Trascinati tra luce e ombra

La mia prima fic qui *-*

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  1. Nyxenhaal89
     
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    Nessun problema XD
    L'ottavo capitolo è quasi pronto, ma temo che verrà più lungo di 5 pagine stavolta.... ho troppo da mettere ç__ç
     
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  2. Nyxenhaal89
     
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    Ed eccoci al capitolo 8. Cielo, sono passati più di quattro mesi da quando ho cominciato, e la fine pare lontanissima..... *trema davanti ai lettori annoiati e inferociti dalla notizia* ehm, comunque cercherò di sbrigarmi... ma dato che voglio mettere tante cose, mi ci vorrà più tempo, perdonatemi ç__ç
    Ad ogni modo, noterete che questo capitolo sembra una lunghissima introspezione; tranquilli, non è che stessi esaurendo le idee... volevo solo analizzare un po' più a fondo la struttura di almeno un personaggio! ^^
    Spero mi sia riuscito bene ^O^
    Buona lettura!

    8: L’Esorcista

    Kalm, adesso, teneva fede al proprio nome.
    La città era piombata in un silenzio greve come un sepolcro, un contenitore vuoto di case ormai distrutte. Tutt’intorno alla piazza dove ebbe luogo lo scontro, non c’era nient’altro che…
    Niente.
    Un niente inquietante, considerando cosa c’era l’attimo prima: una ridente città di sapore medievale, sebbene già svuotata dei suoi abitanti.
    Ora, quel suolo vuoto e polveroso veniva calpestato da un uomo.
    L’Aquila, Altair l’Assassino.
    L’islamico camminava a passo lento, fissando il totale nulla che stava dentro quelle mura.
    Che tristezza.
    Qualche alberello era rimasto, assieme a poche mura e qualche solitario mobile volato via in seguito ad una qualche esplosione.
    Temendo il peggio, Altair si precipitò immediatamente verso Kalm come vide il fumo, ma non arrivò in tempo. Maledetto lui, e l’unica volta dopo tanti giorni che decideva di concedersi una dormita! Doveva restare sempre vigile, invece di chiudersi nella sua caverna.
    - Maestro? – disse una voce familiare. Altair avanzò verso di essa. Riconosceva l’allievo prediletto, con cui aveva condiviso pochi ma gioiosi momenti. Un Assassino estremamente promettente…
    - Ezio, amico mio – disse chinandosi sul corpo dell’allievo.
    - Vi ho deluso – asserì Ezio, riverso a terra, privo di ogni forza. – Ho lasciato andare le chiavi. Mi hanno sconfitto. Non ho protetto i miei obiettivi… -
    - Non hai motivo di angustiarti – rispose Altair in tono rassicurante. – Il tuo sbaglio non è stato fatale. Fortunatamente, degli alleati li hanno tratti in salvo –
    Ezio sorrise. Il suo bellissimo volto, sebbene segnato dalla sofferenza, si rasserenò.
    - Posso andare, allora? – chiese al suo Maestro.
    - Com’era deciso sin dall’inizio – annuì Altair.

    Ancora una volta, quel buio. Quel silenzio. Quel nero inquietante a circondarlo. Non aveva idea di cosa gli fosse successo. Non aveva idea di cosa avesse momentaneamente fermato il tempo. Non aveva idea di cosa lo avesse portato via. E non aveva idea del perché di quella specie di coma.
    Ricordava di essere stato sconfitto, e di averne prese più di tutta la sua vita. Quella donna orribile che aveva causato la morte di Roxas, aveva forse causato anche la sua?
    Allora, sperò di poter vedere Roxas da un momento all’altro. Galleggiare in quell’infinito accanto a lui….
    Non sarebbe stato male. Affatto. L’unico rimorso che aveva, era di non essersela portata all’altro mondo con sé. Si rese improvvisamente conto di essere stato troppo debole, troppo avventato. Sapeva di non avere speranze….
    Perché l’aveva fatto?
    - Chi ti ha dato il permesso di prendere i miei uomini, Vincent?! -
    Il suo sognare si bloccò. Una voce aspra, una voce maschile profonda e in quel momento incollerita, irruppe nelle sue orecchie.
    - Non capisco da quando lei si preoccupi dei suoi uomini… - disse una seconda voce, roca e cupa.
    Si sentì un grugnito iroso e preoccupato.
    - Normalmente non me ne importerebbe un accidente se crepano o vivono, ma date le circostanze, ogni Esorcista deve essere al proprio posto dentro la struttura! - rimbeccò la prima voce. Sora riuscì nuovamente a percepire gli odori. Un acre lezzo di tabacco gli penetrò nelle narici. - E non ti ho autorizzato a portare i miei Esorcisti a combattere quei bastardi, Vincent -
    - Volevo intervenire da solo, ma loro mi hanno seguito - rispose la voce di “Vincent” atona. - So che in questo momento di crisi gli Esorcisti devono pensare a difendere la loro casa. La MIA casa, signor Marian, è andata distrutta, quindi comprendo le sue ragioni -
    Ma dov’era?
    Di che parlottavano quelli là?
    Sora aprì debolmente gli occhi, ancora appannati e affaticati. Gli dolevano. Tutto il suo corpo, gli faceva male, i muscoli erano tutti indolenziti e intorpiditi, la testa era pesante come un mattone.
    Distinse un lungo mantello rosso davanti a sé. Era la sagoma di un uomo dai lunghi capelli castani leggermente scompigliati, tenuti su nella parte superiore da una fascia rossa; l’ampio mantello tarlato e strappato in più punti lasciava intravedere una tuta di pelle aderente nera. Davanti a quell’uomo, stava l’altro interlocutore, di cui distingueva solo un lembo di un cappotto nero e qualche ciocca di lunghissimi capelli rossi.
    - Ad ogni modo, Vincent, non farlo mai più. E se vogliono seguirti, non sbuffare semplicemente e digli di no. Non posso permettermi di perdere uomini adesso, con tutti quei cosi che ogni giorno aggrediscono il circondario – concluse l’uomo girando i tacchi. La porta di quella stanza si chiuse.
    Vincent sbuffò.
    Sora si guardò intorno cercando di capire dove fosse. La stanza aveva le pareti di un giallo leggero, e ai lati del suo letto c’erano delle tende. Un simbolo simile ad una croce con una rosa incastonata all’incrocio dei due pali sormontava l’arcata di quella che doveva essere una porta. Ora che gli tornò il tatto, si rese più o meno conto della sua posizione; era in un letto, a torso nudo, con delle bende attorno al petto, alla spalla, sulle braccia e sulla fronte. Sentiva i piedi gelidi e intorpiditi.
    Doveva essere un’infermeria.
    E gli altri?
    Xion, Kairi, Naminè…
    E Riku!
    Riku doveva essere in qualche altro letto. Era in condizioni gravissime, come anche Xion.
    Ezio…
    Ezio.
    Quell’uomo era un eroe. Li aveva salvati.
    - Buongiorno, Sora – disse la voce di Vincent.
    Sora si riprese dai suoi pensieri scuotendo la testa. Com’era possibile che quell’uomo conoscesse il suo nome?
    Forse la carta d’identità? Si era dimenticato di averla nella tasca della giacca. Sempre che fosse sopravvissuta a tutti gli avvenimenti dell’ultimo mese. La voce di quell’uomo gli era familiare, e no. Aveva un che di…. nostalgico.
    Cercò di alzarsi a fatica. L’uomo continuava a fissarlo con un’espressione apparentemente indifferente. Nei suoi occhi si leggeva, però, una certa apprensione.
    - Come ti senti? – chiese Vincent a braccia incrociate sul capezzale ai piedi del letto.
    - Mh – mugolò Sora sistemandosi a sedere. Rimase a bocca spalancata;
    Il viso sottile, dai tratti delicati e duri allo stesso tempo, il taglio di quegli occhi rossi e apparentemente immobili, i capelli….
    - ….Papà! – esclamò Sora incredulo.

    Vincent rimase lì a fissarlo per un po’, evidentemente altrettanto contento di aver trovato il figlio. Sora continuava a guardarlo temendo di essere in un sogno; suo padre era così diverso da come lo ricordava. Vincent Valentine era un membro d’elitè dei TURKS, le guardie del corpo, nonché agenti segreti per conto di essi, del consiglio d’amministrazione della ShinRa, compagnia elettrica con sede a Midgar, la grande megalopoli da decenni rivale di Twilight Town in grandezza. Sora aveva memoria del padre come un uomo sempre elegante, in giacca e cravatta, che badava al figlio del suo capo, il vicepresidente Rufus Shinra, residente nella filiale di Twilight Town. Nonostante fosse sempre stato un padre affettuoso, i suoi costanti impegni gli impedirono di passare il dovuto tempo con Sora e il figlio maggiore. C’erano però tante differenze…. suo padre non aveva mai avuto i capelli così lunghi: e nemmeno quegli inquietanti occhi rossi. E in qualche modo pareva più robusto, più forte del solito. osservandolo bene, vide che il braccio sinistro era protetto da una sorta di armatura dorata, ben aderente al braccio, che terminava con cinque lunghi artigli alla mano; intravedeva anche degli stivali fatti allo stesso modo. Il mantello veniva sorretto da una piccola cappa che copriva le spalle e i pettorali, tenuta chiusa da quattro cinghie; la cappa gli copriva anche il collo e il mento. Sembrava irriconoscibile, eppure era suo padre..
    E non lo era.
    - Ti starai chiedendo che cosa mi sia successo – indovinò Vincent guardandolo negli occhi. Sora annuì leggermente, imbarazzato. Guardare suo padre come un estraneo, non era proprio una bella cosa.
    - Ebbene – esordì l’uomo con un sospiro – non lo so neanch’io – ammise. – Quando quegli esseri arrivarono in città, mi trovai improvvisamente in grado di affrontarli. Credo di averne ferito gravemente uno – disse vago. – E così guidai la resistenza dell’esercito, mentre tua madre evacuava tutti quelli che poteva – Sora fu percorso da un sussulto improvviso.
    - La mamma? Dov’è? – chiese, anzi, aggredì quasi il padre con quella domanda, cercando di farsi più avanti, trattenuto da una fitta lancinante alle costole. – Sta bene? E Squall? Stanno tutti bene, vero? –
    Vincent annuì leggermente.
    - Diciamo che se la sono cavata. Squall insisteva per combattere al mio fianco, e tua madre…. be’, sai quant’è cocciuta, e non voleva andarsene prima di aver salvato tutti – rispose l’uomo.
    - E ora dove sono? – Cielo, quanto aveva pregato per loro durante l’addestramento…. Pensava a troppe persone, così tante che non si rese nemmeno conto di essersi, ad un certo punto, dimenticato della propria famiglia. E pensò alla famiglia di Roxas, che stava a Midgar. Chissà, chissà quanto piangevano.
    - A Midgar – rispose Vincent vacuo. – La città è una fortezza impenetrabile. La ShinRa ha a disposizione un esercito estremamente robusto. Non correranno pericoli per un po’ –
    - Vorrei poter parlare con loro… - disse flebilmente Sora con una smorfia triste.
    Vincent si avvicinò e gli scompigliò i capelli con la mano destra. Fece una specie di sorriso rassicurante.
    - Vedremo di organizzare qualcosa. Per certo, rivedrai presto tuo fratello. Quel testardo si sta dirigendo qui, nonostante i miei avvertimenti – assicurò. – Per ora, ad ogni modo, immagino vorrai sapere dei tuoi amici –
    Sora sussultò di nuovo. Quante cose stava dimenticando?
    - E’ che… tutte queste cose…. così di colpo… mi fanno esplodere la testa… - biascicò il ragazzo . – Sono successe troppe cose… -
    - Calmati – esortò Vincent. – Non so se saranno contenti di vederti sempre piangere. Non credevo fossi così piagnucolone –
    - Ehi! – protestò Sora. – Mi rifai le prediche dopo dieci minuti? – abbassò lo sguardo. – Sto venendo messo alla prova… -
    Vincent sorrise leggermente.
    Dopo qualche minuto, una vecchia e bisbetica infermiera ordinò a Vincent di sparire e lasciare in pace il paziente. A vederla, sembrava una di quelle orrende infermiere che accudivano i bambini in pediatria, ordinando loro di mangiare, stare a letto… Urlando. Sora si sentì immediatamente obbligato a non muoversi e lasciarsi sostituire le bende senza un fiato.
    - Chiunque ti abbia fatto la pelle, non ha certo avuto scrupoli – grugnì la vecchia stringendo così forte da fargli mancare il respiro. – Ti ha fracassato tre costole, hai una spalla lussata, hai schivato per un pelo un trauma cranico grave, e hai rischiato di diventare sterile –
    All’ultima affermazione, Sora strabuzzò gli occhi. In effetti, aveva ricevuto un notevole colpo di tacco ai testicoli. Di nascosto, si controllò i genitali per assicurarsi che fossero al loro posto.
    - Non c’è stato bisogno di operarti, te la sei cavata con qualche iniezione qua e là –
    - Qua….. e là? – ripetè Sora poco convinto.
    - Se ti hanno fracassato quelle, credi che ti faccia la puntura in gola? – disse retorica la vecchietta, finendo di bendarlo e costringendolo a letto paonazzo come un peperone. – E non fare tante scene, non è niente di eccezionale – aggiunse priva di ogni tatto, andandosene sbattendo la porta.
    Sora si coprì colmo di vergogna. Ci mancava una vecchia che gli faceva le iniezioni ai genitali, per farlo sentire ancora più umiliato di quanto già non si sentisse.
    Rassegnato, decise di provare a dormire, prima che quella vecchia tremenda tornasse a riprenderlo un’altra volta.
    Fu lieto di non sognare. Aveva troppe domande, troppi pensieri, troppi dubbi…. non ci capiva nulla. E voleva sapere che fine avessero fatto Riku e le ragazze. Voleva sapere molte cose, e non aveva il tempo….

    - Ma sta dormendo! - disse qualcuno. Sora si svegliò. Era una voce maschile, ma molto sottile, come la sua. La voce di un ragazzo dal corpo non proprio adulto.
    - Sì, ma voglio giusto dargli un’occhiata! Se non fosse stato per noi, questo sarebbe un cadavere come quel tizio col cappuccio bianco… -
    - Ezio! Avete visto Ezio?! – scattò Sora alzandosi a sedere. Si pentì di averlo fatto e tornò sdraiato.
    Le due figure sobbalzarono, evidentemente sorprese dalla sua reazione così repentina. Sora stesso ne fu sorpreso. Sembrava che i suoi sensi, in quel mese di tempo, si fossero notevolmente acuiti. Ebbe un improvviso moto d’orgoglio.
    Un bagliore di capelli bianchi gli fece venire in mente Riku, ma poi si rese conto che il bianco in questione era molto più basso, esile e piccolo di Riku. Non poteva avere più di diciassette… forse diciott’anni. Aveva un occhio rosso, attraversato da un cicatrice zigzagante che terminava sopra il sopracciglio con un pentacolo rovesciato(non circoscritto). L’altro occhio era grigio, poco più dei capelli candidi. Vicino a lui stava un ragazzo alto e snello, all’apparenza molto forte; aveva scompigliati capelli arancio sufficientemente lunghi per darvi la forma di una fiammella arancione, grazie alla fascia nera che li teneva su. Il ragazzo aveva una benda sull’occhio destro, l’altro era verde.
    La prima cosa che Sora pensò, era che lì, con gli occhi, fortuna non ne avevano proprio.
    - Avete visto un uomo dal cappuccio bianco? – ripetè.
    - Sì – disse il ragazzo più basso. – Era gravemente ferito ma non ci ha voluto seguire. Ha scambiato un’occhiata col signor Valentine, e poi è scomparso tra le macerie –
    - Grand’uomo, tuo padre – disse l’altro. – Ha tenuto testa da solo a sei di loro! Ti rendi conto? Una belva, ecco cos’era. Gli ha macinato il culo, se solo Allen non si fosse fatto pestare… -
    - EHI! – s’imbestialì il ragazzo dai capelli bianchi, che doveva essere Allen. – Mi è capitato quello con quella spada gigantesca… mi avrebbe ammazzato di sicuro, era troppo forte! Devo ricordarti che ha messo in ginocchio persino Kanda, che è il nostro migliore spadaccino? –
    Il ragazzo bendato si rabbuiò. Dopo aver riflettuto un paio di minuti, fissò di scatto Sora con l’espressione colpevole.
    - Giusto, le presentazioni. Io sono Lavi – disse tendendo la mano.
    - Sora – annuì questi stringendola.
    - Io sono Allen, Allen Walker – si presentò l’altro con un largo sorriso.
    Sora strinse anche la sua mano destra inguantata.
    - Visto che non mi fanno uscire, come stanno i miei amici? – chiese Sora fissandoli speranzoso.
    Allen sorrise. – Stanno bene – assicurò. – E non vedono l’ora di vederti; però, l’infermiera ti dimetterà tra un paio di giorni. Non appena il signor Valentine avrà finito di darle istruzioni sulle cure –
    Si chiese cosa c’entrasse suo padre con le cure: lui era una guardia del corpo, abilissimo nel suo lavoro ed esperto nel primo soccorso; ma cosa c’entrava questo con addirittura cure mediche specializzate?
    Si fidava, ma non al punto di affidargli le proprie costole.

    Lavi e Allen non restarono a lungo; chiamati dai propri doveri, non ebbero il tempo di dirgli altro. Sconfortato, Sora si abbandonò sul letto aspettando pazientemente qualcun altro che venisse a fargli visita. Gli piaceva conoscere nuova gente ed era felicissimo che suo padre stesse bene, ma avrebbe voluto vedere i suoi amici alla porta, a fissarlo con quell’espressione. Non poteva nemmeno girarsi. Da quanto aveva capito, aveva dormito una settimana. Forse erano stati al suo capezzale fino a poco prima, e ora si erano presi un po’ di riposo?
    Non ne aveva la minima idea…
    Non sentiva nemmeno sonno, e odiava da morire quel letto. Voleva alzarsi, andare a cercarli, capire dove accidenti fossero capitati tutti!
    E voleva notizie di Ezio, che li aveva salvati dalla morte sicura. Voleva semplicemente essere utile…
    Sebbene lui non lo fosse.
    Fino a quel momento lui non aveva fatto altro che farsi proteggere. Roxas l’aveva protetto, Riku l’aveva protetto, Altair ed Ezio l’avevano protetto. Lo avevano sempre difeso tutti. E l’unica volta che si trovò a cercare di salvarli, fu rapidamente sconfitto. Persino quando avrebbe dovuto prendere in mano la situazione, contro l’enorme Lexaeus, fu Ezio a salvarlo.
    Che situazione orribile.
    Avere coscienza di essere un peso non era esattamente quanto di più gratificante potesse esserci…

    Nel sonno, sentì il proprio viso toccato.

    La mattina dopo si svegliò abbastanza presto. Vide il sole entrare dalla finestra; una piacevole visuale. Si sentiva meglio, sebbene le costole gli dolessero ancora. Si guardò attorno alla ricerca di notizie della vecchia, ma non ce n’era traccia. La spalla faceva male. Cercò di non pensarci, ma era difficile, non avendo nulla da fare. Quando aveva la febbre, leggeva sempre dei manga, o giocava alla playstation, o faceva qualcosa per rilassarsi, pur di non stare a letto, riflettendo a fatica a causa della testa dolente… Meglio giocare a qualche videogioco completato e ricompletato, unicamente per distrarsi. Ricordò quei momenti con affetto. Era un pensiero materialistico, ma gli mancavano quelle comodità. Gli mancava casa sua.
    Era la prima volta in quasi due mesi da quel terribile evento, che sentiva nostalgia di casa… Un dolore che gli tagliò il cuore in due. Gli mancava vedere sua madre la sera, gli mancava il volto stanco di suo padre che augurava a tutti la buonanotte, gli mancava combattere con suo fratello, anche se perdeva sempre. E poi la scuola, quella tranquilla atmosfera di lezioni e nessuna preoccupazione se non gli esami, i professori che lo riprendevano o lo elogiavano. Quelle sere del sabato, passate nei locali della piazza centrale, a mangiare panini sotto il Grattacielo della Memoria ridendo e scherzando. Gli mancava tutto questo. Gli mancava la sua vita, e gli mancava tutto quanto prima che venissero quei maledetti a rovinare tutto. Pensieri notturni, che lo prendevano al mattino. Mise l’avambraccio sugli occhi, che lasciavano uscire timide lacrime.
    Odiava stare a letto.
     
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  3. xander.XVII
     
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    CITAZIONE
    In effetti, aveva ricevuto un notevole colpo di tacco ai testicoli. Di nascosto, si controllò i genitali per assicurarsi che fossero al loro posto.

    ma LOL
    Cosa controlla che non c'è niente da controllare ? :asd:

    Bel capitolo, m'è piaciuto assai, hai introdotto bene i nuovi personaggi, mi ispira Lavi XD
    Bravo continua e fa fare una bella entrata a Kakuzu XD
     
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  4. Nyxenhaal89
     
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    Nessuno ha notato la "famiglia" di Sora? XDDD
     
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  5. Eonis
     
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    Mi piace da morire!!!!!! Sei un grande!!!!! A qnd il prossimo capitolo?!?!?!?!?!?! Lo voglio leggere!!!!!!!!!! X3 XDDDDDDDDDDDDDDDD image image
     
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  6. Nyxenhaal89
     
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    Nono capitolo! Volesse dio che mi ripiglia la voglia di scrivere come quando facevo tre capitoli in un giorno XD
    Buona lettura, e come al solito, grazie per i commenti ^^
    Xander per Kakku dovrai aspettare ancora un po' XD


    9: Cambiamento

    Deidara entrò nella base vuota. Salutò gli altri con appena un cenno, lo sguardo bassissimo. Gli mancava un braccio, e nel suo occhio azzurro, rilucevano tristezza, rancore e collera. La manica mozzata ondeggiava grondando coaguli di sangue rappreso. Il suo passo era tuttavia deciso e veloce. Alzò lo sguardo verso la porta. La loro fortezza era una specie di bunker isolato nelle montagne del deserto: guardando fuori dalle minuscole feritoie di metallo delle porte, non si vedeva altro che sabbia. La stessa sabbia che, macchiata di rosso, cadeva sotto i suoi sandali.
    - Devo parlare col Leader – disse ad una sentinella con tono fermo nonostante avesse l’occhio semichiuso per il dolore della ferita. – Subito –
    La sentinella si scansò per farlo passare, poiché Deidara era difficile da contenere, se perdeva le staffe; dietro quell’apparenza aggraziata ed elegante, si nascondeva un demonio. Tuttavia, la sua faccia scura era difficile da interpretare.
    Si inchinò con due dita davanti al viso, di fronte ad un uomo e una donna seduti su un trono di pietra.
    - Leader, abbiamo fallito – disse rancorosamente, guardando in basso. La collera del loro signore terribile a vedersi; ma egli al momento restava freddo e calmo, come se lo avesse già immaginato. Il suo stesso viso era una maschera di pietra, impassibile. – Ogni tentativo di entrare nell’Ordine è fallito. Siamo stati intercettati dai Tredici – ogni parola di Deidara trasudava odio e vergogna; il braccio sanguinante era solo una sciocca seccatura, al confronto del dolore interno che provava per il loro fallimento.
    - Perché Karin non è con te, Deidara? – chiese la donna con lo stesso viso altero dell’uomo. Il suo sguardo era ancora più opprimente di quello del Leader, la sua voce dura tagliente come la più affilata delle lame. Le sue parole affondavano nella mente, uccidevano l’anima. Era la diretta alleata del loro signore, la sua arma più fidata, sua più amorevole compagna. Chiunque tremava al suo cospetto. La sua sola presenza lasciava presagire che l’ombra tetra e micidiale del signore della Luna Rossa incombeva nelle vicinanze.
    Deidara faticò a rispondere.
    - Se non mi aveste affidato una partner così debole… - biascicò.
    - E’ forse morta? – incalzò la donna con un fremito.
    - Ho cercato di difenderla… -
    - Rispondi, Deidara – irruppe la voce secca del Leader; le parole si mozzarono sulla gola di Deidara.
    - E’…. morta, Leader. L’ha uccisa il signore delle lance. Ho tentato di vendicarla, ma sono stato bloccato – si giustificò.
    Non guardò ulteriormente negli occhi i due.
    - Ti avevamo mandato Tobi come sostegno, Deidara. E’ dunque morto anche lui? – chiese la donna. Deidara non rispose inchinandosi maggiormente in preda a profonda contrizione. Sebbene fosse solo una maschera; odiava profondamente l’uomo di nome Tobi.
    Il Leader si alzò accompagnato da un sussulto dell’uomo dinamitardo.
    - Vattene – disse semplicemente. Deidara si alzò e se ne andò rapidamente. – Fa’ vedere il tuo braccio a Kakuzu – aggiunse.
    Quando Deidara si richiuse la porta alle spalle, il Leader si avvicinò ad una scacchiera di ferro. Due pedoni scomparvero. Da una parte stavano tredici pezzi, dall’altra dieci.
    - Man mano che cadono i pedoni, i pezzi più potenti scendono in campo – disse l’uomo. – Karin era un pedone sacrificabile. Anche Tobi, alla fine, ora che abbiamo il vero Discendente tra noi. Le Chiavi possono ancora essere nostre –
    - Mandiamo un’altra squadra all’Ordine? – propose la donna, alzandosi a sua volta e posandogli una mano preoccupata sulla spalla.
    Il Leader dissentì con un cenno.
    - Sarebbe fatica sprecata. Al momento, mille Nessuno assediano l’Ordine Oscuro; lasciamo che le Chiavi crescano ancora –

    - Così dovrebbe andare – disse la vecchia con una smorfia soddisfatta. – L’intruglio di tuo padre ha dato ottimi risultati. Mi duole ammetterlo, ma c’è qualcuno più bravo di me –
    Sora fu dello stesso parere, e fu lieto di essersi sbagliato sui metodi di suo padre. Saltò giù dal letto una volta che l’infermiera se ne andò e stirò ampiamente gambe e braccia, riassaporando la tanto agognata libertà di movimento. La spalla era come nuova, le costole non dolevano, i genitali… be’, stavano bene. Ma appuntò mentalmente di diventare abbastanza forte da ridurre quella megera ad un mucchietto di cenere. Apprese dalla responsabile dell’infermeria(nonché unica infermiera) che i suoi amici erano stati chiamati dal Generale Mario, o qualcosa del genere(Sora non ricordava bene il nome, ma doveva essere lo stesso che parlava con Vincent) e che da allora non si erano più avvicinati a lui. La cosa da una parte lo inquietò: cos’aveva fatto quell’uomo per allontanarli così da lui?
    Rimise i jeans azzurri ormai logori e la maglietta scura, mettendoci sopra la giacca estiva blu. Vide che gli abiti erano stati lavati e stirati. Che sollievo poter tornare a camminare: però si rese conto di non conoscere nulla di quel posto… e in quanto a senso dell’orientamento, aveva molto da imparare. Esattamente come Roxas. Nonostante i modi audaci, Riku era l’unico dei tre ragazzi a sapere sempre da che parte andare.
    Camminando per i corridoi di quello che realizzò essere “L’Ordine Oscuro” (dato che lo chiamavano tutti così), vide molte facce nuove, tutte di ragazzi di età non molto avanzata, all’incirca tutti sui venti-venticinque anni, con la divisa nera ad orli bianchi che aveva già visto addosso ad Allen e Lavi: sperando almeno di incontrare i due ragazzi, restò deluso. Fu anche sorpreso di notare che la struttura, che sembrava avere molti piani, pareva essere deserta. Ma ora non voleva più concentrarsi su queste cose, voleva trovare Riku e le ragazze.
    Con una mossa che identificò come estremamente infantile, afferrò il medaglione di Roxas e lo strinse forte, mormorando “Guidami da loro…”. Lo lasciò immediatamente andare.
    Che stupido bambino che era.
    Avanzò un altro po’ scuotendo la testa, quando sentì qualcuno gridare qualcosa di incomprensibile: sembrava avere molta fretta. Sora non si scostò…
    E le loro teste cozzarono.
    - Ahio… - mugolò Sora che era stato sbalzato contro il muro. – Credevo che certe cose succedessero solo nei manga per ragazze… - Si riequilibrò e si rivolse all’altro protagonista dell’incidente, chinandosi per aiutarlo a rialzarsi.
    - Oh no… mio fratello si arrabbierà di nuovo… - disse una ragazza. Alzò la testa e Sora vide che era una bella ragazza che doveva avere circa la sua età, dai lunghi capelli scuri con riflessi verdi legati in due code laterali e luminosi occhi viola: aveva un viso pulito e snello, quasi slanciato come il suo corpo magro e longilineo, tonico ed evidentemente allenato. Riusciva a distinguere la leggerissima sagoma dei muscoli sulla parte di cosce lasciata libera dalla gonna corta della divisa. Aveva dei lunghi stivali neri, e la divisa era composta dalla giacca attillata corta, e da una minigonna con due strisce bianche ai lati. La divisa di quelle persone aveva la giacca nera di grandezza variabile, con polsini bianchi e spalletti(anch’essi bianchi) decorati da una croce latina, una striscia centrale dove stavano anche dei bottoni finemente decorati e una croce con una rosa incastonata al centro sul pettorale sinistro, inscritta in un quadrato bianco che partiva dalla spalla e e finiva sotto l’ascella della giacca.
    La ragazza si alzò e fece un inchino. – Mi dispiace – si scusò.
    Sora sentì un gelo improvviso alle gambe, e realizzò che quattro tazze di caffè bollente gli si erano rovesciate prima sui pantaloni. Non capì come non avesse sentito tutto quel calore, ma poi ricordò che l’addestramento disumano di Altair li aveva abituati a certe cose.
    - Non fa nulla – sorrise Sora mentendo spudoratamente.
    - LINALEE! – sbraitò qualcuno da una parte indefinita della struttura. Poi, improvvisamente si materializzò(o meglio, spuntò) dalle scale un individuo avvolto in una divisa simile a quella di Allen, ma tutta bianca e un goffo cappello simile ad un basco sulla testa, bianco. L’uomo era molto simile a alla ragazzina, con capelli neri leggermente allungati e sottili occhiali quadrati davanti ai sottili occhi neri.
    - Ah! – sussultò “Linalee” scattando in piedi. – Scusa nii-san.. ho… avuto un incidente… - farfugliò lei cercando di apparire innocente. – Non guardavo dove andavo e… -
    Ma l’uomo aveva già abbandonato Linalee e stava passando i suoi occhi infiammati su Sora, che indietreggiò piano piano temendo il peggio.
    - Eccolo qui l’incidente, immagino! – esclamò furente. – L’ennesimo zoticone che vuole mettere le mani addosso a mia sorella! Te lo leggo in quegli occhi da maniaco! – indicò con un dito inguantato e sporco di olio di motore.
    - Veramente, io… - - cercò di giustificarsi Sora, cercando di uscire da quel teatrino tanto shojo.
    - TACI, MOSTRICIATTOLO! – abbaiò l’uomo atterrendo la sorella che intanto si allontanava poco a poco. – Ho già capito come sono andate le cose. Lei mi portava il caffè come sempre, allora tu l’hai urtata di proposito per farti finire il caffè addosso, quindi hai tentato di… -
    -MA INSOMMA! – rimbeccò Sora stranito. – Ma chi diavolo la conosce, questa qui? Sono uscito e mi è finita addosso! Devo già tornare in infermeria per un mal di testa causato dalla sua zucca dura! –
    - Però ci hai pensato – rispose l’uomo in bianco. – Volevi allungare le mani, ti ho visto! –
    - Ma chi se la fila questa scorfana?! – ringhiò con gli occhi fuori dalle orbite.
    La sua risposta lasciò i due attoniti. Il “nii-san” sembrò convinto e se ne andò minacciandolo di morte se l’avesse pescato con le mani addosso alla sorella, ma “Linalee” divenne paonazza. – CAFONE! – piagnucolò correndo verso ignote destinazioni.
    Sora rimase lì come un idiota, con i pantaloni sporchi di caffè e un unico pensiero nella testa.
    “Riku… ragazze… aiuto” piagnucolò in mente, disperato.
    Ora che ci pensava bene, era la prima volta che gli capitava di rifiutare una donna in modo così diretto. Non capiva proprio perché, non è che a lui non piacessero. Forse era stato un raptus momentaneo. E in fondo, per quanto carina, a lui non piacevano le donne stile “donzella in pericolo”, preferiva ragazze forti come Kairi. Ma anche in quel caso, non riusciva ad andare oltre l’amicizia. Riku gli diceva almeno quattro volte al giorno di essere finocchio, parola a cui Sora rispondeva seccamente “ancora non ho trovato la donna per me”. Sempre che esistesse. Molti lo vedevano bene con Xion, ma per lui era troppo insicura, troppo fragile, troppo simile a lui.
    I suoi pensieri furono interrotti da una specie di campana. La struttura fu scossa da un tramestio improvviso, si sentì il furioso scalpicciare di decine di piedi che andavano tutti verso un’unica direzione: Sora si unì a due persone che correvano, seguendole a passo svelto verso un portone. Intravide la vecchia correre verso l’infermeria con aria indaffarata. Arrivato al portone, vide all’incirca una cinquantina di persone tutte abbigliate allo stesso modo, suo padre e lunghissimi capelli rossi accanto a lui: doveva essere il Generale Mario. Accanto a loro, con un tuffo al cuore, vide Riku e le ragazze.
    Finalmente.

    - RIKU! – gridò cercando di destreggiarsi tra addetti alla sicurezza, barellieri, ufficiali e personale. – KAIRI! XION! NAMINE’! – continuò a chiamare. Non ci credeva, li aveva finalmente trovati… - Ragazzi! sono qui! –
    I quattro si voltarono.
    - SORA! – ruggì Xion abbracciandolo stretto e lasciando cadere il suo bastone. Aveva un taglietto alla guancia; e, notò Sora, anche lei e gli altri indossavano la divisa di quelle persone. Kairi si unì all’abbraccio sollevando il ragazzino di mezzo metro.
    - Ci hai fatti preoccupare per una settimana intera, piccolo bastardo – ringhiò gioiosamente Riku battendogli una manata sulla schiena. – Come ti senti adesso? In forma, spero, qui abbiamo un bel po’ di lavoro da fare –
    Sora non ebbe il tempo di rispondere ai suoi amici che sentì la mano libera di suo padre posarglisi sulla spalla.
    - Sora – disse garbatamente. – Devo presentarti una persona – spiegò rivolgendo la mano artigliata verso l’uomo al suo fianco, che fumava tranquillamente una sigaretta pestilenziale.
    - Ah, ma lei è il Generale Mario! – indovinò Sora con un sorriso. – La ringrazio per tutto l’aiuto… -
    - Marian - corresse seccamente il Generale. Quando Sora ebbe rialzato la testa dopo una parola di scuse imbarazzate, vide finalmente in volto l’uomo.
    Se si avesse dovuto dare un volto all’inaffidabilità, bene, tale volto sarebbe stato quello del Generale Cross Marian; lunghissimi capelli rossi, occhi scuri strafottenti dietro sottili occhiali squadrati, barbetta incolta sul mento, esageratamente alto e spesso sghembo, sempre con una sigaretta in bocca. Sora si rimangiò mentalmente tutte le belle parole che aveva intenzione di dirgli: quell’uomo sembrava non averli ammazzati tutti per miracolo.

    - Dunque tu sei Sora Valentine, il figlio di quello lì – disse Marian quando furono soli nel suo ufficio. – Mi aspettavo qualcosa di più, invece mi tocca il solito nanerottolo –
    Sora appuntò mentalmente di non rispondergli. Era pur sempre una figura di spicco rispettata persino da suo padre. Meglio non aggiudicarsi le sue antipatie finchè non c’era un valido motivo.
    - Be’, visto che ti ho fatto venire qui, sebbene non sia obbligato, ti spiegherò cos’è questo posto. E immagino tu voglia sapere come ti abbiamo portato qui…ma questo dovrai chiederlo ai quattro coglioni che ti hanno soccorso. Io non c’ero. –esalò l’uomo in una nube di fumo. – Attualmente ti trovi in una delle sedi principali dell’Ordine Oscuro, quella del continente di Midgar. Immagino tu non abbia la più pallida idea di cosa sia l’Ordine Oscuro. E dal tuo incontro con la signorina Lee, credo che tu te ne sia fatta una pessima idea. Ma i tuoi pensieri non mi riguardano – “La riguardano eccome, lei è il primo che getta una pessima idea su questo posto” pensò Sora. – L’Ordine… - suonò un telefono interno sulla scrivania. Scocciato, Marian rispose. – Che c’è? –
    - Una videoconferenza con i Generali delle altre sedi, è pregato di… -
    Marian chiuse il telefono e accese uno schermo.
    - Fuori, ragazzo. I grandi devono parlare –
    Sora torse le dita con la tentazione di strangolarlo; poi cambiò idea e se ne andò con appena un cenno.

    Fuori dall’ufficio, per sua fortuna, si imbattè in Allen.
    - Eri con quello? – disse con una smorfia. Sora annuì stancamente. – Mi ha mandato il tuo amico Riku. Loro si stanno allenando, quindi non potevano venire di persona –
    - Se vuoi guidarmi da loro, te ne sarò grato. Ne ho abbastanza di girare a vuoto in questo posto – rispose Sora deciso a non avere altri incontri, per oggi. Allen rise sonoramente.
    - Sì, è un po’ dispersivo qui, ma poi ci si fa l’abitudine – assicurò invitandolo a seguirlo.
    - Allen – esordì il ragazzo. – Che cos’è l’Ordine Oscuro? –
    - Immagino che lo scemaestro non abbia detto nulla, eh? – comprese l’albino con una mano sulla fronte. Sora notò che l’occhio sinistro, stavolta, era verde come quello destro. – Questo è il quartier generale degli Esorcisti – spiegò brevemente.
    La testa di Sora balzò all’indietro. Esorcisti?
    Cioè come quelli del film? Andavano in casa di bambine con la testa rotante?
    - …Non sai chi siamo? – realizzò Allen quasi deluso. Sora annuì imbarazzato. – Be’, noi, per dirla molto alla lontana, eliminiamo i demoni –
    - Forte! – esclamò Sora meravigliandosi delle sua stessa esclamazione. - Ehm… quindi, “esorcizzate” i demoni uccidendoli? –
    - In principio era così – disse mogio Allen. – Ma da qualche settimana, i demoni che combattevamo, gli Akuma, sono scomparsi. Al loro posto ci sono quei…. cosi, quei… Nessuno –
    Sora trasalì.
    - Nessuno? Quindi…. avete visto degli uomini incappucciati? Sono qui? – incalzò fermandosi e prendendolo dalle braccia.
    - No, solo quando ti abbiamo salvato li abbiamo visti. Questi Nessuno sono diversi. Sono più deboli, ma sono tanti. Ogni giorno ne eliminiamo reggimenti interi. Ogni giorno ne arrivano altri – rispose mestamente l’albino. Sora immagazzinò l’informazione con una certa angoscia, ma decise di fare una domanda importante.
    - Allen, come mi avete salvato da quei mostri? –
    - Ah, a dire il vero ha fatto quasi tutto tuo padre – ammise. – Noi abbiamo combattuto, ma lui ha tenuto impegnata la metà di loro! Poi, approfittando della confusione, Linalee e Miranda ti hanno salvato combinando i loro poteri –
    - Quando dici Linalee, intendi quella ragazzina petulante che portava il caffè? – disse con un certo disappunto.
    - Non dovresti parlarne così – rimproverò pacatamente Allen. – Non sarà particolarmente forte, è piuttosto imbranata, ma è una brava persona – Sora si pentì di aver parlato a sproposito, sentendosi leggermente in colpa. Aveva dato della scorfana alla ragazza che gli aveva salvato la vita!
    Allen gli spiegò che Linalee aveva degli stivali che le permettevano di andare a velocità incredibili, mentre Miranda aveva il potere di congelare il tempo attorno a sé. Portando Miranda con sé, Linalee aveva creato un velocissimo “guscio atemporale” in cui fu inglobato Sora: salvatolo, Linalee lo portò al quartier generale mentre gli altri restavano ad impegnare i nemici.
    Parlando, erano arrivati ad uno spogliatoio.
    - Bene – disse Allen indicandogli un armadietto. – Abbiamo preparato anche la tua divisa. Porti la mia stessa taglia, quindi non ci sono stati problemi – assicurò con un gran sorriso. – Spero ti piaccia, purtroppo è obbligatorio portarla, per stare qui dentro –
    - Sono abituato alle divise, non preoccuparti – tranquillizzò Sora cominciando a spogliarsi appena Allen finì di parlare; incontrando sé stesso allo specchio, rimase allibito.
    Ma era davvero lui?
    Insomma, in viso era pressochè identico a prima, ma il corpo no.
    Era decisamente diverso.
    Aveva mantenuto la sua corporatura agile e snella e la sua statura non era particolarmente migliorata, ma vedeva distintamente la forma dei muscoli sulle braccia, sul petto, sulle gambe, sull’addome. Non era al pari di Riku che andava in palestra da otto anni, ma ora poteva dire di avere un fisico decente. Piegò il braccio, vedendo un leggero rialzo sul bicipite.
    Il suo ego si gonfiò a dismisura.
    Non credeva di essere migliorato tanto, grazie di Altair: si sentiva decisamente più adulto, adesso.
    E non era solo fisicamente che avvertiva il cambiamento. Anche psicologicamente si sentiva più forte. Tutto il dolore e quegli avvenimenti lo avevano reso più forte… ma non abbastanza. Il ricordo della morte di Roxas e di tutte quelle persone, la rabbia verso Larxene e l’odio per tutti gli uomini in nero era smisurato. Era convinto che per essere forti, bisognasse esserlo più dei propri sentimenti.
    Infilò la divisa; i pantaloni neri, gli stivali, una maglia leggera bianca e la lunga giacca con la croce sul pettorale. Era davvero una bella divisa, allo specchio, e non gli pesava affatto. Mise anche un paio di guanti bianchi e posò il suo Keyblade dietro la schiena. Allen gli disse che l’avevano conservato nel suo armadietto.
    - Tanto non avevo idea di che farmene – si giustificò con un sorrisetto colpevole. – Pronto per vedere gli altri? – Sora annuì.
    Allen gli battè una pacca sulla scapola e lo guidò verso la sala d’addestramento. In qualche modo, sentiva che qualcosa in lui stava cambiando.
    Forse, finalmente, stava crescendo.
     
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  7. xander.XVII
     
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    Bellissimo questo capitolo, senza errori di rilievo,ottima forma e punteggiatura , ottime descrizioni e lunghezza assai buona, bravo Nyxenhaal!
     
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  8. Nyxenhaal89
     
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    Eccoci al decimo capitolo! XD E' arrivato presto, vero? XD
    Questo è l'ultimo capitolo di preludio alla spettacolare carneficina che ho intenzione di cominciare; poi, conoscendomi, so che la storia verrà immensa. Voglio dire, volevo già finire con l'ordine oscuro e sono ancora in mezzo alla strada XD
    Ok, buona lettura x3
    Grazie per i commenti e le visualizzazioni, continuate a leggere e commentare, mi raccomando *commosso*

    10: Addestramento

    Sora seguì Allen con la nuova uniforme fino ad una porta collegata all’armeria. In effetti, era la cosa più ovvia; da lì si poteva direttamente andare ad allenarsi senza gironzolare per la sede con le armi lì conservate. Lo spogliatoio e l’armeria erano un unico blocco, non molto grandi, ma quanto bastava perché almeno cinquanta persone si cambiassero tutte assieme; evidentemente, era una vera e propria fortezza. Mentre Allen gli aveva fatto da guida prima di cambiarsi, Sora aveva visto alcune piccole scalinate che collegavano i piani, e un’enorme scala che avvolgeva come un serpente l’intero quartier generale, evidentemente un accesso esterno alle varie stanze. Riusciva a vederla anche adesso dal campo d’addestramento all’aperto, dove Allen inspirò profondamente una pungente aria montana.
    Sora vide con un balzo al cuore tutti i suoi amici che si allenavano con varie armi; Kairi dava di boxe con
    un ragazzo che non aveva mai visto, robusto e a quanto pareva abile quanto lei; la ragazza sudava appena, il che voleva dire che si stava impegnando seriamente. Xion sembrava molto più agile, da quando aveva imparato a maneggiare un bastone; muoveva la sua Lancia dei Santi con leggiadria. Lavi, che era del tutto disinteressato al combattimento, incassava con un bastone da allenamento, senza impegnarsi.
    - Lavi – disse un altro ragazzo in un sibilo, dietro di lui. – Devi cazzeggiare o allenare? –
    Lavi sorrise leggermente, concentrandosi. Sora riuscì a vedere meglio chi aveva parlato; Allen fece le dovute presentazioni. Si chiamava Yu Kanda, diciott’anni. Aveva lunghi capelli corvini legati in una coda che scendeva finemente fino a sotto le spalle, e sottili e impassibili occhi neri. Teneva in mano una spada di legno, e a giudicare dall’enorme quantità di lividi sulle braccia di Riku, non doveva essere molto indulgente. Naminè era assistita da una donna dall’aria chiaramente più adulta, che doveva essere sulla trentina, con capelli castani crespi di media lunghezza e una divisa diversa da quella di Linalee; infatti, la sua aveva dei pantaloni aderenti con strisce bianche ai lati delle cosce.
    - Quella è Miranda Lot – sorrise Allen. - Quella che ha generato il guscio atemporale attorno a te e Linalee -
    La donna si girò e sorrise educatamente vedendo Sora.
    - Ne è valsa la pena, alla fine – disse con una punta d’orgoglio. Forse non le capitava spesso di rendersi utile? – Sono contenta di vedere che stai bene, Sora –
    Il ragazzo sorrise limpidamente.
    - Be’? – disse Kanda dirigendosi verso di loro mentre Riku si massaggiava le braccia dolorante. – Cos’è, un salotto o un campo d’allenamento? –
    - Kanda – sospirò Allen allargando leggermente gli avambracci, coi gomiti ai fianchi. – Sto solo presentando Sora a tutti, ora ci alleniamo –
    - Allenare? Sarai tu ad allenarlo, Moyashi? – chiese Kanda con una smorfia. – Buona fortuna, ragazzo. Sicuramente non arriverai a domani, sul campo di battaglia – concluse girandosi e tornando verso Riku.
    - Stupido! Baka!- esclamò Allen rossissimo in viso per l’appellativo. “Moyashi”, infatti ,voleva dire pidocchio. - Bakanda! -
    - Dai Allen-kun – cercò di tranquillizzarlo Miranda con tono imbarazzato. – E’ ancora giù per essere stato sconfitto, comprendilo –
    - Macchè giù, è sempre stronzo con me – tagliò corto Allen afferrando una spada di legno. – Meglio che ne prenda una anche tu – disse a Sora, che ne afferrò immediatamente una. La rigirò in mano con dei movimenti a otto, quindi la posizionò come uno spadone da cavaliere, con le gambe divaricate e piegate(la sinistra avanti), la lama puntata all’indietro. Allen puntò la spada a terra e scosse la testa sconfortato.
    - Qui c’è da lavorare – commentò. – Quella posizione è totalmente scorretta. Non ti offre la minima protezione – spiegò. – Tienila così - Tenne le gambe aperte ma soltanto leggermente flesse, e la spada in verticale, davanti al proprio viso.
    Sora si riposizionò imbarazzato, e lo guardò invitandolo a proseguire la spiegazione. Intanto, vide che Riku le prendeva di santa ragione da Kanda, che sembrava acido come un limone acerbo. Rimproverò il ragazzo per l’ennesima volta di tenere le braccia troppo basse. Riku mugolò contrariato.
    Kairi si divertiva, ormai non si impegnava nemmeno, si limitava ad usare finte e far sudare Chaoji, il ragazzo robusto che boxava con lei. Naminè meditava. Aveva la stessa divisa di Miranda. Kairi aveva la divisa degli uomini, ma al posto del pantalone nero aveva dei pantaloncini attillati con lo stesso motivo. Il suo seno non si notava, sotto il cappotto, ma il suo viso era troppo femminile per ingannare qualcuno. Xion aveva la normale divisa femminile. Riku, invece, aveva la stessa divisa di Lavi: niente cappotto, la giacca era corta e i pantaloni erano attillati per garantire la massima mobilità. Per Riku lo capiva, la sua Via per l’Alba era enorme, ma Lavi perché aveva bisogno di muoversi liberamente? Con il bastone sembrava a disagio, perdeva spesso l’equilibrio, come se maneggiasse qualcosa di molto più grande.
    - Lavi, sei inguardabile – commentò Kanda dopo un quarto d’ora di quello spettacolo avvilente. – Lascia a me quella povera anima, e allena questo troglodita. Scommetto che andrete d’amore e d’accordo –
    - Ehm – attirò Allen. Sora spostò lo sguardo su di lui. – Vi hanno già spiegato le varie convenzioni, giusto? – Sora annuì. – Bene, allora tutto quello che dovete fare e metterle in pratica – sorrise. Puntò la spada di legno su Sora. – In guardia! –
    Era evidente che Allen si frenasse; dirigeva i colpi sulla spada, e non su Sora, tuttavia le sue finte facevano apparire il contrario e il ragazzo parava per istinto, esattamente come voleva l’esorcista. Dopo qualche minuto di evidente riscaldamento, Allen cominciò a colpire con più decisione e più precisione, a volte dirigendo a tradimento la spada su Sora e obbligandolo ad alzare la difesa prima di essere colpito. Non parlava per la maggior parte dello scontro, ma il suo occhio sinistro, vide Sora schivando un colpo che non riuscì a parare in tempo, era diventato roseo come la sua strana cicatrice.
    - Non farci caso – rassicurò Allen dopo averlo accidentalmente colpito al fianco. In fondo, Sora aveva abbassato la guardia. – Non sono vicini, altrimenti non sarebbe già tornato normale –
    - Ti brucia, quando succede? Ti fa molto male? – chiese Sora riprendendo fiato. Grondava sudore da ogni poro concepito. La divisa però restava asciutta e fresca. Chissà di che materiale era.
    - No, non è per niente doloroso – disse. – Ma è un po’ angosciante, vedere quello che vede quest’occhio – ammise. – Ad ogni modo, vuoi fare una pausa? Mi sembri stanco –
    La risposta di Sora fu coperta dal verso di Lavi – Cresci! Cresci! –
    Attonito, il ragazzo vide una specie di martello nero striato di bianco, con una croce nera sulla punta. L’attrezzo, che prima era grande sì e no quanto l’avambraccio del giovane, divenne gigantesco, lungo almeno tre metri e dalla punta larga come minimo due. Con un ruggito, Lavi schiantò l’arma addosso alla Via per l’Alba di Riku, che flettè le gambe per assorbire il colpo e rotolò per evitare un altro colpo; cercò di colpire il possessore col piatto del suo Keyblade, ma con agilità sorprendente Lavi balzò all’indietro e menò un altro colpo che scaraventò Riku contro il muro.
    - Non male il tuo aggeggio - si congratulò il ragazzo rialzandosi.
    - Neanche il tuo coltellino da pizza – rispose Lavi.
    - Per caso quel martello enorme ti serve per compensare qualche mancanza? – chiese Riku velenoso. Lui ODIAVA perdere.
    - Potrei chiederti la stessa cosa… - rimbeccò nervosamente Lavi. Kanda si mise una mano sulla fronte, scuotendo deciso la testa con aria contrariata ed afflitta.
    - CREPA! – si dissero entrambi gli sfidanti riprendendo a combattere.
    - Pausa – disse Allen con vergogna.

    Dopo l’addestramento, Sora seguì Riku e le ragazze nelle camere, parlando tra loro. Sembrava quasi di essere tornati ai vecchi tempi… se non fosse stato per il fatto che si trovavano in un posto totalmente sconosciuto, erano da soli ed erano solo in cinque.
    Mentre camminavano verso gli alloggi, incrociarono Linalee che passeggiava con aria assorta. Ma appena vide Sora, girò decisa lo sguardo contrariata, sbattendo in pieno contro un pilastro.
    Imperterrita, continuò ad allontanarsi sdegnosamente.
    - Scusate un attimo – disse Sora correndo per raggiungerla.
    - Ma dove va? – chiese Kairi.
    - C’è qualcosa sotto. Quella si prende Sora – disse Riku.
    - Non credo – disse velata Naminè. – Non è il suo tipo –
    - Secondo me, quella lo deflora – riprese Riku convinto beccandosi un pestone sull’alluce dalla solita Kairi.
    - Riku, hai scambiato i generi apposta, vero? – disse Xion contrariata. – Omofobico del cazzo –
    - Non sono omofobico! E’ solo che… Non riesco a pensare a Sora con una ragazza! – ammise orripilato al solo pensiero. – Sembra un bambino di dieci anni! –
    - Sembrava – disse Kairi maliziosamente. Riku ebbe un rimbalzo con la testa.
    Il gruppetto camminò furtivamente fino all’incrocio del corridoio, dove sentirono chiaramente la voce di Sora. Si misero in ascolto, interessati. Be’, Xion fissava l’estintore angosciata, mentre Naminè sembrava persa in chissà quale universo parallelo.
    - Aspetta! Linalee! – chiese Sora fermando la ragazza. Lei si voltò acida.
    - Che vuoi, sgorbio? – replicò guardandolo a malapena.
    - Non è vero che penso che… - arrossì.
    Ma che diavolo faceva?
    - Non è vero che sei brutta, ecco – ammise Sora. – E’ solo che non potevo certo ammettere davanti al tuo gelosissimo fratello che tu sei una bella ragazza. Mi avrebbe squartato vivo! – Linalee lo guardò con tanto d’occhi, lievemente rossa in viso.
    - Ci siamo. Arriva il bacio – sentenziò Riku. – Stanno per crollare tutte le mie certezze –
    Kairi alzò gli occhi al cielo. O meglio, al soffitto.
    - Pensi davvero che sia bella? – chiese con una vocina stentata.
    - Sì, assolutamente, e… - continuò Sora incoraggiandosi.
    - E…? – esortò Linalee sempre più rossa.
    - E… be’…. ti avrei chiesto se volevi uscire con me… - biascicò una bugia. - Ma ho già una persona che occupa il mio cuore, quindi… -
    - Sei omosessuale, vero? – disse sconsolata. Sora avvampò diventando quasi violaceo.
    - N..NO, NO, E’… - farfugliò.
    - Tranquillo, non è un problema. E poi sei... carino – rispose lei. – Ma anche il mio cuore è già occupato. Facciamo finta che oggi non sia successo nulla, ok? – propose con un sorriso dolce.
    - O…ok – accettò Sora tendendole una mano. – Domani saremo insieme sul campo? –
    - Penso di sì – rispose lei stringendogliela. – Buonanotte, Sora –
    Sora aveva una tale confusione in testa, che avrebbe voluto gridare. Insomma, era stato rifiutato da una ragazza di cui per quanto simpatica non gliene importava nulla, era stato legnato da un nano per mezzo pomeriggio, e adesso ecco un’altra che lo chiamava finocchio…
    - Siete prevedibili… - mugugnò ai compagni dirigendosi smorto verso la sua stanza.
    - Sora, guarda che se tu sei gay puoi dircelo – disse Kairi. – Non ti picchieremmo mica, né ti cacceremmo dal gruppo! –
    - Già – Proseguì Riku. – Sapevamo tutti che ti piaceva Roxa… - stavolta prese una gomitata sui lividi, squittendo di dolore.
    - E’ proprio questo il problema – disse Sora vacuo. – So che è morto. So che non devo più piangere per lui. Però… -
    Dal mio cuore, Roxas non se ne va ….
    Il sogno di quella notte fu parecchio confuso. L’unica cosa che Sora ricordò, era che quello fu il primo sogno erotico della sua vita.
    Ma la cosa che non gli dava pace era che riguardava un morto.

    Kalm.
    Una figura incappucciata, ammantata in nero, entrò nella grande cattedrale della piazza. Superò senza problemi lo spettacolo di desolazione, la fontana divelta, le mura dissolte. Era buio pesto, la Luna era nascosta da pesanti nubi nere; tuttavia, egli vedeva bene le diverse schiere di figure bianche che ondeggiavano restando in righe perfettamente dritte. Tutt’intorno, nel cielo, si vedeva ogni tanto qualche alato essere bianco osservare i dintorni nell’aria.
    Ora, nella cattedrale, il suo obiettivo era ben visibile alla fioca luce di tetre candele, che un tempo simboleggiavano speranza. Ora, invece, erano solo un inno di morte, un tributo al crudele tiranno che si era insediato a Kalm.
    Era alto e imponente, il suo corpo possente e robusto, e fissava il Libro Sacro sull’altare, sfogliandolo distrattamente, quasi annoiato, poiché il suo volto non conosceva emozione.
    - Superiore – salutò con reverenza l’uomo incappucciato.
    - Benvenuto, numero XIII – rispose il Superiore con voce profonda. Il suo volto scuro era illuminato dal candelabro, che gettava ombre minacciose e aguzze sulla sua pelle. – Sarai lieto di sapere che i tuoi compagni hanno trionfato – disse alzando le braccia.
    - Ciò mi rende più felice di quanto ci si possa immaginare, Superiore – ripose il numero XIII. – E sono venuto ad informarla che presto trionferemo ancora di più; le Chiavi sono all’Ordine Oscuro –
    - Lo so. Il numero III e il numero X hanno pensato ai nostri fastidiosi ospiti – affermò il Superiore.
    Ci fu un silenzio, interrotto solo dal vento che filtrava attraverso le belle finestre colorate, ormai in frantumi.
    - Tu comanderai questo scacco matto, numero XIII – sentenziò infine l’uomo. – Cattura le Chiavi. Uccidi gli altri – aggiunse.
    Con un sorriso, il numero XIII si alzò dalla sua posizione reverenziale e se ne andò. Poi, sull’ingresso, si girò.
    - Superiore, il Sesto Custode è morto prima di trovare la sua arma – disse.
    - Allora, riunite le Chiavi, potrai provare a prendere tu le Chiavi di Luce e Ombra – disse stancamente il Superiore riprendendo la sua lettura. – Ah, aspetta – ordinò.
    L’altro si fermò all’istante.
    - Vorrei che portassi con te il numero IV – disse. – Deve fare delle ricerche sui Custodi, e al momento il suo apprendista è impegnato altrove… -
    - Ciò che comandate, Superiore, è ciò che farò – annuì semplicemente il numero XIII.

    Era ancora notte, ma Sora non riusciva più a dormire. Si sentiva davvero male. Non solo per aver sognato di farlo con un morto; ma soprattutto perché adesso non capiva più nulla di sé stesso.
    Si era effettivamente reso conto che qualcosa in lui non quadrava da molto tempo.
    Ma adesso…
    Sembrava tutto degenerare. All’inizio dava la colpa di tutto alla sua condizione, alla morte di Roxas, agli avvenimenti. Ma ora era una certezza.
    Si girò verso Riku, che dormiva dalla grossa.
    No, nessuna emozione.
    Be’, mica poteva innamorarsi a comando!
    Si rimise a letto.
    Niente, non riusciva nemmeno a dormire.
    Quanto avrebbe voluto vederci più chiaro… quanto avrebbe voluto rivedere Roxas. Forse così tutto si sarebbe chiarito. Notò di non stare piangendo.
    La cosa lo rese felice. Era meglio così, basta piangere.
    Scalzo, con una maglietta bianca e dei pantaloncini rossi come pigiama, scese dal letto e decise di fare una passeggiata in corridoio, per prendere un po’ d’aria: aveva i capelli ancora più scompigliati, notò guardandosi al riflesso della finestra.
    Riprese rapidamente il corso dei suoi pensieri, macerandosi nei dubbi…
    Fu sorpreso di vedere Allen nel corridoio.
    - Ah, Moyashi! – salutò allegro, incurante di essere in pigiama e scalzo. Aveva i piedi congelati, ma non lo sentiva. Tutta quella frescura era benvenuta, dato che quando aveva dubbi sudava. – Come mai in piedi a quest’ora? – ignorò di averlo chiamato col nome sbagliato.
    Allen si girò verso di lui con aria sorpresa, fissandolo dalla testa ai piedi.
    - Prego? – replicò in un sibilo pericoloso, con un sorriso sadico in volto.
    Portava un pigiama bianco ben chiuso, con sopra una vestaglia da notte grigio scuro; coperte per un piccolo pezzo dai pantaloni aveva delle pantofole grigio nebbia. Sembrava un essere etereo e vagamente evanescente.
    - Ehm… come mai in piedi a quest’ora, Allen? – rettificò con un largo sorriso innocente.
    - Potrei farti la stessa domanda – disse Allen.
    - Non riesco a chiudere occhio – si giustificò Sora osservando dalla finestra accanto a lui.
    - Neanch’io… -
    - Anche un festino in corridoio, Moyashi? – interruppe Kanda vestito di tutto punto.
    - Sei di turno, Bakanda? – chiese velenoso l’esorcista albino.
    Kanda lo fulminò con lo sguardo, ma la sua risposta fu inghiottita da un violento fulmine che rimbombò per miglia; Sora ripensò con angoscia a Larxene e al suo potere smisurato. Voleva chiedere ad Allen se percepisse la presenza di qualche Nessuno, ma improvvisamente il ragazzo si toccò l’occhio sinistro, gemendo dolorosamente.
    - Allen? – Kanda cambiò completamente tono.
    - Non capisco… non ha mai… fatto così… - biascicò Allen tenendosi l’occhio.
    Un altro fulmine, e i tre si voltarono all’unisono.
    Fu l’istante di un lampo.


    Tremila Nessuno assediavano l’Ordine Oscuro.
     
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  9. Nyxenhaal89
     
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    Non so cosa mi sia preso! XD
    Ieri notte pubblicavo il decimo capitolo, e ora l'undicesimo! XD Che fine ha fatto la suspense? XDDD
    Vabbè, comunque ecco a voi l'undicesimo capitolo; e come volevasi dimostrare, non ho ancora concluso niente! XD
    *ride per non piangere*

    11: Tredici contro Tremila

    Altri lampi si scatenarono in successioni interminabili. Non erano opera di Larxene, a quanto pareva. No, erano opera degli dei, riflettori naturali accesi sullo spettacolo agghiacciante che si parava innanzi a loro.
    Erano almeno tremila, come notò Kanda; centinaia di bagliori biancastri luccicavano dal bosco, mentre una schiera interminabile di creature usciva dagli alberi, disponendosi davanti all’unico ingresso dell’Ordine Oscuro.
    - Kanda, da’ l’allarme! – esclamò Allen reggendosi ancora l’occhio sinistro. – Sveglia quell’idiota di Generale! Fa’ qualunque cosa prima che quei mostri irrompano nell’Ordine! – gemette reggendosi al muro.
    - Vedi di non crepare, Moyashi – disse semplicemente Kanda andando verso la scala esterna.
    Sora notò che non c’erano tiratori, tra quegli esseri. Nessuno infatti sembrava curarsi di Kanda.
    Dopo qualche secondo, si sentì il suono di una grande campana, che si diffuse rapidamente per tutto l’edificio.
    Dooon, doon, dooon.
    I rintocchi baritonanti e possenti svegliarono l’intero Ordine, e nel giro di pochi minuti, fu tutto uno scalpiccio di piedi frettolosi e un vociare di ufficiali.
    - Allen… - esordì Sora preoccupato.
    - Va’ a svegliare i tuoi compagni e preparatevi – rispose Allen cercando di tranquillizzarsi. Ma anche il suo braccio sinistro tremava.
    Qualunque cosa si trovasse là in mezzo, doveva essere terrificante.
    - Ma cosa ti sta succedendo, Allen?! – insistette il ragazzo vedendolo accasciarsi. Dalle sue dita inguantate che tenevano l’occhio sinistro, uscì del liquido molto simile al sangue.
    - C’è qualcosa laggiù… - rispose Allen ansante. – Qualcosa di così malvagio… da far tremare persino la mia Innocence.. –
    - Innocence? – ripetè Sora.
    Scocciato, Allen si tolse il guanto gettandolo per terra. Sora, stupito, vide che la mano di Allen era rossa, rossa come il sangue, come fosse appena stata scorticata. Sul palmo della mano stava marchiata a fuoco una croce nera, e alzandogli la manica, Sora vide che l’intero braccio, fino alla spalla forse, era di quel rosso inquietante, striato di nero.
    - Questa è l’Innocence. Sì, il nome pare un controsenso – ridacchiò mentre l’occhio purgava lacrime sanguigne. – E’ ciò che permetteva a noi Esorcisti di distruggere gli Akuma e liberare le anime che imprigionavano. Kanda,Lavi, Linalee, Miranda… la loro Innocence è un’arma, un oggetto. Nel mio caso, come vedi… mi è stata direttamente impiantata nel corpo – sospirò. – Ora che ho soddisfatto la tua curiosità… MUOVITI! – esortò. – Me la caverò, ho passato di peggio. Tu va’! –
    Sora corse verso la propria camera e trovò tutti gli altri già vestiti di tutto punto. Kairi stava abbottonando il cappotto.
    - C’è un… -
    - Hanno suonato l’allarme principale, perciò qualcosa di grosso – tagliò corto Riku. – Sora sistemati, ti aspettiamo fuori dalla camera – Uscirono sistemando le armi dove di dovere. Xion teneva sempre la Lancia in mano, attenta a non colpire nessuno.
    Sora rimase solo. Infilò in fretta la divisa, i guanti e gli stivali, quindi prese la Catena Regale. La provò, rigirandola tra le mani e ripetendo le convenzioni che gli aveva insegnato Allen. Si sentì spaventato oltre misura. Era una battaglia molto più grande di quella che si aspettava, e soprattutto, stavolta non ci sarebbe stato nessun Ezio, o nessun Altair, a proteggerlo dalla morte.
    E lui doveva SMETTERE di fare affidamento sugli altri. Erano compagni, non scudi umani.
    Respirò, teso.
    - Sora, forza, il Generale Marian ci aspetta davanti al portone insieme a tuo padre! – irruppe Riku.
    - A… Arrivo – sbottò Sora infilando male l’arma, che cadde a terra con fragore. La raccolse con le mani che gli tremavano: fu sorpreso di vedere che Riku lo aiutò a tenerla ferma tra le dita.
    Egli lo guardò evidentemente indeciso su cosa dire. Sora poteva distinguere il flusso di pensieri attraverso gli occhi verdi del ragazzo.
    - …tutto bene, eh? – disse semplicemente battendogli una mano sulla spalla. Sora, incerto, mise il Keyblade alla schiena, quindi si unì agli altri, e insieme corsero rapidi verso il portone d’ingresso. Vide che c’erano circa un centinaio di Esorcisti riuniti, disposti in schiere ordinate. Allen stava nella prima fila, tra Kanda e Linalee; Lavi stava all’estremità della fila accanto a Miranda. Chaoji stava tra le ultime file.
    Cross stava parlando, davanti a tutti; poco più dietro, vicino al portone e rivolto verso gli studenti, stava Vincent Valentine, che osservava a braccia conserte, metà del volto coperta dalla cappa rossa.
    - …non sono solito fare simili lunghi sermoni – stava dicendo Cross al suo pubblico. Il gruppo arrivò trafelato beccandosi un’occhiataccia; un cenno di Vincent fece loro capire che i posti vuoti accanto a Linalee erano i loro.
    Con un certo imbarazzo, Sora si mise accanto alla ragazza, che gli rivolse un sorriso rassicurante.
    - Sora, te la stai facendo sotto? – sussurrò Riku. – Non la conquisti mica così, eh? –
    - Riku, fai davvero cagare – sbottò Sora infastidito. – Ho paura, ok? –
    Cross riprese a parlare.
    - Ci divideremo in squadre. Per ragioni di forza maggiore, cinquanta di noi resteranno nella struttura, prevenendo ogni possibile entrata di quei mostri – spiegò. – Komui – proseguì rivolgendosi al fratello di Linalee, - l’unità scientifica deve occuparsi dei sistemi di difesa e dare manforte ai difensori e agli Esorcisti sul campo. Filate, che il tempo è poco e non è dalla nostra parte! – ringhiò in aggiunta; metà degli Esorcisti e tutti gli uomini in bianco si allontanarono, salendo le varie scalinate. Si sentì un tramestio confuso di armi, macchinari e altre cose che nessuno potè identificare perché il Generale prese a parlare di nuovo.
    - I restanti trenta penseranno all’attacco frontale – disse.
    - Non è una scelta azzardata? – intervenne Vincent facendo un passo avanti. I suoi occhi stavano su Sora, che ormai era diventato bianco come un cencio, vedendo tutti quegli Esorcisti andar via. – Almeno una ventina di uomini in più… -
    - La protezione della struttura è una priorità assoluta, Vincent – rimproverò Marian. – L’Arca deve restare al sicuro. Non importa se non è il loro obiettivo; se viene distrutta, succede un casino. Mi sono spiegato? –
    Vincent non proferì ulteriormente, fissandolo apatico.
    - Dicevo, i restanti trenta penseranno all’attacco frontale. Voi siete i migliori di tutto l’Ordine Oscuro di Midgar. Mi avete reso fiero di voi molte volte, avete resistito ad innumerevoli assalti di questi mostri – La voce di Marian sembrava rimbombare nella struttura. – Questo credete sia un gesto di potenza? No, uomini; questo è un gesto di DISPERAZIONE! – smentì con un rapido movimento del braccio. Persino nei gesti, negli sguardi… ecco quando Cross, a quanto pareva, aveva davvero il carisma di un Leader. Persino Allen ascoltava con attenzione il discorso di incoraggiamento del Generale. – Hanno capito che non possono batterci e tentano il tutto per tutto! Lasciate pure che attacchino, e restituite dieci di ogni colpo! Oggi non sarà il nostro ultimo giorno… -
    THUMP.
    Il portone scricchiolò; a giudicare dal rumore, i Nessuno stavano cercando di sfondare l’ingresso con un grosso albero.
    - Non lasciatevi dominare dalla paura, affrontateli con orgoglio e decisione! – concluse Marian mettendo mano alla sua pistola, Judgement, terrore degli Akuma. – Mostrate a questi stronzi DI CHE PASTA SONO FATTI GLI ESORCISTI! – ruggì allargando le braccia in un rapido gesto; tutti i combattenti del palazzo ruggirono in coro, tutto l’Ordine Oscuro fu scosso da grida coraggiose di battaglia, e i Trenta alzarono le armi e le braccia, rispondendo ai battiti dell’ariete con le loro grida furiose.
    THUMP.
    Un altro ruggito generale.
    Sora strinse l’elsa del Keyblade con le mani intorpidite dalla paura.
    Quella era la sua prima battaglia, e non sembrava nemmeno tanto semplice.
    THUMP.
    Altre spade furono sguainate. Kanda si era chinato in una posa dinamica, con la mano sulla sua katana, Mugen. Cross e Vincent, in testa a tutti, tenevano le pistole puntate sulla porta, rigidi come statue, e freddi come il marmo. Sui loro volti imperturbabili non si leggeva alcuna emozione, ognuna risucchiata dall’imminenza del combattimento.
    THUMP.
    La porta scricchiolò e i cardini superiori cedettero con uno stridio. Si sentivano, all’esterno, spari e grida di comando. Evidentemente, ai piani superiori la battaglia era già cominciata.
    THUMP.
    Delle esili braccia spuntarono dalle parti della porta che lasciavano entrare la luce dell’alba; con rapidità sconvolgente, Vincent le fece cadere in un ammasso di polvere.
    THUMP.
    THUMP.
    Il possente portone perse le sue ultime disperate energie, e cadde con un rombo sul pavimento; i cardini cigolarono gutturalmente, si staccarono, i muri crepitarono, e una nube di polvere e schegge si alzò quando le due grandi ante rovinarono al suolo, con uno schianto che fece fremere l’intero palazzo. Sora trattenne il respiro.
    Davanti a loro, stavano figure dalle strane forme, umanoidi, ma che d’umano non avevano nulla: quelle più simili ad esseri umani avevano gambe e braccia sottilissime, le gambe sembravano legate tra loro da un laccio nero, che legava anche le dita delle loro mani; la loro grossa testa era piatta e chiusa da una cerniera, il cui misero spazio aperto lasciava vedere uno spazio vuoto e nero. Gli altri umanoidi erano simili ai precedenti, ma avevano una sorta di cappa dalle ampie maniche, come Itachi e Deidara; la cappa era totalmente grigia come il loro corpo, la loro testa era lunga e affusolata, con sei fessure; avevano due spade incrociate alle spalle, e le loro gambe erano separate e libere.
    Sora non riuscì a distinguerne altri.
    - CARICAARE! – urlò Cross puntando la pistola in avanti e cominciando a sparare sulle orrende creature, assieme a Vincent, fino a che i trenta Esorcisti si lanciarono alla carica per impedire loro di entrare nell’Ordine. – DIECI RESTINO ALL’INGRESSO! NON FATELI PASSARE! –
    In campo aperto, lo spettacolo fu raccapricciante. L’intera area lasciata libera dal bosco sembrava un mare bianco e grigio di figure ondeggianti.
    - Ce n’è abbastanza per tutti! Diamoci da fare! – esclamò Riku scattando verso i mostri ed elminandone due a sorpresa con un velocissimo fendente; Kairi creò rapidamente attorno a sé uno spazio libero, ingaggiando brevi duelli con le creature. Trasportato improvvisamente sul campo, Sora non riusciva veramente a combattere, limitandosi a schivare e spingersi sempre più lontano dagli altri. Intravide l’enorme martello di Lavi abbattersi su cinque o sei Nessuno, e poi una vampata di fiamme.
    Non era affatto come immaginava.
    Non credeva fosse tanto difficile.
    I videogiochi la facevano sembrare così facile, poiché erano esseri inesistenti a combattere; ma ora, in prima persona, si rese conto di quanto davvero vulnerabile fosse, di come fosse inadatto alla guerra.
    - SORA! – esclamò una voce profonda; suo padre piombò dall’alto, sparando quattro rapidi colpi e uccidendo altrettante creature. Dietro una scia di corpi bianchi, vide Kanda deviare i colpi dei Nessuno spadaccini per poi trafiggerli con combinazioni secche e precise. Capì perché Kanda era tanto puntiglioso nelle lezioni; la sua tecnica era impeccabile, la spada sembrava un prolungamento del suo corpo…
    Si chiese come fosse possibile averlo battuto.
    - Papà… - esclamò col fiatone mentre Vincent diradava i ranghi con la mano artigliata e un’enorme pistola a tre canne.
    - Sora, che cosa stai facendo? Non è scappando che risolverai le cose. Ti rincorreranno. – rimproverò duro suo padre. – Tu hai ciò che vogliono –
    - Quello che vogliono…? – ripetè Sora mentre suo padre eliminava ogni essere che lo aggrediva. – Questa..? – realizzò stringendo la Catena Regale. – Vogliono il Keyblade? –
    - Esatto, e se non combatti per difenderti, lo prenderanno. E ciò non deve accadere! – disse a spezzoni Vincent combattendo. – Nessuno ti difenderà per sempre, Sora. E’ ora che tu lo comprenda. Devi combattere! – rimarcò affondando gli artigli nella testa di uno spadaccino che cercava di prendere il figlio alle spalle.
    Sora sussultò e affondò il Keyblade a pochi centimetri dal fianco del padre; un Nessuno disarmato cadde morto, dissolvendosi.
    Vincent annuì.
    - Bene, vedo che hai capito –
    Padre e figlio si fecero largo tra i nemici con determinazione; Sora combatteva come meglio poteva, ma era troppa la furia di quelle creature. Parava con il Keyblade ad occhi chiusi, reggendo a malapena le possenti spadate con le gambe malferme; poi contrattaccava cercando di imitare lo stile di Kanda. Gli riusciva male,ma aveva un buon effetto. Si stavano intanto avvicinando sempre di più ai loro compagni, con loro sollievo. Con un salto incredibilmente alto, Vincent prese la mira e sparò su tutti i Nessuno davanti a loro. Sora rivide i suoi amici. Xion roteava rapidamente la sua asta, colpendo i nemici, trafiggendoli, tramortendoli con movimenti ampi e veloci; Naminè, con somma sorpresa di Sora, vide che non pareva combattere. Improvvisamente, barriere di terra investivano i Nessuno colpendoli a ondate, proteggendola. Era dallo scontro con Lexaeus che Sora voleva capire che poteri avesse Naminè. Riku era circondato, ma lui e Kairi sembravano un mulinello inarrestabile.
    - A quanti stiamo? – chiese Vincent ad un Cross molto impegnato a sparare.
    - Circa cinquecento – disse. – E abbiamo perso la retroguardia. Qualche decina di quei bastardi è riuscita ad entrare, e adesso lì dentro c’è il putiferio. Qua fuori, con te, siamo rimasti in tredici; ho mandato sette dei venti dell’avanguardia – menò un colpo col cane della pistola ad uno di quei Nessuno ondeggianti in pieno volto – ad aiutare le squadre interne –
    - Sora, io e il Generale ci occuperemo di preservare l’ingresso principale – disse Vincent. – Vedo da qui che Allen è da solo, raggiungilo e dagli manforte, temo che non stia molto bene –
    Sora fece come richiesto, menando fendenti a caso per colpire più Nessuno possibile. Dalla parte di Allen vedeva improvvisi lampi di luce, poi sentiva rumore di spade. Il ragazzo però sembrava in difficoltà serie, impressione che fu accentuata dall’improvviso arrivo di Linalee, che sembrava sfrecciare nell’aria. Tirava decisi calci contro tutti i Nessuno che vedeva, e quando vide Sora, il suo volto si illuminò.
    - Sora! Meno male, temo che Allen… -
    - Sto andando proprio da lui, Linalee – rispose Sora atterrando uno spadaccino con un colpo alla testa. Linalee lo afferrò dal colletto della divisa e saltò decisa verso Allen, atterrando una cinquantina di nemici con uno scatto a mezz’aria; Sora tossicchiò per la pressione sul collo, trovandosi dritto davanti ad Allen.
    - Ehilà – ansimò Allen grondante di sudore. – Temo che superino leggermente le mie forze… -
    L’occhio sinistro gli sanguinava ancora.
    - Non preoccuparti, siamo qui apposta – assicurò Sora. – Ma faresti meglio ad andare a curarti, quell’occhio… -
    - L’occhio continuerà finchè la causa non si sarà allontanata, e temo sia molto vicina – contraddisse Allen.
    Altre vampate di fuoco fecero capire la posizione di Lavi. Alcuni Nessuno sbalzati in aria, la posizione degli amici di Sora. – Linalee, vai in ricognizione – propose Allen. – Ci dev’essere un Nessuno particolarmente potente, trovalo e poi dicci dov’è – chiese ansante mentre i due tentavano di difenderlo.
    Si rialzò barcollante ed estrasse una pillola dalla tasca della giacca.
    - Me l’ha data tuo padre, dice che è utile quando si è alle strette – spiegò a Sora. La ingerì e improvvisamente le sue gambe smisero di tremare. Anche l’occhio sembrava essersi calmato. Si resse in piedi e tese il braccio. Stupefatto, Sora vide che divenne una lunga lama rossa.
    - Bene – sorrise mettendosi schiena contro schiena con Sora. – Sfoltiamoli un po’ –
    Sora si mise in posizione e si difese meglio che poteva. Allen lo redarguì ogni tanto raccomandandogli di ruotare allo stesso tempo in cui ruotava lui, per assicurarsi una continuità; Sora seguì le istruzioni, colpendo i nemici uno per uno man mano che gli venivano addosso. Sembravano non finire mai…
    Si sentiva soffocato in quel mare bianco.
    La guerra…
    Lui non era capace di farla, realizzò nuovamente.
    Non era il suo posto, non era la sua vita. Ogni Nessuno che atterrava costava una fatica immane, quella lama sembrava risucchiargli ogni energia, il suo corpo bruciava per lo sforzo. Il suo braccio tremò, mentre la spalla sembrava volersi staccare dal resto del corpo. Parò a fatica un fendente di uno spadaccino, cadendo quasi in ginocchio…
    Poi sentì degli spari, sentì colpi di spada, ed erano tanti, tanti, e costanti; ma non venivano solo dalla torre… Da un punto della foresta.
    Ma non bastavano. Erano troppi. Sentiva gli Esorcisti e i suoi compagni combattere, combattere, gridare, ma sempre ce n’erano più di quanti ne potessero distruggere. Sentì come se improvvisamente le sue orecchie avessero escluso il mondo intero. Non sentiva più nulla, gli sembrava di udire ogni rumore come se fosse sott’acqua.
    Improvvisamente, i Nessuno si fermarono, e così anche il combattimento.
    Rimasero immobili con le teste in alto, come in ascolto, scambiandosi sussurri simili a vento; poi, in un punto indefinito, presero ad allargarsi, formando un corridoio. Orripilato, Sora vide che il corridoio portava a lui e Allen. Con lo sguardo appannato, seguì il bianco sentiero finchè non incontrò un paio di stivali neri.
    Deglutì, salendo sempre più in alto.
    Vide le falde di una tunica, ondeggiare pigramente sul terreno.
    Vide una cerniera argentata aperta, salire fino a divenire chiusa..
    Mani inguantate di nero, un ampio torace, un volto coperto da un nero cappuccio.
    Trattenne nuovamente il respiro fissando coi suoi occhi azzurri sgranati un uomo alto e possente, sebbene di altezza molto più normale(probabilmente più o meno come suo padre), dall’andatura decisa, camminare verso di lui.
    - Sora, cos… - Allen si girò e fece per attaccare l’uomo, ma i Nessuno, come risvegliati, lo trascinarono via; e di nuovo cominciò il tramestio di combattimento, anche se solo per Allen.
    La figura del numero XIII si stagliò su Sora come un’ombra terrificante, sebbene non si muovesse nemmeno. Con le braccia tremanti per la stanchezza e la paura, le gambe molli, si alzò e punto il Keyblade davanti a sé.
    Tutt’intorno la battaglia ricominciò, ma c’era qualcosa di diverso; i Nessuno sembravano ridotti di tre quarti. Ce n’erano poche centinaia, ormai, anche se bastavano ad occultare la vista.
    Ma Sora non badava a questo; un’altra figura incappucciata, più bassa e leggermente curva, comparve al fianco della prima.
    - Hai raccolto tutti i dati che ti servivano, Vexen? – chiese con voce abulica il primo uomo.
    - Sì – rispose l’altro, con voce rauca e a quanto sembrava, non molto giovane; doveva essere un uomo sui quaranta o cinquant’anni, anche se vedeva dei pallidi capelli biondo sabbia fuoriuscire dal cappuccio. – Non vedo però il motivo di lasciare a questo moccioso un’arma tanto potente –
    - Poche storie! Combattete, bastardi! – sbottò Sora mettendosi in posizione.
    - La tua arma è una gran puttana. Lo sai? – disse il primo uomo. Sora si limitò a fissarlo con odio. – Una volta risvegliate, le Chiavi seguono il proprio Custode solo se è abbastanza forte. – Allargò le braccia con un gesto teatrale. – Mi chiedo se, dopo che ti avrò ucciso, seguirà ancora te –
    La battaglia infuriava, ma sembrava agli sgoccioli ormai. Le fiammate nere dei Nessuno morenti erano più numerose dei loro proprietari. Riku era ora ben visibile.
    - SORA! – esclamò correndo verso di lui.
    Vexen avanzò verso di loro levandosi il cappuccio; Sora, vedendolo di spalle, vide solo lunghi capelli biondo sabbia molto pallidi. L’uomo allargò le braccia ed un’imponente barriera di ghiaccio divise il gruppo da Sora, l’altro uomo e Allen.
    - Fa’ in fretta – disse con sufficienza Vexen mostrando il proprio profilo adunco. Aveva una faccia presuntuosa, con qualche ruga, e scintillanti occhi verdi pieni di vita. Forse era vecchio, ma non con un piede nella fossa.
    Il braccio del numero XIII scattò, e del fumo nero fece apparire una katana smisuratamente lunga, almeno due metri, dalla lama grigia e nera; l’impugnatura era blu, con piccoli rombi dorati, nello stile giapponese. L’uomo portò l’elsa davanti al proprio viso, il volto in ombra, ma un sorriso beffardo ben visibile.
    - Addio, Custode – disse. Sora si preparò all’impatto…
    Quando uno sciame di insetti attaccò lo spadaccino, costringendolo a saltare indietro. Tese una mano e gli insetti scomparvero.
    Sora si girò e vide, vindice e con lo sguardo arcigno, Kanda, con Mugen saldamente in pugno e i neri occhi profondi come gli abissi dell’inferno.
    - Non così in fretta – sibilò il ragazzo con la coda che ondeggiò ad un lieve soffio di vento. – Prima hai una faccenda da chiudere con me –
    Il martello di Lavi si abbattè sulla barriera, che tremò lasciando cadere minuscole schegge di ghiaccio.
    - Non ho tutto il giorno, numero XIII – esortò Vexen annoiato.
    - Puoi anche andartene – rispose questi ridacchiando. – Così posso scatenarmi. Ci vediamo a Kalm, vecchio. Portati i Nessuno sopravvissuti –
    - Se il Superiore non mi avesse detto di ascoltare ogni tuo ordine… - soffiò Vexen fremente di rabbia, rimettendo il cappuccio. – Non avrei mai permesso ad uno sbarbatello maleducato e arrogante come te di darmi degli ordini! – e con uno sbuffo irato, divenne fumo nero, schizzando in cielo assieme ai Nessuno rimasti, che saettarono via rapidi come il vento.
    Kanda partì all’assalto, spada contro spada, senza usare alcun potere da Esorcista; era deciso a finirlo una volta per tutte da solo, senza l’aiuto dell’Innocence. Mentre i compagni eliminavano il drappello di Nessuno rimasti per dare manforte, le due katane si scontrarono più volte con clangore e persino schegge; entrambi usavano una tecnica perfetta, senza sbagliare un colpo. Nonostante la spada lunghissima, il Nessuno era agilissimo, e sapeva sempre come incontrare la spada di Kanda. Sora cominciava a capire come fosse stato possibile per lui batterlo: era smisuratamente forte. E lo dimostrò mettendo l’Esorcista in difficoltà diverse volte, arrivando quasi a disarmarlo. Kanda balzò all’indietro, e una seconda Mugen apparve nell’altra mano.
    - Sta dando fondo a tutte le sue risorse – disse Allen accanto a Sora.
    Il volto di Kanda era una maschera di rabbia. Aveva usato una delle abilità dell’Innocence, il che voleva dire che non era in grado di farne a meno, per la sua ottica; ma nonostante l’aiuto extra, Kanda era sempre in difficoltà.
    – Non puoi sempre voler fare da solo, Kanda! – sbottò Lavi correndo in suo soccorso, e sbattendo il martello sulla spada del numero XIII, che slittò spingendo indietro i due combattenti; Allen corse a sua volta contro di lui, ingaggiando un duro scontro con la spada scaturita dal suo braccio, ma invano, perché quello sembrava giocare con tutti loro. Cross e Vincent erano scomparsi; evidentemente, si stavano occupando dell’eliminazione dei sopravvissuti all’interno della struttura. Linalee portava via i feriti dal campo assieme a Miranda, Riku e gli altri.
    La lotta infuriava senza risultati; il numero XIII era troppo veloce, troppo abile, troppo forte. Non riuscivano nemmeno a toccarlo. Poi, l’uomo si bloccò.
    - Basta – sibilò; Kanda lo attaccò seguito da Lavi. Sora distinse uno scintillio verde sotto il cappuccio, e poi, la lunghissima katana balenò come un lampo nel sole mattutino.
    Con un fragore assordante, i frantumi di Mugen e del martello di Lavi caddero sul terreno, inutilizzabili.
    L’occhio bendato di Lavi si trovò punteggiato del sangue uscito dal torace di Kanda. Questi, a sua volta, rimase immobile, attonito, fissando il moncone della sua lama.
    Sora era sconvolto.
    Riku uscì prima degli altri, dirigendosi verso di loro.
    Allen, furibondo, si scagliò sul nemico con la spada pronta. – BASTARDOOO! – gridò puntando il braccio; il Nessuno lo evitò afferrando l’arto con l’espressione seccata, stringendolo all’inverosimile.
    - Stupido… - sibilò, mentre Allen gridava per il dolore;
    l’occhio riprese a lacrimare sangue più di prima.
    – Inutile… -
    qualcosa si ruppe mentre il numero XIII storceva il braccio del ragazzino.
    – Microbo –
    Sora fissò lo spettacolo con orrore.
    Il Keyblade gli cadde di mano, vedendo il braccio rosso di Allen staccato totalmente dal corpo, fino alla spalla, seguito dalle urla strazianti del suo proprietario, che si accasciò a terra gemendo e tenendosi la spalla vuota da cui uscivano rivoli di sangue scuro. Il Nessuno gettò via il braccio indifferente, tornando a concentrarsi su Sora. Riku venne ad aiutarlo, ma fu sopraffatto facilmente e gettato da parte.
    - Dov’eravamo? – chiese retorico il numero XIII.
    Sora prese coraggio. Tutto quell’orrore era per causa sua…
    Doveva ripagare quelle persone del loro sacrificio.
    Con un urlo rabbioso, aggredì il nemico, con odio e furia, menando fendenti forti come mai li aveva tirati in vita sua; forse stanco per i combattimenti precedenti, l’avversario era costretto a schivare, e parare, senza contrattaccare.
    Poi vide di nuovo il bagliore verde, e si trovò scaraventato all’indietro.
    - Non mi hanno battuto dei veri combattenti e volevi battermi tu? – schernì l’uomo. – Stupido. Non sei degno del loro sacrificio. Tutta la gente che finora è morta per te ha gettato alle ortiche la propria vita –
    - Non ti permetto di dire certe cose a mio fratello, becchino – disse una voce giovane e vigorosa alle spalle del numero XIII.
    Sora realizzò di chi erano le voci che venivano dalla foresta con la gioia nel cuore.
    I SOLDIER di Midgar erano arrivati.
    E in testa a tutti loro, suo fratello.
    Squall Leonhart.
     
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  10. xander.XVII
     
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    Stupendi **
    Bravo, mi son piaciute le descrizione dei sentimenti di Sora, e anche le descrizioni della battaglia, il numero XIII è mostruoso O_O
     
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  11. Nyxenhaal89
     
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    Eh lo so XD
    Diciamo che i 13 li ho pompati un po', ma nel numero XIII, visto che non è Roxas, mi sono proprio sbizzarrito XD
     
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  12. Nyxenhaal89
     
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    Eccoci al capitolo 12! lo pubblico con un po' di ritardo, ma è stato l'ultimo cappy dell'anno! x3 buon anno a tutti ^^
    Grazie a tutti quelli che hanno votato e commentato! ^_^

    12: Roxas

    Tutt’intorno era piombato il silenzio. Mentre Squall, alto e fiero, teneva fermo il numero XIII con la minaccia della spada, i SOLDIER facevano piazza pulita dei Nessuno rimasti, con meticolosa cura. Nella foresta si sentivano altri spari, sempre più intensi, con sporadici rumori di spade.
    La lunga katana del Numero XIII cadde a terra con fragore, mentre il suo proprietario alzava le mani. Ora era solo, solo contro i SOLDIER e l’Ordine. Non ce l’avrebbe fatta, se si fosse ribellato, sarebbe morto. Fu questa convinzione a far trovare a Sora la forza di alzarsi da terra e fissare l’avversario con odio e un senso di trionfo.
    - Squall – accolse Vincent camminando a lente falcate verso il figlio, con l’orgoglio nella voce. – Il tuo arrivo è stato provvidenziale –
    Squall annuì, serio e immobile. La sua arma era un Gunblade, una lunga spada di adamantio incastonata in una pistola; l’elsa nera garantiva un notevole equilibrio e comodità nel maneggiarlo. Alla base della lama, stava un caricatore rotante, con otto proiettili di grosso calibro in dotazione. I proiettili uscivano da una canna situata sulla parte quadra del filo della lama, mentre il grilletto era un pulsante nascosto. L’arma era un prototipo della ShinRa, la grande compagnia elettrica, che al momento, col suo esercito privato, aveva trasformato la grande Midgar in una roccaforte impenetrabile. Forse a causa del mako, l’energia planetaria lavorata dalla Compagnia, la città non risentiva minimamente del soqquadro temporale che aveva colpito altre zone.
    Forse anche Twilight sarebbe sopravissuta…
    Se solo loro non si fossero messi in mezzo.
    - Numero tredici, giusto?- chiese Sora. In quel momento, nella sua mente ricolma di rabbia, il pensiero di abbracciare il fratello che non vedeva da mesi poteva aspettare. Il tredicesimo annuì. – Chi siete? – chiese soltanto.
    - Non ti aspetterai che riveliamo ad un moccioso i nostri volti, nomi e intenzioni… - sibilò con aria divertita il Nessuno. – Non importa se sei un Custode, non hai comunque la facoltà di comandarci –
    Sora non comprese le sue parole. Però capì che erano riluttanti nel mostrare il loro volto, che dovevano restare nell’ombra. Ma quella volta, tutti avevano mostrato il proprio volto, a Kalm. E Vexen aveva tranquillamente abbassato il cappuccio davanti a tutti, alzando quell’impenetrabile muro di ghiaccio.
    - Però ho la facoltà di guardare in faccia lo stronzo che ha fatto soffrire tutte queste persone… - ringhiò pensando scioccamente che magari, mostrando il suo volto, avrebbe potuto umiliare il nemico.
    Avvicinò la mano cercando di sfilare il cappuccio; riuscì appena ad intravedere un occhio azzurro, quando la mano grande e lunga del Numero XIII si strinse irremovibile al suo polso con movimento rapidissimo.
    - Fossi in te, non lo farei… - sibilò ancora il Nessuno storcendo il polso del ragazzo.
    - LASCIALO! – ordinò all’istante Squall mettendogli il Gunblade alla gola; ma il nemico fu rapido, e chinando l’intero torso, alzò rapidamente la gamba in un poderoso calcio al mento del giovane, che incassò atterrando accovacciato due metri più in là.
    Girando lentamente su sé stesso, il Nessuno, con nuovamente la lunghissima katana di due metri in mano, fronteggiò Squall.
    - I famosi SOLDIER di Midgar e i loro ufficiali, i SeeD – recitò con voce atona, la spada pigramente appoggiata sul terreno. – Spero sarete una sfida maggiore… - aggiunse come provocazione. Aveva lasciato andare Sora, che si teneva il polso spaventato. Allen, poggiato ad un albero e soccorso da Linalee, gemeva ancora, mentre un Esorcista raccoglieva il braccio con timore.
    A quello spettacolo, Squall divenne di pietra.
    - Ora vedrai – disse semplicemente mettendosi in posizione, entrambe le mani sul Gunblade posizionato davanti a sé.
    Con uno scatto, il Numero XIII caricò Squall restando a mezz’aria, lasciando attonito chiunque. Era come se avesse impresso una forza incredibile su un unico salto, restando perfettamente rasoterra, la lunga katana che strisciava sul terreno come un’ancora. Sferrò un calcio all’arrivo, che Squall evitò cercando di colpirgli le gambe; ma facendosi perno sulla spada, il Nessuno riuscì a saltare diversi fendenti del giovane capitano SeeD senza fatica. Nemmeno Squall sembrava impensierito.
    - Basta col riscaldamento, capitano – sillabò il nemico superandolo con un salto, quando le loro teste furono una speculare all’altra. Le due lame cozzarono, e Squall, improvvisamente, si trovò catapultato in aria; con un altro rapido salto, il Numero XIII gli fu addosso. Con difficoltà Squall parò tutti i colpi senza perderne uno, sfruttando i movimenti dell’avversario per spostarsi nell’aria; un altro scontro di lame lento e appesantito dalla gravità, quindi con un calcio il SeeD si trovò scaraventato sopra la foresta. Nello stesso momento che il Nessuno si dava un’altra spinta per attaccarlo, Squall puntò il Gunblade davanti a sé.
    Con un rombo infernale che tuonò per tutta la vallata, il Gunblade fece fuoco; l’avversario si frenò, rimbalzando all’indietro e cadendo sul campo.
    Squall cadde simultaneamente in mezzo agli alberi, rovinando in mezzo a ortiche e radici esposte.
    Ebbe un ringhioso gemito di dolore, alzandosi a fatica.
    C’era silenzio.
    Allarmato, riprese in mano il Gunblade e corse rapidamente attraverso la foresta, tagliando rami a cespugli veloce come il vento; saltò due radici e riuscì finalmente a intravedere l’edificio.
    Sentì uno sparo.
    Ma l’aveva colpito, ne era sicuro. Aveva mirato alla testa, lo aveva preso.
    Sì, non poteva essere sopravvissuto…
    Ma ciò che vide gli fece cadere ogni sicurezza.
    Suo padre, da solo, stava fronteggiando il Numero XIII, illeso, che menava fendenti parati con agilità dal braccio placcato in metallo di Vincent.
    - PAPA’! – scattò Squall; ma correndo scivolò in avanti, slittando su qualcosa di rotondo. Lo afferrò con gli occhi sgranati.
    Era simile ad un lungo cuneo dorato affusolato….
    Era il suo proiettile. Era stato deformato da due profondi solchi verticali appena separati.
    - Lo ha…. – boccheggiò. – Lo ha fermato… con i denti…? – realizzò sconvolto.
    Ma che cos’era quell’essere?
    E suo padre era in pericolo.
    Approfittando della distrazione dell’avversario, corse col Gunblade in resta, deciso a conficcarglielo nella schiena. Andava contro la sua morale, ma non poteva restare ad assistere ad una leale morte di suo padre. Il Nessuno cercava di sopraffare Vincent facendo pressione sul suo braccio artigliato; Squall colse l’occasione…
    La mano sinistra del Numero XIII scattò all’indietro, e il Gunblade di Squall deviò e slittò con un sibilo; il giovane capitano rimbalzò e cadde a terra sorpreso, arrancando di nuovo in piedi.
    Alla mano del Numero XIII, altrettanto lunga, era comparsa una seconda , smisurata katana.

    Sora aveva assistito alla scena senza fiato. Aveva visto il Nessuno scattare per poi rimbalzare all’indietro, cadendo perfettamente in piedi; poi lo vide sputare un cilindro dorato per terra, che realizzò essere il proiettile. Lo sguardo azzurro del nemico passò quindi su Sora, che imbracciò spaventato il Keyblade; ma Vincent si parò tra loro all’ultimo momento con un colpo di pistola. Senza una parola, i due iniziarono uno scontro di forza, che non vedeva nessuno vincere.
    Poi vide Squall, e la seconda katana…
    Il suo cuore ebbe un tonfo di sconforto.
    Non poteva essere… era praticamente invincibile…
    Il Numero XIII saltò su seguito da Vincent, che vibrava violente artigliate evitando agilmente, ma con fatica, i doppi fendenti delle lunghissime spade; in uno spazio aperto, quel mostro era invincibile…
    Sora?
    Senza capire, Sora realizzò di avere stretto tutto quel tempo il ciondolo a croce.
    Era… Roxas?
    Roxas…?
    Non aver paura, Sora. Puoi batterlo. Hai l’arma per batterlo.
    No, Roxas… io… non ce la faccio…
    Aveva paura. Troppa paura. E quell’essere… era troppo forte. I SOLDIER lo bersagliavano, ma quello era sfuggente come l’acqua, rapido come l’aria.
    Abbi fiducia in te, Sora. Tu hai qualcosa che lui non ha. E che desidera ardentemente. Tutti loro lo desiderano ardentemente.
    Il… Il Keyblade… no?
    Che se lo prendessero pure.
    No, Sora. E’ il cuore. Lo desiderano. Lo vogliono. Apri il tuo cuore, Sora. Mostragli la sua potenza. Fagli assaggiare il potere del tuo cuore, Sora!
    Il… mio cuore…
    Non capiva.
    Si rifiutava di capire.
    Che c’entrava il cuore con uno mostro armato di spade gigantesche?
    Ma non si rese conto che il suo Keyblade si mosse da solo, dritto e immobile, verso il Nemico.
    Attraverso la veste di Esorcista, sentì sulla pelle un calore forte e avvolgente, e un profumo nostalgico e inebriante. La mano libera stringeva il ciondolo quasi con disperazione, come se quel pezzo d’argento fosse una mano.
    Il suo cuore saltò un battito quando vide una mano sulla sua, che reggeva braccio e Keyblade. Riconobbe immediatamente la mano, il braccio, i vestiti grigio chiaro.
    - Ti aiuterò io. - sorrise Roxas. Reggeva l’arma saldamente, attraverso la mano di Sora. Il calore si fece quasi insopportabile. Il Keyblade sembrava mosso dall’unico istinto di colpire.
    ATTACCA, SORA!
    Roxas disse quelle semplici parole, e il ragazzo si trovò infuso di nuovo coraggio; niente più dolore, niente paura. Solo il desiderio di finire quell’incubo, di consegnare agli inferi uno di quegli esseri diabolici.
    Sora gridò a denti stretti, tenendo il Keyblade puntato di lato con entrambe le mani, la lunga asta e i denti della Chiave sembravano avvampare di una luce accecante; intravide attraverso il cappuccio il volto sgomento del Nessuno, che si scagliò su di lui con le spade posizionate a croce;
    E fu lo scontro.
    Mosso da un’abilità quasi sovrannaturale, il Keyblade di Sora rispondeva e attaccava, il ragazzo muoveva l’arma con maestria mai raggiunta. Il Numero XIII lo scagliò in aria come fece prima con il padre e il figlio, lo attaccò, ma Sora si muoveva praticamente in aria come se fosse il suo elemento, rispondendo ad ogni colpo. A tradimento, la seconda spada saettò sul fianco del ragazzo…
    E un lampo di luce la bloccò dissolvendola in fumo nerastro.
    Un altro Keyblade confuso nella luce comparve alla mano sinistra di Sora, e si unì alla Corona regale, che improvvisamente si illuminò di luce rossa come le fiamme del sole; Sora tirò un fendente potentissimo, che il Numero XIII parò a malapena finendo scaraventato al suolo. Fece appena in tempo a far ricomparire la seconda katana, che il ragazzo piombò dritto su di lui, perfettamente verticale, il Keyblade in fiamme; la pressione fu tale che i piedi del Nessuno affondarono nel terreno molle. Riuscì a farlo rimbalzare, ma il Keyblade vibrò un altro colpo spaventoso…
    Un lampo, e poi silenzio.
    Riku riaprì gli occhi, abbagliato.
    La Catena Regale giaceva a terra, inerte, sotto la mano di Sora, accovacciato e sfinito, che ansimava fissando l’avversario con odio.
    Il Numero XIII abbassò lentamente le due katane, che con un sibilo, si spezzarono; la lame caddero a terra in frantumi, lasciando solo le else in mano al loro padrone.
    - Tu…. – ringhiò minaccioso il Nessuno stringendo le else con collera.
    - Insomma, basta – gracchiò una voce dal nulla. Improvvisamente dozzine di proiettili bianco-rosati caddero sul campo come una pioggia di frecce; Vincent saltò via col figlio, Riku si riparò dietro i portone, Allen, ancora ferito, trascinò Linalee dietro un albero, riparando entrambi; Sora vide solo i proiettili, prima di un’ombra che maneggiava una spada gigantesca e larga deviando ogni proiettile. Si sentì afferrato per l’addome, mentre la pioggia continuava.
    Poi finì e comparve un altro uomo, alto e magro, quasi scheletrico, con due strane armi simili a lunghe lame blu-violette, dall’elsa circolare. Comprese che erano pistole perché l’uomo le teneva con leggerezza da impugnature situate sotto il cerchio dell’elsa. Un semicerchio sottile congiungeva la base della “lama” alla punta dell’impugnatura, e ad esso erano impiantati diversi prismi romboidali viola.
    Erano le armi più assurde che Sora avesse mai visto; non sembravano nemmeno pistole.
    L’uomo gracchiò una strana risata, avvicinandosi al Numero XIII.
    - Allora, ti ha pestato a dovere, vedo – disse continuando la sua risata.
    - Taci, Xigbar – ringhiò il numero XIII rancorosamente. – Non ho ancora finito –
    - Oh sì che hai finito – rettificò l’uomo chiamato Xigbar. – Il Superiore ti ordina di ritirarti all’istante. Se non lo farai, dovrò trascinarti –
    L’altro abbassò la testa.
    Le armi di dissolsero.
    - E va bene – rispose semplicemente. Guardò Sora, che rabbrividì improvvisamente. – Non farti uccidere… - disse solo, svanendo in una scia di fumo nero che schizzò nel cielo, assieme a Xigbar.
    Il vento tornò a soffiare, come un sospiro di sollievo.
    La battaglia per l’Ordine Oscuro era finita…
    - Tutto a posto, Sora? – disse l’uomo che l’aveva salvato.
    - Ehm… sì – disse guardandolo con attenzione. – Ah, ma tu sei Zack Fair! Il vice di Squall! – realizzò con un sorriso.
    - Ti ricordi di me! – disse Zack sobbalzando di gioia, sebbene i lunghi e puntuti capelli neri fossero rimasti immobili: solo la sottile e lunga ciocca nera piegata in avanti si mosse. – Sei stato fenomenale, Sora! Voglio dire, hai praticamente fatto… -
    Ma Sora non sentiva più le parole di Zack. Il braccio sembrò bruciare, e non era il calore di prima.
    Gemette di dolore accasciandosi a terra.
    - Sora! Sora! – chiamò Zack, ormai una voce lontana. Tutto divene buio, incerto.
    Sentì un tramestio di voci appannate, di nuovo.
    Tornerò presto.
     
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  13. xander.XVII
     
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    uau! It is a nais end a fantastik ciappi!
    mai compliments ! :ahsi:
    Bravo, bel capitolo, anche se sembrava che il XIII fosse kaputt
    Pareva troppo bello che il fighetto Sora fosse in difficoltà =ç=
    Comunque ottimo capitolo, interessante e piacevole da leggere!
    gùd
     
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  14. Nyxenhaal89
     
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    Ed eccoci al tredicesimo capitololo. E no, non si parlerà di Roxas (umorismo del cavolo) comunque, grazie a tutti per aver letto e a Xander per aver commentato; per quanto riguarda Kakuzu, dovrai attendere un altro paio di capitoli, devo informarmi su alcune cose al riguardo XD a presto e buona lettura! ^^

    13: La Promessa di Allen

    Cross prendeva un meritato caffè con sigaretta annessa, dopo il trambusto delle ore prima. Aveva abbandonato il lungo impermeabile nero su una sedia davanti alla scrivania, e stravaccandosi sulla propria poltroncina da ufficio, mise le gambe sul tavolo, sorseggiando il caffè di Linalee con aria rilassata.
    Un sorso, una boccata.
    Un sorso, una boccata.
    Era vero, che certe volte la felicità si raggiungeva tramite piccole cose. E una bella sigaretta su un campo di battaglia che ti ha visto vincitore, era una GRAN cosa. Quindi felicità doppia, a rigor di logica.
    Ma gli eventi avevano preso una piega inaspettata. Quel maledetto figlio di Vincent, che gli Akuma se lo trascinassero all’inferno, stava di nuovo male. Erano passati sì e no un paio di giorni da quando si era alzato dal letto; che gli era preso stavolta? L’infermiera però non lo volle; e così ora Komui stava accuratamente vivisezionando il ragazzo, metaforicamente parlando.
    Credeva, almeno.
    Sora aveva respinto quella creatura, che aveva così facilmente sconfitto i suoi migliori Esorcisti. Aveva distintamente percepito che nell’aria c’era qualcosa che non andava. Quando Sora iniziò l’attacco, tutto si era fatto pesante, come se ci fosse qualcosa di troppo forte da reggere; sembrava che uno tsunami si fosse abbattuto su un castello di sabbia.
    Non sapeva cosa rispondere e cosa rispondersi. E ammetteva a sé che aveva un certo timore a tenere una potenziale bomba a orologeria nel suo quartier generale, scampato miracolosamente ad un attacco tanto feroce.
    Un bussare interruppe i suoi pensieri.
    - Avanti – disse finendo il caffè. La sagoma rossa di Vincent entrò nell’ufficio.
    - Squall ha terminato il giro di perlustrazione. Non ci sono altri Nessuno nel raggio dell’Ordine Oscuro – disse il padre di Sora con voce rauca e pensosa.
    - Bene. Finalmente una buona notizia – rispose Cross con un sospiro. – E’ un mese che ci assediavano –
    - Marian – disse semplicemente Vincent.
    - Ho perso più di quaranta Esorcisti e altri venti sono feriti – rapportò tra sé Cross. – Tra una cosa e l’altra, riuscirò a spillare qualcosa dall’assicurazione dell’Ordine… -
    Vincent non rispose, fissandolo con autentico disgusto coi suoi occhi rossi e freddi.
    - Per non parlare delle spese di ristrutturazione e sostituzione dei macchinari… - continuava tra sé Cross incurante dell’ospite.
    - Sora? – disse atono Vincent.
    - Sì, sono sicuro che ne verrà fuori un… -
    Vincent sbattè la mano artigliata sulla scrivania, affondandovi fino al polso. Fissò Cross negli occhi senza la minima emozione, sebbene nel fondo dei suoi occhi covasse rancore. Cross spense la sigaretta sulla spalla di Vincent, gettandola via.
    - Tuo figlio sta morendo – disse Cross fissandolo senza scomporsi. – Komui ha detto che non gli rimangono più di dieci ore di vita – nel volto di Vincent si fece evidente una maschera di dolore.
    - Dieci ore? – ripetè sconvolto. – Com’è possibile? Che cosa gli è successo? –
    Cross sospirò, sistemando gli occhialetti rettangolari sul naso con fare stanco.
    - Immagino tu sappia che persino noi Esorcisti abbiamo certi limiti – esordì sedendosi e mettendo i gomiti sulla scrivania, col viso dietro le mani messe a piramide. – Esistono due realtà, almeno nella nostra dimensione: il nostro Mondo – aprì la mano sinistra, mettendola orizzontalmente – e l’Oltremondo – fece lo stesso con la destra. - Credo sia superfluo dire dove stiano i vivi e dove i morti – aggiunse serio. Vincent annuì senza fiatare. – Tra i due Mondi c’è un sottile confine spirituale che nessuno può oltrepassare al di là delle proprie capacità. Credo tu sappia la storia dei Monaci dello Spirito –
    - Erano Monaci che riuscivano a legare a sé le anime dei morti, per guidarli verso l’entrata dell’Oltremondo – riassunse l’uomo fissando Cross.
    - Esattamente. E’ un po’ lo stesso principio su cui si basano gli Invocatori di Spira. Noi Esorcisti invece usiamo molte volte la forza, per liberare un’anima dal giogo degli Akuma – proseguì il Generale. – Ad ogni modo, tutti noi sappiamo che dobbiamo limitare al minimo possibile i contatti con le anime dei morti –
    - Immagino di sapere perché – disse Vincent.
    - Le anime dei morti sono dannose, per il mondo dei vivi – disse Cross scuro in volto. – Nonostante tutte le buone intenzioni che si possano avere, uno spirito è fatto per abitare un corpo. Il che vuol dire… -
    - Qualunque essere vivente tocchi uno spirito… - realizzò sgranando gli occhi. – Aspetta. A Sora… è successo questo? –
    Cross si alzò, mettendo le mani dietro la schiena. Camminò greve verso la finestra, fissando la luce di mezzogiorno con i suoi occhi color rubino.
    - Komui sta ancora studiando il fenomeno. Sul braccio di Sora è comparsa una macchia, che si è rapidamente allargata giungendo ad invaderlo fino alla spalla – spiegò. – Non sa come sia stato possibile un tracollo così rapido. Ma sulla provenienza non ha dubbi. Il ragazzo ha toccato uno spirito –
    Vincent ammutolì. Non riusciva proprio a sapere cosa dire, come intervenire. Lui era un uomo pratico, non credeva a spiriti, fantasmi e folletti. Lui credeva unicamente a ciò che poteva essere perforato da un proiettile.
    - Non c’è nulla che si possa fare? – chiese, come un genitore al medico che aveva in cura il figlio dopo un incidente stradale mortale.
    - Miranda Lot si sta occupando di bloccare l’infestazione con i suoi poteri temporali. E’ chiaramente un semplice palliativo; il blocco sarà spezzato nello stesso istante in cui Miranda smetterà di concentrarsi – rispose Cross girandosi leggermente. – E a quel punto, cominceranno le ultime dieci ore di Sora. Noi Esorcisti non abbiamo rimedi per questo. O meglio, li avremmo, ma trattandosi di una Chiave, l’amputazione di un arto o la morte non sono possibilità contemplate nelle modalità di cura –
    - Non potreste estirpare via quell’anima? – chiese Vincent.
    - Il principio si ricollega all’incirca alla simbiosi di Allen con la sua Innocence. L’unico problema, è che in questo caso le forze in simbiosi non si equivalgono. Ti spiegherò in modo molto semplice – prese una bottiglia e un bicchiere di vetro verde. – Il corpo umano è un involucro vuoto, che ha come unico scopo quello di ospitare l’anima creata per sé. Ogni anima ha una sua “forza”, un suo potenziale, una sua “grandezza”, per intenderci. Questo bicchiere – disse riempiendo lentamente il contenitore di vetro fino all’orlo – ha una capienza massima di un quarto di questa bottiglia. Quando un corpo “pieno” entra in contatto con un’anima libera, possono accadere varie cose, tutte dipendenti dal grado di conoscenza tra le due anime. Ad esempio, se io toccassi un’anima di qualcuno che non conosco, non potrei davvero entrarvi in contatto; viceversa, se io incontrassi l’anima di una donna che ho amato, potrei addirittura cederle il mio corpo –
    Vincent iniziò a realizzare la gravità della situazione.
    - Ma un corpo non può ospitare realmente due anime. Quindi, l’incontro tra due anime amanti, finisce così – concluse il suo discorso riversando tutto il contenuto della bottiglia nel bicchiere, che straripò riversando mezzo litro d’acqua sulla scrivania e sul pavimento.
    - Quindi il corpo di Sora ospiterà una nuova anima? – riassunse Vincent.
    - Dipende dalla “grandezza” dell’anima in questione. Dato il potere che ha sprigionato, quando lo scambio sarà completo, è probabile che il corpo di Sora si frantumerà – disse greve Cross allontanandosi dalla scrivania inzuppata.

    Vincent lasciò l’ufficio di Cross con la testa ricolma di preoccupazioni. L’idea di perdere il figlio lo terrorizzava, sebbene il suo volto non lo lasciasse intendere. Squall era ancora fuori e non sapeva nulla… Meglio così.
    Estrasse il cellulare. Pensò di chiamare a Lucrecia, lei, coi suoi studi su Omega e sul Lifestream, il flusso vitale che permetteva al Pianeta di vivere, avrebbe sicuramente avuto la risposta. Ma ripensandoci, la mancanza di campo dovuta allo scarto epocale tra quella zona e Midgar lasciava poco spazio a simili speranze.
    Ma dove andare, a quel punto? Se nemmeno gli Esorcisti potevano liberare Sora da quel parassita, chi avrebbe potuto farlo?

    Magari usando l’Arca?
    L’Arca Bianca, dove Allen stava ristabilendo il suo braccio, aveva già salvato molte volte l’Ordine Oscuro. Perché non usarla di nuovo?
    Forse avrebbe funzionato anche con Sora. Avrebbe cacciato via quell’anima che lo invadeva.
    E pensandoci bene…. chi poteva essere?
    Cross aveva detto che solo anime molto “intime” avrebbero potuto unirsi in quella specie di simbiosi parassitica. Quindi…
    Sora era innamorato.
    Incredibile a dirsi; lui, che non accettava mai nessuna delle ragazze che gli chiedevano un semplice appuntamento, rifiutando chiunque solo per restare accanto al suo gruppo.
    Avrebbe chiesto molte cose a Sora. Ma intanto doveva salvare suo figlio.

    Naminè stava in piedi davanti al lettino dove Sora, pallido in volto, ansimava a occhi serrati. Era ancora incosciente, spinto a muoversi unicamente dal dolore atroce che provava. Restava apparentemente calmo per alcuni minuti, per poi riprendere a contorcersi per diversi quarti d’ora. Al braccio destro, esausta, Miranda concentrava i suoi poteri per cercare in qualche modo di frenare la violenza di quell’anima parassita, che ormai aveva totalmente invaso il braccio di Sora, diventato bianco come la neve.
    - Perché fai questo, Roxas… - mormorò Naminè con un braccio davanti all’addome, e l’altro che teneva un piccolo ciondolo tra le clavicole. Come al solito, la ragazza aveva lo sguardo perso nel vuoto; fissava, apparentemente, il pendente di Roxas, la croce puntata. Era bruciacchiato, come se fosse stato buttato tra le fiamme. Komui trafficava con alcuni marchingegni nell’altra stanza. Si sentiva un forte odore di caffè.
    - Naminè, cosa senti? – chiese Miranda quando Sora si calmò di nuovo.
    - Tristezza… - disse semplicemente Naminè.
    - Miranda, se vuoi… - intervenne Komui sporgendosi dall’ufficio.
    - No, Komui. I tuoi macchinari non possono fermare questo parassita come la mia Innocence, ma grazie per l’offerta. Una volta tanto che riesco ad esservi utile… - aggiunse con lo sguardo basso. – Darò il meglio di me –
    Continuò a tenere le mani sul braccio di Sora, incurante della stanchezza. Sorseggiò dell’altro caffè e si rimise al lavoro.

    Vincent entrò nell’Arca Bianca.
    Aveva già visto un’altra volta la strana città che vi compariva all’interno. Quasi un luogo a metà tra realtà e illusione, la città che sorgeva nell’Arca era fredda, e al tempo stesso sembrava brulicare di una vita inesistente. Allen gli aveva raccontato che tempo prima quella città era diversa, e persino il sole era ben visibile, come fosse davvero un mondo a parte; ma ora, a causa della corruzione portata dai Nessuno, nemmeno l’Arca si era salvata da un cambiamento profondo. In un bianco asettico, simile a fumo, i palazzi della città affioravano dal selciato nero delle strade come silenziosi guardiani d’argento. Linee di marmo bianco segnavano le strade, sotto un cielo cosparso di nebbia perlacea. Se davvero l’Arca Bianca era un luogo di pace, questa era ormai parecchio assente.
    Cosa poteva cambiare così tanto persino un luogo al di là dello spazio e del tempo?
    I suoi passi, senza che se ne accorgesse, furono cadenzati da una melodia, dolce e trascinante. Era il suono di un pianoforte, malinconico, eppure al tempo stesso gli riempiva il cuore di speranza. Era impossibile da descrivere, in quel momento. Era come se il suo cuore si riempisse di una tristezza spazzata via da nuove idee, nuove certezze. Attraverso una semplice canzone, si affrontava un problema e si trovavano le soluzioni.
    Possibile?
    Possibile che bastassero delle note, perché improvvisamente le cose quadrassero?
    Eppure, ora tutti i suoi pensieri convergevano in un unico punto.
    Sui Pastori d’Anime.
    Gli Invocatori di Spira.

    La musica continuava per minuti interi simili a un sogno. E persino lui, che tra i Turks veniva chiamato “Il Cerbero”, veniva ammansito dalle dolci note che Allen suonava ininterrottamente. Già una volta il ragazzo gli aveva detto che in quel modo curava le proprie ferite, e pensava, trovando possibilmente delle soluzioni.
    Con i nuovi poteri conferitigli dalla distorsione, Vincent effettuò un lungo salto che lo portò di fronte al palazzo da cui veniva la melodia.
    Entrò piano, per non disturbare Allen, ma questi l’aveva già visto fuori dalla finestra; il suo braccio era riattaccato al resto del corpo, ed era lasciato scoperto dal pigiama bianco dell’ospedale. Non appena vide Vincent entrare, smise e si voltò, fissandolo con un sorriso. L’occhio era stato bendato accuratamente con garze bianche; era visibile una lieve impronta di sangue rappreso nella parte inferiore, mentre le legature si congiungevano dietro la nuca del giovane Esorcista. Portava altre fasciature un po’ dappertutto, abbastanza leggere, tranne una ben visibile dalla zona scoperta delle clavicole, a quanto pare dovuta ad un taglio diagonale.
    - La vedo in pensiero, signor Valentine – disse Allen.
    - Lo sono – confessò Vincent. – Credo tu abbia già visto Sora –
    Annuì. – Sì, l’ho visto. Komui mi ha fatto stare poco tempo, ma non mi è sembrato per niente che stesse bene – Vincent abbassò lo sguardo.
    - Mio figlio morirà prima di domani. – disse seduto sul divano vicino al pianoforte, con la mani giunte tra le gambe e la testa bassa; Allen spalancò gli occhi(o meglio l’occhio) stupefatto. Gli scappò una sorta di sbuffo che doveva essere una risata sarcastica. – Non è assurdo? Nella sua vita non ha mai preso nemmeno un raffreddore, e adesso… sta morendo per qualcosa che non posso spiegare… -
    - Non possiamo razionalizzare tutto, signor Valentine… ci sono cose che vanno oltre la nostra comprensione – rispose malinconico Allen. – E io lo so –
    L’uomo sorrise con occhi tristi e inespressivi.
    - Devo mandarlo a Spira – disse.
    - Gli Invocatori, vero? – indovinò Allen. – Le loro conoscenze in materia spirituale sono di gran lunga più vaste delle nostre, ma… perché? –
    - Credevo lo sapessi – replicò stupito Vincent. Allen scosse lievemente la testa, con la curiosità nello sguardo. – Sora ha toccato uno spirito molto potente. E’ per questo che ha sconfitto il Numero XIII –
    - Be’, ma allora gli dovrebbe restare solo un’impronta… -
    - Solo se avesse toccato uno spirito a cui non era sentimentalmente legato… -
    - Allora… - realizzò Allen. – Sora ama quello spirito? –
    Vincent annuì. – E ora le loro anime sono connesse, sembra tramite il ciondolo a croce che portava sempre… - spiegò. – Quell’oggetto apparteneva ad un ragazzo che…. sì, Sora amava –
    Allen sembrò sciogliersi a quelle parole.
    - I loro spiriti sono legati dall’amore, dunque… - mormorò. – E’… è bellissimo… - apprezzò commuovendosi leggermente.
    - Ma questa cosa bellissima sta uccidendo mio figlio, Allen. E non posso permetterlo. – troncò nettamente Vincent.
    - Lo so – disse il ragazzo ricomponendosi. Toccò il proprio braccio, pensoso. – Poco fa, quando ero andato a trovare Sora, avevo visto che nel momento esatto in cui entrai nella stanza il suo affannò si placò – ricordò.
    - Cosa vuoi dire? – chiese Vincent in allerta.
    - La mia Innocence, è sempre stata… strana. Non ha mai “funzionato” come le altre. In base a tante cose, cambiava e cambiava. Anche ora, durante la battaglia, ha assunto una forma completamente nuova. Solitamente la spada dovevo “estrarla” dal braccio, per così dire – spiegò lentamente Allen fissando il proprio braccio. – Però, da quando sono arrivati i Nessuno, anche il suo aspetto sta cambiando. Il rosso sta lentamente sbiadendo, e qua e là è visibile qualche venatura d’argento. Io… - disse – io non so dire se c’entra qualcosa con Sora, ma sono sicuro di aver sentito il dolore che provava, e in qualche modo, il mio braccio… la mia Innocence… gli ha dato sollievo! – esclamò affannato voltandosi di nuovo verso Vincent.
    Vincent si alzò. Sembrava improvvisamente invecchiato di quarant’anni. Si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla con fare paterno.
    - Sei sicuro di ciò che dici? – disse guardandolo con attenzione. Allen annuì convinto.
    - Se posso fare qualcosa… qualunque cosa… -
    - Ho ordine di tornare a Midgar con Squall e suoi SOLDIER – esordì Vincent camminando nella grande stanza bianca. – Rufus Shinra ha esteso a l’invito a tutti gli Esorcisti. Non vi lasceremo da soli –
    - Non c’è alcun problema, comincerò subito il trasferimento dell’Arca.. – assicurò Allen senza capire.
    - Io non posso seguire mio figlio, e non so se Altair arriverà in tempo – proseguì l’uomo. – Nemmeno usando le porte dell’Arca arriverebbe in tempo. Quindi… -
    - Se devo usare la mia Innocence per impedire a Sora di morire… - interruppe Allen alzandosi dal pianoforte deciso – lo farò. Non si preoccupi, signor Valentine. Io… non permetterò che Sora muoia! –

    Miranda non resse più lo sforzo.
    Dopo poche ore, cadde esausta sul pavimento, piangendo.
    - Mi dispiace… mi dispiace ragazzi…- disse in lacrime, carponi. – Io… non posso continuare… -
    - Non… preoccuparti… - disse Sora riprendendosi momentaneamente.
    Lo vedeva, lo vedeva distintamente… Vedeva Roxas, seduto accanto a lui, che stringeva la sua mano bianca. Piangeva. Roxas piangeva.
    Perdonami…
    Ma Sora cercava di rassicurarlo, ormai debole e stanco.
    - Tra poco ti raggiungerò… tra poco il mio cuore sarà in pace… - sorrideva.
    - SORA! – urlò Xion scuotendolo. – Non puoi! Non puoi! – in quella stanza erano tutti in lacrime, come ad una veglia funebre. Solo Riku reggeva, sebbene a fatica, tutto quel dolore. – Non devi arrenderti! Roxas… -
    - Roxas è morto perché noi vivessimo, Sora – disse Kairi seria. – Non puoi lasciarti andare. So che non riesci a sopportarlo nemmeno adesso, ma devi farlo! – esclamò frustrata.
    Non devi raggiungermi, Sora. Non devi. Hai un compito da portare a termine… e soprattutto, lasceresti troppe persone qui, solo per me .
    Le suppliche di Roxas non lo raggiungevano. Niente lo raggiungeva. Ora che Miranda aveva lasciato andare l’infestazione, sentiva il proprio corpo sempre più freddo, sempre più… dall’altra parte. Lo sentiva, presto sarebbe finita… ormai non provava più neanche un vero e proprio dolore. Era triste perché a breve, tutto quello per cui aveva lottato sarebbe finito. Ma era felice, perché avrebbe finalmente rivisto Roxas.
    Ma lui voleva davvero andare via?
    Non aveva forse promesso di rifarsi una vita? Sì, ma non c’era riuscito… Non era riuscito a fare nulla. Era sempre allo stesso punto, dopo mesi.
    Tutt’intorno non si parlava che di morte, di salvare il mondo, di mostri che volevano ucciderli… ma lui voleva solo tornare indietro. Voleva solo tornare a scuola. Voleva solo… amore.
    Non voleva nessun Keyblade, nessuna guerra, nessuna maledetta Organizzazione XIII…
    Si sentiva sempre più freddo, ormai. Anche la spalla e buona parte del torso sembravano congelate dall’interno. Percepiva un legame sempre minore con il mondo…
    Poi tutte le voci tacquero.
    Proprio quando chiudeva gli occhi aspettando la morte in silenzio, sentì un nuovo calore fluirgli in corpo.
    - Su quanto ho di più caro al mondo… - disse una voce. Una voce sola, flebile, che penetrò nelle sue orecchie. Tutto il suo corpo gelido sembrava improvvisamente investito da un tepore sconosciuto, che gli inondava le vene, diffondendosi come un fiume straripato dagli argini. Una sensazione fortissima e stupenda, che gli fece d’un tratto risentire i suoni, gli odori…
    Quando recuperò pienamente la vista, vide sopra di sé il volto di Allen, sorridente, che lo abbracciava.
    - Allora funziona – disse felice l’Esorcista.
    - A…Allen… -
    Erano soli. Il laboratorio di Komui era vuoto.
    - Torneranno presto, li ho mandati a prendere qualcosa da mangiare – spiegò. – Dovevo restare da solo con te. Dovevo vedere…. ero sicuro. Sapevo dentro di me che avrebbe funzionato –
    - Ma… ma di cosa parli? – chiese Sora, sentendo la mano di Allen sulla sua.
    - La mia Innocence, Sora… la mia Innocence può salvarti. Può tenere quello spirito a bada! – esclamò Allen in festa.
    Sora non sembrò particolarmente contento.
    - Quindi… potrò vivere? – chiese in tono incerto. Allen comprese al volo.
    - Se è stato il tuo amico stesso a dirti di non raggiungerlo…. non devi. Sora, abbiamo bisogno di te qui. Solo le Chiavi, a quanto pare, possono battere quei maledetti Nessuno. Devi andare avanti… - esortò.
    - Me lo dite tutti – protestò Sora. – Ma non è affatto facile come credete! –
    - Credi che non lo sappia? Che non sappia cosa si prova a perdere una persona cara? – replicò pacatamente Allen. – Ma sono ancora qui. Ho dovuto farmi forza per un bene superiore. Ci sono tante cose per cui si deve vivere, Sora. Hai la tua famiglia, i tuoi amici… non tutti sono stati fortunati come te. Quindi… - Gli prese la mano un tempo fredda tra le proprie. – Smetti di desiderare la morte, Sora. Apri gli occhi, e metti un piede dietro l’altro. Senza accorgertene, ti ritroverai nuovamente felice… o almeno, più sollevato dai pesi che danno i dolori della vita – sorrise dolcemente.
    Sora annuì, triste.
    Respirò profondamente un paio di volte, prima di riguardare Allen negli occhi. - Allora… mi hai guarito? – chiese timidamente. Non sapeva perché, ma quel ragazzo gli incuteva un grande rispetto.
    - No – negò Allen abbassando lo sguardo e anche la mano di Sora. – Non ancora. Ho ricacciato indietro lo spirito, ma è ancora nel tuo corpo. Dobbiamo portarti a Spira. Gli Invocatori sapranno cosa fare –
    - Verrai con noi? – domandò il Custode alzandosi a sedere.
    - Devo, per impedire a quell’essere di distruggerti – rispose serio l’Esorcista. Gli riprese la mano, alzandosi in piedi. – Io, Allen Walker, giuro solennemente di proteggerti a costo della vita, finchè la maledizione dal tuo corpo non sarà annullata, e la tua vita sarà nuovamente sicura – recitò sereno, ma visibilmente impacciato.
    - …eh?- interruppe Sora con un sorriso limpido in volto. – Non sono mica una principessa! – esclamò ridendo.
    Allen arrossì visibilmente.
    - Erano…. erano le prime parole che mi venivano in testa… - si giustificò sinceramente. – Volevo… ehm… farti capire che avrai tutto il mio sostegno… -
    Sora lo abbracciò stretto, felice. – Grazie, Allen… - disse semplicemente con voce rasserenata.
    Allen ricambiò.
    - Te lo prometto – rispose.
     
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  15. Nyxenhaal89
     
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    Il quattordicesimo è quasi pronto ^___^
     
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