva a disagio.
    Iniziò a guardarsi intorno, cercando di memorizzare la conformazione della struttura il più in fretta possibile. I piani sembravano tutti squadrati, con porte e stanze ordinatamente disposti: erano passati dai dormitori più modesti di soldati e maghi e quelli più "pregiati" di membri scelti di entrambe le classi, fino ad arrivare ad un piano con poche porte lungo i corridoi.
    - Qui è dove dormono le persone di rango più alto della fortezza - spiegò Morrigan. - Ci sono anche laboratori e biblioteche, ovviamente. Le stanze di Andraste, l'Osservatorio e il Cristallo si trovano all'ultimo piano di questa scalinata - Roxas comprese che la Strega aveva parlato per tutto il tempo, da quando avevano iniziato a salire le scale. Si sentì un po' in colpa per non averla ascoltata quasi per nulla, troppo preso dai suoi pensieri per concentrarsi sull'immediato.
    Il penultimo piano era più arioso degli altri, e aveva una finestra ampiamente decorata alla fine di ogni corridoio: erano ben chiuse, permettendo ai bracieri scoppiettanti di riscaldare tutto il piano, ma c'erano persone che comunque vi parlavano vicino, riempiendosi gli occhi del panorama montuoso e innevato.
    - Devo pensare di meno... - mormorò Roxas quando vide ad una finestra una sagoma con la capigliatura di Sora. Era voltata di spalle, estremamente assorta. Aveva i capelli che portava Sora prima di diventare un Assassino, cosa che provocò a Roxas un amaro sorriso. Fece per andarsene, ma in quell'istante strabuzzò gli occhi.
    Quello non era Sora.
    - Roxas? - sussultò Morrigan nel sentire una spada sguainata. - ROXAS! - lo richiamò.
    Il Custode corse verso Vanitas, con la lama sguainata e gli occhi iniettati di sangue. Diversi maghi si atterrirono allontanandosi dalla sua portata e dal filo della sua lama; Vanitas si voltò di scatto, spalancando gli occhi dorati e preparandosi a difendersi. Non pensava di vederlo lì, ed era ancora stanco per la missione nel deserto, ma non diede il minimo cenno di fuga.
    - BASTARDO! - ruggì Roxas pronto a menare un fendente, ma in quel momento una sagoma nera lo intercettò sbattendolo contro il muro. Il Custode sentì una possente ginocchiata alla bocca dello stomaco, gemendo di conseguenza; poi un pugno al volto e un calcio alle gambe, e si trovò improvvisamente a mezz'aria. Un altro tremendo colpo all'addome e volò contro il muro sotto la finestra, urlando di dolore e sorpresa e sbattendo violentemente contro la pietra, dato che Vanitas si era spostato alla svelta, confuso quanto lui. Roxas cercò di rialzarsi, ma in quel momento Cloud saltò su di lui, una forma immensa e nera, con la sua manica destra e il drappo neri svolazzanti sopra i vestiti neri, gli occhi azzurri che non trasmettevano altro che una gelida rabbia. Roxas lo guardò sconvolto e non riuscì a proteggersi: la mano di Cloud si serrò sul suo collo, il suo ginocchio gli bloccò l'addome e l'altra gamba gli tenne ferme le sue.
    - Non sei neanche una sfida, ormai - lo schernì il Custode del Caos. - Quindi cerca di non alzare troppo la cresta, se ci sono io nei paraggi -
    Roxas emise un ringhio.
    - Non ho bisogno che tu mi difenda - disse Vanitas irritato, tirando un calcio a Cloud e sbilanciandolo di lato permettendogli di liberare Roxas, che stava diventando cianotico. - Avevo tutto sotto controllo -
    - E chi ha detto che volevo difenderti? - sbuffò Cloud derisorio, alzandosi e spintonandolo scherzosamente. - Mi dà solo fastidio la sua faccia, ho l'istinto di picchiarlo ogni volta che lo vedo -
    Il Custode si alzò tossendo. Era ancora stanco e stravolto per gli avvenimenti accanto al cratere, stremato per la fame e per il mancato riposo. Si sentiva un idiota ad aver attaccato Vanitas in quelle condizioni, e per giunta di spalle.
    Altair si sarebbe vergognato profondamente di lui, in quel momento.
    - Che... che diavolo...! - ansimò reggendosi alla parete, fissandoli incredulo. - Che diavolo ci fate qui voi due?! - avrebbe voluto urlarglielo, ma si sentiva davvero debole. Morrigan si avvicinò rapidamente al gruppo, aiutando Roxas a stare in piedi.
    - Potevi dirlo, che stavi così male - lo rimproverò attenta. - Ci mancava solo che svenissi davanti a Theresa -
    - Non c'era fretta, Morrigan -
    La voce ovattata di Theresa intervenne nel corridoio di pietra. Forse era stato qualche mago a chiamarla, o forse il trambusto di quella baruffa aveva destato la sua attenzione, sempre che fosse possibile sorprendere una Veggente del suo calibro.
    Come sempre circondata dal suo mantello rosso e bianco che lasciava intravedere solo il volto, la profetessa si fece strada con tranquillità fino al luogo del piccolo scontro. Non sembrava in alcun modo turbata dalla cosa e quando i suoi occhi ciechi e scintillanti incontrarono quelli di Roxas, sorrise.
    - Perdonaci se non sei stato avvisato - si scusò con gentilezza e gli posò una mano sulla spalla, affabile. - Cloud e Vanitas sono nostri ospiti, per il momento. Hanno affrontato una difficile battaglia per giungere qui -
    - Ho affrontato - corresse l'Unversed spavaldo. - Rantolare e sonnecchiare sulla mia spalla non vale certo come aiuto in uno scontro, non trova? -
    Cloud lo guardò con un sorrisetto divertito. Immaginò che sotto sotto gli stesse rinfacciando tutti i giorni passati a soffrire per lui, quindi lasciò correre. Theresa ad ogni modo si limitò a guardarli come una madre paziente, tornando poi concentrata su Roxas.
    - Ti prego di avere pazienza e convivere serenamente con loro per il tempo che sarà, per favore - lo esortò. Forse era un ordine ben celato, ma nessuno dei presenti sembrò avere ancora la capacità di contraddirla. Roxas tenne lo sguardò basso, con un senso di rancore e impotenza e bruciargli in petto.
    - Va bene - sospirò dopo una lunga pausa. - Se loro non infastidiranno me, io non infasitidirò loro - disse quasi in un ultimatum fissandoli entrambi negli occhi, quasi sfidandoli.
    - Theresa, devo dirvi... - esordì Morrigan quando quel malinteso fu chiarito, ma fu zittita dalla mano appena sollevata della Profetessa.
    - Di sopra - disse brevemente incamminandosi verso le scale. Morrigan la seguì immediatamente, controllando che Roxas non desse di matto finché si trovava nel suo campo visivo. Una volta che sparirono dalla vista Cloud si recò a raccogliere Narsil, caduta a terra, e ne porse l'elsa al Custode.
    - Senza rancore? - domandò apparentemente conciliante.
    - Come no! - rispose Roxas sarcastico, strappandogli quasi la spada di mano. - Hai ucciso non so quanta gente, tra cui Pain e Shuyin! - esclamò incollerito. - Hai tradito i Custodi e ti aspetti anche che adesso giochi a fare l'amichetto con te? - rinfoderò la lama guardandolo con gli occhi carichi d'odio. - Tu morirai per mano mia, Cloud - disse avvicinandoglisi, con le punte dei loro nasi incredibilmente vicine. - Te l'assicuro -
    - Stai parlando con un uomo che non c'è stato, in questi dieci anni - disse Cloud senza scomporsi.
    Vanitas si limitò ad osservarli, teso per i suoi motivi. Presto avrebbe dovuto confrontarsi con Roxas... aveva un frammento della sua anima in corpo e doveva trovare un modo per darglielo, possibilmente senza farsi uccidere nel processo.
    - Stai provando a dirmi che non volevi farlo? - sbuffò Roxas senza smettere di fronteggiarlo.
    - No, sto solo dicendo che è con Rixfern che devi prendertela - replicò il Custode del Caos. - E io non lo sono più -
    Roxas rimase interdetto da quella risposta e non riuscì a trovare nulla di concreto per obiettare, restando immobile a vedere Cloud andarsene con Vanitas di sotto, probabilmente verso il refettorio. Strinse l'impugnatura di Narsil reprimendo l'amarezza, quindi si incamminò a sua volta giù per le scale. Aveva talmente tanta fame che sentiva la testa girargli: non aveva intenzione di ingurgitare un'altra di quelle maledette pillole di Vincent, piuttosto preferiva davvero mangiare radici.

    - Roxas? -
    Una volta arrivato in refettorio, una sorta di immensa stanza quadrata piena di tavoli disposti più o meno ordinatamente con le cucine dal lato opposto della porta d'ingresso, aveva preso tutto quello che gli capitava a tiro: grosse quantità di carne abbrustolita, pane fresco e una zuppa di cereali. Non si curò minimamente di cercare Allen, Cloud o la brutta copia di Sora, pensando solo a mangiare il più possibile. Il suo stomaco gorgogliava ferocemente, reclamando sostentamento, e lui doveva assolutamente accontentarlo. Ad ogni boccone troppo grande accompagnava una sorsata direttamente dalla caraffa di fredda acqua di fonte, che sembrava risvegliargli le membra facendolo rabbrividire.
    Posò di malagrazia il contenitore sul tavolo, respirando profondamente dopo essersi quasi soffocato. Ora che si era un po' rifocillato poteva anche calmarsi, dopotutto. Poteva tornare un essere civile.
    Alzò lo sguardo d'improvviso nel sentire una voce chiamare il suo nome, sentendo il cuore piombargli di nuovo in quella stretta di tristezza. Prima Denzel, adesso...
    - Roxas, sei davvero tu allora! - la risata e l'abbraccio di Tidus non lasciavano dubbi. Roxas strinse un attimo i pugni, prima di ricambiare le braccia del fratello. Era vestito piuttosto normalmente, con dei pantaloni larghi neri e una giacca marrone lunga fino a metà coscia.
    - Tidus, cosa ci fai qui? - domandò subito teso. Perché i suoi fratelli erano così lontani da casa? Cos'era successo?
    - Io... - la gioia sul viso di Tidus si spense rapidamente, e il giovane riprese una certa compostezza. Roxas si alzò a sua volta. Aveva mangiato a sufficienza e se anche fosse rimasta ancora un po' di fame, essa era definitivamente scomparsa nel vedere il maggiore sbiancare a quel modo.
    - Ha a che fare con Denzel, vero? - realizzò il minore. Tidus non avrebbe mai fatto un salto simile, se non ci fossero stati i loro familiari in pericolo.
    - Mamma e papà stanno bene - rispose questi come a cercare di tamponare il problema, con lo sguardo speranzoso. Forse credeva che lui non sapesse quasi nulla. - Papà è con la Flotta Occidentale, sai. L'hanno addirittura richiamato in servizio! - accompagnò l'esclamazione con una risata poco convinta. - La mamma è a Midgar, ed è parecchio preoccupata... - Roxas lo interruppe immediatamente.
    - Cos'è successo a Denzel, Tidus? - chiese secco senza permettergli di sviare ancora l'argomento. - Perché mio fratello è piombato nel bel mezzo della foresta del Tevinter cercando di uccidere me e i miei compagni?! -
    Era come essere dentro un sogno, uno di quei sogni carichi di ansia e preoccupazione, alla soglia degli incubi. Da quando era entrato in quella fortezza stava solo ricevendo notizie l'una peggiore dell'altra: l'assenza di idee su cosa fare, Yiazmat completamente scomparso, Cloud e Vanitas che erano tranquilli ospiti della fortezza come se non avessero fatto niente e adesso Tidus che nemmeno lo guardava in faccia.
    - Rispondimi, maledizione! - lo scrollò più spaventato che arrabbiato, afferrandogli le chiusure della giacca. - Cos'è successo a Denzel?! -
    - MI DISPIACE! - scattò Tidus respingendolo, le braccia tese lungo i fianchi come tronchi d'albero. - Non lo so, Roxas... - si decise finalmente a parlare, poggiando una mano a una sedia e faticando a guardarlo negli occhi. - E' stato quasi due settimane fa -
    - DUE...! - ripeté incredulo. Come poteva venire a saperlo solo in quel momento?
    - L'ho visto uscire di casa in piena notte, in pigiama, senza nemmeno le scarpe. Era come se dormisse! - continuò il fratello, con il viso che rievocava ogni emozione di quella notte. Sgomento, paura, preoccupazione... era un libro aperto- A un certo punto è scomparso. Era arrivato fino alla chiesa del Settore 6, lasciandosi dietro esplosioni su esplosioni: ho preso la moto, l'ho raggiunto, e l'ho visto... l'ho visto... -
    Roxas lo sostenne. Qualunque cosa avesse visto, sapeva che nessuno di loro due sarebbe riuscito a sopportarlo indenne. Tidus era caratterialmente molto più forte di lui, e se aveva ceduto doveva essere stato qualcosa di orribile.
    - Era coperto di sangue... - una lacrima rigò il viso abbronzato del ventiquattrenne. - Ed era circondato di cadaveri - sibilò come se avesse paura di dirlo troppo forte. - Mi ha guardato con degli occhi... e poi c'era quell'uomo sul riflesso della vetrata della chiesa. Con quel cappotto bianco... - le labbra gli tremarono e lui represse il pianto con una smorfia sofferente, evitando di nuovo lo sguardo del fratello. - Noctis e Lightning mi hanno portato qui, sembra che Theresa voglia aiutarmi -
    Roxas intanto pensava. L'uomo col cappotto bianco, aveva detto: non c'era più alcun dubbio, semmai ce ne fossero, che si trattasse del Quattordicesimo. Lo stesso che aveva rapito Allen davanti al Tempio di Sauron, a Bikanel. E che durante la battaglia a Saint Bevelle era uscito dall'Esorcista stesso come un demone.
    - Aiutarci, vorrai dire - lo corresse istintivamente il Custode, guardandolo con severità. - Pensi che ti lascerò fare tutto questo da solo? -
    - E tu pensi che io stia giocando, qui? - ribatté Tidus, che abbandonate le sensazioni di quella notte tornò tutto d'un pezzo. - Per quanto vorrei che ce ne occupassimo assieme, come una famiglia... - disse in tono più basso, con una malcelata nostalgia per i tempi di pace. - Tu hai già troppo a cui pensare, Roxas. Hai già un compito troppo importante -
    - E' di nostro fratello che si sta parlando, Tidus! - disse Roxas per contro, a occhi sgranati, stupito che Tidus gli stesse dicendo, in parole povere, di non immischiarsi in quella storia. - Non posso restare a guardare mentre quel mostro lo usa per i suoi comodi! -
    - E non mi aspetto che tu lo faccia! - l'altro batté il pugno sul tavolo, risoluto. - Ma lascia che me ne occupi io, Roxas - il suo tono si addolcì, abbassandosi, con un misto di preghiera ed empatia. - Aiuterò Denzel, e lo riporterò a casa -
    Roxas non era per niente convinto: guardava di lato, negando vivamente con espressione contrariata.
    - E hai già un'idea? - domandò a bruciapelo.
    - Più o meno - disse Tidus, imbarazzato. - Theresa dice che ci occorreranno alcune cose -
    - E cosa? -
    - Persone, innanzitutto. Dei maghi potenti, in grado di scindere le dimensioni. Sai, per... per scacciarlo. Dalla sua mente - cercò di spiegare, anche se lo sguardo serio di Roxas lo scoraggiava dal parlare. Normalmente l'avrebbe messo al suo posto, ma dato che si sentiva in colpa ad avergli chiesto di starne fuori, si sentiva un po' più vulnerabile. Sapeva bene del compito del fratello, e non voleva sottovalutare la sua preoccupazione. - Fortunatamente sono tutti dell'Enclave! Gandalf, ad esempio... Warlic, e un certo Silente... anche se quest'ultimo non ho la minima idea di dove sia -
    - E una volta riuniti? - incalzò Roxas, a braccia incrociate, continuando a scrutare il fratello con aria inquisitrice.
    - Be', occorre un mago particolare che faccia da catalizzatore - continuò a spiegare, un po' confuso. - E poi... un Esorcista -
    Roxas alzò un sopracciglio.
    - E perché un Esorcista? - domandò iniziando a confondersi a sua volta.
    - Perché... perché solo loro sono in grado di scacciare i Noah dal corpo. Non ho capito bene - ammise, lasciando cadere le braccia ciondoloni. - Ma sto facendo il possibile, credimi! Non dormo neanche la notte, quasi! -
    - Devo farti un'altra ramanzina, Roxas? - intervenne Allen, che fino a quel momento aveva ascoltato tutto: accanto a sé aveva un bambino che non poteva avere più di dieci anni, con un lungo cappotto blu chiaro che gli raggiungeva le caviglie, pantaloni larghi a righe verticali verdi e bianche la cui parte finale nascondeva gran parte degli stivali di un vivace color castagna, e una casacca corta nera, pesante, ben coperta dal cappotto, chiuso da laccetti incrociati sullo sterno. Ma il particolare che si notava di più di quel ragazzino era l'enorme cappello a punta giallo che portava ben calcato sul capo, dalle ampie falde. Il tubo del cappello si piegava all'indietro a un tratta, lasciando la punta a penzolare sulla parte posteriore del bizzarro copricapo.
    - S-salve, signor C-custode - disse il bambino con un profondo inchino.
    - E' un po' timido - disse Tidus. - Lui è Vivi... e a quanto pare, è il nostro catalizzatore - spiegò con un ampio sorriso.
    - E l'Esorcista ce l'avete qui davanti - completò Allen con le mani sui fianchi e l'espressione convinta. - Penso che tu sia in grado di cavartela da solo, d'ora in poi - aggiunse con arie da sapiente mentore. - Dunque aiuterò tuo fratello con Denzel. Sei più tranquillo? - domandò incrociando le braccia. Lo guardò profondamente, percependo la sua tensione. Era ovvio che Roxas fosse preoccupato, ma non poteva pensare anche a Denzel. Soprattutto sapendo che Neah aveva un grosso appiglio affettivo, affrontandolo.
    - D'accordo... - disse Roxas rassegnato. Sapeva che entrambi avevano pienamente ragione, e sapeva di potersi fidare ciecamente di Tidus: ma era preoccupato, com'era giusto dopotutto, per Denzel. Da quando l'aveva tirato fuori da quella casa in fiamme lo aveva sempre protetto e tenuto al sicuro. Aveva insistito per tantissimo tempo perché potesse portarselo a Twilight Town a studiare, finendo per litigare con suo padre di fronte ai costanti "no". Certo, aveva poi capito il motivo di quella negazione, ma in quel momento non ci aveva certo pensato. Voleva solo tenere il suo fratellino dove potesse continuare a custodirlo, istruendolo accuratamente su come barcamenarsi nella vita scolastica e sociale. Ma Roxas stesso era un ragazzino, alla fine. Cosa poteva realmente sapere? Ed era per questo che i suoi genitori si opposero fermamente senza neppure ascoltarlo. Però le superiori le avrebbe fatte a Twilight Town, questo gliel'avevano assicurato.
    E ora, questo. Quel maledetto Quattordicesimo lo aveva posseduto e lo usava per seminare morte.
    - Mi fido di voi - disse come se faticasse a sostenerlo. - Mi fido di te, Tidus - specificò guardandolo dritto negli occhi. I due fratelli avevano appena stipulato una sorta di contratto, firmato dal loro scambio di sguardi risoluti.
    - Tu pensa a salvare il mondo - disse Tidus. - Io penso alla famiglia - gli tese la mano.
    Roxas annuì, stringendola a sua volta. Provava sempre una certa soggezione nei suoi riguardi, anche se era più basso e piantato rispetto a lui e non sembrava mai particolarmente serio.
    - Penso che andrò a dormire un po', ora - disse Roxas sentendosi la stanchezza crollargli addosso con la potenza di una frana. - Ci vediamo domani -
    - S-suo fratello è i-in ottime mani - balbettò Vivi sempre deferente, andando rapidamente a nascondersi dietro Allen.
    - Chiamami Roxas e dammi del tu - propose il Custode con gentilezza, allontanandosi verso la porta. - Grazie - disse a tutti e tre, prima di ritirarsi.

    Non appena uscì dal refettorio una ragazza dai lunghissimi capelli rosa lo scortò nello stesso piano dove aveva avuto quel piccolo alterco con Vanitas e Cloud. A quanto sembrava, lì ci mettevano anche gli ospiti... sperò vivamente di non dover condividere la stanza con nessuno dei due.
    Le sue speranze furono accolte: aperta una porta di legno si trovò davanti a una camera vuota, con un letto pulito e fatto dalle soffici lenzuola bianche sormontate da una coperta verde: il baldacchino e l'impalcatura del letto erano di solido legno di noce, e nonostante tutto l'ambiente fosse fatto di pietra, era caldo e confortevole. Ai piedi del letto c'erano dei morbidi tappeti di pelliccia. Su un lato della stanza c'era una vasca da bagno, che Roxas intuì non fosse affatto del tipo a cui era abituato nel suo tempo.
    - Se vuoi, dammi pure i tuoi vestiti - disse la ragazza servizievole. - Li farò lavare e domattina saranno pronti perché tu possa utilizzarli di nuovo -
    - Come ti chiami? - chiese istintivamente, un modo come un altro per non sentirsi troppo servito. Se li sarebbe lavato da solo, se avesse avuto una lavatrice a portata di mano.
    - Simca - rispose lei chinando leggermente il capo. - Sono una Ninfa -
    - Roxas - si presentò a sua volta, anche se probabilmente lì dentro lo conoscevano tutti. - E... cosa dovrei mettere in assenza di questi? -
    - Puoi indossare gli abiti da Novizio, come quelli di tuo fratello - disse Simca indicando un armadio che non aveva visto.
    - Sono della mia misura? - domandò d'impulso, dal momento che da sempre trovare qualcosa che gli stesse bene era un'impresa titanica. Simca si limitò a sorridere come se avesse fatto una battuta. - Uhm... va bene - ci pensò su, imbarazzato. Si sentiva un pesce fuor d'acqua, decisamente. - Devo spogliarmi, puoi... -
    - Certamente - disse Simca voltandosi. - Ma c'è un paravento proprio accanto alla vasca, non l'hai visto? -
    Roxas iniziò a domandarsi se lì dentro avessero tutti un contorto senso dell'umorismo, se lui stesse diventando cieco o se le cose in quella fortezza comparissero quando gli pareva. Si mise dietro il paravento e iniziò a sciogliere le cinghie della corazza di pelle che gli proteggeva il petto, facendola cadere a terra con un tonfo, seguita dai bracciali di cuoio. Tolse anche gli stivali di cuoio e li gettò da una parte, beandosi della sensazione della pietra fredda sotto i piedi nudi. Slacciò i lacci e i bottoni della veste da Assassino, aprendola e buttandola sulla cima del paravento, seguita subito dopo dai pantaloni.
    - Quindi nel vostro secolo non si portano indumenti intimi? - domandò Simca facendo diventare Roxas rosso come un papavero.
    - Ecco qui - disse con la voce incrinata dalla vergogna. - Potresti uscire, ora? - chiese con impazienza, coprendosi le intimità con una mano.
    - Non capisco cos'abbia da vergognarti, questi abiti sono pulitissimi - disse la Ninfa andando alla porta. - Rispetto a quelli dei nostri Cavalieri, s'intende - aggiunse ironica, chiudendosela alle spalle.
    Roxas si torse le mani, ma poi, iniziando a sentire freddo, si voltò verso la vasca. Era piena d'acqua calda e fumante, anche se avrebbe giurato di averla vista vuota qualche istante prima!
    - Mi sembra di essere in uno di quei romanzi che ti piacciono tanto... - si ripeté pensando a Sora. Era sicuro che avrebbe adorato quel posto e contò di farglielo vedere, quando si fossero rivisti.
    Immerse il corpo straziato da lividi, tagli e ferite nell'acqua, sentendo un calore rigenerante lambirgli ogni singolo muscolo e nervo. Si rilassò rapidamente, socchiudendo gli occhi e lasciando che il nulla totale sostituisse tutte le sue preoccupazioni. Era uno di quei rari momenti in cui poteva rilassarsi, quindi doveva approfittarne completamente, visto che poteva. Inspirò profondamente l'odore dei sali e si immerse del tutto, per diversi secondi. Altair dopotutto l'aveva addestrato anche a questo: poteva stare in apnea quasi tre minuti, grazie alle capacità di autocontrollo delle funzioni corporee. L'anziano mentore o Malik erano addirittura in grado di portare i loro segni vitali quasi al minimo e fingersi letteralmente morti, non che gli fosse mai servito a qualcosa.
    Riemerse scuotendo la testa, levandosi i capelli dalla faccia e notando che stavano iniziando a diventare un po' troppo lunghi. Stava già pensando se vi fossero delle forbici vicino a lui, ma improvvisamente sentì i capelli tornare a lambirgli metà della fronte, la stessa lunghezza che avevano quando la loro avventura era iniziata.
    - Comincia a diventare inquietante - notò alzandosi. Si sentiva decisamente rinato, dopo una bella mangiata e un bagno caldo. Controllò se per caso Simca fosse ancora appostata nella stanza, e non vedendola uscì fuori dallo spazio del paravento dopo aver afferrato una tovaglia per asciugarsi. Aprì l'armadio e notò che aveva davanti uno specchio. I numerosi lividi, le abrasioni e le ferite stavano lentamente sbiadendo. Fu stupito nel vedersi piuttosto magro. La pelle era un po' tirata e i muscoli erano tutti tesi, anche se dopo il bagno erano più rilassati e il suo corpo sembrava aver preso una rinfrancante pausa. Prese gli abiti e mise solo dei boxer (la cui inspiegabile modernità non voleva spiegarsela), lasciando il resto su una sedia accanto al letto.
    Aprì le lenzuola e si gettò di peso su di esso, con un lungo sospiro di sollievo. Era ancora tardo pomeriggio, a dirla tutta: il sole non era ancora tramontato e stava appena iniziando a sparire tra le montagne, tingendole di rosso sangue. Ben coperto in quel giaciglio morbido e accoccolatosi in modo da non lasciare entrare un singolo spiffero verso il corpo quasi nudo sotto le lenzuola, si concesse un sorriso soddisfatto. Si sentiva quasi un bambino, ripensando a quando sua madre gli rimboccava le coperte quando andava a dormire. Tese una mano, verso l'altro cuscino. Se si escludeva il suo svenimento dopo lo scontro con Yiazmat, l'ultima volta che aveva dormito era stata con Sora.
    - Buonanotte... - mormorò, addormentandosi.


    Le sue ali erano aperte.
    Grandi, piumate, meravigliose. Il loro colore era splendente, ma non era sicuro che fosse bianco.
    Non poteva capirlo, perché volava contro una luce accecante: era calda, accogliente, ma ogni centimetro che ci si avvicinava essa bruciava sempre di più.
    Sentiva la sua pelle ustionarsi e sfaldarsi, ma non poteva arrestare il suo volo.
    Tese il braccio, sentendo le sue ali disfarsi.
    Gridò, tentando di afferrare una luce dorata che sfavillava su quella bianca e accecante.
    Una voce arcana parlò. Era diversa da quella che aveva sentito tanti mesi prima, ma le sensazioni che trasudava erano le stesse.
    Ho sfidato dèi e demoni...


    - Ah! - si svegliò di soprassalto.
    Era notte fonda: a giudicare dalla Luna e dall'oscurità, dovevano essere circa le quattro del mattino. Quindi, aveva dormito dieci ore filate. Niente male, visto che la sua media era di un paio d'ore un giorno sì e uno no. Gemette spaesato, stropicciandosi gli occhi assonnati e mandando un lungo sbadiglio. Ebbe un brivido causato da un po' d'aria fredda sul torso sudato, e fu tentato di rimettersi sotto le coperte. Aveva voglia di dormire ancora per un'altra settimana come minimo, ma non era più abituato a stare a letto tanto a lungo. Le domeniche passate a ronfare beatamente fino alle due del pomeriggio erano ricordi lontanissimi, ormai.
    - Era ora che ti svegliassi - disse una voce cupa e conosciuta.
    Roxas urlò sorpreso, cercando la spada e rotolando giù dal letto, ma sospirò di sollievo nel vedere che si trattava di Yiazmat.
    - Ah, eccoti - disse riprendendo la calma. Era seduto accanto al capezzale, con le braccia conserte e uno sguardo incredibilmente serio. - Dov'eri finito? -
    - Ho parlato col Fabbro Celeste - rispose Yiazmat rabbuiato. - Mentre tu perdevi tempo -
    - Ho solo fatto quello che ogni essere umano ha diritto di fare - replicò Roxas per nulla contento di essere ripreso a quel modo, da lui poi. - Mangiare, dormire e farsi un bagno -
    - Sì, scusa - si affrettò a dire il Drago, vacuo. - Ho... ho bisogno di parlarti, Roxas -
    Il Custode si alzò dal letto, notando che Yiazmat aveva buttato gli abiti da Novizio per terra. Fece per prenderli rassegnato, quando vide l'armadio aperto e le sue vesti da Assassino, con tanto di corazza, tirate a lucido e addirittura riparate: alla pettiera erano state aggiunte delle placche metalliche, così come ai bracciali e agli stivali. Gli strappi alla veste erano stati rammendati così bene che sembrava nuova, Il cinturone di pelle era stato rinforzato e la fibbia, che tendeva a slacciarsi da sola, era stata sostituita.
    - Ti aspetto sulla terrazza superiore - disse Yiazmat alzandosi e andandosene in silenzio, lasciando Roxas con parecchie domande.
    Si vestì rapidamente, percependo come ogni cellula fosse contenta di entrare in contatto con del tessuto pulito. Non che la sua pelle fosse particolarmente delicata ormai, ma era sempre bello indossare qualcosa che non avesse anche il peso di fango, terra, polvere, sudore e sangue rappreso su di sé. Finendo di allacciare i vari pezzi della corazza (più per abitudine che per reale necessità), pensava cosa stesse succedendo a Yiazmat, sempre più chiuso e malinconico da quando avevano lasciato il Cratere. All'inizio credeva si trattasse dello scontro con Denzel, ma era impossibile che ancora se ne preoccupasse tanto. Poteva essere che gli mancasse casa? Erano ormai molto lontani dall'altare di Esthar, dopotutto.
    Qualunque cosa fosse stata Roxas avrebbe comunque fatto del suo meglio per aiutarlo, dato che si era dimostrato un compagno affidabile. E tutto sommato, era anche un amico gradevole.
    Una volta sistemato, si diresse a grandi passi verso la terrazza, che doveva essere subito dopo il piano dove si trovavano le stanze di Andraste. Non guardò neanche quella zona, per una sorta di scrupolo morale. La padrona di casa non c'era, no?
    Arrivò ad una porta di legno, che aprì senza difficoltà. Pensava fosse chiusa a chiave, ma pensandoci bene era molto difficile scalare le mura di Weisshaupt, c'erano diverse guardie sui torrioni e anche sul tetto stesso.
    La terrazza superiore di Weisshaupt sembrava più una sorta di giardino di meditazione: c'era un gazebo bianco al centro di esso, fatto di sottili e articolati disegni legnosi, e tutt'intorno ordinate siepi e aiuole fiorite in un disegno perfettamente simmetrico. Un viottolo ciottoloso conduceva per vari punti, collegando le estremità della zona quadrata. Roxas si guardò intorno alla ricerca di Yiazmat, con le narici piene dell'odore di erba fresca e fiori. L'aria era pungente, ma piacevole da respirare, tutt'altra cosa rispetto a quella densa di metalli pesanti e puzza di smog delle città di Midgar.
    Finalmente lo vide: era seduto sulle merlature, in attesa. Probabilmente si era già accorto del suo arrivo e stava aspettando di essere trovato, dunque Roxas si avvicinò a grandi passi. Per quanto fosse alto e forte, in quel momento il Drago sembrava debole e vulnerabile come un cucciolo.
    - Yiazmat? - lo chiamò a voce bassa.
    - Ah, eccoti - lo salutò Yiazmat invitandolo a sedersi. - Siediti pure, tanto se cadi ti prendo - aggiunse sorridendogli.
    Il Custode accettò l'invito, mettendosi accanto a lui. Occupavano lo spazio tra un parapetto e l'altro.
    - Cosa ti succede, Yiazmat? - domandò subito Roxas, senza giri di parole. Non gli andava di fare uno di quei dialoghi da film dove si esordiva parlando del tempo.
    - Hai qualche rimpianto, Roxas? - domandò il Drago continuando a fissare le montagne davanti a loro.
    - A cosa ti riferisci? -
    - A tutto questo - esplicò meglio. - A questa guerra, ai tuoi amici... hai qualche rimpianto per la tua vita? -
    Roxas ponderò a lungo la risposta. Ci pensava costantemente, in fondo: quante cose avrebbe voluto fare, prima che tutto quanto si stravolgesse in quel modo. Si domandò come sarebbe andata con Sora, se avessero avuto una relazione normale senza che qualcuno tentasse di ucciderli. Come sarebbe stata la loro vita senza l'Organizzazione, senza Altair, senza imminenti apocalissi.
    - Tutti abbiamo dei rimpianti per qualcosa - rispose. - Qualcosa che avremmo voluto fare, o che avremmo potuto, ma non abbiamo fatto. Mi sbaglio? - Yiazmat tacque. - Vorrei dire di essere una di quelle persone sicure che guardano solo al presente e al futuro, senza preoccuparsi del passato. Ma non lo sono - negò accompagnando le parole con un gesto di diniego del capo. - E non lo sarò mai. Penso al mio passato, e penso a quante stupidaggini ho fatto e non avrei voluto fare -
    - Ad esempio? - domandò Yiazmat guardandolo con estrema curiosità.
    - Ad esempio... dichiararmi prima a Sora - disse con una certa amarezza. - O non andare a quello stupido festino dove delle... puttane mi fecero ubriacare per fare sesso. Un compleanno rovinato - sbuffò.
    - E ti fanno stare male queste cose? - proseguì il Drago, quasi ingenuamente.
    - Non tanto - ammise Roxas pressandosi le cosce con le mani. - Se da una parte è vero che io sono il prodotto delle mie esperienze passate, dall'altra è anche vero che tali esperienze non hanno fatto di me ciò che sono ora. Avrei potuto smettere di credere nell'amore, ad esempio. O avrei potuto perdere fiducia nella gente, diventare superficiale e frivolo -
    - E le tue esperienze in questi ultimi mesi? Anche queste non hanno inciso? -
    - E' un po' diverso - sorrise Roxas, poggiandosi all'indietro. - Le mie decisioni non possono più riguardare solo me stesso. Se avessi scelto di non difendere Minas Tirith, avrei migliaia di vite sulla coscienza. Sora non avrebbe perso la vista, forse Shuyin non sarebbe morto, ma sarebbe stato un massacro - Yiazmat non parlava, assorto nelle sue parole. - Certo, ho dei rimpianti. Forse se fossi rimasto coi miei amici avremmo trovato comunque il modo di arrivare a Kalm tutti insieme - Yiazmat sapeva la loro storia, raccontatagli a grandi linee, dunque capì di cosa parlasse. - Se mi fossi rivelato prima, forse sarebbe cambiato qualcosa... ma a questo punto, non mi è dato saperlo -
    - E i tuoi keyblade? - le domande erano sempre più disconnesse tra loro, anche se per Yiazmat avevano un senso logico. - Provi dei rimpianti per loro? -
    - Certo che sì - rispose Roxas tristemente. - Se fossi stato più concentrato, sarebbero ancora interi e adesso non sarei separato dagli altri - ammise. - E non ti avrei strappato dalla tua dimora - aggiunse con senso di colpa. - Hai dei rimpianti, Yiazmat? -
    Il Drago fu preso alla sprovvista dal voltarsi della domanda, attento com'era nel prepararne un'altra. Roxas non capiva dove volesse andare a parare. Non riusciva a ricollegarle tutte, anche se avevano la stessa base. E perché mai Yiazmat se ne preoccupava tanto?
    - Avrei voluto rivedere mia sorella - disse il Drago dopo una lunga riflessione. - E avrei voluto dire tante cose ai miei genitori. Noi Draghi possiamo vivere per sempre, ma ci accorgiamo di tante cose solo quando è troppo tardi... -
    - Tardi? - ripeté Roxas confuso. Cosa stava succedendo?
    C'era qualcosa di oscuro nelle parole di Yiazmat, qualcosa che non quadrava. Tutte quelle domande erano quasi un esame, un controllo. Era come se si stesse assicurando che Roxas fosse una persona degna di fiducia. Davvero non poteva più tornare indietro?
    - Ti mancano tanto? - chiese mettendogli una mano sulla spalla. Lui annuì. - Yiazmat, nessuno ti obbliga a rimanere con me! - disse girandolo verso di sé. - Quando avremo finito torna da loro, se è quello che vuoi..-
    - Non posso! - lo interruppe Yiazmat alzandosi in piedi e dandogli subito le spalle. - Ho scelto di andarmene, ho giurato! Nessun Drago può sottrarsi! -
    - E allora tu sarai il primo - ribatté Roxas deciso. - Per loro sei ancora un cucciolo, no? Allora torna dalla tua famiglia! -
    - Ho scelto... - ripeté il Drago, con voce bassa e malinconica. - Di stare con te. Non posso più tornare indietro -
    - Vorresti? -
    - Sì... - confessò Yiazmat, in tono lamentoso.
    - E allora torna da loro - disse il Custode con un ampio sorriso. - Siamo noi che facciamo le scelte, non il contrario. Nessuno nasce con un destino già scritto -
    - I Draghi sì, Roxas - replicò debolmente l'antica creatura, voltandogli ancora le spalle. - Siamo troppo potenti, per essere liberi -
    - Quindi tu rimpiangi di essere nato Drago? - comprese Roxas, o almeno credette di farlo.
    - Potremmo dire che sia così - confermò l'altro, stringendo appena i pugni.
    - Guardami - esortò il Custode. Yiazmat si girò, lentamente, guardandolo negli occhi. - Non ho mai chiesto questo, Yiazmat - disse serio, con l'espressione concentrata interamente su di lui. - Ma ora che sono qui, pensi che dovrei tirarmi indietro? -
    - No, ma... cosa si può fare? - cercò di raccapezzarsi il Drago, trascinato dalle sue parole.
    - Non lo so! - rise Roxas. - Ed è questo il punto! - spiegò allargando le braccia. - La nostra vita, il nostro destino, ce lo decidiamo noi giorno per giorno! C'è sempre un'altra via, oltre a quella che ci sembra la più facile o la più ovvia -
    Yiazmat rimase per qualche tempo a fissare il nulla davanti a sé, assorto e pensoso. Roxas non sapeva cosa gli stesse frullando per la testa, ma sperava vivamente che le sue parole avessero fatto centro. Non voleva vederlo stare male e voleva davvero che trovasse un epilogo felice alla sua storia. Avrebbe preferito di gran lunga saperlo di nuovo con la sua famiglia, piuttosto che a spasso con loro per il mondo e con tutti quei dubbi. Attese una sua parola prima di dire qualcos'altro, mentre i primi chiarori iniziavano a mostrarsi dai rostri dorati delle montagne. Una brezza fredda si alzò scompigliando loro capelli e vesti, in un silenzio inframmezzato dal tintinnare dei foderi e delle corazze dei Cavalieri del Tempio, i soldati dell'Enclave.
    - Roxas - disse Yiazmat dopo diverso tempo. - Hai mai volato? -
    - Solo una volta... e per poco non ci lasciai le penne - ricordò grattandosi la guancia, con una risata imbarazzata. Non poteva chiamare "volo" le due volte che era rimasto sospeso a mezz'aria per evitare a Sora di morire sfracellandosi al suolo.
    - Non hai mai cavalcato un dov? - domandò subito dopo.
    - Un.. cosa? - Roxas non era sicuro di aver capito bene a cosa si riferisse.
    - Drago. Dov nella nostra lingua - spiegò Yiazmat.
    Roxas negò. Dopotutto, non è che i Draghi fossero moltissimi al mondo da poterli cavalcare! Ma rimase colpito dal fatto che anche loro avessero una propria lingua. Si incuriosì, pensando a come potesse essere una conversazione in... draghese? Draghiano? In lingua dei Draghi, insomma.
    - Bene - disse allegro afferrando Roxas per un braccio, e prima che questi potesse dire alcunché se lo mise sulle spalle e corse contro la merlatura, dandosi lo slancio e spiccando un salto nel vuoto.
    - YIAZMAT!! CHE DIAVOLO STAI FACENDO?! - strepitò Roxas terrorizzato nel vedere il piatto cortile di Weisshaupt avvicinarsi.
    - Ov faasnu dov, Vahlok! - disse il Drago, e in un intenso lampo di luce il giovane si trovò sulla squamosa groppa di Yiazmat nella sua forma draconica: si resse alle sue scaglie simili a metallo, cercando di non cadere. - Fidati sempre di un Drago, Custode! - disse con voce simile a un ruggito, spalancando le sue immense ali color argento e sbattendole con maestosa potenza. Un coro di voci meravigliate si alzò quando i maghi iniziarono ad accorrere alle finestre per vedere un drago in carne e ossa solcare i cieli delle montagne di Nowart.
    Roxas teneva gli occhi socchiusi, spaventato e incerto su come posizionarsi senza cadere. Le mani gli tremavano sotto l'incredibile spinta dell'aria: Yiazmat era velocissimo, il disco dorato che cavalcava il suo muso fendeva il vento come la chiglia di una nave, facendolo fischiare alle sue orecchie: il paesaggio sotto di loro passava tanto rapidamente da sembrare sempre lo stesso.
    - Abbi coraggio, Roxas! - lo esortò Yiazmat, l'allegria che trapelava dalla sua voce. - Guarda il mondo con gli occhi di un Drago! -
    E Roxas li aprì, i suoi occhi. Era teso, come quando si trovava in aereo: odiava stare su qualcosa che non poteva controllare, troppo nelle mani di altri. Ma in quel momento era diverso. Si poggiò sul robusto collo del Drago, cingendolo appena per evitare di cadere; e alzando lo sguardo vide le montagne inondate dell'oro del sole, tra le quali Yiazmat volava con assoluta leggerezza e incredibile agilità. La conca dove si trovava una delle città più meridionali di Vellond, in quel momento niente più di un minuscolo puntino.
    Yiazmat virò bruscamente, tornando verso Weisshaupt, librandosi ancora più in alto. Roxas allora fu tentato di osare, perché in quel momento lui e Yiazmat erano aria, né carne né ossa. I loro spiriti volavano sopra i limiti degli uomini, in mezzo alle nuvole e all'aria pura e limpida. Il giovane Custode spiegò le braccia e mentre Yiazmat ruggiva mandò un urlo, gioioso e acuto, che risuonò per tutti i monti: per poco non perse l'equilibrio, ma questo non lo fece smettere di ridere e godersi quell'esperienza unica al mondo. La libertà nella sua forma più pura, ciò a cui gli esseri umani aspiravano dai primordi. Le ali, la capacità di volare.
    E lui, in quel momento, la stava provando.


    Atterrarono dopo tantissimo tempo, ridendo entusiasti, inebriati per tutta quell'emozione. Roxas avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma riusciva solo a guardarlo con la gioia a percorrergli il viso.
    - Piaciuto? - disse Yiazmat divertito. Il suo cuore sembrava più leggero.
    - Accidenti! - ansimava Roxas con la gola che gli raspava. Aveva urlato parecchio!
    - E posso... - ma qualunque cosa potesse fare, Roxas non lo seppe mai.
    - E' ora - disse un uomo avvolto in una corta casacca verde, larghi pantaloni grigio scuro e con una zazzera di capelli castani a corprirgli gran parte del viso. Era alto, incredibilmente robusto e muscoloso, e sulla schiena portava un grosso martello di metallo sconosciuto, dall'impugnatura avvolta in bende annerite. - Siete pronti? -
    - Chi è, Yiazmat? - domandò Roxas stupito da quell'apparizione improvvisa.
    - Sono Cysero - disse lui, non senza darsi un po' di arie. - Il Fabbro Celeste, per la cronaca. E sapete, resterei volentieri a chiacchierare ma forgiare un Keyblade dell'Equilibrio è una cosa lunga. Ce li hai i monconi? -
    - Sì, sono qui - disse Roxas indicando una sacca legata al cinturone, che portava sempre con sé.
    - Bene, la Forgia Celeste è di qua - disse indicando un viottolo che portava dritto dentro una montagna, dalla terrazza. - Siete pronti? - ripeté.
    - Be', sì... - disse Roxas confuso. Che c'era di tanto preoccupante nel forgiare un Keyblade?
    - Puoi darmi qualche minuto? - chiese Yiazmat a Cysero.
    - Vorrei tanto, ma limitatevi a camminare più lentamente - disse esortandoli a muoversi, mentre lui si incamminava a grandi passi verso la Forgia, come se trotterellasse.
    - Roxas, tu... - lo guardò, arrossendo un po'. - Mi tratterai bene? -
    - Non sei mica il mio cane, Yiazmat! - esclamò Roxas confuso da quella domanda. - Sei mio amico, no? Ti tratto come tale -
    - Non è questo -
    Yiazmat si fermò, proprio quando erano arrivati alla porta della Forgia Celeste. Il suo sguardo era ricolmo di una gravità improvvisa, quando si voltò a fissarlo.
    - Avrei dovuto dirtelo prima... -
    Il suo pugno si strinse sulla maniglia, quasi tremante. Prese un profondo e incerto respiro, improvvisamente faticando a dire qualunque cosa.
    - Non ti ho detto come sono fatti davvero i Keyblade -
    - Cosa c'è che non so, Yiazmat? - domandò Roxas d'un tratto teso e spaesato, guardandolo con trepidazione. - Cosa mi state nascondendo? -
    - Un Keyblade non è semplicemente fatto con qualche scaglia di Drago - disse con voce bassa, quasi incapace di parlare. - Un Keyblade è un Drago... -
    Roxas sbiancò, iniziando improvvisamente a capire. A capire il perché di tante, troppe cose.
    - Io morirò, Roxas - disse Yiazmat con un debole sorriso. - E diventerò il tuo Keyblade -
     
    Top
    .
  4.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Twilight Player

    Group
    Member
    Posts
    65,055

    Status
    Anonymous
    OAUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!

    oh dioodiodidodidodido.

    Allora, si inizia subito con l'arrivo a Weisshaupt e udite e udite, ROXAS incontra Cloud e Vanitas O_O
    Strano che si sia trattenuto dall'attaccarli, ma vabbeh Theresa gli dice che sono loro ospiti e quindi di stare fermo a quel biondino del cazzo (wtf, quale dei due).
    Mi è piaciuta tantissimo la parte di Roxas e il fratello Tidus, mamma mia.. Denzel ormai è posseduto e per liberarlo servono Vivi (ahauah grande personaggio) e Allen, per l'appunto, che è un Esorcista.
    Denzel esce di notte senza scarpe e sporco di sangue! Che furfantello!
    Il capitolo è tutto incentrato su Roxas e ci sta, simpatica la parte che si spoglia davanti la ninfa

    cookie-monster-wtf-is-this-thumb-324x314-1553831 ---> Roxas che non si spiega perchè le cose compaiono senza che lui se ne accorga

    E infine, Yiazmat lo fa volare (IO CREDO NELLE FATE, LO GIURO, LO GIURO!) e arrivano dal Fabbro Celeste...
    NUOOOOOOOO! Yiaz deve morire y.y io rinuncerei ai Chibleid a questo punto. E che cazzo.

    Bel capitolo di transizione come tuo solito, e anche se è passato un bel po' di tempo non hai perso lo smacco.
    :3
     
    Top
    .
  5. _Holy
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Sembra passata un'eternità dall'ultimo capitolo...
    anziano

    Sì, devi decisamente accorciare i tempi, lo so che non è facile, la conosco la tua situazione (ndr).
    Data poi la pochezza di contenuti dei nuovi capitoli, è d'obbligo ambire a tempi meno compassati. Questo capitolo si salva grazie al colpo di scena finale, perché il resto non sarebbe comunque sufficiente a livello quantitativo.
    L'aver spostato l'azione su Roxas, dedicando l'intero capitolo a lui, ha reso la lettura decisamente leggera e scorrevole, oltre ad aver rispolverato il suo ruolo da protagonista (echeccazzo)
    Anche se continuo a preferire Cloud e Vanitas, che in questo capitolo si sono dimostrati decisamente fuori dagli schemi... non riesco proprio a figurarmeli come coppietta felice, o comunque spensierata... se fossi in te, cercherei di rendere la loro relazione un po' più dubbiosa e tormentata, in linea con tutto ciò che hanno dovuto affrontare.
    E poi diciamocelo: Cloud come marito è un pantofolaio.
    LOL
    Mi ha fatto piacere vedere Roxas non seppellire l'ascia da guerra nei suoi confronti: è stato un gesto realistico.

    'kay, discostando Smica Occhiolungo e le vasche che si riempiono da sole, la sensazione di apparente tranquillità è stata ben ricreata.
    Salvo stangoni biondi autistici e brutte copie di ragazzi-mamma (Cloud & Vanitas).

    CITAZIONE
    - Buonanotte... - Mormorò Roxas.
    - Anche a te... - Rispose Yazmat.
    - O_O' wtf?! -

    Fixed, 'roll

    No dai, seriamente: come può Sora starsene tranquillo, sapendo che il suo ragazzo se ne va in giro con dei ragazzi decisamente più fighi di lui?


    Tidus ha finito di allenarsi? Bene.
    Era ora.
    Mi ha fatto abbastanza pena vederlo preoccuparsi così per il piccolo Denzel.

    Ricetta per un esorcismo.
    - Prendete Allen Walker, e mettetelo da parte.
    - Prendete Vivi, e mettetelo da parte.
    - Prendete Padre Amorth, e mandatelo a scacciare il Noah dal corpo di Denzel.

    FINE.


    Ehm...

    CITAZIONE
    Le sue ali erano aperte.
    Grandi, piumate, meravigliose. Il loro colore era splendente, ma non era sicuro che fosse bianco.
    Non poteva capirlo, perché volava contro una luce accecante: era calda, accogliente, ma ogni centimetro che ci si avvicinava essa bruciava sempre di più.
    Sentiva la sua pelle ustionarsi e sfaldarsi, ma non poteva arrestare il suo volo.
    Tese il braccio, sentendo le sue ali disfarsi.
    Gridò, tentando di afferrare una luce dorata che sfavillava su quella bianca e accecante.
    Una voce arcana parlò. Era diversa da quella che aveva sentito tanti mesi prima, ma le sensazioni che trasudava erano le stesse.
    Ho sfidato dèi e demoni...

    Tu forse puoi venirmi a dire che questo non ha niente a che vedere con il trailer di Human Revolution, ma non servo io a dirti che risulti decisamente poco credibile.
    <3

    (il capitolo sembra lungo solo perché metà di esso è composto dalle pippe mentali di Roxas, ricordatelo amici lettori)
    'roll.

    Devo essere sincero? Non ho digerito molto la componente skyrimiana, e il linguaggio dei draghi... un po' fanservice...
    Però mi è piaciuta la scena di volo tra Roxas e Yazmat.
    Ripeto quanto sopra citato.




    E poi che dire... il finale mi ha lasciato da schifo... io non voglio che questo rettile albino bicurioso, diventi il chiavistello di quel MONA di Roxas!

    Sappilo!

    >_<
     
    Top
    .
  6. Taiki Koizumi
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Q_Q

    Nuo. Nuo.
    Non è giusto T.T
    Yiazmat non deve morire.
    ' C'è sempre una scelta! ' [citazione da qualche moralistico fandom]

    Comunque... Il capitolo mi è piaciuto, tutto incentrato su Roxas stavolta, ma d'altronde l'abbiamo abbandonato da un bel po', e che cavolo o_ò
    Non ho trovato errori u.ù ( porca miseria, viene a mancare il mio hobby!ç_ç)
    Mi sono piaciute un po' tutte le scene, forse un po' meno quella in cui c'era Vivi: non mi piace questa versione bambinesca e umanizzata, preferivo il Vivi originale ç_ç Avrebbe avuto una bella trama da Heartless 'umanizzato' *_*
    Molto bello il dialogo tra Tidus e Roxas, così come tra Roxas e la scena con Yiazmat Q__Q Vabè lì non ci torno più o mi commuovo -w-

    La stanza di Roxas fa paura ò.ò Ci manca solo che lo specchio in camera sua iniziasse a parlare con voce effeminata consigliandogli come vestirsi ò.ò

    Uahahahaha hai messo Cysero finalmente, que quaquaraqua XD

    Che bello, ci sarà Silly *-* Cioè già lo sapevo, ma son comunque contento *ò*


    Il sogno di Roxas mica l'ho capito!?ò.ò

    Mi ha fatto troppo morire la parte in cui dicevi che Altair e Maliq riuscivano a controllare il loro battito cardiaco X°° Sue Sylvester se li mangia a colazione A__A




     
    Top
    .
  7. Nyxenhaal89
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    Strano che si sia trattenuto dall'attaccarli, ma vabbeh Theresa gli dice che sono loro ospiti e quindi di stare fermo a quel biondino del cazzo (wtf, quale dei due).

    Vabé Theresa vuole pace a casa sua, mi pare giusto X° Anche perché poi zietta Andraste si arrabbia e la sculaccia(?) X°

    CITAZIONE
    Mi è piaciuta tantissimo la parte di Roxas e il fratello Tidus, mamma mia..

    Ne sono assai felice, ci ho lavorato davvero molto per renderla buona e credibile. C'è chi è perplesso sul fatto che Tidus possa "incutere timore" ma vabé X°

    CITAZIONE
    E infine, Yiazmat lo fa volare

    FUS RO DAH!(?)

    CITAZIONE
    NUOOOOOOOO! Yiaz deve morire y.y io rinuncerei ai Chibleid a questo punto. E che cazzo.

    Sinceramente.... anche io. X°°°

    CITAZIONE
    Bel capitolo di transizione come tuo solito, e anche se è passato un bel po' di tempo non hai perso lo smacco.

    Lo smalto, Nemesis! XD
    Lo smacco è tipo un'offesa. XD :patpat:

    CITAZIONE
    Sì, devi decisamente accorciare i tempi, lo so che non è facile, la conosco la tua situazione

    Lo sai che mentre tu stai stravaccato sul divano a bere e fumare io devo badare ai nostri 14 figli e lavorare da KFC inzaccherandomi di olio dalla mattina alla sera. à_à

    CITAZIONE
    Questo capitolo si salva grazie al colpo di scena finale, perché il resto non sarebbe comunque sufficiente a livello quantitativo.

    Be' questo capitolo non voleva essere "utile" nel vero senso della parola. Quello che volevo fare era ridare un po' di spessore a Roxas, che ultimamente sembrava più spettatore che attore, infatti come hai detto tu ha ripreso il suo ruolo di protagonista XD In altre parole questo capitolo era più di approfondimento, tanto che sai bene che il colpo di scena finale volevo spostarlo al prossimo capitolo. XD

    CITAZIONE
    Anche se continuo a preferire Cloud e Vanitas, che in questo capitolo si sono dimostrati decisamente fuori dagli schemi... non riesco proprio a figurarmeli come coppietta felice, o comunque spensierata... se fossi in te, cercherei di rendere la loro relazione un po' più dubbiosa e tormentata, in linea con tutto ciò che hanno dovuto affrontare.

    Al contrario! O__O
    Ok, non li farò mai cicciciccimiaomiao, questo è sicurissimo... Cloud è un ragazzo amorevole sì, ma molto diverso da Roxas. E' meno apprensivo e più sciallo, lui. u.u Nonché più serioso... e Vanitas è molto più orgoglioso e pragmatico di Sora. L'affetto gli piace, ma non gl'importa se Cloud lo riempie di bacetti tutto il giorno (cosa che non farà MAI X°°°D ) ...
    Però dopo quello che hanno passato e dopo il Tuffo nel Cuore, dubito che possa farli ancora tormentati, insomma un po' di tranquillità (che non è uguale a confettosità)se la meritano. XD

    CITAZIONE
    Mi ha fatto piacere vedere Roxas non seppellire l'ascia da guerra nei suoi confronti: è stato un gesto realistico.

    Roxas è cocciuto, e poi penso che in realtà non gliene frega nulla del mondo in sé... odia il fatto che Cloud abbia baciato Sora. :guru:

    CITAZIONE
    discostando Smica Occhiolungo

    *Simca u.u

    CITAZIONE
    come può Sora starsene tranquillo, sapendo che il suo ragazzo se ne va in giro con dei ragazzi decisamente più fighi di lui?

    Non può, semplice. :guru:

    CITAZIONE
    Mi ha fatto abbastanza pena vederlo preoccuparsi così per il piccolo Denzel.

    Ricetta per un esorcismo.
    - Prendete Allen Walker, e mettetelo da parte.
    - Prendete Vivi, e mettetelo da parte.
    - Prendete Padre Amorth, e mandatelo a scacciare il Noah dal corpo di Denzel

    MCEXORCIST, I'M LOVIN' IT.

    Denzel è praticamente la mascotte della famiglia. XD

    CITAZIONE
    Tu forse puoi venirmi a dire che questo non ha niente a che vedere con il trailer di Human Revolution, ma non servo io a dirti che risulti decisamente poco credibile.

    okay-meme-face

    CITAZIONE
    Devo essere sincero? Non ho digerito molto la componente skyrimiana, e il linguaggio dei draghi... un po' fanservice...

    Ma dai, non l'ho certo fatto per quello. Oltretutto, quanti fan di Skyrim conosci che si metterebbero a parlare draconico? XD
    Era semplicemente una cosa che volevo fare per distanziare un po' di più i draghi dagli esseri umani, e mi è sembrata un'idea carina, anche se mi dispiace tu non l'abbia gradita >.<
    Purtroppo skyrim tornerà, anche se sotto un aspetto diverso. Non metterò Urli, comunque... non ci starebbero, almeno non nella mia. XD

    CITAZIONE
    E poi che dire... il finale mi ha lasciato da schifo... io non voglio che questo rettile albino bicurioso, diventi il chiavistello di quel MONA di Roxas!

    C'è un motivo se mi chiamano TrollNyx. <3

    trollnyx

    CITAZIONE
    Nuo. Nuo.
    Non è giusto T.T
    Yiazmat non deve morire.

    Era deciso fin dall'inizio, mi dispiace XD

    CITAZIONE
    un po' meno quella in cui c'era Vivi: non mi piace questa versione bambinesca e umanizzata, preferivo il Vivi originale ç_ç Avrebbe avuto una bella trama da Heartless 'umanizzato' *_*

    Il problema è che avrei peccato di incoerenza, dal momento che ho sempre descritto il procedimento per diventare Heartless come irreversibile. L'Oscurità degli Heartless non lascia nemmeno al cuore più forte la possibilità di esprimersi, dunque se anche Vivi fosse stato un heartless sarebbe stato malvagio. XD
    E dato che cerco di essere il più realistico possibile, cerco di rendere tutti umani. u.u

    CITAZIONE
    La stanza di Roxas fa paura ò.ò Ci manca solo che lo specchio in camera sua iniziasse a parlare con voce effeminata consigliandogli come vestirsi ò.ò

    "E' una battaglia persa, caro" [cit.]

    CITAZIONE
    Uahahahaha hai messo Cysero finalmente, que quaquaraqua XD

    Non mancherà la sua paperella, ovviamente. X°D

    CITAZIONE
    Il sogno di Roxas mica l'ho capito!?ò.ò

    Meglio così. <3

    CITAZIONE
    Mi ha fatto troppo morire la parte in cui dicevi che Altair e Maliq riuscivano a controllare il loro battito cardiaco X°° Sue Sylvester se li mangia a colazione A__A

    ......*fucila*

    Allora, ecco qua i personaggi nuovi... scusate se non li ho messi prima *si spara*
    Cysero, uno dei comprimari nei giochi della Artix Entertainment... è una sorta di mago/fabbro strampalato, che fa più danni che altro. In un gioco condivide una torre con Warlic, con sommo disappunto di quest'ultimo, che si trova spesso la sua roba sporca e magicamente animata in giro per la sua metà della torre. X°



    Ed eccolo qui con la sua inseparabile paperella X°



    Il piccolo e balbuziente Vivi, considerato (non da me, che ci ho giocato poco) uno dei migliori personaggi di FFIX:



    Trovare immagini decenti di Simca (Air Gear), a causa dell'abitudine di Oh! Great a mettere culi all'aria e tette al vento in continuazione, è risultato quasi impossibile... Ma alla fine penso di averne trovata una decente.




    Edited by Nyxenhaal89 - 14/3/2012, 17:56
     
    Top
    .
  8. _Holy
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    Lo sai che mentre tu stai stravaccato sul divano a bere e fumare io devo badare ai nostri 14 figli e lavorare da KFC inzaccherandomi di olio dalla mattina alla sera. à_à

    *porge heineken* vuoi un po' ?

    CITAZIONE
    Al contrario! O__O
    Ok, non li farò mai cicciciccimiaomiao, questo è sicurissimo... Cloud è un ragazzo amorevole sì, ma molto diverso da Roxas. E' meno apprensivo e più sciallo, lui. u.u Nonché più serioso... e Vanitas è molto più orgoglioso e pragmatico di Sora. L'affetto gli piace, ma non gl'importa se Cloud lo riempie di bacetti tutto il giorno (cosa che non farà MAI X°°°D ) ...
    Però dopo quello che hanno passato e dopo il Tuffo nel Cuore, dubito che possa farli ancora tormentati, insomma un po' di tranquillità (che non è uguale a confettosità)se la meritano. XD

    Un'altra frase e penserò di stare guardando una puntata di Beautiful.
    CITAZIONE
    Roxas è cocciuto, e poi penso che in realtà non gliene frega nulla del mondo in sé... odia il fatto che Cloud abbia baciato Sora.

    E' sempre più intelligente. LOL.

    CITAZIONE
    MCEXORCIST, I'M LOVIN' IT.

    Denzel è praticamente la mascotte della famiglia. XD

    Il pagliaccio del Mc Donald non va in giro a ribaltare autostrade e a fare esplodere prostate.

    CITAZIONE
    Ma dai, non l'ho certo fatto per quello. Oltretutto, quanti fan di Skyrim conosci che si metterebbero a parlare draconico? XD
    Era semplicemente una cosa che volevo fare per distanziare un po' di più i draghi dagli esseri umani, e mi è sembrata un'idea carina, anche se mi dispiace tu non l'abbia gradita >.<
    Purtroppo skyrim tornerà, anche se sotto un aspetto diverso. Non metterò Urli, comunque... non ci starebbero, almeno non nella mia. XD

     
    Top
    .
  9. Nyxenhaal89
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Woah!
    Scusate il ritardo
    Posso dire senza alcuna arroganza che questo sia il capitolo più impegnativo che abbia mai scritto. L'ho betato diverse volte e ci ho lavorato sodo, spero vivamente che vi possa piacere.
    Non anticipo altro, quindi mi limito a ringraziare sentitamente Holy, Taiki e Nemesis per i commenti e tutti quelli che seguono la fic!
    Buona lettura!



    28: Le Chiavi del Cavaliere


    "Cosa vuol dire essere un Drago?"
    Era una domanda, quella che suo padre fece a pochi anni dalla sua nascita. Era ancora molto piccolo, così tanto che sforzandosi e allungandosi non riusciva ad essere lungo quanto un dito della sua zampa anteriore: i suoi strani cerchi di energia dorata non erano ancora comparsi, le sue ali erano minuscole e gli permettevano brevissimi voli che usava principalmente per volare sulla testa del genitore. Era tutto argenteo, con dei grandi e luminosi occhi grigi. Sua sorella era invece di un blu-violaceo, con gli occhi di un brillante color acquamarina. Era piuttosto diversa da lui e amava mordergli le coda per farlo arrabbiare o istigarlo a giocare, a volte lottavano per ore, per tutta la parete di Esthar. Non c'erano solo loro, comunque, anche altre famiglie di Draghi risiedevano in quell'alta montagna invisibile, protetti dal mondo. Non ricordava bene il loro aspetto. Ce n'erano tanti, tutti diversi e che spesso non parlavano granché con gli altri, c'erano anche molti cuccioli con cui giocavano saltuariamente. Tra i tanti Draghi adulti ce n'era uno rosso come un rubino fiammeggiante, di nome Smaug, amico fraterno di un altro, Ancalagon, nero come la pece e dalla testa piena di affilati spuntoni. Erano piuttosto isolati e non amavano parlare con gli altri, a differenza di una coppia di fratelli che nonostante odiassero la confusione, non protestavano se si avvicinava o se giocava con sua sorella presso la loro tana. Uno era Alduin, ancora più nero di Ancalagon, di pochissime parole e dagli occhi rossi come il sangue; era sempre stato affascinato da lui e a volte gli volava intorno per ore, facendogli mille domande, finendo per ripeterle e ricevendo sempre risposte pazienti o uno sbuffo di fumo dalle narici se iniziava a diventare davvero fastidioso. L'altro era dorato, dall'apparenza piuttosto anziana (quasi quanto suo padre), con una voce profonda e incline a fare lunghi discorsi. A differenza di Alduin scendeva spesso sulle Due Rocce, parlando molto con Kilgarrah del mondo e di tante cose che lui non capiva. Si chiamava Paarthurnax e nonostante sembrasse sempre troppo serio e anziano, amava giocare con i cuccioli e istruirli sulle meraviglie del mondo esterno, mettendoli in guardia dai pericoli in cui potevano incorrere.
    Chiedeva spesso a tutti i Draghi adulti come facessero a sapere tante cose del mondo se non erano mai usciti dall'Altare, ma difficilmente qualcuno gli rispondeva. I Draghi più pazienti gli dicevano che in un millennio o due anche lui avrebbe capito cosa intendevano.
    Sua madre era più piccola rispetto a suo padre, ma gli era sempre sembrata immensa. Le sue zampe dalle dita esili avevano una presa ferrea ma delicata su di loro e nonostante cercassero di sfuggire al momento di andare a dormire, alla fine lei li prendeva lo stesso e li portava nella loro tana, ai piani più bassi della montagna.
    Non mangiavano: non avevano mai sentito fame in vita loro, né un qualunque bisogno. L'atto stesso del mangiare era visto come una disgrazia, tra gli abitanti dell'Altare di Esthar. Un drago femmina di nome Morgaine, completamente bianca e dalle scaglie lisce e quasi cristalline, ripudiava chiunque mangiasse ritenendolo un insulto alla loro natura e si vantava di non aver mai avuto motivo di mangiare in vita sua. Entrava spesso in conflitto con Kilgarrah, poiché questi sosteneva che mangiare era a volte necessario per mantenere il loro segreto.
    C'erano dei momenti, strani e tesi, in cui Saphira prendeva allarmata i figli e li portava nella tana. Usava le sue grandi ali piumate per coprire l'ingresso del loro rifugio e restava in silenzio, col respiro fremente. I suoi occhi color zaffiro scattavano costantemente da una parte all'altra, ed era il momento in cui i due cuccioli avevano più paura, perché in quei frangenti dalle Due Rocce si sentivano grida di terrore e dolore indescrivibili, miste a scoppi e ruggiti. Più di una volta gli sembrò di sentire la possente voce di suo padre, la più forte e autoritaria di tutto l'Altare. Ma non era mai certo della cosa. Una volta Morgaine era con loro e disse "Kilgarrah potrebbe almeno evitare di lasciarli combattere", con tono dispiaciuto.
    In altri casi, sua madre li afferrava e portava nella tana ma non si udivano urla. I Draghi dell'Altare ruggivano con sdegno e furia mentre una voce femminile, dolce ma inflessibile, faceva dei nomi.
    E poco per volta, l'Altare di svuotava. Si sentivano sempre meno Draghi parlare, sempre meno battiti di ali, ruggiti, fiammate e risate. Lui era ancora piccolo, molto piccolo, e non riusciva a capire.
    Un giorno, ad appena trent'anni di vita, il piccolo Yiazmat decise di tentare un'impresa per lui undispensabile: capire cosa accadesse quando sua madre li portava via. Perché tutti i Draghi si nascondessero nelle loro tane, mentre un paio restavano in agguato come faceva lui quando giocava con Nythera. Perché Morgaine dicesse con tono tanto addolorato di "non lasciarli combattere" e a chi si riferisse.
    Forse per negligenza o eccessiva fiducia, capitò che quella volta Saphira non li stringesse e fosse rimasta a parlare con un drago femmina verde, di cui non rammentava il nome. Per i piccoli, ancora minuscoli e agili, fu facile uscire dalle ali della madre e strisciare sui muri in modo che le due non li vedessero. Si nascosero dietro un costone, notando che suo padre Kilgarrah e Paarthurnax erano appostati sulle rocce, appiattiti e quasi invisibili, proprio sopra il tunnel d'ingresso che non gli avevano mai lasciato attraversare.
    Yiazmat ebbe un tremito nel sentire delle voci limpide e misteriose, che non potevano affatto essere di un Drago. Che altri stessero per andarsene?
    Andatevene... andatevene, vi prego.
    - Abbiamo ammazzato quella strega per niente - disse la creatura più strana che avesse mai visto.
    Avevano anche loro quattro zampe, ma camminavano su due: avevano una grossa pelle di metallo tutta a piastre e placche, ma le loro dita erano minuscole e a prima vista senza artigli. Le squame della loro testa piccola erano di un colore che variava dal roseo al bianco, in varie tonalità. Avevano degli strani oggetti con loro, direttamente attaccati alla loro pelle. Yiazmat ebbe un brivido nel vederli, accentuato dall'improvvisa tensione dei due Draghi adulti. Accanto a lui Nythera li guardava interessata, con gli occhioni spalancati e incuriositi.
    - Non mi piace stare qui - disse uno dalla voce più acuta. La sua pelle era lunga, scura e cadente, ma le sue mani e la sua testa erano chiare e aveva una criniera bianchissima. - Mi sento osservato -
    - Osservato? - rise un altro, uno di quelli con la pelle di metallo. - Chi vuoi che ci osservi qui, i fantasmi? Scommetto che c'è qualche tesoro nascosto in quelle caverne in alto -
    Gli occhi color ambra di Kilgarrah scintillarono di collera. I due cuccioli non avevano mai visto così quelli della loro specie: non ci si arrabbiava mai tra Draghi, ma quello che vedevano in quel momento li fece tremare di paura.
    - E se ci fosse qualche drago? - farfugliò tremante quello con la criniera bianca, osservando le rocce preoccupato e ricevendo un'altra fragorosa risata dei compagni.
    Yiazmat fu percorso dalla preoccupazione. Suo padre era proprio dove stava guardando quella strana creatura, che sembrava non vederlo a causa della penombra e delle rocce in cui si era mimetizzato. Ma se l'avesse visto? Se gli avessero fatto del male?
    - Faranno del male a papà, Nythera! - esclamò preoccupato il cucciolo fissando il gruppo. Erano una decina, tutti con quegli strani oggetti affilati simili ai loro denti.
    - Ma papà e Paarthurnax sono forti! - rispose sua sorella.
    - E loro? Non sappiamo loro cosa faranno! - ribatté Yiazmat indicando il gruppo di invasori. - Dobbiamo... -
    - C'è qualcosa là sopra! - urlò la creatura dalla criniera bianca, indicando proprio il luogo dove stavano loro.
    Paarthurnax e Kilgarrah si voltarono contemporaneamente, vedendoli nascosti dal costone. L'essere urlò e scagliò una fiammata che partì dalle sue stesse mani contro di loro, costringendo i due fratelli ad allontanarsi dal loro nascondiglio; ma l'attacco non arrivò mai, perché Kilgarrah scattò a proteggerli, allargando le ali maestose e ruggendo con rabbia inaudita.
    Terrorizzati, gli avventurieri cercarono di scappare, ma Paarthurnax si pose tra loro e l'ingresso, ruggendo a sua volta.
    - Combattete! Diventeremo ricchi! - esclamò una delle creature più grosse, brandendo un'oggetto bianco e gigantesco, affilato e alto quanto lui.
    Il Drago dorato lo azzannò staccandogli il torace con un morso, sputandolo e ruggendo ancora. Il gruppo andò nel panico più totale e si dispersero per tutta la caverna cercando nascondigli, e trovando solo la coda di Paarthurnax ad accoglierli.
    - CE N'E' UN ALTRO! - gridò quello che aveva scagliato la fiammata con la voce colma di terrore. Saphira era uscita dalla tana per riprendere i cuccioli, furiosa: Kilgarrah si frappose tra lei e loro, minaccioso.
    - Loro restano qui! - ruggì per poi piombare di sotto, dritto sulla creatura che aveva avvistato la loro mamma. La zampa artigliata di Kilgarrah lo squarciò in un attimo, e le sue carni sanguinanti finirono dritte nella sua bocca. Il viso orripilato del piccolo Drago fu illuminato da una fiammata violenta e intensa, uscita dalla bocca di suo padre. I restanti avventurieri furono ridotti a carbone in un attimo, urlanti, senza avere neppure il tempo di reagire. Nythera osservava affascinata, ma lui no. Voleva solo che suo padre finisse. Non l'aveva mai visto così, coperto di sangue e spaventosamente arrabbiato. Aveva paura.
    - Fanne ciò che vuoi, Paarthurnax - disse con la voce fremente per la collera.
    La battaglia era finita: Kilgarrah si ripulì scuotendo le scaglie e in un attimo fu praticamente come se nulla fosse successo. Yiazmat tremava ancora, ma si fece coraggio e discese verso di lui, sbattendo le piccole ali con energia. Suo padre aveva tutte le zampe a terra e osservava l'altro soffiare fuoco sui cadaveri, fino ad incenerirli. L'acre odore di carne bruciata riempì tutta la caverna. Diverse teste di Draghi fuoriuscivano dalle tane, tante paia di occhi brillanti osservavano con attenzione ciò che stava succedendo. Intimorito dai suoi occhi incolleriti eppure sorprendentemente gelidi, decise di parlare.
    - P..papà? - esordì cercando di poggiarsi al suo lungo collo, ma quello si voltò repentinamente.
    - Perché sei uscito? - chiese con gli occhi fiammeggianti, la voce calma che trasudava una rabbia cocente.
    - I..io... - cercò di rispondere, ma Saphira intervenne dietro di lui.
    - Sono stata poco attenta, Kilgarrah, stavo... -
    - SILENZIO! - ruggì furioso, tanto che lei si ritrasse. Yiazmat rimase così stupito dalla voce del padre, solitamente così calma, che sentì le ali mancargli e si trovò a terra, inerme di fronte al genitore, mai così immenso e possente come in quel momento. - Se avessi voluto dare la colpa a te l'avrei fatto, Saphira! -
    - Papà, io volevo... - cercò di giustificarsi.
    - Hai ignorato tua madre! - incalzò Kilgarrah abbassando il collo in modo da essere ad un estremo contatto visivo col figlio. - Non solo ti sei messo in pericolo, ma hai trascinato in questo anche tua sorella! Se quell'incantesimo vi avesse colpiti, SARESTE MORTI! -
    - Avevo paura che... - tentò di rispondere, spaventato. Non riusciva nemmeno a indietreggiare. - Che potessero farvi del male.. -
    - Yiazmat - pronunciò lentamente, vedendo Nythera atterrare accanto al fratello con lo stesso sguardo spaventato. Il suo sguardo si addolcì appena, senza però perdere la sua severità. - Sei ancora troppo piccolo per preoccuparti per me -
    - Ma papà, quelli... - protestò debolmente, subito interrotto.
    - Sei ancora un cucciolo, Yiazmat. Ci vorranno ancora almeno un paio di secoli perché il tuo corpo inizi a diventare invulnerabile - disse Kilgarrah a voce rauca e malinconica.
    - E poi potremo farlo anche noi? - domandò Nythera con incredibile curiosità.
    - Preferirei di no - negò il genitore severo. Il Drago si voltò, e Yiazmat rimase a fissare la sua lunga coda che si svolgeva nel movimento con apprensione. - Mi avete molto deluso, oggi - disse scandendo lentamente le parole.
    Improvvisamente non sembrava più arrabbiato, solo molto triste. Paarthurnax rimase a guardarlo per un secondo, prima di spiccare il volo e tornare nella tana da suo fratello, mentre Kilgarrah si accomodava su una delle Due Rocce.
    - Venite - disse Saphira in tono basso, afferrandoli.
    - No, Saphira, lasciali qui - disse lui. Lei comprese e li lasciò, tornando velocemente alla tana. Tutti i Draghi erano tornati alle loro faccende. - Venite - invitò, anche se era palesemente un ordine. I due cuccioli preferirono ubbidire, avvicinandosi al genitore e posandoglisi tra le zampe anteriori.
    - Sei ancora... arrabbiato, papà? - chiese Nythera tesa.
    Distrattamente, Yiazmat posò le sue dita artigliate sul punto d'origine di quelle del padre, guardando con tristezza l'infinita differenza di dimensioni. Lui stesso era lungo quanto un dito del genitore.
    - Non ero arrabbiato - disse Kilgarrah con voce bassa e mesta. - Non ho attaccato quegli uomini per rabbia -
    - Uomini? - ripeté il figlio alzando lo sguardo. - Si chiamano così? -
    - Non sono tutti malvagi - spiegò il Drago guardando l'ingresso. - Ma quelli che vengono qui solitamente lo sono. Non esiterebbero a catturarvi e uccidervi per vendervi a pezzi -
    - Sono loro che portano via tanti di noi? - chiese Nythera subito dopo. L'espressione di Kilgarrah si aggravò.
    - Sì, è così. Ma loro... sono particolari - disse senza sbilanciarsi troppo, preferendo non rivelare tutto a due cuccioli così giovani. - Non sono come quelli che avete visto oggi -
    - Papà, io... - deglutì Yiazmat tremante. - Mi... mi dispiace -
    - Oggi ho rischiato di perdervi - disse malinconicamente Kilgarrah, stringendoli con le zampe.
    - Hai... hai avuto paura, papà? - chiese Nythera incredula.
    - Mai avuta così tanta - confessò il genitore, soffiando affettuosamente su di loro dalle calde narici. - Sarei morto con voi, se vi fosse successo qualcosa -
    Cadde un lungo silenzio, quando i cuccioli si strinsero alle zampe del padre con le loro testoline ricolme di pensieri. Si sentivano in colpa per aver trasgredito i limiti e aver messo se stessi in pericolo, anche se l'infantile bisogno di nuove scoperte attutiva di parecchio quel sentimento. Tuttavia cercarono di promettersi tacitamente di non mettersi nei guai il più possibile. Yiazmat risalì l'arto fino a raggiungere il collo, e poi la testa di Kilgarrah, come faceva sempre quando voleva sentirsi in pieno contatto col genitore.
    - Papà? - chiamò vedendo che teneva gli occhi chiusi.
    - Mh? - rispose lui. Yiazmat sentì tutto il passaggio della sua voce, così possente da farlo tremare sul suo capo.
    - Tu non te ne andrai mai, vero? - chiese il piccolo con innocenza.
    - Mai - assicurò Kilgarrah, anche se dentro di sé sapeva di stare mentendo.


    Roxas era rimasto interdetto, con gli occhi spalancati dall'incredulità e le mani che sembravano improvvisamente aver perso tutto il loro calore e persino ogni capacità di movimento. Fissò il suo sguardo sconvolto sugli occhi argentei di Yiazmat cercando una qualunque risposta, una confutazione a quelle parole che avevano interrotto completamente la sua percezione dell'ambiente circostante. Fu come cadere in un baratro nero e freddo. Voleva credere che fosse uno degli scherzi di Yiazmat, ma la sua espressione così seria, le sue enigmatiche parole durante il viaggio e l'alone di mestizia che lo accompagnava da quando erano arrivati assumevano finalmente un significato unitario, che non lasciava spazio alla speranza.
    - No... - fu l'unica parola che riuscì a dire, cercando di afferrarlo per le vesti nel disperato tentativo di fermarlo, di tornare almeno un po' nella realtà e dirsi di aver soltanto sentito qualcosa di troppo strano e assurdo per essere vero. Le sue braccia però rimasero immobili, i suoi occhi sgranati, l'incredulità aumentava ad ogni battito del suo cuore angosciato e scalpitante. Non capiva perché provasse sensazioni simili per Yiazmat, che aveva conosciuto solo qualche giorno prima. Ma in qualche modo tutto ciò gli sembrava impossibile e totalmente anomalo: perché mai una creatura invincibile e dotata di poteri infiniti com'era Yiazmat doveva morire per diventare l'arma di un fallace, debole e psicologicamente scarso ragazzo di appena diciannove anni?
    E non era solo questo, probabilmente. Nonostante la loro scarsa conoscenza erano subito entrati in sintonia. Yiazmat aveva affrontato Denzel, posseduto e dotato di poteri incredibili, non l'aveva ucciso anche se avrebbe potuto benissimo farlo. In qualche modo, il Drago aveva capito che Denzel era importantissimo per lui e aveva cercato di immobilizzarlo. Se solo avesse saputo prima una cosa del genere, molto probabilmente avrebbe lasciato Yiazmat all'Altare e avrebbe trovato un altro modo di riforgiare quei dannati cosi. Ma questa prospettiva non si presentava in quel momento. Le sue mani parvero riacquistare un minimo di sensibilità e si strinsero a pugno sollevandosi lentamente, accompagnate dall'espressione improvvisamente furente e delusa di Roxas.
    Un pugno partì allo zigomo di Yiazmat, il cui corpo non si mosse: la sua testa scattò di lato con un rumore innaturale, come se il suo collo si fosse incrinato. Il Drago restò immobile fissando il vuoto alla propria sinistra, incurante del pugno ancora teso di Roxas.
    - A questo servivano quei discorsi di prima?! - accusò Roxas alzando la voce, pervaso da un miscuglio indistinto di emozioni contrastanti. - Tutta quella storia dei rimpianti, era per questo! - incalzò, spintonandolo con violenza. Cysero, che era già entrato in quella sorta di grotta, rimase impassibile ad aspettare che finissero, anche se le sue emozioni non erano chiare, con i suoi occhi nascosti dalla folta capigliatura. - Non sapevi come dirmi che sei venuto fin qui, che sei uscito dalla tua casa e hai abbandonato la tua famiglia... perché, PERCHE' NON DIRMELO SUBITO?! - lo picchiò ripetutamente sul petto apparentemente snello, spintonandolo, colpendolo, cercando una sua reazione e infine abbandonando le mani sulle sue spalle, sentendo gli occhi bruciare per le lacrime.
    - Tutti muoriamo - disse Yiazmat in tono smorto, senza guardarlo negli occhi. - Anche i Draghi devono morire -
    - Non è una spiegazione valida! - lo rimbeccò Roxas non dandogli retta, costringendolo a guardarlo negli occhi. - Ti rendi conto di cosa sta per succedere? -
    Il Drago annuì, faticando a mentenere il contatto visivo.
    - E ti va bene così?! - proseguì il Custode guardandolo sbigottito. - Ti va bene essere stato allevato come una bestia da macello? Vivere una vita immortale per poi dover morire al momento opportuno?! -
    Gli occhi argentei di Yiazmat si fissarono sbalorditi su quelli blu chiaro di Roxas, come se una tale preoccupazione fosse del tutto innaturale. Dopotutto, suo padre non aveva mai detto niente su simili sentimenti umani.
    - E' il compito di un Drago... - rispose facendo un passo indietro. - E' questo che dobbiamo fare per aiutare i Custodi. E' l'unico modo che abbiamo per aiutarvi concretamente -
    - Non può essere! - negò vivamente Roxas con rabbia. - Hai tenuto testa al nemico peggiore di Allen senza un graffio! Ti ho sparato in testa! Come diavolo fai a dire che è l'unico modo per aiutarmi?! - Voleva assolutamente svegliarsi da quella sorta di incubo dov'era rimasto intrappolato, senza alcuna via d'uscita.
    - Non mi aspetto che tu lo capisca, Roxas - disse Yiazmat con diniego. - Molti aspetti dei Draghi vanno oltre la comprensione di un essere umano normale - lo guardò speranzoso. - Devi fidarti di me -
    - Dimmi almeno perché dovrei farlo... - replicò il Custode, sentendo la rabbia lasciare il posto a un impotente sconforto.
    - Perché diventare un Keyblade è tutto ciò che un Drago possa desiderare -


    Paarthurnax se n'era andato.
    Alla fine, la donna che veniva sempre a portare via i Draghi aveva preso anche lui. Erano rimasti ormai in pochissimi, nell'Altare di Esthar. Yiazmat aveva quattrocento anni, le sue scaglie erano dure ed era notevolmente cresciuto, ma era ancora lungi dall'essere un vero adulto. Anche Nythera era cresciuta bene, forte e robusta, con la lunga criniera blu che la faceva sembrare un leone squamoso. Saphira aveva smesso di coprirli quando arrivavano gli umani e spesso prendevano parte ai combattimenti, senza però mangiare. Morgaine aveva insistito così tanto per educarli a tale scopo, che usavano solo fiamme e artigli.
    Nythera non trovava comunque molta coerenza in quella regola ed era sicurissimo che qualche avventuriero fosse finito nel suo stomaco senza problemi. Dal canto suo, Yiazmat faceva di tutto per proteggere la grotta con suo padre e sua madre.
    Erano rimasti solo loro.
    Alduin aveva seguito il fratello e con lui andarono via anche Morgaine, Ancalagon, Odahviing, Smaug e Sayuri, il drago femmina verde che parlava spesso con Saphira. Per la prima volta nella sua ancor breve vita, Yiazmat sentì l'Altare davvero vuoto. Non c'era più alcun cucciolo, nessun adulto. L'altissima volta di pietra, sulla cui cima brillava la magica luce di cristalli fluttuanti color smeraldo, non risuonava più di fiammate e ruggiti, né di dialoghi in draconico. D'istinto aveva intrecciato il collo con il vecchio Paarthurnax, quando questi fu Chiamato: il Dragone dorato lo rassicurò, dicendo loro che presto si sarebbero rivisti in un luogo chiamato Sovngarde. Yiazmat non comprese, ma lanciò un lungo ruggito che riecheggiò per la grande caverna con la forza di mille ululati, a cui fecero eco quelli di Kilgarrah, Saphira e Nythera.
    Erano passati molti solitari anni da allora. Yiazmat si allenava per diventare sempre più forte assieme al padre e a Nythera. Saphira si era chiusa in un lungo e meditabondo silenzio, facendosi vedere molto raramente nella loro vecchia tana. Stava spesso in contemplazione alla tana di Morgaine e Sayuri, di cui poteva avvertirne la storia coi propri poteri. Kilgarrah diceva di lasciarla fare e non preoccuparsi, perché era giusto che sfogasse la sua solitudine.
    Passarono sempre più anni e Yiazmat diventò sempre più grande, e degli strani cerchi dorati gli apparvero alle ali, ancora flebili ma comunque capaci di emanare una potente energia.
    - Quella è la tua caratteristica draconica - spiegò Kilgarrah osservandolo con cura. - Come le ali piumate di tua madre o la folta criniera di tua sorella. Sono piccole cose che rendono ogni Drago diverso l'uno dall'altro - il cucciolo di Drago si guardò le ali con meraviglia, osservando i misteriosi cerchi con aria allegra. La caratteristica draconica era il segno che ormai stava diventando un vero adulto.
    - Una volta hai parlato di prendere forma umana... - domandò indirettamente Yiazmat curioso. - Vuoi dire che possiamo diventare umani? -
    - Certo che no - smentì Kilgarrah divertito. - Possiamo assumere delle sembianze umane, ma i nostri poteri e le nostre capacità restano tutte. Potremmo anche volare, anche se trovo orribile un umano volante - ammise con uno sbuffo di fumo dalle narici.
    - E come si fa? - era ansioso di imparare una tale magia, gli sarebbe piaciuto moltissimo usarla per poter camminare tra gli umani e conoscerli meglio.
    - E' molto semplice - il genitore allargò le ali e soffiò un'unica sillaba. - Lo - pronunciò con voce baritona, facendo esplodere un lampo di luce dalla sua bocca: in un battito di ciglia la luce si dissolse e al posto di suo padre c'era un umano alto e robusto, coperto da una spessa armatura (aveva scoperto che si chiamava così quella strana pelle di metallo che gli umani usavano per proteggersi, imitando le loro scaglie) scura. I suoi occhi erano dello stesso color ambra del genitore, la sua pelle era scura ed era possente, dal volto squadrato e con un naso adunco. I suoi capelli erano raggruppati in spesse trecce lanose tirate all'indietro e legate in una corta coda.
    - Wow! - esclamò Yiazmat allargando le ali e spalancando la bocca. Era ancora piuttosto "piccolo" e non superava che di qualche centimetro la testa dell'uomo col proprio garrese. - E posso scegliere qualunque forma voglia? -
    - Sarebbe meglio che ti concentrassi su una sola, per essere più credibile. Cambiare continuamente forma rende l'illusione instabile - rispose Kilgarrah incrociando le braccia corazzate. - E dunque gli umani potrebbero vederti le scaglie, o qualche corno, o anche pezzi di corpi diversi - aggiunse ridacchiando. - La parola che ho pronunciato, Lo, nella nostra lingua rappresenta l'illusione e l'inganno. Noi cambiamo effettivamente forma, ma senza una padronanza del significato di Lo, gli umani potrebbero vedere una specie di lucertola bipede dall'aspetto grottesco - vide il figlio annuire e sorrise compiaciuto. Una cosa che Yiazmat aveva sempre ammirato degli umani era la loro espressività, che non si limitava agli occhi come nei Draghi (che nonostante avessero espressioni facciali, le scaglie le rendevano più difficilmente decifrabili) ma a tutto il viso in maniera sorprendentemente affascinante. - Concentrati su una forma che vuoi prendere e prova ad assumerla -
    Yiazmat fece un profondo respiro, allargando le ali come fece il padre qualche secondo prima. Lasciò che l'immagine gli scorresse nella mente, cercando una forma adatta allo scopo. Intuì che l'uomo di cui suo padre aveva preso la forma fosse uno degli avventurieri da lui uccisi, dunque cercò nella sua mente uno di essi il cui volto fosse ben visibile e non coperto da qualche elmo.
    Aprì gli occhi argentei con decisione.
    - Lo! - esclamò, sentendosi improvvisamente leggero e avvolto da una luce calda e intensa. Stava funzionando? Cosa sarebbe accaduto? Rimase concentrato sull'aspetto da prendere, mentre apparentemente il suo corpo sembrava accorciarsi notevolmente. Non sentiva più le ali, la coda, le corna e i muscoli delle zampe: come una tenda la luce di dissolse e vide suo padre nuovamente più maestoso di lui.
    - Il mago che ha attentato alla tua vita? - domandò Kilgarrah un po' stupito alzando le sopracciglia.
    - Aveva solo paura di noi - disse Yiazmat d'istinto. - Ha funzionato? - esultò a scoppio ritardato, correndo a specchiarsi sull'armatura del padre con un sorriso contento. - Incredibile! Oh... - notò un po' deluso, vedendo che sugli zigomi c'erano ancora scaglie e la bocca presentava denti tutt'altro che umani. Inoltre sentiva che qualche parte del corpo mancasse.
    - Un risultato un po' sotto la media - disse Kilgarrah osservandolo attentamente, sincero. - Ma è solo questione di pratica -
    - Come mai sento delle parti del corpo mancarmi? - domandò incuriosito toccandosi un fianco: lo percepiva al tatto, ma era come se fosse vuoto.
    - La tua abilità nell'assumere forma umana dipende dalla tua conoscenza degli umani stessi - spiegò pazientemente suo padre mentre, in un altro lampo di luce, entrambi riprendevano il loro aspetto originale. - Conoscenza che accresce notevolmente se un Drago mangia - aggiunse in tono grave.
    - Non voglio mangiare - rispose Yiazmat. - Quando... quando Nythera lo fa, ho paura - ammise con un fremito delle ali. Kilgarrah lo guardò comprensivo, limitandosi ad annuire.
    - Allora lascia che la tua conoscenza si sviluppi lentamente - gli disse tranquillo. - Hai tutto il tempo, figlio mio -

    Eppure, le parole di Kilgarrah non sembravano più convinte come una volta. Se ne erano andati tutti poco per volta, ormai erano rimasti solo loro e questo sembrava metterlo a disagio. In cuor suo, Yiazmat sentiva distintamente che stava arrivando il momento in cui anche lui e Nythera avrebbero dovuto varcare la soglia della caverna per non fare mai più ritorno. Man mano che cresceva, la prospettiva di lasciare il nido sembrava allettante: non aveva conosciuto altro che quel posto per tutta la vita, e ora che a settecento anni era ormai diventato un Drago a pieno titolo (anche se ne mancavano ancora trecento perché potesse essere l'equivalente di un diciottenne umano), sentiva di poter girare liberamente per il grande mondo di Ivalice, di cui riceveva solo qualche stralcio d'informazione grazie alla sua sensibilità superiore, tipica di tutta la sua razza. Nythera poteva vedere distintamente molte più cose, poiché mangiando divorava anche i ricordi delle persone che uccideva, rivivendo tutta la loro vita con interesse. Dato che Yiazmat non voleva saperne di imitarla, lei gli spiegava tutto con cura e dovizia di particolari. Entrambi erano affascinati dall'esterno, curiosi come non mai di vederne ogni aspetto. Ma i loro genitori erano sempre più duri alle loro richieste: nessun Drago poteva tornare una volta abbandonato il nido.
    Tuttavia, Yiazmat non sentiva più alcuna gioia nello stare lì. Si addestrava e preparava per cosa, a parte uccidere in modi fantasiosi gli intrusi? A che serviva prendere una forma umana se non avrebbe mai potuto vederne uno senza ucciderlo?

    "Cosa vuol dire essere un Drago?"

    La domanda a cui non avevano saputo trovare una risposta secoli prima, ne era ancora priva: Kilgarrah non aveva più insistito nel farla dopo quell'unica volta, conscio che l'avrebbero portata nel cuore per sempre. L'unica risposta che Yiazmat riusciva a dargli fino a quel momento, però, era noia. Essere un Drago voleva dire vivere per sempre nella reclusione, essere onnipotenti e non poterlo dimostrare, essere soli per non spaventare un mondo che li temeva e venerava. Voleva dire vivere nell'attesa che un giorno degli uomini misteriosi venissero nella loro tana a portarli fuori, per poi non farli tornare mai più. Cosa succedeva a tutti i loro amici e compagni?
    Cos'era Sovngarde?
    Fu nel giorno in cui Yiazmat radunò finalmente il coraggio di fronteggiare suo padre e costringerlo a rivelare loro tutta la verità (di cui di sicuro era a conoscenza), che assistette alla concretizzazione di tutte le sue speranze e paure.
    Un uomo solo, con una lunga tunica blu e azzurra e un nodoso bastone, con capelli lisci e di un bianco splendente simili a filigrana e profondi occhi color ametista, si palesò sull'ingresso dell'Altare. In quel momento Kilgarrah stava parlando con Saphira e Nythera. Yiazmat rimase sconvolto dalla velocità con cui mandò via le due femmine, ordinando loro di andare ai piani più alti. Dato che si stava allenando nel prendere forma umana, rimase in tale sembianza e si nascose dietro alcune rocce, col cuore che gli batteva improvvisamente fortissimo. Suo padre sembrava più che preoccupato: era terrorizzato. E qualunque cosa potesse fare quell'effetto al Capobranco di Esthar, che da sempre era stato il suo idolo, modello e guida, non poteva essere buona.
    - Kilgarrah... - pronunciò lentamente l'uomo in tono grave. Yiazmat si arrampicò su una tana vuota, silenziosamente, per poter vedere meglio il loro strano ospite. - Mi dispiace essere sempre foriero di brutte notizie -
    - Non vorrai mica dirmi che quei Custodi si sono già fatti ammazzare... - disse rancorosamente il Drago. Il suo tono era così minaccioso che Yiazmat ebbe i brividi.
    - No, i Keyblade sono al loro posto, pronti ad essere raccolti quando i tempi saranno maturi - assicurò il loro ospite, osservando il vecchio Drago con comprensione.
    - E allora cosa c'è? - incalzò Kilgarrah allungando il collo, gli occhi stretti a fessure. - Che altro volete da noi, Warlic? -
    Warlic prese un profondo respiro, come se gli pesasse parlare.
    - Theresa ha parlato, Kilgarrah - disse, e nella sua voce non c'era alcuna gioia per il compito di cui si era fatto portatore. - Ha Visto che ci sarà ancora bisogno di voi -
    La reazione di suo padre fu così repentina che Yiazmat temette che stesse per divorare quel Warlic in un battito di ciglia.
    - NO!! - ruggì così forte che i cristalli in cima alla caverna tremarono: il cucciolo si sentì di nuovo spaventato dal padre, come quella volta che lo vide uccidere quegli avventurieri. - Non avrete altro da noi, Warlic! - insistette col muso a pochi centimetri dal corpo dell'uomo.
    - Kilgarrah, ti prego! - esclamò Warlic allarmato. - Cerca di capire cosa sono i tuoi figli! -
    Yiazmat non comprese bene il senso di quella frase, ma a quanto pareva non fu lo stesso per suo padre.
    - I miei figli sono i miei figli, umano - tagliò corto Kilgarrah spiegando le ali, pronto ad allontanarsi da lui. - Vattene ora, e non osare farti rivedere alla mia porta! Né tu, né la tua maledetta Enclave! -
    - La Profezia, Kilgarrah! - s'impuntò Warlic battendo il bastone a terra. - Theresa ha Visto! Il Kingdom Hearts ha lasciato quella profezia il giorno dell'Ascensione! Tu più di chiunque altro dovresti esaudirne il volere! -
    Kingdom Hearts.
    Suo padre ne aveva parlato pochissime volte e sempre con tono quasi timoroso. Era l'Entità Suprema, il luogo dove ogni cosa aveva inizio e fine, il Grande Cuore dei Mondi. Diceva sempre che i Draghi erano i suoi messaggeri, creature privilegiate che dovevano sempre rispondere con puntualità e zelo ad ogni Suo ordine. E improvvisamente, Yiazmat comprese che era per il volere del Kingdom Hearts se tutti i loro amici erano andati via, se loro erano rimasti soli... e probabilmente, presto, anche lui e Nythera avrebbero fatto lo stesso.
    - I tuoi figli stanno diventando sempre più potenti - disse Warlic. Vedendo di essere riuscito a fermarlo, si avvicinò lentamente a lui, empatico. - Di questo passo c'è il rischio che l'Armonia venga formata prima del previsto. La loro vicinanza potrebbe... -
    - Sì, lo so - replicò Kilgarrah senza alcuna emozione, non guardandolo nemmeno negli occhi. - Tu hai figli, Warlic? -
    - Vorrei tanto - rispose sinceramente il Mago, realizzando quale sarebbe stata la sua domanda.
    - Fino ad allora non potrai mai capire cosa voglia dire vederteli strappati via per una causa che non capisci - proseguì il Drago in tono di voce basso e malinconico. - Se il Kingdom Hearts ci avesse lasciato agire, avremmo risolto questa crisi molto tempo fa e nessuno sarebbe andato via -
    - Nessuno di noi può comprendere i meccanismi che regolano il Suo pensiero, Kilgarrah - negò Warlic paziente. - Dobbiamo fidarci -
    - Ho forse una scelta? - disse la creatura retorica, voltandosi a fissarlo nuovamente negli occhi. - Siamo le creature più potenti del creato, ma a noi non è stato concesso il libero arbitrio -
    - I Draghi e gli Uomini sono più simili di quanto credi - commentò l'uomo con un sospiro. - Condividiamo vizi e virtù, aspirazioni e debolezze. I Draghi sono invincibili e immortali, però. Un uomo che abusa del suo potere può essere fermato, puoi dire lo stesso di un Drago potente? -
    Lo sguardo di Kilgarrah si abbassò carico di tristezza e rancore. Ovviamente lamentarsi della mancanza di libertà di scelta era inutile, solo il Kingdom Hearts avrebbe potuto cambiare tale realtà. Yiazmat stava ormai comprendendo dove stesse andando la discussione, ma continuava a pregare che non fosse come temeva. Continuava a ordinare a quell'uomo di andarsene, di lasciarli in pace e non tornare mai più. Quello però restava lì e continuava a parlare con suo padre, con cui per la prima volta condivise l'odio nei confronti di quegli esseri così piccoli e fastidiosi.
    - Dunque? - rispose Kilgarrah con la voce incrinata, troncando il discorso e tornando all'argomento principale, quello che gli premeva maggiormente.
    - Porterò con me Nythera - disse Warlic dopo un breve ragionamento. - Theresa l'ha Vista tra le sabbie di Bikanel... Continuerò ad addestrarla finché non verrà il suo momento -
    - Vuoi dire che non è stata ancora Chiamata? - domandò incredulo Kilgarrah. - Mi stai portando via mia figlia senza motivo?! -
    - Il motivo l'ho menzionato prima - ribatté Warlic, che fino a quel momento non aveva mai cambiato tono di voce, mantenendolo sempre velato e calmo anche quando esprimeva allarme o preoccupazione. - E presto, un Custode avrà bisogno di lei -
    - Che siate maledetti - ringhiò Kilgarrah dandogli le spalle. - Meritate tutte le vostre sofferenze, dalla prima all'ultima -
    - Kil... -
    - NOI DRAGHI NON ABBIAMO NIENTE A CHE FARE CON VOI!! - ruggì nuovamente, stavolta con una forza tale che le pareti stesse della caverna tremarono.
    Yiazmat era incredulo. Quell'uomo voleva portare via la sua amata sorella, con cui aveva giocato e lottato per secoli. Voleva fermarlo, doveva fermarlo, ma non ci riusciva. Era rimasto immobile in quella tana, ad ascoltare attonito ogni parola che si scambiavano suo padre e quel dannato umano. Qualcosa di caldo e umido uscì dai suoi occhi, facendoli bruciare. Erano quelle che gli esseri umani chiamavano lacrime, se ricordava bene.
    - UN UOMO HA CAUSATO TUTTO QUESTO! NON UN DRAGO! - proseguì Kilgarrah con ferocia, ma Warlic resta immobile, le vesti e i capelli scombinati dalle urla irate della leggendaria creatura. - EPPURE LA MIA RAZZA E' STATA STERMINATA PER COLPA VOSTRA! CON CHE DIRITTO CONTINUATE A CHIEDERE?! -
    Yiazmat osservava allibito la scena. Era paralizzato dalla paura e dallo sgomento, poiché mai aveva visto suo padre in quello stato. Le sue grida non erano forti tanto per la rabbia, quanto per la paura. La stessa paura che secoli prima l'aveva colto quando il mago di cui ora Yiazmat aveva le sembianze aveva attentato alle vite dei suoi figli. Un altro mago, ironicamente con una tunica simile e dallo stesso colore dei capelli, attentava nuovamente alle loro vite. Ma in modo ben diverso, anche se ugualmente insopportabile.
    Continuava a piangere, in silenzio, supplicando che fosse solo un orribile incubo, una visione, qualunque cosa che escludesse la realtà di ciò che vedeva. Non poteva sopportare di vedere Nythera andare via.
    - La guerra finirà presto, Kilgarrah - disse Warlic, conscio che questo non l'avrebbe certo aiutato a stare meglio.
    - Ovvio che finirà - ribatté il Drago. - Finiti i Draghi, niente più Custodi. E allora chissà che farete - fece qualche passo pesante tra le Due Rocce, per poi tornare a guardare Warlic con tristezza. - Fa' quel che devi e vattene -
    - Mi dispiace, Kilgarrah. Mi dispiace davvero - si scusò il Mago chinando il capo. - Ti prometto che mi prenderò cura di lei come se fosse mia figlia -
    - Non sei comunque suo padre, il tuo giuramento non ha alcuna rilevanza - lo liquidò Kilgarrah senza la minima gratitudine per un gesto, a suo parere, ipocrita e falso.
    Con orrore, Yiazmat vide suo padre chiamare Nythera e la loro madre con un lungo ruggito. L'espressione combattuta di Nythera, unita alla rassegnata sorpresa di Saphira, lo mandò definitivamente nel panico. Non avrebbero combattuto...
    Nythera se ne sarebbe andata.
    Uscì dal suo nascondiglio, trasformandosi.
    Ruggì, di dolore e di rabbia, mentre Warlic la portava via: e quando iniziarono a svanire oltre la soglia, il ruggito di Nythera, simile alle lacrime di un essere umano, arrivò in risposta.


    A nulla erano servite le sue suppliche, le sue lacrime. Non avrebbe mai più rivisto Nythera, di questo era fin troppo sicuro. Una volta usciti dall'Altare non si ritornava indietro. Per giorni, anni, decenni aveva pianto la sua amata sorella, cercando anche di fuggire dall'Altare e venendo sempre fermato: attese allora, imparò ad attendere come tutti i Draghi. Prima o poi il suo momento doveva arrivare, l'aveva detto quell'uomo. Lui e Nythera erano necessari, insieme. E quel giorno, allora... avrebbe forse rivisto sua sorella.
    Non sapeva più quanti anni fossero passati, quando finalmente uno di quei Custodi entrò nell'Altare. Lo accolsero tutti freddamente, com'era ovvio, ma dopo qualche parola Yiazmat si trovò improvvisamente in una situazione strana. Per tutto quel tempo si era detto che avrebbe odiato qualunque essere umano che passasse da quell'ingresso, che fosse dell'Enclave, un Custode o il solito avventuriero.
    Ma quando incrociò gli occhi di Roxas fu sommerso da una quantità di emozioni completamente nuove. Si era stabilito in un attimo un contatto tra loro, poteva leggere le sue emozioni nella sua voce e nei suoi gesti. Poteva sentire i suoi ideali, i suoi sentimenti, le sue paure e i suoi dubbi.
    E nonostante cercasse di odiarlo, si accorse di non riuscirci. In qualche modo lo sentiva simile a sé: tormentato dal senso di colpa per aver lasciato accadere qualcosa senza poterla fermare, separato dalle persone che amava, ridotto quasi a una vittima delle proprie incertezze. Non voleva più odiarlo, sarebbe stato un po' come odiare se stesso.
    Decise di aiutarlo, di stargli vicino e difenderlo finché avesse avuto ancora un corpo. Nessuno gli aveva mai detto come si forgiava un Keyblade, era quasi un argomento tabù, ma l'aveva capito da solo, quando era uscito dalla grotta e non sentiva più la presenza di nessuno dei tantissimi Draghi che la popolavano. Sentiva come degli echi, niente più di qualche lontana voce che lo accoglieva nel mondo esterno.
    E capì.
    Capì che per fare ciò che il Kingdom Hearts aveva deciso doveva morire, darsi completamente al Custode per seguire il suo fine ultimo, qualunque esso fosse. E in quei giorni dove stava in silenziosa e mesta meditazione, dicendo addio ad ogni luogo che vedeva, aveva ripreso a pensare a quella domanda di suo padre di tanti secoli prima.
    Man mano che pensava, iniziava a comprendere. Ma dalla maggiore comprensione derivava una maggiore tristezza, nella consapevolezza che ogni meraviglia che quel mondo avesse da offrire non l'avrebbe più vista.
    Gli occhi di Roxas esprimevano tutta la sua incredulità e Yiazmat non poteva consolarlo in nessun modo. Era giunto il suo momento, non poteva ribellarsi al suo destino e a quella "Profezia" che tutti nominavano con timore, persino suo padre.
    - E' ora - disse Cysero mettendogli una mano sulla spalla. - Entrate, forza. Theresa vuole che i tuoi Keyblade siano pronti entro domani sera e la procedura è lunga - aggiunse dando un'occhiata a Roxas, che si era praticamente aggrappato agli abiti di Yiazmat, come in un ultimo disperato tentativo di combattere la realtà.
    - Per favore... - mormorò questi supplichevole, col capo chino. L'impetuosa marea delle sue emozioni affondò nel cuore di Yiazmat come una pugnalata. - Yiazmat, ripensaci... c'è sempre un altro modo... -
    Il Drago sorrise, immobile di fronte a lui: rimase a guardarlo con aria meravigliata e composta, empatica. Non poteva davvero odiare gli esseri umani, nonostante fosse a causa loro se tutta la sua specie era stata sterminata. Pur nella loro arroganza e nel loro essere inutilmente litigiosi e avidi, erano creature di un'incredibile complessità e bellezza. E in un certo senso, era felice che Roxas fosse venuto a portarlo via quel giorno, poiché altrimenti sarebbe rimasto nella propria ignoranza.
    Con questi pensieri afferrò i polsi di Roxas e lo abbracciò con forza, in un gesto rapido e che non ammise alcuna resistenza: strinse a sé il corpo del giovane Custode, sentendo il proprio cuore scosso dalla paura. Non c'erano altri modi, e quello che lo attendeva lo spaventava senza ombra di dubbio. Avrebbe voluto che ci fosse una scappatoia, ma se persino Cysero non ne trovava, lui che era il Fabbro Celeste... se persino nell'Enclave e addirittura Kilgarrah non riuscivano a trovare una soluzione alternativa dopo tutti quei Draghi morti, allora era davvero la fine.
    Avvertì le lacrime di Roxas bagnargli la spalla, tra i suoi singhiozzi. Deglutì, in silenzio, carezzandogli la nuca con fare fraterno, tentando di infondergli la forza di affrontare quel momento che lui stesso era impreparato a vedere. Non sapeva nemmeno cos'avrebbe dovuto fare.
    Roxas l'aveva stretto così forte che non riusciva a staccarsi da lui: e nel suo cuore leggeva di essere al pari degli amici con cui aveva intrapreso quel viaggio mesi prima. Pur sapendo quale fosse il suo destino, Yiazmat si sentiva felice oltre ogni misura.
    - Yiazmat? - chiamò Cysero paziente, guardando il sole che ormai iniziava a rischiarare lo schermo delle montagne che cingevano Weisshaupt. - Dobbiamo sbrigarci -
    - S..sì... - balbettò Yiazmat divincolandosi a malincuore dall'abbraccio del Custode. - Vieni - lo invitò precedendolo attraverso la stretta porta di roccia.
    Roxas lo seguì, stringendo i pugni mentre varcava quella soglia. Non si sentì minimamente coinvolto dal vedere cosa celava al suo interno: una camera gigantesca, grande quasi quanto il cortile del castello, del tutto invisibile dall'esterno. Sul suo lato più lontano ardeva il fuoco di una grande forgia, sormontata da alberi secolari e passerelle. Le pareti della "caverna" erano tappezzate di spade e armi della foggia più svariata: una lunga fila di manichini armati di tutto punto portava spesse corazze e spadoni affilati, come un rigido corpo di guardia. Accanto alla forgia c'erano diverse incudini e un'alta catasta di legname. L'unica cosa che però riuscì a sorprendere Roxas fu la scultura che sormontava il fuoco: un'aquila gigantesca che con le sue ali circondava quasi l'intera stanza, finemente scolpita, la cui testa sporgeva proprio sulle fiamme: il suo becco era aperto e i suoi occhi di ossidiana luccicavano sinistramente ad ogni lingua di fuoco che volteggiava nella brace. In un'alcova separata della camera si trovava una teca in cui scintillava una splendida lancia d'oro, simile a un tridente dalle lame corte, due delle quali ricurve.
    La cosa che lo lasciò più stranito, comunque, fu la vista di una piccola scultura di legno, grande sì e no quanto un pugno, raffigurante una paperella di quelle che sua madre, nel loro tempo, metteva nella vasca da bagno quand'era piccolo, con l'unica differenza che quelle erano di gomma.
    - Costruire un Keyblade è un procedimento assai lungo e complicato - sospirò Cysero, evitando di proposito di chiedere qualcosa sulla loro psiche. - Forgiare i tuoi, poi, richiederà davvero tutto il mio impegno - disse quasi lamentandosi. - La Chiave della Luce non deve vedere il buio, e deve bagnarsi di luce solare dall'alba a mezzogiorno; la Chiave dell'Ombra invece non deve stare al sole... al buio dalla mezzanotte all'alba - spiegò avvicinandosi al Custode. - Per favore, dammi i tuoi pezzi. Ho una mezza idea - aggiunse con un sorrisetto gaudente.
    - Eh? - rispose Roxas alzando lo sguardo su di lui, con una nota di rancore nella voce.
    - I pezzi dei tuoi vecchi Keyblade, dammeli - ripeté pazientemente Cysero tendendo le mani robuste e nodose.
    - Ah... okay - disse il Custode mettendo mano alla bisaccia che si portava dietro, attaccata al cinturone. Il metallo dei suoi vecchi e ormai inutili Keyblade rotti tintinnò allegramente.
    Roxas si sentiva atrocemente in colpa. Se i Keyblade erano Draghi morti, dunque aveva reso vano il sacrificio di un Drago: per questo dunque Kilgarrah lo accolse con risentimento e freddezza!
    Mentre realizzava (probabilmente per l'ennesima volta in quell'arco di tempo) quel concetto, Cysero prese i frammenti dalla borsa osservandoli con interesse e un'aria di rimprovero.
    - Per il Cuore, che disastro - disse con diniego del capo. - Guarda qui... spezzati proprio di netto! Di', hai una volontà di ricotta per caso? - lo redarguì senza mezzi termini. - Ed era uno dei miei lavori migliori... assieme alla riforgiata Catena Regale, che con la Buster Sword è il non plus ultra delle mie opere! - continuò a commentare tra sé, poggiandoli su un banco da lavoro accanto alla forgia. - Però non hanno iniziato a deteriorarsi, vedo. Alduin era giovane e potente, dopotutto. Penso che verrà fuori un bel lavoro -
    - Come... come fa? - domandò Roxas all'improvviso, cercando di alzare la voce. - A toccarli? -
    - Sono il Fabbro Celeste, diamine! - s'impuntò Cysero quasi offeso. - Rinnegheresti tuo padre solo perché ti sei sposato? -
    - Uh... no - si affrettò a negare il giovane, afferrando l'idea.
    - E allora capirai che un Keyblade è come un figlio per me. Sanno riconoscere la mano che li ha forgiati - disse il Fabbro finendo di guardare le vecchie Chiavi malridotte. - Anche se a dire il vero è la Chiave stessa a decidere che forma prendere... io mi limito ad assecondarla. E' la mano del Custode che le dà una vera consistenza -
    Roxas non capiva assolutamente nulla di quello che stava dicendo e si limitava a osservare Yiazmat, che si guardava intorno senza proferir parola. Voleva che dicesse qualcosa, che si ribellasse al suo destino, come avevano detto neanche un quarto d'ora prima: sembravano passati secoli da quel discorso, sensazione accentuata dalla totale acquiescenza nei confronti della sorte da parte del Drago.
    Cysero si diresse alla teca dove brillava la lancia dorata e l'aprì estraendone l'arma.
    - E' passato troppo poco tempo dall'ultima volta... - sospirò tristemente il Fabbro Celeste soppesandola tra le mani come se pesasse troppo per la sua presa.
    - Cosa vuole fare con quella?! - scattò Roxas a occhi sgranati, mettendo mano alla spada.
    - L'unica arma in grado di uccidere un Drago - rispose Yiazmat assorto. - Con quella, estrarrà il mio Cuore -
    - No... NO! - insistette Roxas sguainando Narsil: i suoi occhi carichi di collera si fissarono su quella lancia.
    - Non c'è scelta, e il tempo è tiranno! - ribatté Cysero secco.
    - Dovrà passare sul mio cadavere, se pensa di uccidere Yiazmat con quella roba! - esclamò il Custode frapponendosi tra i due.
    - Infatti non lo farà - disse il Drago con un sorriso. Roxas si voltò verso di lui, col cuore ricolmo di nuova speranza. Che si fosse finalmente convinto? - Sarai tu a farlo -

    Narsil cadde a terra, ma le orecchie di Roxas erano come velate. Le parole di Yiazmat distrussero ogni sua pallida idea che ci fosse ancora un possibilità, gettandolo nello sconforto più totale. Con gli occhi spalancati, vide il Drago prendere l'arma e porgergliela, risoluto nella sua idea di dover ormai morire.
    Le sue palpebre si chiusero fino a serrarsi, mentre la presa si stringeva attorno al gelido metallo.
    - Non posso... - disse in un sussurro disperato, negando con la testa, senza aprire gli occhi. - Non posso, Yiazmat, non posso! -
    - Non accetterei che nessun altro umano lo faccia - negò il Drago a sua volta. - Devi essere tu -
    - Non puoi chiedermi questo... - lo supplicò Roxas continuando a tenere il capo basso.
    - Sì che posso - rispose Yiazmat mentre il giovane apriva gli occhi. - Perché adesso ho capito -
    I due presenti lo fissarono interrogativi, ognuno con emozioni contrastanti nel cuore.
    - Ora ho capito cosa vuol dire essere un Drago - disse con un ampio sorriso, avvertendo nel corpo una magnifica sensazione liberatoria. - Dopo quasi mille anni, ora lo so, Roxas - gli poggiò le mani sulle spalle, con un'espressione fiera. - Ci siamo sempre chiesti perché nonostante avessimo una potenza infinita nessuno di noi fosse libero di agire. Ci siamo sempre chiesti come mai il Kingdom Hearts ci abbia fatto dono dell'immortalità per viverla in gabbia, e adesso lo so, ora l'ho capito! - esultò guardando il Custode, il Fabbro e l'aquila. - Un Drago non muore davvero... ma attraverso i Keyblade, diventa libero! - Vide che Roxas lo guardava confuso e gli rispose con un'occhiata rassicurante. - Noi Draghi viviamo nell'attesa che il nostro dovere ci chiami, lo capisci? E siamo convinti che la nostra sia una vita di prigionia e di sofferenza, destinata a finire solo con la nostra, di fine... e ci sbagliavamo - afferrò le mani del Custode, che reggevano ancora la lancia dorata. - Perché è proprio quando arriva quella fine che comprendiamo di trovarci ad un nuovo inizio. Dandoci a voi Custodi, anima e corpo, noi Draghi otteniamo la libertà. Unendo i nostri Cuori - concluse, con la contentezza nella voce - e combattendo con voi, possiamo finalmente fare ciò per cui siamo nati. Ecco cosa vuol dire essere un Drago -
    - Vuol dire... -
    - Essere legati a questo mondo e alle sue sorti più di qualunque altra creatura esistente, e combattere assieme ad esse per difenderlo - proseguì Yiazmat. - E nel farlo, troviamo la nostra libertà -
    Le sue parole sembrarono consolare Roxas, la cui presa si fece più salda sul metallo.
    - E allora perché non avete potuto combattere prima? - domandò cercando una qualunque scusa per non fare quello che ormai sembrava inevitabile.
    - Perché i Draghi e gli Uomini condividono molte cose - rispose il Drago. - Noi siamo, però, troppo potenti. E come non esistono solo umani buoni, non esistono solo draghi buoni. Ognuno di noi è spinto a voler difendere questo mondo e fare ciò che è giusto, ma non tutti abbiamo la stessa idea al riguardo. Ecco perché ci affidiamo ai Custodi. In quanto prescelti del Kingdom Hearts, volenti o nolenti, farete ciò che è necessario. Roxas - lo richiamò infine, affabile. - E' giusto così -
    - Mi dispiace... - rispose Roxas a voce tremante. - Per colpa mia, tutto questo... -
    - No - lo tranquillizzò, fraterno. - Doveva accadere - disse semplicemente.
    - Yiazmat... - pianse di nuovo il Custode, guardandolo negli occhi.
    - Ci vedremo in battaglia, fahdon... - sorrise felice. - Amico mio -

    Roxas urlò nel dolore più totale, menando l'affondo con la lancia, dritto al cuore del Drago: la camera intera fu investita dalla luce, il corpo di Yiazmat divenne una sagoma fiammeggiante. Una grande sfera luminosa emerse dai bagliori, splendente e meravigliosa come un piccolo Sole.
    Nei suoi ultimi istanti, prima di venire sommerso nella luce, Yiazmat vide tutti coloro che l'avevano preceduto, ad ali spiegate mentre volavano in un cielo meravigliosamente limpido. Quando i suoi occhi si chiusero sentì un calore intenso avvolgerlo, quasi come a racchiuderlo tra le zampe di una madre. Sorrise.
    Era libero, adesso.
     
    Top
    .
  10. Taiki Koizumi
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    MALEDETTO, SEI UN DANNATO! T.T MACCHé LIBERATO, HAI FATTO MORIRE IL MIO YIAZMAT T.T!!
    Ora è sicuro che non vorrò mai finire FFXII per pietà verso il drago ç_ç

    Ti recensirò meglio quando tornerò T_T Bravo.

    .


    Edit:
    Beh a questo punto, dato che nessuno ha ancora risposto, continuo qui u.ù

    Il titolo non esprime l'essenza stessa di Yiazmat a mio parere, perché non è soltanto un Drago colui di cui si parla, ma anche di un amico per Roxas, un fratello, figlio... E diciamocelo, lo fa sembrare davvero carne da macello ç_ç E' più di semplice chiavi per Roxas, nh è_é
    *iperprotettivo verso Yiazmat*
    Comunque belli i due flashback... Hai concentrato bene tutta l'introspezione sul protagonista del capitolo, la nascita, l'evoluzione e la fine della sua ricerca spirituale di un motivo sull'esistenza dei Draghi, molto bella.
    Non ho molto altro da dirti, se non che ti odio v.v Poteva essere felice, vivo e con Allen u.u Sfigato.

    Saluti, al prossimo capitolo <3

    Edited by Taiki Koizumi - 15/4/2012, 21:44
     
    Top
    .
  11. _Holy
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    I frequenti flashback di Yiazmat sono teneri e toccanti, nonostante nella fase dello scontro con gli umani non sia riuscito a comprendere appieno tutta l'azione. Un po' confusionaria in alcuni casi.
    Il discorso tra Roxas e Yiazmat è stato ovviamente più disarmante rispetto ai flashback. Sai che non adoro l'estremizzazione dei sentimenti o le reazioni troppo sopra le righe, quindi non ho apprezzato appieno la reazione di Roxas, che ha aggredito Yiazmat mettendogli le mani addosso.
    Tutto il resto l'ho invece apprezzato, chiedendomi se sarei riuscito ad affondare la lancia al posto di Roxas.
    Penso proprio che me ne sarei fottuto di tutto quanto, e la lancia l'avrei usata per sfregiare il viso di Cysero, a morte.

    Scrittura ottima come sempre, anche se le descrizioni della forgia verso il finale hanno un po' smorzato il sentimento.

    Se posso dirla: era ora che accadesse qualcosa di realmente incisivo, e di realmente triste.

    So che non ti piacerà la recensione, ma non so che dirti...
     
    Top
    .
  12.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Twilight Player

    Group
    Member
    Posts
    65,055

    Status
    Anonymous
    Ok, c'e l'ho fatta. °ç°

    Scusa il ritardo, ma sono stato un botto impegnato.
    ALLORA! I flashback di Yiazmat mi sono piaciuti assai e sono anche molto toccanti.. Phaturnaxxxx (l'ho scritto male probabilmente °°).
    Roxas s'è incavolato di brutto, è arrivato addirittura a picchiare il piccolo e indifeso draghetto :°
    Beh Roxas alla fine fa quel che deve fare.. anche io forse non so se sarei riuscito a dare il colpo.

    Mi spiace per lo schifoso commento :/
    Che brutta recensione che ho fatto.. uff.
    In ogni caso, scrivi sempre molto bene ed è sempre un piacere leggere un tuo scritto, quel che sia!
     
    Top
    .
  13. Nyxenhaal89
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    *W*
    Lo so che non vi sono mancato per niente. STRONZI! :onan:
    Scherzi a parte, rieccomi qui dopo secoli, nonostante lo studio, nonostante i 3000 giochi da finire e nonostante Game of Thrones (finale di seconda stagione assolutamente EPICO T__T ) sono riuscito a scrivere e a riprendere in mano le redini dell'ispirazione. Da questo capitolo in poi inizia una battaglia di almeno tre capitoli, dunque cercherò di scriverli tutti in una volta per poi postarli man mano! E per evitare di essere accusato di plagio da qualche simpatico buontempone, avviso che questa battaglia è un mezzo tributo a quella di Hogwarts (anche se radicalmente diversa).
    Spero di aver reso bene tutto ciò che volevo scrivere, e ovviamente spero che vi piacerà!
    Grazie a Holy, Nemesis e Mizu per i commenti e grazie mille a Holy per il betaggio.
    Buona lettura!


    29: Il Valore di Ognuno

    Gli stendardi neri, disadorni e monocromi, sventolavano da ogni torrione e comignolo della Capitale. Nel loro silenzioso assecondare i capricci del vento pigro e incurante degli avvenimenti terreni, testimoniavano il fin troppo presente cordoglio di tutti gli abitanti della città mutilata e devastata. Molte erano le case distrutte: diversi grossi pezzi di pietra avevano sfondato tetti e muri, sradicando in pochi attimi ricordi e storie. L'immenso vuoto lasciato dalla Cattedrale bruciava nei loro cuori come uno squarcio nella carne, una ferita insanabile che suppurava lentamente. Non un singolo detrito era presente sul luogo un tempo occupato da essa: solo un contorno, un rimasuglio dell'imponente struttura rettangolare. La scalinata che portava alle cripte sotterranee, dove erano sepolti i Papi dell'antichità, era rimasta illesa, ma solo il Creatore sapeva in che condizioni versassero le antiche grotte che correvano per centinaia di metri sotto la Pura.
    Le Guardie Papali e lo Scutum Pontificii, che rispetto ai soldati dell'Alta Croce avevano una maggiore conoscenza delle vie della città, iniziarono una massiccia opera di ricerca dei corpi dei Cardinali, spazzati via e disintegrati dall'esplosione. Il popolo di Ecclesia era ben conosciuto per il suo fanatismo religioso e la possibilità che qualche sciacallo portasse via pezzi di Cardinale, per rivenderli come reliquia sacra in qualche villaggio, era fin troppo alta per lasciare che il tempo e gli animali randagi se ne occupassero. I soldati dello Scutum adottarono uno stratagemma ingegnoso: seguivano i movimenti dei corvi e degli altri uccelli alla ricerca di carcasse. Nel giro di poche ore i soldati avevano "ripulito" tre o quattro dei sette distretti della città, mentre alcuni muratori iniziavano ad occuparsi di rimuovere macerie e detriti per avviare la ricostruzione delle abitazioni danneggiate.
    Il silenzio imperava per le strade. I cittadini erano tornati alle loro case e non dicevano nulla fuori dalle loro quattro mura: i mercati erano immersi in un'atmosfera taciturna e surreale, mentre il confuso fruscio di vesti e respiri inondava ogni singola via come un tacito requiem.
    Ma se per le strade comandavano quiete e cordoglio, quest'ultimo era accompagnato da emozioni ben diverse all'interno della Santa Sede, rimasta miracolosamente illesa se si escludeva un leggero squarcio su uno dei muri: Walter aveva fatto arrestare il misteriososo Assassino senza perdere altro tempo e ignorando le proteste di Altair, che voleva restasse per potergli parlare. Il Comandante delle Guardie Papali tenne "Terra" sotto un turbolento interrogatorio nelle segrete della Santa Sede per quelle che dovevano essere ore, ma parvero giorni interi. Si udivano ogni tanto gli echi di una frusta, minacce e clangori ferrosi riconducibili a percosse date con l'armatura: Altair era rimasto fuori dalle segrete con lo sguardo fisso sulla grata, assieme a Kendal, che non faceva che scusarsi educatamente per la condotta del traumatizzato commilitone.
    Era passato circa un giorno da quando Xemnas era fuggito, ferito e sconfitto, con il Frutto dell'Eden ancora saldo tra le mani e la certezza di un'Organizzazione rediviva al suo servizio. Sì, Saix non poteva essere morto davvero, dal momento che il Principe Rasler non aveva pronunciato il suo nome nell'ucciderlo; ma Demyx? Demyx era morto, poiché Sora era un Custode e non aveva bisogno di quell'accorgimento. Eppure era lì, col suo sitar, a mettere loro i bastoni fra le ruote permettendo al suo Superiore di scappare dalla battaglia e sfoggiare una vittoria morale su chi l'aveva messo alle strette.
    Mentre i Custodi si godevano un comunque meritato riposo al Puledro Impennato e Malik ed Ezio tenevano Riku sotto attenta osservazione, lui aveva assistito ai postumi della battaglia con disinteresse. Il Cardinale Klarrann fu chiamato a prendere parte a numerosi impegni d'ufficio, scrivere scartoffie e prepararsi a diventare Papa perché il popolo, ormai l'unica voce autorevole dopo la morte di tutti i Cardinali del Conclave, lo aveva acclamato unanimemente come nuova guida: lui che aveva ardito ergersi contro il nemico di Ecclesia era il candidato ideale, nonostante non fosse un Ecclesiano ma un uomo di Hironeiden. Era infatti lui il Cardinale che sarebbe stato favorito dall'eccidio di Cardinali ad opera di Lithos e Coris, evitato grazie a Xemnas. In un certo senso, Xemnas aveva risparmiato ad Ambrus una serie di imbarazzanti spiegazioni su una simile tragedia. Anche i due giovani soldati furono felici di poter evitare una simile atrocità. Erano pronti a uccidere Qunari in quantità, ma non a spargere sangue ecclesiano.
    La tanto agognata unità con Hironeiden, però, era ancora ben lontana dal suo compimento. La casata Pendragon aveva optato per la guerra civile contro la casa di Eorl, l'antica famiglia regnante della nazione, e Re Theoden aveva inviato un messaggio tramite falcone ad Ambrus, avvisandolo di non inviare diplomatici a causa della precaria situazione politica: c'era il rischio che tornassero con informazioni sbagliate o che non tornassero proprio. Altair ricordò che Artix e Zack erano sul posto e sperò vivamente che stessero attenti e non facessero sciocchezze, in particolare Artix, che prima della sua investitura a Custode era un fiero difensore della Casa di Eorl e al tempo stesso un membro di prestigio della stirpe Pendragon... in altre parole le sue scelte sul campo sarebbero state molto difficili. Per questo confidava che la presenza di Zack, che nonostante la sua esuberanza aveva la testa sulle spalle, lo aiutasse a concentrarsi sulla missione.

    Erano rare le volte che toglieva il cappuccio, addirittura inesistenti quelle in cui erano altri a vederlo in quell'atto. Non sapeva bene perché l'avesse fatto proprio in mezzo alla piazza di Ecclesia e davanti a Xemnas, ma era stato un istinto. Voleva forse affrontare Xemnas faccia a faccia?
    I suoi pensieri furono interrotti dalla visione del suo corazzato confratello, Ambrus, che usciva dalla sala degli interrogatori con un'espressione grave. Non aveva dormito quasi per nulla in quei giorni, il suo volto era stanco e tirato, rughe prepotenti solcavano il suo viso barbuto. La sua folta criniera leonina era arruffata e increspata.
    - Se è davvero vostro figlio, Maestro - disse con voce roca, fissando gli occhi verdi nelle profonde iridi nere di Altair - la sua cocciutaggine non lascia dubbi. Non ha fatto una piega durante l'interrogatorio -
    - Spero non siate stati esagerati - lo redarguì Altair. - Faceva solo il suo dovere -
    - Quei soldati dello Scutum facevano il loro - rispose Ambrus tenendogli testa. - Lui è vivo, loro no -
    - Vi ha aiutati contro Xemnas -
    - E di questo gliene siamo grati. Non abbiamo usato torture, se può consolarvi - Ambrus sbuffò, stanco.
    - Devo parlare con lui - disse Altair perentorio.
    - Immagino che lo vogliate libero - il Generale si pose le dita sugli occhi, stropicciandoli appena.
    - Se non è di disturbo -
    - Ovviamente è un disturbo, Maestro! - scattò Ambrus innervosito. - Ma so che non potrò trattenervi se vorrete prenderlo con voi. Basta che non metta mai più piede nella nazione -
    - Non ci sarà questo pericolo, il nostro viaggio ci porta altrove - lo rassicurò l'anziano Assassino. - Ti ringrazio, Ambrus. A nome dell'Ordine -
    - E' ancora presto per cantare vittoria, ahimè - Ambrus iniziò ad allontanarsi verso l'uscita delle segrete, pensieroso. Voltò lo sguardo sulle torce che percorrevano i bui corridoi di pietra, stretti e claustrofobici, inumiditi a causa della loro posizione. Le segrete si trovavano al di sotto del livello del lago che circondava la Santa Sede e spesso capitava che si formassero piccole pozze nei corridoi più esterni. - Se quella scaramuccia tra gli Eorlingas e i Pendragon non si risolverà, temo che i nostri nemici approfitteranno di questo cambio di potere per disintegrarci. Milano è in pericolo, così vicina a Vellond. E l'Alta Croce è sfinita. I Qunari hanno abbandonato il confine di Mordor e si stanno concentrando su di noi -
    - Stanno scappando - sentenziò Altair dopo una breve meditazione. - E' probabile che Hexter sia diventata un campo di battaglia - Il suo pensiero andò a Hope e Rinoa, che erano stati mandati a parlare con i Qunari.
    - Se dovessero fuggire in massa verso il nostro confine, allora spero che il Creatore abbia pietà di noi - concluse Ambrus grave. Si incamminò, svanendo oltre i corridoi con passi lenti e pesanti.


    Riku dormiva tranquillo nella loro camera al Puledro Impennato, miracolosamente risparmiata dalla pioggia di detriti. Omorzo li accolse a braccia aperte, senza rivelare la propria identità e limitandosi a offrire loro la stessa camera. Tuttavia aveva già preparato una cena decisamente più succulenta e stava solo aspettando l'orario giusto per iniziare a cucinarla: l'avvento di un nuovo Papa e l'imminente fine delle Crociate Nordiche erano occasioni uniche, qualunque ecclesiano con un minimo di senno avrebbe dovuto festeggiarle.
    Accanto a Riku, però, Kairi era tutt'altro che quieta. La sua mente era flagellata dalle preoccupazioni, dal momento che non riusciva a comprendere cosa fosse accaduto al compagno dopo lo scontro con Xemnas. Il ricordo di quegli occhi dorati, della pelle che si scuriva all'improvviso, quell'abbraccio inaspettato e pieno di terrore... e il fatto che nessuno paresse riuscire a dirle cosa stesse accadendo. Altair e i suoi odiosi amichetti col cappuccio bianco non dicevano una parola, si limitavano a fissare Riku preoccupati per poi filarsela non appena lei voltasse lo sguardo; Xion ne sapeva quanto lei. Naminè evitava tutto e tutti fissando la finestra o scendendo di sotto a parlottare con quei maledetti Assassini. L'unico che le stava accanto in quella situazione era Sora, ma era così perso nei suoi pensieri che la sua presenza non contava.
    Da quando erano tornati alla locanda, Kairi non aveva staccato gli occhi di dosso da Riku. Sembrava ben lontano da qualunque cosa gli fosse accaduta davanti alla Santa Sede, ma non poteva fare a meno di essere preoccupata. Se solo qualcuno le avesse detto qualcosa, sarebbe potuta stare meglio, o anche peggio, ovviamente.
    Lei non era mai stata il tipo da preoccuparsi molto di ciò che le si diceva. Affrontava come un carro armato i problemi, prendendo quasi il sopravvento anche nelle situazioni in cui era in torto: piuttosto che tenersi le cose dentro o lasciare imbarazzanti silenzi, preferiva sistemare le cose subito, in un modo o nell'altro. La sua irruenza l'aveva resa famosa a scuola e molte persone preferivano proprio evitare di parlarle, o se le parlavano cercavano di non contrariarla. La sua ostinazione nel sistemare subito le cose, anche a suon di pugni, la precedeva.
    Tuttavia, in quel momento si sentiva l'esatto opposto di com'era solitamente: spaesata, confusa, incerta e impotente. Riku poteva avere qualunque problema e nessuno era disposto a dirglielo. Nessuno dei loro amici pareva capirla. Che fosse l'unica a tenere davvero a Riku nonostante tutto? Erano già terminati tutti i bei discorsi sul restare uniti contro le avversità?
    Naminè entrò di nuovo nella loro stanza. Fissò il letto di Riku per qualche secondo, sospirò tenendosi le braccia e uscì in tutta fretta dalla porta col respiro pesante.
    C'era qualcosa in cui Kairi era brava: poteva capire bene le emozioni di chi le stava attorno. I suoi genitori erano psicologi: da piccola, aveva letto con interesse molti dei loro libri, con particolare attenzione a quelli che parlavano dei gesti e del linguaggio del corpo. Riusciva quasi sempre a capire cosa una persona pensasse o provasse dal modo in cui si muoveva, si esprimeva, dal suo tono di voce e dal suo sguardo. In quel momento, pensò, Naminè si comportava come un'assassina che guardava la propria vittima cercando di restare impassibile.
    Si alzò di scatto facendo strisciare la sedia sul pavimento: Xion era andata in giro per la Città offrendo al nuovo Papa i propri servigi per il Rito del Trapasso, dunque restava solo Sora. Lo guardò con un misto di rabbia, compassione e disprezzo, serrando i pugni.
    - Ehi - lo chiamò secca. Sora, sdraiato a letto, si voltò di scatto verso di lei. - Se riesci a non pensare al cazzo di Roxas per un paio di minuti, ti affido Riku -
    - Non stavo... - cercò di scagionarsi lui.
    - Che ci pensassi o no, non me ne importa un accidente - sbottò Kairi fremente. - Puoi farlo? -
    - Va... Va bene, tranquilla - disse Sora più preoccupato che offeso.
    La rossa Custode si incamminò a grandi falcate fuori dalla stanza: gli abiti bianchi di Naminè erano svaniti in un guizzo su per le scale, verso il secondo piano della locanda. Kairi non perse tempo e si mise direttamente a correre per raggiungerla, iniziando a sentirsi sempre più certa che l'amica avesse qualcosa da nasconderle: perché la evitava, altrimenti?
    - Non scappare! - la redarguì appena voltato l'angolo, vedendo che correva anche lei.
    - Kairi... - mormorò Naminè con tono triste. In un battito di ciglia Kairi fu su di lei e la batté con scarsa delicatezza contro il muro di legno della scalinata. La Custode di Gea sentì una fitta di dolore percorrerle la schiena per intero, ma ebbe il sospetto che quella sarebbe stata l'ultima delle sue preoccupazioni.
    - Non fai che parlare con quei figli di puttana incappucciati - ringhiò Kairi aumentando la pressione su di lei, inchiodandola praticamente alla parete. Le sue mani scottavano, come se avesse perso il controllo dei suoi guanti. - Mi eviti, esattamente come fanno loro -
    - Kairi, io... -
    - NON HO TEMPO PER LE CAZZATE DA TELENOVELA!! - urlò furibonda, scuotendola, gli occhi fuori dalle orbite. Non si era mai sentita così: preoccupata, incompresa, tradita. Naminè sapeva, sapeva sempre, non le sfuggiva nulla: sapeva che Ezio era Roxas sotto mentite spoglie, sapeva cosa vedesse Sora a Osgiliath, doveva sicuramente sapere anche quello. - Io so che tu sai cos'ha Riku, Naminè -
    - Ascolta... - il suo tono conciliante fece capire a Kairi che stava ancora cercando di temporeggiare, di dissuaderla.
    - SONO LA SUA RAGAZZA, PORCA PUTTANA! - ruggì tirando un pugno alla parete, a pochi centimetri dal viso dell'amica. - DEVO SAPERE COS'HA! E TU DEVI DIRMELO! O GIURO CHE TI AMMAZZO A CALCI IN CULO, NAMINE'! -
    - Va bene! - esclamò lei spaventata. Temeva che prima o poi Kairi avrebbe avuto una reazione simile, ma non era preparata ad affrontarla.
    - Parla - disse Kairi con la voce che le tremava. - Ti prego... - aggiunse quasi in un mormorio, abbassando il capo. I lunghi capelli rossi le nascosero il viso da quella prospettiva, ma Naminè capiva che, forse, stava piangendo.
    - A Osgiliath - esordì Naminè mentre sentiva con sollievo la presa di Kairi allentarsi - Riku aveva sconfitto quel mostro con la Via per l'Alba. Ma non l'ha dissolto... lo ha assorbito - nessuna reazione. Suppose di poter andare avanti. - Ho passato giorni a interrogare Altair e Malik per cercare risposte. Alla fine, mi resi conto che sarebbe stato meglio non sapere nulla -
    Kairi alzò lo sguardo di scatto: i suoi occhi azzurri erano spalancati dall'orrore. Aveva iniziato a capire.
    - La Via per l'Alba disperde tutta l'oscurità che non riesce a contenere nel corpo del Custode che la brandisce - disse Naminè affranta, cercando di mantenere un tono di voce fermo. Era la prima volta che ne parlava a qualcuno all'infuori degli Assassini. Avrebbe preferito mille volte parlarne con chiunque, fuorché con Kairi. - Malik... lui fu il suo primo Custode. L'oscurità gli divorò il braccio, e Altair glielo tagliò per salvarlo -
    Kairi incassò la notizia senza troppa paura. Riku avrebbe sicuramente preferito essere senza un braccio, piuttosto che morire. E poi la ShinRa stava collaudando degli innesti cibernetici: avrebbe potuto avere un braccio meccanico. C'era speranza, dopotutto. Aveva temuto il peggio, dal tono di Naminè.
    - Tuttavia - proseguì Naminè, facendo spegnere improvvisamente il timido sorriso di Kairi - Riku non ha mostrato segni immediati. All'inizio pensavano che fosse perché era riuscito ad assorbire tutta quell'oscurità senza problemi, ma poi sono cominciati quei sintomi... -
    Sapeva di cosa parlasse. Gli occhi dorati, la pelle che si scuriva. Quei momenti di rabbia incosciente. Kairi non si sentì più le mani. Le sembrava di essere una testa galleggiante che affondava in un mare di orridi pensieri.
    - Altair ha cercato ogni metodo - Naminè singhiozzò. - Ma non c'è più niente da fare... -
    - Cosa... cosa vuol dire? - sussultò Kairi aggrappandosi alle spalle minute dell'amica, guardandola negli occhi azzurrissimi con la morte nel cuore. Non riusciva a respirare. Era come cercare di sorreggere un'enorme pressa con le mani, nel tentativo di non essere schiacciata. E stava perdendo. - Cosa vuol dire, Naminè? Cosa non si può fare?! -
    - Se Riku avrà un altro di quegli attacchi... -
    - NO! - disse Kairi, tremante. - No. No. No! - continuò a ripetere scuotendo il capo con ostinazione. - Non è vero, Naminè! C'è sempre un modo! C'è sempre una scappatoia! - esclamò, come una bambina a cui veniva negato qualcosa. Lei non sapeva, non capiva cosa le stesse succedendo intorno. Non si era mai sentita davvero integrata in quella nuova dimensione, non era mai sicura di ciò che faceva. Ma aveva Riku, che era nella sua stessa situazione. Riku, che come lei si arrangiava nell'andare avanti ogni giorno in quella vita impossibile. Erano gli unici a non sentirsi mai davvero adatti a quella situazione. Persino Sora, con tutto il suo costante blaterare sui vecchi tempi, era di gran lunga più adattato di loro. - Dimmi che c'è un modo, Naminè.... - la supplicò poggiata alle sue clavicole, ancora aggrappata alle sue spalle. - Uno solo, fosse anche dare la mia vita per salvarlo... -
    Naminè non rispose. Rimasero in quella posa per lungo tempo, in silenzio. La bionda amica le carezzava i capelli con fare materno, cercando di consolarla con quei silenziosi gesti. Poi, Kairi alzò il viso. I suoi occhi erano lucidi, ma non c'era traccia di lacrime sotto di essi o sulle guance.
    - Grazie - disse con un tono del tutto insolito. Freddo, quasi glaciale. - Era giusto che lo sapessi -
    Scese lentamente le scale, come stralunata. Ogni gradino sembrava alto metri. I suoi passi erano pesanti e quasi strascicati. Non chiudeva nemmeno gli occhi.
    Ma man mano che si avvicinava a quella stanza, la sua espressione si incrinava. Sempre meno ferma, sempre meno fredda, ma non piangeva.
    - Fuori - disse a Sora, che stava in piedi di fronte al letto.
    - Kairi? - la richiamò lui sempre più incuriosito e perplesso. La sua riluttanza nell'eseguire una semplice richiesta, la mandò in bestia per l'ennesima volta.
    - TI HO DETTO DI USCIRE DA QUESTA DANNATA STANZA, FINOCCHIO DEL CAZZO! - sbottò, indicandogli la porta. Non le importava niente se non ci vedesse: aveva dimostrato di vederci meglio di tutti loro messi assieme, quindi poteva fare quella semplicissima cosa. Sora uscì a passi veloci della stanza e Kairi chiuse la porta con un forte schianto.
    - Cosa sta succedendo...? - mormorò Sora fissando incerto la fonte del rumore, dubbioso ma neanche lontanamente conscio di cosa fosse accaduto.
    Kairi si sedette di nuovo accanto al letto dove Riku, nonostante tutto, dormiva. Aveva sempre avuto il sonno pesante, ricordò con un sorriso sorprendentemente dolce. Contemplò il suo viso come non aveva mai fatto prima. Mai come in quel momento le era parso così bello, così perfetto. Quei capelli lunghi, argentei, che amava accarezzare le volte in cui facevano appassionatamente l'amore. Le sue labbra, sottili, che avrebbe baciato all'infinito. Il suo corpo muscoloso e robusto, che riusciva comunque a piegare con la propria forza, ma che aveva sempre sentito come fonte di sicurezza. Si poggiò al suo petto, osservandolo mentre si faceva cullare dal battito del suo cuore.
    Sorrise, lasciando che qualche lacrima traditrice cadesse sulla maglia nera del ragazzo. La sua giacca chiara era appesa accanto al letto. La mano di Riku si intromise tra i suoi capelli, facendola sussultare appena.
    - Te l'ho detto, sei troppo curiosa - disse sorridendo, a voce bassa.
    - Lo sapevi? - domandò Kairi in un sussurro, la voce spezzata.
    - Se uno sta per tirare le cuoia, è il primo a capirlo - rispose Riku tranquillo, continuando ad accarezzarla con tenerezza.
    - Scappiamo... - disse lei stringendosi più forte al suo petto. - Andiamo via, Riku. Torniamo a Midgar. Troviamoci una casa, lasciamo perdere tutto questo... Se sono le battaglie che ti fanno venire questi attacchi, potremo evitarli! - propose alzando la testa per guardarlo negli occhi.
    - Dovrei vivere una vita in fuga da me stesso? - rispose lui con uno sbuffo irrisorio.
    - Preferisci morire così? - incalzò lei asciugandosi le lacrime.
    - Siamo in ballo, ormai - sospirò Riku. - Perciò, se devo ballare lo farò. Anche se ho sempre fatto schifo a ballare. Ma ballerò così bene da portarmi quanti più bastardi possibile all'altro mondo -
    Kairi rimase col pugno sospeso in aria, intenzionata a picchiarlo per la sua arrendevolezza: ma poi abbassò la mano, tornando nella posa di prima.
    - Sei un idiota... -
    - Oh ti prego, mi sembri Sora - la provocò con una mezza risata. - Prendimi a pugni, se devi -
    Kairi strinse un pugno e lo alzò, irata e triste al tempo stesso: ma il suo pugno fu prontamente intercettato, e prima che potesse fare altro, si ritrovò sotto Riku, che la guardava con un sorriso pieno di calore.
    - Non so quanto tempo ci resta - mormorò serio, carezzandole una guancia. - Ma sei pazza, se pensi che lo passerò a piangere - e non disse altro, lasciando che le sue mani parlassero per loro.
    Kairi gemette, sentendo il caldo desiderio di Riku penetrarla: fu così rapido nel sistemare la situazione, o forse fu lei troppo spaesata per capire, ma non negò di avere il bisogno di fare l'amore con lui, dopo tanto tempo. Si ritrovarono nudi, con le mani di Riku che toccavano avidamente il suo corpo snello e atletico, i suoi seni sodi, i suoi glutei; Kairi lo carezzava, lo palpava, ne saggiava ogni parte del corpo in preda al piacere. Lacrime e sudore macchiarono il letto, ansiti e risate riempirono le loro orecchie. Anche se nessuno dei due aveva dimenticato il dramma di poco prima, Riku aveva ragione. Non potevano passare il tempo che restava loro a piangere.


    - Terra - pronunciò Altair con meraviglia, la sua voce anziana simile al gracchiare di un vecchio corvo. Era ben lungi dalla possenza e la forza che lo caratterizzavano in gioventù: con quell'ultima battaglia, sembrava aver davvero raggiunto il suo limite.
    Seduto ad un rozzo tavolo di legno spesso e rovinato, immerso nella penombra che nascondeva buona parte degli arnesi di tortura che inorgoglivano gli aguzzini della Santa Sede, stava l'Assassino dalle sembianze di Terra. Benché Altair ne fosse parzialmente sicuro, non poteva comunque nascondere a se stesso i propri dubbi. Eppure la somiglianza era fortissima.
    - Strane sono le vie del destino - disse l'anziano Assassino, sedendosi davanti a lui. - Mai avrei pensato di trovarti qui, a combattere al mio fianco ancora una volta -
    - Per me è stata la prima volta, padre - rispose Terra fissando lo sguardo su di lui. Meravigliato, Altair vide che i suoi occhi non erano castani come in precedenza: l'iride era di un azzurro acceso, il bianco dell'occhio era invece nero come la pece. La pupilla era un minuscolo punto di un arancione intenso, da cui si irradiavano sottili raggi che si fermavano sull'iride.
    - Cosa ti è successo? - domandò il padre osservandolo con attenzione, incerto. Non aveva mai visto occhi come quelli, né si aspettava di vederli sul figlio.
    - Innanzitutto - esordì il figlio, giungendo le mani sul tavolo e parlando con tono calmo e pacato, quasi serafico - Io non sono Terra, padre. Terra riposa con Aqua e il loro splendido bambino, al sicuro, nell'Elisio del Kingdom Hearts -
    Altair non si mosse. Rimase a fissarlo, studiando ogni suo movimento e parola con minuziosa cura, pronto ad inchiodarlo al minimo errore: ma quello straniero col corpo di suo figlio sembrava estremamente sicuro di ciò che diceva. E perché continuava a chiamarlo "padre", se non era Terra?
    Un'idea improvvisa gli balenò nella mente. Ma era troppo assurda, troppo improbabile per essere vera.
    - Lei ha aspettato che fossi pronto ad entrare in questo mondo, per aiutarti. Ahimè, sappiamo entrambi com'è finita - gettò uno sguardo ironico alla segreta. - Io sono tuo figlio, padre, di questo puoi essere sicuro, ma non sono il figlio che tu credi - prese un profondo respiro, che tradiva anche una certa emozione. I suoi insoliti occhi sembravano brillare al guardarlo. - Io sono Darim Ibn Altair, tuo figlio - sorrise ampiamente. - Tuo, e... -
    - Yuuko... - realizzò Altair sgranando gli occhi. - Lei... lei è viva? -
    - Si può definire vita? - rispose Darim con un sorriso mesto.
    Era proprio l'idea che Altair si rifiutava di accettare. Che in qualche modo quel piccolo cuore fosse riuscito a sopravvivere a ciò che Ansem fece e che nel Kingdom Hearts fosse diventato sufficientemente forte da ottenere la capacità di incarnarsi.
    - Perché proprio Terra? - domandò curioso.
    - Nel Kingdom Hearts, vivi sotto forma di Cuore. Non hai un vero aspetto, ma un'immagine che rappresenta l'aspetto di te che ricordi meglio ed è visibile solo dai Cuori che ti sono più legati - spiegò Darim. - Io e Terra abbiamo lo stesso sangue, il tuo. Mi ha perciò permesso di incarnarmi in lui, cosa che ho fatto quando mi legai al suo corpo, questo corpo - si indicò - nell'Orizzonte del Tramonto -
    - Il Cimitero dei Keyblade - disse Altair grave. Darim annuì. - Perché sei giunto qui, allora? Solo per uccidere Xemnas? Ci sono già sei validi Custodi... - la comparsa improvvisa di quell'aiuto, benché gradita, era strana. Dopotutto i Custodi erano in grado di affrontare l'Organizzazione anche meglio dei loro tre predecessori, ormai.
    - Sono giunto qui perché la battaglia finale è vicina, padre - rispose il figlio. - E per sostituirti, come nuovo Viaggiatore -
    - Mi sembra giusto - annuì Altair, sorridendo debolmente. - Yuuko ha proprio pensato a tutto -
    - Lei dà i mezzi. Non può controllare i nostri destini, sa che gli accadimenti sono inevitabili - disse Darim. - Ma il loro svolgimento e la loro fine possiamo deciderli noi, facendo buon uso dei Suoi doni -
    Altair si alzò con un po' di fatica, guardando il figlio con gioia e tristezza. Ironico, come proprio adesso che la sua vita sembrava ormai alle ultime gocce, il bambino di cui non aveva mai visto la nascita si palesasse davanti a lui, sollevandolo dalle sue fatiche e dai suoi fardelli per prenderseli sulle giovani spalle.
    - Non c'è solo questo, vero? - domandò.
    - Il resto non è ancora il momento di scoprirlo - negò Darim cupo.
    - Allora, lascia che ti accolga come un padre dovrebbe fare - sorrise Altair, accantonando i cupi argomenti che li avevano adombrati finora, per andare incontro al figlio e abbracciarlo calorosamente: anche se il corpo era di Terra, percepiva che al suo interno batteva una vita ben diversa. Cose che solo un genitore poteva capire. - Sono felice di averti finalmente visto, figlio mio -
    - Non immaginate neppure quanto sia grande la mia felicità, padre - rispose Darim stringendolo con affetto e vigore. - Farò del mio meglio per non deludervi - Si sciolse dall'abbraccio, pensoso. - Prima di tutto, bisogna andare all'Enclave. Posso aprire un portale che ci condurrà a un giorno di cammino verso Weisshaupt -
    - Allora andiamo a raccogliere i Custodi - annuì Altair accogliendo con gioia il piano del figlio. Aveva proprio bisogno di una scorciatoia. - Ma dopo i festeggiamenti di stanotte. Quei ragazzi hanno subito una cocente delusione, lasciamo che si riposino un po' -


    Il sole era sorto e aveva superato lo zenit, quando Vanitas salì sulla terrazza di Weisshaupt. Dovevano essere circa le quattro del pomeriggio: una coltre di nubi non particolarmente spessa filtrava la luce solare della tarda primavera, scurendo appena il paesaggio sottostante. L'Unversed si guardò intorno con impazienza, cercando il motivo della sua visita: secondo le sue informazioni il Fabbro Celeste aveva iniziato da diverso tempo il suo lavoro, dunque Roxas non poteva essere con lui. Incrociò le braccia con un sospiro, tentato di chiamarlo a suon di urla. Tuttavia era proibito urlare nella terrazza superiore, usata da molti abitanti della fortezza come luogo di riposo e meditazione.
    Theresa aveva incaricato proprio lui di andare a parlargli. Il fatto che tra tutti fosse stato scelto lui, che fino al giorno prima stava per avere la testa mozzata da Roxas, lo lasciò alquanto perplesso e mostrò tali dubbi alla Veggente, che si limitò a sorridergli indicandogli la scalinata. Lo innervosiva il suo atteggiamento perennemente calmo e pacato. Non aveva paura di niente? Sembrava che nulla potesse turbare quella quiete perenne che la accompagnava ovunque andasse. Forse il fatto di essere una Veggente non le dava sorprese. In fondo, viveva sapendo già tutto: chissà quante volte era sfuggita alla morte affidandosi alle proprie predizioni.
    Pensando a ciò si era dimenticato di Roxas. Continuò a cercarlo dunque, chiedendosi dove mai potesse essersi cacciato. Secondo le guardie non si era mosso dalla terrazza. Vanitas percorse la stradina ciottolosa che costeggiava le merlature, pensando che magari potesse essere seduto su una di esse a godersi il panorama. Il sole pomeridiano tingeva d'oro le montagne di Nowart, in uno spettacolo assolutamente suggestivo che amava ammirare ogni volta che poteva. Pensò d'istinto che sarebbe stato bello portarci Cloud... ma dubitava che gli sarebbe interessato. Cloud sembrava non essere interessato a nulla in particolare.
    Scostò il drappo nero che portava alla gamba sinistra, vedendo che si era impigliato su una pietra sporgente, e nel farlo, finalmente notò Roxas che stava seduto sul torrione che sovrastava la Forgia Celeste. Era di spalle: riusciva a distinguere la sua bizzarra capigliatura e una frazione del torso da quella prospettiva, ma gli bastò per poterlo individuare. Balzò su una merlatura e si diede lo slancio, spiccando un lungo salto verso il torrione: godette i brevi istanti di fresca aria montana, prima di atterrare su uno dei merli della costruzione. Roxas gli concesse appena un'occhiata, quindi tornò a fissare il nulla tra le montagne, le gambe penzoloni nel vuoto e l'espressione affranta.
    - Vattene - si limitò a dirgli senza neppure guardarlo.
    Vanitas ovviamente non lo ascoltò, avvicinandosi a braccia conserte fino a raggiungere lo spazio vuoto tra il merlo occupato da lui e un altro.
    - E' magnifico, vero? - domandò ignorando il suo ordine. - Non so neppure come ci sono arrivato. Sapevo solo di voler fuggire da Mordor e per istinto sono finito qui, con Cloud che mi agonizzava sulle spalle - raccontò in tono allegro, mentre poggiava le mani sulla pietra. - Ci hanno offerto asilo e protezione pur sapendo chi eravamo, che cos'abbiamo fatto... è stato strano -
    - Io non avrei commesso questo errore - disse Roxas duramente, continuando a non fissarlo. - Avrei chiuso le porte o avrei mandato qualcuno a darvi il colpo di grazia. Magari l'avrei fatto io stesso -
    - Credevo che con tutto il tuo blaterare di onore e di virtù dei tempi antichi, conoscessi il significato della misericordia - replicò Vanitas guardandolo con un'alzata di sopracciglia. - E' utile avere un nemico che ti deve un favore -
    - Se rispettasse i patti - replicò il Custode. - E non è il vostro caso -
    - Non puoi dirlo, non avendo mai provato - negò Vanitas. - La nostra conoscenza è limitata al campo di battaglia. Non ricordo l'ultima volta che ci siamo seduti allegramente a chiacchierare - aggiunse ironico.
    - Hai usato ogni genere di trucco per conquistare Minas Tirith - gli rimproverò Roxas severo, voltandosi finalmente a guardarlo. - Hai usato l'inganno per devastare Osgiliath. Come potrei fidarmi di uno come te? -
    - E' la guerra, Roxas - ribatté l'Unversed con un sospiro. - Si vince o si perde. I mezzi non contano, la saggezza popolare stessa lo dimostra. Forse non lo sai, ma in guerra ci vanno delle persone. Chi ha più onore? Il generale che cerca di riportare quante più persone possibile alle proprie case usando qualche trucco? O quello che lascia caricare le proprie armate a viso aperto e le lascia massacrarsi a vicenda col nemico? - Roxas tacque. - E soprattutto, cosa pensi farebbe più felici le famiglie di quegli uomini? Sapere che l'uomo andato in guerra è "morto combattendo" o vederlo tornare vivo, pronto a occuparsi di nuovo dei suoi cari? -
    - E' uno specchio scivoloso quello su cui ti stai arrampicando... - disse il Custode con scherno. - Non erano persone, quelle che comandavi -
    - In realtà sì - rispose Vanitas. - Tralasciando il solito ritornello dei Nessuno senza Cuore e Heartless il cui Cuore è inghiottito dall'Oscurità, in mezzo al mio esercito c'erano gli uomini di Bikanel. Selvaggi, crudeli... ma uomini -
    - Chi uccide, deve prepararsi a essere ucciso - Roxas scese innervosito dalla merlatura, con tutta l'intenzione di andarsene. - E se non fosse stato per voi dell'Organizzazione, non ci sarebbe stato alcun assedio. Non cercare di addossarmi la colpa della loro morte! I Nabradiani si sono solo difesi, era la loro vita o quella dei loro nemici -
    - Oh, andiamo! - rise Vanitas seguendolo. - Archadia oltremare, Spira a sud! Per non parlare dei giochi di potere all'interno della nazione. Minas Tirith sarebbe stata assediata comunque, prima o poi - spiegò camminandogli accanto. - E sì, hai ragione. Li ho mandati io in guerra, o meglio li ha mandati Xemnas. Ti piacerebbe sapere perché? -
    - Indebolirci - rispose Roxas. - Sa che se gli umani si unissero tutti sotto un'unica bandiera, sarebbero in grado di opporglisi -
    - E hai ragione - annuì l'Unversed. - Abbiamo attaccato le grandi capitali del mondo con l'intento di separare l'umanità, paralizzarla nella paura della guerra, mentre noi ci davamo da fare per il piano di Xemnas... qualunque esso fosse - sospirò e voltò lo sguardo su Roxas, con le braccia conserte. - Non preoccuparti, non sono qui per riottenere la fiducia di Xemnas. Ho abbandonato l'Organizzazione e ogni giorno penso sia stata la mossa più sensata che abbia mai fatto -
    - E il tuo compare è dello stesso parere? - Roxas si fermò nel fargli quella domanda, trapassandolo con lo sguardo. Vanitas ebbe un tremito.
    - Cloud non ha mai amato l'Organizzazione, non dirmi che non l'hai capito - sbuffò con scherno. - Ha avvisato Midgar dell'attacco. Ti ha soccorso nel Baratro di Salika. Ha impedito a Sora di gettarsi nella mischia a Saint Bevelle, mentre Pain e Xemnas combattevano. Ti ha protetto quando quel masso ti ha travolto, sulle mura di Minas Tirith -
    - Lui cosa?! - sussultò Roxas stranito. Ricordava bene il momento in cui era stato colpito da una grossa roccia, lanciata dai possenti Berserker di Saix. Tutti gli altri soldati erano morti sul colpo, lui era stato spedito contro una casa ed era poi caduto esanime sulla strada, immediatamente soccorso dai compagni. - Fu Morrigan a guarirmi -
    - Saresti morto se non avesse proiettato uno scudo attorno al tuo corpo, grosso idiota che non sei altro - replicò Vanitas guardandolo severamente. - E ti ha tenuto in quella sorta di stasi per accelerare il processo di guarigione -
    - Ma perché? - fu la lecita domanda che venne istintivamente alla voce di Roxas.
    - Io non so bene questa parte della questione - ammise Vanitas con lo sguardo basso, quasi mortificato. - Credo che Cloud volesse distruggere l'Organizzazione dall'interno, favorendo come poteva i loro avversari. Se è arrivato a esporsi tanto a Minas Tirith, dev'essere stato perché credeva ciecamente in te - l'espressione del Custode si faceva più incredula man mano che il suo interlocutore parlava. - Se non fosse stato impegnato ad affrontare tre Custodi da solo, probabilmente sarebbe sceso dalla torre per aiutarti di persona. E forse una vita sarebbe stata risparmiata -
    L'allusione di Vanitas al dramma di Yiazmat era ben evidente e Roxas non riuscì a trovare un modo per ribattere efficacemente, preferendo dunque il silenzio. L'espressione sorridente del Drago mentre piantava la lancia nel suo cuore era dolorosa come se fosse stato il suo cuore ad essere trafitto. Roxas uscì dalla Forgia Celeste con una comprensione della guerra ben diversa, molto più rassegnata e pessimista: nella sua mente iniziarono a profilarsi pensieri cupi, immagini dei suoi amici che morivano in battaglia, come una preparazione psicologica a eventi che sapeva potessero accadere. Era quella la loro missione, sarebbero morti per essa o sarebbero sopravvissuti, ma non potevano dare quest'ultimo fattore per scontato.
    - Che cosa vuole Cloud da me? - domandò con voce roca, i pugni stretti. - Perché non fa che tormentarmi? -
    - Non lo so, Roxas - rispose Vanitas sincero. - Non so nemmeno se adesso che può giocare a carte scoperte voglia ancora qualcosa da te -
    - In altre parole, voleva usarci contro l'Organizzazione XIII - disse Roxas senza emozione nella voce.
    - Non fare tutto questo dramma - lo smentì l'Unversed con una lieve spinta al braccio. - L'Organizzazione va eliminata comunque. Lui vi dava solo un incentivo - fece un sospiro lieve nel vedere l'espressione buia del ragazzo, sorridendogli appena. - So cosa stai provando - disse empatico.
    - Non sai niente - ribatté Roxas.
    - Un Drago è morto sotto i miei occhi - disse Vanitas poggiandosi allo spazio tra le merlature, nel vialetto laterale. Roxas si voltò di scatto su di lui. - Mi guardava. E sorrideva. Niente Fabbro, niente rituali, non ho avuto neanche il tempo di realizzarlo. Una luce accecante e Nythera, il Drago del Caos, era scomparsa. Al suo posto, il Keyholder per la spada di Cloud, in modo da renderla più efficace quando incanala l'energia del Caos -
    Roxas rimase in silenzio a fissarlo, con una certa mortificazione negli occhi. Aveva forse pensato che il suo nemico non provasse sentimenti? Probabile. Aveva fatto l'errore che Altair gli aveva sempre raccomandato di evitare: "Non odiare il tuo nemico, Roxas", gli diceva. Eppure lui l'aveva fatto. Aveva odiato Cloud e fino a quel momento anche Vanitas, e per un motivo che riguardava soltanto lui.
    E Sora.
    Perché l'unico motivo per cui era arrivato a odiare Vanitas era stato l'aver acceccato Sora. Era dunque strano per lui vedere Vanitas come un normale essere capace di provare dolore e gioia quanto lui. Non sapeva niente del suo interlocutore, solo della sua somiglianza incredibile con Sora, che era un Unversed ed era riuscito a creare dei Nazgul, quelle creature orripilanti in grado di gettare chiunque nel terrore con la loro stessa, empia presenza. E per l'odio che provava, non era mai stato in grado di conoscere davvero il suo "nemico".
    - Quindi sì, so quello che provi - concluse Vanitas guardandolo negli occhi con intensità. - Non dimenticherò mai quel viso -
    - Ti chiedo scusa - borbottò Roxas poco convinto delle sue parole.
    - Non ti sto dicendo di perdonarci - ribatté Vanitas togliendosi dal parapetto e guardando verso la porta che conduceva nel castello. - Ma solo di collaborare. Finché le nostre strade proseguiranno sulla stessa direzione, perlomeno -
    Roxas emise un lungo sospiro, stanco e pesante. Nonostante la rinfrancante sera precedente, era moralmente distrutto. Mai come in quel momento aveva desiderato che tutta quella bizzarra avventura non fosse altro che un lungo e stressante sogno, di risvegliarsi e andare a scuola come tutti i giorni. Ma sapeva bene che non era un sogno. Erano solo i tentativi della sua mente di fuggire dalla realtà, di cercare un riparo. Ma c'era lui nel mezzo di tutti quegli avvenimenti, non poteva fuggire. Era obbligato a osservare, assistere e intervenire ogni giorno, dal momento in cui apriva gli occhi fino a quello in cui li richiudeva. La guerra logorante e infinita contro l'Organizzazione, Denzel, Ansem che si stagliava come un'ombra minacciosa su tutti loro... sì, poteva decisamente fare uno strappo alla regola e cercare di collaborare con quei due per qualche tempo. Era comunque cosciente che Vanitas stesse solo guardando le cose dal proprio punto di vista e lo meravigliava che non provasse il minimo rimorso per tutti coloro morti di sua mano. O forse preferiva non dire nulla? Non poteva saperlo.
    Dal canto suo, Vanitas era combattuto. Mentre il sole insanguinava le zanne di Nowart, pensava con una certa tristezza a cosa giaceva dentro di sé. Un frammento dell'anima di Roxas, che non aveva la minima idea di come restituirgli: il pensiero di morire per mano sua non gli piaceva affatto. Standogli vicino, sentiva una sorta di stretta al petto, come se quella scheggia lottasse per uscire dal suo corpo e tornare al padrone. Avrebbe voluto farlo, ma non sapeva come e quando ci sarebbe riuscito. Eppure, la loro vittoria dipendeva anche da quel frammento. Dipendeva da lui. Era strano, tutto d'un tratto, sentirsi tanto importante per qualcosa.

    I loro pensieri furono distratti dal forte rumore di una campana, che si trovava su una delle torri frontali del castello. Il suo suono riempì presto l'intera zona su cui era arroccata la fortezza, mentre da est era visibile un'alta colonna di fumo nero che si stagliava sul cielo del tramonto come un fosco presagio.
    Roxas, seguito a ruota da Vanitas, si precipitò immediatamente nel castello per cercare chi di dovere. Non si parlarono neppure. Roxas teneva salda nella mano l'impugnatura di Narsil, ancora foderata. Vanitas invece aveva entrambe le mani libere, ma frementi e pronte ad afferrare il suo Keyblade, Anima Spezzata. La calma apparente che aveva imperato fino a quel momento si stava dissolvendo come la carta avvolta nel fuoco della tensione: diversi maghi, streghe e Ninfe si sporgevano dalle finestre, si scambiavano informazioni, dialogavano concitatamente e lanciavano sguardi preoccupati alla colonna di denso fumo nero a est.
    Scendendo le scale, i due incrociarono Cloud. Era l'unico in quel bailamme ad essere assolutamente calmo e posato, con l'aria di chi stava andando a fare una passeggiata nel bosco.
    - E' caduta una fortezza ad est - spiegò piazzandosi in mezzo alla scalinata, costringendo gli abitanti di Weisshaupt a passare di lato per andare avanti. - L'Organizzazione è qui -
    - Qui? - ripeté Roxas. - Perché proprio qui? -
    - L'Enclave aiuta i Custodi da sempre - disse Vanitas.
    - Esatto. Immagino vogliano impedire all'Enclave di supportarci nell'attacco contro Mordor - completò Cloud gettando un'occhiata fuori dalla finestra. Da dove si trovavano loro, il fumo non si vedeva.
    - Pensavo venissero qui per... - iniziò il giovane Highwind, subito interrotto.
    - Te? - disse Cloud divertito.
    - Sono un Custode - borbottò Roxas. - L'Organizzazione vuole i Keyblade -
    - Mi chiedo quali Keyblade voglia l'Organizzazione da uno che non ne ha - disse il Custode del Caos retorico con un'alzata di spalle e l'espressione falsamente stupida. - Al massimo potrebbero essere qui per me e Vanitas. Ma dubito che riunirebbero delle forze così ingenti solo per noi due -
    - E soprattutto, non potrebbero avere la minima idea che ci siamo noi tre qui - aggiunse l'Unversed contrariato. - Altrimenti ci avrebbero ucciso prima. No, questo attacco è chiaramente rivolto all'Enclave. Siamo nel posto sbagliato al momento sbagliato -
    - Oppure nel posto giusto - lo contraddisse Roxas meditabondo, stringendo più forte l'elsa di Narsil. - Possiamo usare la nostra presenza come elemento sorpresa -
    - Tu non hai la minima idea di cosa stai parlando - negò Cloud facendo cenno di scendere le scale. - L'assalto è comandato da Zexion. Ha mobilitato, in base a quello che dicono le spie, tutti i suoi Mangiamorte -
    - E quanti sono? - domandò Roxas.
    - Se non ricordo male, i Nessuno di Zexion sono appena mezzo migliaio - disse l'ex-Numero III. - Ma nel loro caso, il numero non conta. Sono inferiori solo agli Stregoni di Xemnas, in grado di tenere testa a dieci uomini da soli. Sono uccidibili, ma non sarà facile -
    - Non dirmi che uno come te si preoccupa di quattro Nessuno un po' più forti del normale - lo provocò Vanitas. - Stai forse suggerendo di andarcene e lasciare l'Enclave al suo destino, Cloud? -
    - Non sarebbe una cattiva idea - sbuffò Cloud con indifferenza.
    - E meno male che ti hanno tenuto qui mentre agonizzavi - lo rimproverò Vanitas spintonandolo. - Se non fosse stato per loro, saremmo morti entrambi. Non hai un minimo di gratitudine? -
    - E' una battaglia persa! - esclamò Cloud a voce un po' più alta, voltandosi su di loro. Alcuni presenti spostarono lo sguardo sulla scena. - Quel forte era retto da duecento uomini ed è caduto in un paio d'ore. Stanotte Zexion sarà qui e di questo castello resteranno a stento le fondamenta! -
    - Siamo Custodi, Cloud - disse Roxas, per nulla impressionato dalle sue tetre previsioni. - E' nostro dovere aiutare queste persone, come loro hanno aiutato noi per decenni -
    - E hai già in mente qualche idea, genio della strategia? - ribatté Cloud scocciato dalla loro insistenza. - Farti beccare dal primo incantesimo e farti spezzare anche quella spada? -
    - Non conosco questo posto, non ho abbastanza tempo ed esperienza per preparare la difesa - ammise il Custode con un sospiro, ignorando le sue provocazioni. - Però sono sicuro di fare la cosa giusta, restando qui. E dovresti restare anche tu -
    - Non... avrei comunque dove andare - disse l'altro Custode con una sfuggente occhiata a Vanitas, riprendendo a scendere velocemente le scale. I due lo seguirono, andando verso il piano terra, dove a quanto pareva si stavano riunendo molti degli abitanti della fortezza. Il cielo andava rapidamente oscurandosi per accogliere la notte, che quella volta sarebbe stata molto più buia di altre.

    Un gran numero di persone erano riunite nella sala d'ingresso e nella zona del cortile antistante al portone del castello: in piedi sui sette gradini che portavano all'interno stava Theresa, affiancata da Road, come sempre nella sua sbarazzina tenuta, Morrigan e Flemeth. Flemeth era totalmente diversa da come appariva a Minas Tirith: i suoi capelli erano di un bianco niveo e portati lisci e lunghi dietro la schiena, fatta eccezione per quattro grosse ciocche raccolte in una pettinatura cornuta, due per lato. Portava un diadema d'acciaio con una punta aguzza e indossava una veste rossa aderente, fatta con la pelle di chissà quale rettile ancestrale: dalle mani agli avambracci e dai piedi alle ginocchia era protetta con un'armatura metallica, più una piccola placca a proteggerle il petto contornata di penne di corvo. Appariva molto più potente e minacciosa così abbigliata che come si era mostrata nella Città Bianca. Inoltre da una cintura partiva un lungo velo di tessuto misterioso, coperto di piume nere e rada pelliccia scura. Theresa era come sempre l'avevano vista: misteriosa, quasi eterea, con le mani ossute giunte e gli occhi ciechi che baluginavano sotto il cappuccio della veste rossa e bianca. Roxas ripensò alle parole che si erano scambiate lei e Warlic a Midgar e si chiese se fosse davvero possibile che tra i due ci fosse un rapporto amoroso. Per come vedeva Theresa sembrava impossible anche solo pensare una cosa del genere. Non che quello fosse il momento di certi pensieri.
    Notò solo in quel momento che davanti alle quattro stava un'altra strega avvolta in fluenti abiti blu, che coprivano elegantemente il suo corpo snello: aveva un arco alla mano e sembrava ferita.
    - Credevamo di riuscire a deviare la loro avanzata - disse la strega ansante, col sangue che le rigava il braccio destro. - Ma Zexion ci ha colti di sorpresa. Abbiamo ucciso circa un migliaio di Spadaccini, ma i suoi Mangiamorte avevano attaccato il forte con lui in testa -
    - Avete idea del loro esatto numero? - domandò Theresa con la sua solita voce velata, apparentemente imperturbabile.
    - Credo intorno ai diecimila, forse più - rispose la strega. - Io e le mie Sorelle siamo subito tornate al forte quando abbiamo capito il tranello, ma siamo riuscite solo a uccidere qualche decina di Mangiamorte prima di essere sopraffatte... - sospirò esausta. Un mago con una casacca azzurra e oro, le spalle coperte da una mantella di piume d'aquila montana, si avvicinò prendendola delicatamente per un braccio.
    - Portala dai guaritori, Anders - ordinò Flemeth autoritaria, la voce ferma e tagliente.
    Anders prese la strega con sé e scomparve con lei oltre i corridoi, lasciando il resto dell'Enclave con le proprie preoccupazioni. Theresa sembrava assorta: Roxas non sapeva se avesse già in mente un piano per difendere l'Enclave, ma non riusciva a imporre la propria strategia. Non sapeva nulla di Weisshaupt, mentre Minas Tirith la sognava da quando ne era diventato in grado.
    Attorno a Theresa si era formato un mistico alone di riverenza che aumentava di intensità di minuto in minuto. Tutti la fissavano, la guardavano, persino l'aria pareva aver smesso di soffiare. Tutto era immobile, immerso nel silenzio più totale, nella febbrile attesa che delle parole uscissero da colei che attualmente era Signora dell'Enclave in vece di Andraste. Le sue mani erano giunte, il suo sguardo sereno, il respiro era calmo. Theresa non era una guerriera, non avrebbe fatto discorsi da guerriera. Lei era la protettrice dell'Enclave. Il suo compito era difendere i suoi abitanti, la sua gente, coloro che avevano servito Andraste per decadi. E come tale si sarebbe comportata.
    - Sorelle e Fratelli dell'Enclave - disse la Profetessa ritta e altera, sovrastando i presenti: non era molto alta, ma quell'esordio la fece sembrare incredibilmente maestosa e potente. - Amici di vecchia data, compagni d'avventura - proseguì con voce grave. - Dopo innumerevoli anni passati in disparte ad eseguire il nostro sacro dovere, siamo forzati a portarci in prima linea. Mentre la nostra Signora è lontana, il nemico ci lancia un attacco a sorpresa - fece un tiepido sorriso, spostando il suo sguardo assente sulla folla che si era raccolta attorno a lei. Roxas percepì un grande raccoglimento, come se tutti ponessero le loro speranze su quella donna dall'età indefinibile, come una piccola comunità, che si riuniva per fare fronte unito contro le avversità. - Non vi darò false speranze, amici miei. Siamo pochi, non siamo abituati alla guerra - Theresa parlava con sincerità, ma le sue parole riuscivano comunque a infondergli coraggio. Non sapeva quale magia ci fosse in gioco, o se fosse l'atmosfera del momento a dargli quelle sensazioni, ma lo sentiva distintamente. - Ma resisteremo. Resisteremo finché potremo, per difendere la nostra casa e la dimora della divina Andraste. Non siate eroi: alle vostre sorelle e ai vostri fratelli gioverà ben poco sapere che siete morti in battaglia. Combattete valorosamente, ma siate compatti e non lasciate che il nemico getti scompiglio e discordia tra di noi! I nostri avversari sono infidi e insidiosi, e solo tenendo saldi i legami tra i nostri Cuori potremo resistere. Abbiate fede nelle vostre capacità, non abbassate la guardia! Stanotte sarà la prima vera battaglia per noi dell'Enclave... - il suo sorriso si estese agli occhi ciechi, rivolto a tutti, un invisibile abbraccio che avvolgeva ogni uomo, donna, vecchio e giovane di Weisshaupt. - Combattete per vivere, e non per morire. Lei vi osserva - concluse con dolcezza materna. Non era un discorso da grande generale: non aveva il furore di Rasler, o l'arguzia dei Solidor: non era carico dei dogmi Ecclesiani o della brutalità di Hironeiden. Non era un vero discorso, ma una raccomandazione, come quella di un genitore ai propri figli: poiché questo erano per lei. Molti di quei maghi e streghe, cavalieri e semplici faccendieri, li aveva visti nascere e crescere tra quelle mura. Come Anders, figlio di un mago e di una Ninfa. O la piccola Morrigan, così giovane e così carica di risentimento verso una madre di cui aveva capito, purtroppo, solo la tenebrosa e orrida facciata.
    Ma nonostante il suo non fosse un discorso di guerra, gli abitanti di Weisshaupt sollevarono i pugni e gridarono carichi di speranza: i Cavalieri del Tempio, il braccio armato dell'Enclave, batterono le mazze e le spade sugli scudi, le armature che scintillavano alla luce dei fuochi. I maghi e le streghe si circondavano degli Elementi con ardore: le Ninfe intonavano inni al Kingdom Hearts e alla Divina Andraste.

    - Combatterai con me, fratellino? - Tidus prese Roxas da parte, cingendogli il collo col braccio muscoloso, un sorrisone battagliero in volto. - Voglio vedere come te la cavi con quello stuzzicadenti Nabradiano -
    - Quella spada è più nobile di tutta quella fogna di città dove abitate - intervenne Lightning con uno sbuffo infastidito. La Shinigami odiava le guerre, la violenza e il sangue: attività tipiche degli umani, inutile lavoro in più per gli Dèi della Morte. Ryuk invece ne era contentissimo: aveva passato tutta la giornata ad affilare le sue spade, una per una, la vomitevole espressione da uomo pronto al combattimento che gli solcava il viso. Dov'era finita la sua nobiltà da Shinigami? Ah già, lui non l'aveva mai avuta, ricordò bene.
    - Dai, sciogliti un po', Lightning! - la invitò Noctis con un sorrisetto.
    - Non chiamarmi Lightning, Ryuk - soffiò lei inferocita. Noctis sospirò contrariato.
    - Non è un gioco, Tidus - rispose Roxas divincolandosi. - Rischiamo di morire -
    - Se non supero questa, come posso dirmi in grado di aiutare Denzel? - ribatté Tidus dandogli un pugnetto sulla spalla. - Poche storie, stanotte i fratelli Highwind lotteranno fianco a fianco! -
    - L'importante è non doverti riportare dalla nonna a pezzi - intervenne Cloud guardandolo dall'alto in basso.
    - Nonna? - ripeterono Tidus e Roxas assieme. Cloud realizzò quello che aveva appena detto e sul suo viso apparve un'espressione indecifrabile.
    - Sì, da tua madre! E' una vecchia decrepita, scommetto! - esclamò frettolosamente sfuggendo alle maledizioni di Tidus con una rapida mimetizzazione tra i maghi concitati.

    - Io e le mie Sorelle faremo la nostra parte - disse Kururu, con lo sguardo fisso su una delle torri difensive murarie, gli occhi color arancio quasi assenti. - Non siamo combattenti, ma sappiamo come aiutare l'Enclave -
    Vanitas era accanto a lei, seduto su una panca. Kururu aveva insistito perché parlassero, almeno un po', prima dei preparativi per la battaglia. Non gli dispiaceva: quell'oggi non si erano neppure incrociati.
    - Cosa farete esattamente? - domandò curioso.
    - Vedrai - sorrise lei guardandolo allegra. Nella mente di Vanitas apparvero molte scene, tra cui quella di Kururu che lanciava enormi sfere di fuoco. Ma dubitava che ciò fosse possibile.
    - Sei spaventata? - chiese incerto. Anche lui lo era, ma non voleva darlo a vedere: era abituato alle battaglie, ma era la prima volta che partiva da una condizione di svantaggio.
    - Molto - ammise lei senza problemi. - Ma confido nelle nostre capacità. Forse non supereremo la notte... ma potremo dire di aver dato il meglio di noi -
    C'era qualcosa nella rassegnazione di quelle parole che incitava Vanitas a lottare con valore: mai come in quel momento aveva sentito la necessità di combattere e vincere, di difendere quelle persone. Avevano fatto così tanto per lui che non poteva in alcun modo sottrarsi a quel desiderio.
    Lei gli sorrise ancora, prendendogli una mano tra le proprie.
    - Prima o poi, dovrai restituirlo - disse dolcemente. - Vedrai che non sarà come credi -
    Quindi si alzò, lasciando l'Unversed col suo senso di inquietudine e lo spirito spronato al coraggio. Vanitas scattò in piedi guardando la Ninfa incamminarsi verso la torre.
    - Buona fortuna, Kururu! - le disse quasi in un grido.
    - Anche a te! - rispose lei gioiosa, per poi svanire oltre la porta della torre.

    Theresa era ancora all'ingresso a parlare con alcuni maghi e streghe di alto rango. Anders era stato incaricato di difendere la terrazza superiore con alcuni abili incantatori: la Forgia Celeste, dove Cysero lavorava ormai ininterrottamente dall'alba, andava protetta ad ogni costo. Morrigan insistette per combattere sul campo e Theresa glielo concesse, lasciando a lei e le streghe la libertà di supportare i Cavalieri del Tempio come meglio credevano. I due comandanti dei Cavalieri del Tempio, Greagoir e Meredith, avrebbero protetto le mura e il cancello principale. Nonostante l'apparente corporatura esile, Meredith portava con sé una lunga spada a due mani, talmente affilata da poter squarciare l'acciaio come si falciava il grano maturo. Greagoir aveva la dotazione tradizionale dei Cavalieri, mazza flangiata e scudo. Portavano la loro tunica rossa e oro sotto la corazza con disinvoltura e non dava loro nessun fastidio nel movimento.
    - Flemeth, tu... - disse infine Theresa rivolta all'amica.
    - Io mi occuperò della Cupola - annuì dirigendosi con passi eleganti dentro la fortezza, il velo piumato che le svolazzava ad ogni mossa.
    - E io che faccio? - domandò Road piccata, vedendo che a lei non era stato lasciato nessun compito.
    - Quello che ritieni giusto. Hai una certa età, ormai - sorrise la Profetessa affabile.
    - Vorrei far esplodere quel maledetto Zexion - sospirò Road. - Mi sono sempre piaciuti i fuochi d'artificio... ma immagino che mi accontenterò di sterminare i suoi stupidi Mangiamorte. Lero! - chiamò. In un attimo il suo ombrello si preparò per trasportarla, come una tipica scopa da strega.
    - Resta - le chiese cortesemente Theresa. - Ti insegno un nuovo incantesimo - aggiunse, causando in Road un'esplosione di contentezza. La Profetessa sollevò le mani con un gesto lento e maestoso.
    Nell'aria calò di nuovo il silenzio.


    Ymateb i fy orchymyn!
    Revenant!



    CLANG.
    CLANG.
    Forti rumori segno dell'urto di metallo e pietra invasero l'anticamera: Roxas corse vicino a Theresa per vedere cosa stesse accadendo. Gli urti continuavano, poi una mano metallica spuntò dal pavimento dell'anticamera. E lì vicino, altre due.
    E li vide.
    La loro armatura era apparentemente bronzea, eppure sembrava più dura del miglior acciaio Nabradiano: indossavano una tunica verde scuro-nera sotto il pettorale che nascondeva le loro gambe, facendo vedere solo gli stivali metallici. La loro corazza era più stretta di quella dei Cavalieri del Tempio e ciò lasciava trasparire la loro impressionante magrezza. Il loro elmo era integrale, con delle ali di pipistrello ai lati. Al braccio sinistro portavano uno scudo, al destro una lunga spada di quello stesso metallo o un'ascia: lo scudo, rotondo e convesso, portava il simbolo del Sole di Andraste, ma deformato con un inquietante sorriso demoniaco. E dietro l'elmo, dei baluginanti occhi rossi luccicavano nell'ombra della celata.
    Erano i Revenant, spiriti di coloro che servirono l'Enclave in passato: ciò che rimaneva dei Cavalieri del Tempio morti in battaglia. Bellissimo e terribile fu il loro schieramento: nonostante la loro sinistra apparenza, diedero un'ulteriore speranza ai difensori di Weisshaupt. Piovevano quasi dal nulla assoluto, atterrando di peso sul pavimento coi loro scudi branditi e le spade pronte: e quando furono tutti pronti, i settecento soldati tornati dall'aldilà iniziarono una silenziosa marcia verso l'esterno, con il capo chinato per riverenza nei confronti di Theresa.
    La Profetessa si voltò verso il portone d'ingresso delle mura, ancora una volta autoritaria e altera.
    - Voi che avete giurato di difendere Weisshaupt! - li chiamò, e loro l'ascoltavano nella cadenzata marcia che eseguivano, sotto gli occhi increduli di Roxas, Tidus, Cloud e i due Shinigami. Anche Vanitas, ancora vicino al portone, rimase sconcertato nel vedere quella terribile forza avvicinarsi. - Vi richiamo dal vostro eterno riposo per assistere le vostre sorelle e i vostri fratelli contro il nemico che ci minaccia! Affiancate i vostri antichi compagni, proteggeteli! In nome di Yuuko e del Kingdom Hearts, del Creatore e della sua sposa Andraste, onorate il vostro giuramento! -
    Un unico, surreale clangore di metallo contro metallo le rispose: i defunti guerrieri avevano battuto le loro armi contro gli scudi per mostrare di aver accolto la sua richiesta. Un sorriso grave si dipinse sul volto di Theresa. Non vedeva la fine di quella battaglia, non le era concesso.
    - Che il Creatore vegli su di noi - mormorò mestamente, lasciando che la sua preoccupazione affiorasse solo per qualche istante sul suo imperturbabile viso.

    Un nuovo portento scosse gli occhi dei giovani Custodi: sui torrioni, circondate da alcuni Cavalieri del Tempio, le Ninfe della Promessa si erano ordinatamente disposte, una per ciascuna delle tredici torri difensive. Un suono simile a uno scampanio sommesso raggiunse le loro orecchie e per un attimo il castello parve brillare, per poi tornare com'era. Prima Kururu, poi Simca, Sakura, Vanille e le altre Ninfe della Promessa furono circondate da una intensa luce azzurra, come in risposta al bagliore di prima: si misero in ginocchio, in preghiera, mormorando formule arcane che da quella distanza i Custodi non potevano sentire.
    Meravigliati, videro i loro corpi immobilizzarsi quando quella luce azzurra assunse l'aspetto di una fiamma: ma non era una semplice fiamma, poiché quando assunse quella foggia si solidificò come ghiaccio. Le Ninfe furono tutte racchiuse da quel cristallo e uno sfavillante velo partì da loro, affondando nella terra sotto la fortezza e andando alto verso il cielo. Solo allora videro una sfera brillante che galleggiava sopra Weisshaupt. La sua presenza parve attirare il velo creato dalle Ninfe, piegandolo, riunendolo sulla propria presenza, fino a formare una cupola lucente su cui si irradiarono decine di nervature lampeggianti.
    I maghi e le streghe tesero le mani, i bastoni e le bacchette, mormorando parole di difesa e lanciandole verso la neonata barriera per rafforzarla; ed essa infine divenne trasparente, invisibile, scomparendo alla vista ma incredibilmente presente.
    - A te la mossa, Ienzo... - sussurrò Theresa osservando il cielo. Mille sguardi di speranza si levarono in alto, verso quella difesa. Sapevano che non avrebbe retto per sempre, che prima o poi il combattimento sarebbe arrivato entro le loro mura. Lo sapevano e l'avrebbero affrontato.
    L'Enclave delle Streghe era pronto alla sua prima battaglia.

     
    Top
    .
  14.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Twilight Player

    Group
    Member
    Posts
    65,055

    Status
    Anonymous
    WOOOOOOOOOOOOO!
    Ienzo con la faccia da Lorenzo :°
    Gran bel capitolo, seriamente. Profondo soprattutto.

    Ma andiamo per ordine.
    ROFLOL. Kairi smadonna come non mai, Riku sta diventando un abominio (plagio, da me divenne una specie di robottone x°°) e lei inveisce contro Naminè e..
    contro quel fenoch di Sora x°° sono rotolato in quel pezzo
    Beh alla fine... sex. Strano no?

    Wtf? Non è Terrone? Ma Darim? L'altro figlio di Altair? Strafigo. Hai giostrato bene questo punto e sinceramente non me lo sarei mai aspettato! Mi sarebbe piaciuto vedere Terra dannato che vuole redimersi per raggiungere Aqua nel Kingdom Hearts, ma così è ancora più intrigante, e chissà, magari anche Altair troverà la pace con Darim a fare da viaggiatore!

    Roxas e Vanitas che parlottano insieme è una visione fantastica, seriamente. Due vecchi nemici che alla fine combattono insieme, anche se Vanitas non mi convince del tutto.
    I REVENANT :q_

    Theresa non avrà tutte le qualità per fare da gran figa da battaglia, ma il suo pezzo mi è piaciuto. Poi quando invoca i cavalieri defunti..

    Gran capitolo, lo ripeto, Nyx. L'attesa è stata ripagata assai assai!
     
    Top
    .
  15. Taiki Koizumi
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Tsk, l'infimo momento di importanza a Ienzo Vincenzo e_e Toh, i Mangiamorte, come suoi accoliti -w- Sono un ente umano a parte? Tipo Saruman che raduna gli uomini del deserto?
    ' Gli uomini coi cavalli vi hanno rubato i cavalli! '
    LOL
    No Zexion fa:
    Gli uomini con la magia vi hanno rubato la magia!'
    E fu così che i Mangiamorte seguirono Zexion XD

    Rikkku sta morendo ç_ç
    Mi immaginavo più un effetto rivelatorio come Zidler a Satine nel Moulin Rouge.
    Altair: Stai morendo Riku... Stai morendo...
    Riku: Un altro dei tuoi trucchi, Altair..?
    Altair: No, colombella, ce l'ha detto il dottore.

    E mi sarei fatto le grasse ed esorbitanti risate a sentir Riku chiamato 'colombella'!

    Basta citazioni, questa era l'ultima! Sono i commenti del Nemesis che mi mettono ispirazione a batterlo in stupidità v.v Senza offesa caro v.v

    Scherzi a parte! sei stato bravo, mi è piaciuto molto molto il capitolo, soprattutto la comparsa di Darim! Mi è piaciuto particolarmente la sua spiegazione sul perché assomigliava a Terra, di come fino a quel momento esisteva sotto forma di cuore e via dicendo :3

    Sai già che ne penso piuttosto del dibattito da 'Forum' tra Vanitas e Roxas, ma vabè, alla fine era anche necessaria quella spiegazione, ma poteva essere elaborata in maniera un po' più sintetica magari xD

    Ymateb i fy orchymyn! -> Road has learned Sun Fury!
    * e passò alla modalità di patito di Aveyond *

    Davvero che ha imparato?*_* A rendere le sue candeline da attacco profumate?

    Bella Madre Theresa di Weisshaupt e il suo discorso! *le suona il premio Nobel in testa*


    Ghghghhg Clodette sta tutta cagata in mano per Zexion e ha paura che lo riacciuffa e lo tortura facendogli rivivere a manetta con le illusioni tutto High School Musical A______A O magari Mockingbird!
    Finisco qui, sto sclerando e_e

    Dai, aspetto il prossimo cap, vedi di muoverti e_e

     
    Top
    .
280 replies since 1/9/2010, 11:01   6201 views
  Share  
.
Top