Chronicles of Teheran

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  1. MrKratos9
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    Genere: Avventura.
    Titolo: L'ombra di Tekran
    Autore: MrKratos9
    Rating: Orange (O)
    Warning: Violenza, Morte, Sesso, Linguaggio colorito.
    Trama: Nel continente di Teheran, il cui ordine interno è minacciato da lotte intestine e complotti sanguinari, è sconvolto dal ritorno dei draghi, ritenuti estinti da secoli, e dei loro acerrimi e leggendari nemici, le viverne. Ragazzi di tutto il mondo scoprono di avere in comune un tatuaggio misterioso e il compito di debellare la minaccia, a costo anche della propria vita.
    Wordcounter: Ancora in corso, aggiornerò alla fine.

    Niente da dire, spero di essere seguito e di piacere, dato che ho lavorato molto su questa storia... Le ispirazioni sono tante, i risvolti narrativi ancora di più... L'inizio di una Trilogia di cui ho già pianificato tutto, o quasi xD

    Primo capitolo

    Il pallido sole si era appena riparato dietro la nuvola più vicina, grigia e ferrigna come le pietre che componevano le possenti mura di quel castello, il castello di Stark. Sulle difese perimetrali camminavano a testa bassa, chiacchierando, due figure interamente vestite di nero; una di queste più piccola dell’altra e visibilmente più giovane: il volto trasognato, incorniciato da una massa di capelli castani spettinati, i grandi occhi color nocciola, i lineamenti da adolescente, il naso a punta e la bocca sottile. L’altro, la zazzera nera ma lunghi e sciatti, che mostravano anche un accenno di capelli bianchi, il naso così lungo che la sua punta scarlatta finiva sul labbro inferiore, curvato all’infuori a mostrare i denti gialli, la barba incolta e le guance rosse, simbolo dovuto al perenne stato d’ubriachezza. Erano tutti e due avvolti in un’armatura nera, con le borchie argentate, dotati di una spada ed un’alabarda corta. Il ragazzo, mostrando un largo sorriso, alzò la testa e chiese: - Che ore sono, Dirk? -. L’altro, colto alla sprovvista, sbuffò e, guardando la torre maestra, rispose secco. – Mancano dieci minuti all’ora di pranzo. - - E già sei ubriaco? Ringrazia il volere di Gyter, che non fa volare nemmeno una folata di vento, altrimenti per come barcolli voleresti come un leggerissimo fuscello. Moriresti sul lavoro, e poi farebbero pagare la tua famiglia per questo. La povera Anna rimarrebbe vedova, con due figli da sfamare. – rise il ragazzo. Dirk, sorridendo, gli mollò un ceffone sul collo. Gli era simpatico Connor. Era uno dei suoi pochi amici. – Sta zitto, piccolo sbarbatello! Ico e Shad se la saprebbero cavare benissimo! - - Pensa se invece di morire cadessi dalle mura e ti rompessi solo le gambe. Staresti a letto per un bel po’ e, se Ico ha preso da te, dopo la scuola piangerebbe come un ossesso per distrarre il custode e la maestra, e Shad ruberebbe le riserve di idromele e le chiavi della signorina Thumèf. Per portarteli a casa. – vagò con la mente Connor. Faceva la guardia di re Jaden Ulster, il quarto del suo nome, da quando i suoi genitori erano morti, ed aveva deciso di adottare lo stesso mestiere del padre, ovvero quello della sentinella di ronda.
    Se ne accorse solo quel momento, mentre guardava a testa chinata, di essere giunto nei pressi di una torre di guardia, sulla base della quale si trovavano dei fiori bianchi, i famosi Yoth di Stark. Suo padre Luis era morto lì, o perlomeno era da lì che si era gettato nel vuoto, oppresso dal suo lavoro e dalla sua vita che riteneva priva di ogni significato. Quando si buttò, urlò di essere libero, ed il riverbero del grido ed il suo eco, carichi di dolore, giunsero alle orecchie di sua madre, Zara, che si buttò dalla finestra della casa, schiantandosi sulla strada. Connor stava giocando a palla, quando si fece largo in un nugolo di persone che sciamavano dentro e fuori da quel cerchio che avevano formato intorno al suo corpo, e la vide, in tutta la pena per il corpo della madre, amorevole e caldo, schiantato al suolo, con una lacrima che ancora scendeva sul suo volto roseo. Aveva deciso di morire indossando l’abito bianco del suo matrimonio. – Si, e lo nasconderebbero ad Anna, ma lei poi li scoprirebbe e mi farebbe la predica. – concluse con gli occhi al cielo. Poi si rivolse a Connor. – Ehi, Ilion, hai parlato di chiavi? – continuò marcandone il cognome. – Si, Moriaey. Non sapevi forse che la signorina Thumèf è la moglie di quel bellimbusto di Ser Kent, il proprietario de- disse Connor. - --lla Birreria Kent. Giusto, nanerottolo. – realizzò Dirk, sognante. – E adesso stai pensando all’interno della birreria, vero? Ti conosco fin troppo bene. – sorrise il giovane. – Giovinastro mio, sto pensando a due cose in questo momento. Le sudice profondità della birreria Kent e le setose cosce della Signora Kent. Forse dovrei farmi consegnare veramente le chiavi da Shad e Ico, ed intrufolarmici la notte stessa. E tu verresti con me. – disse l’uomo cominciando a fare congetture. – Sogni di un vecchio ubriacone; ricordati che sono astemio. – respinse la richiesta Connor. – Agiamo in due: io passo da un barile all’altro, e tu ti fai la signorina Kent. – propose Dirk. – Ammetto che non mi dispiacerebbe affatto, ma non posso. Lei è la maestra di mia cugina Farah, e se poi la trattasse male per colpa mia… - cominciò Connor. – Che succederebbe, sentiamo! – sfidò Dirk. – Mio zio mi ucciderebbe, e poi farebbe rapporto al re, e lui mi toglierebbe l’incarico, e… - continuò Connor. – E poi basta! Pensi troppo al futuro, Connor! Nelle nostre condizioni di guardie, o si vive da pecore codarde o si muore da leoni nelle battaglie. Per te è facile fottertene, non hai un cazzo di nessuno, io invece sono sposato ed ho due figli. E guardami: non ci penso nemmeno! – sbottò l’uomo allargando le braccia. – Grazie al cazzo che non ci pensi, sei ubriaco lercio da una mezzanotte all’altra! – rimbeccò secco l’altro. – Piccoli dettagli che non cambiano le cose, ragazzo. – disse in fretta, arrivando ad un posto di blocco che, se superato, dava su una speciale fila di mura che dava sulla bocca nera e cinerina di un vulcano, il Monte Fato. C’era una guardia tutta imbrattata di cenere, coperta dalla sua armatura rilucente di grigio. – Nomi, prego. Non posso far andare tutti gli idioti sulle pendici del Fato. – chiese la guardia. – Siamo le sentinelle Dirk Moriaey e Connor Ilion, della Terza Ronda Mattutina. – dichiarò Dirk. La guardia, borbottando, si scostò e li lasciò passare, ed i due camminarono guardando dentro la bocca del vulcano la lava gialla e rossa ribollente, con le bolle di magma che scoppiavano ed emanavano odori fetidi che salivano fino in cima alle torri più alte della città.
    - Cosa ne pensi della vita? – chiese Dirk in us sussurro, fermatosi sul ciglio del vulcano. – Non so, penso sia… giusta… tu? – azzardò Connor. – La vita è brutta, tutt’altro che giusta. – la voce di Dirk,atona, traspariva dolore. – E’ tutto uno schifo. – continuò – La gente muore per mano di altra gente, i vivi si aggirano derubando i vivi dell'essere vivi. Evaporando nella loro follia, uno ad uno. Ognuno con i suoi fantasmi distorti dalla mente, dalla fame. La prima cosa ingiusta siamo io e te. La seconda i tuoi occhi, la terza il pensiero. La quarta è la notte. La quinta i corpi straziati. La sesta è fame, fame che cresce dentro, e morte alla gola. La settima è l’orrore che verrà, l’odore fetido dei fantasmi delle follie che fioriscono su questo massacro. I corpi dappertutto, sangue raggrumato, ferite straziate e slabbrate, labbra squarciate, un selciato d’agonia. Come la mia vita, essa stessa un’agonia. E la termino ora. – disse Dirk gettandosi nel vuoto del vulcano.
    Colto alla sprovvista, Connor ebbe la fermezza di riflessi di riuscire ad agguantare il braccio di Dirk e, lottando per la corporatura, riuscì a ritirarlo su ed a sbatterlo al suolo, sbraitandogli in faccia. – Cosa cazzo volevi fare? Cosa cazzo avevi intenzione di fare, Dirk? - . Connor era paonazzo. Sorridendo, Dirk si alzò. – Sapevo che mi avresti preso al volo, Connor! – esplose in una risata. – Vuoi dire che era una prova sulla mia buona fede e sui miei riflessi? – chiese il ragazzo, quasi disgustato. – Esattamente. – allargò ancor più il sorriso il vecchio ubriacone. – E se non fossi stato abbastanza pronto? – chiese Connor. – Ti avrei maledetto mentre mi scioglievo nella lava. – rispose lesto Dirk, pulendosi il panciotto. Con un atteggiamento baldanzoso, l’uomo sfoggiò a Connor un sorriso a trentadue denti ( giallastri ), e mosse il piede in avanti per cominciare a camminare per continuare la ronda, ma il suo corpo fu sbalzato all’indietro. Connor rimase a bocca aperta: mentre il corpo inerte dell’uomo volava, il ragazzo riuscì ad intravedere ciò che aveva originato quell’urto. Nelle maglie dell’armatura vi era una freccia, interamente nera, dall’impennaggio alla cuspide. Dirk aveva ancora il sorriso sulle labbra, l’ebete riso di un uomo destinato ormai a morire. Il suo corpo ricadde con un tonfo metallico nella bocca del vulcano. Connor, a bocca aperta, rivide nella caduta di Dirk quella del padre; lottando a denti serrati contro quella visione maligna, vide la guardia con l’armatura sporca di cenere che aveva ancora la balestra in mano: era lei che aveva scoccato quella freccia. Connor sguainò la spada, correndo verso la sentinella assassina, che scappò raggiungendo l’estremità delle mura. Stava scappando, ma improvvisamente si fermò, e con lui Connor. La guardia si volse verso di lui, con la balestra pronta a scagliare il dardo anche su Connor. Il tempo si fermò per un attimo: da dietro la torre, apparve una figura dalla consistenza eterea, quasi come se fosse fatta interamente di nebbia, ma una nebbia scura, una foschia opaca. La nebbiolina fluttuante emise un suono gutturale e stridente, nel modo in cui si stesse schiarendo la gola, e poi pronunciò delle parole, con una voce sgraziata e stridula, come unghie su una lavagna d’ardesia. – Hai compiuto il tuo dovere, capitano Caleb. - - Non ancora. – disse inespressivo la guardia, puntando la balestra contro Connor. – Non hai capito. Hai terminato il tuo compito principale, quello di vivere. - aggiunse la nebbia. Caleb annuì e, con uno scatto felino, si lanciò dalle mura, senza emettere un solo grido. Lo schianto della ferraglia sulle pietre vulcaniche provocò un grande rumore, e Connor riuscì distintamente a vedere che era ancora vivo, allo schianto, dato che muoveva le mani alla ricerca di qualcosa. Caleb agguantò la balestra e si sparò alla testa il dardo, che gli penetrò nell’occhio e lo uccise. La nebbia era sparita, Caleb e Dirk erano morti e Connor, sempre più spaventato, stava correndo via, quando udì una flebile voce chiamare il suo nome. Proveniva dal vulcano. All’interno, prima della lava, si trovava Dirk, a petto nudo. – Ehi, Connor! Felice di vedermi? – domandò soave. – Non sei morto! – esclamò felice il ragazzo. – Per fortuna no. La freccia era potente, ha perforato la guardastanca, ma la cotta di maglia in mithril è riuscita a spezzarne la cuspide. Per fortuna sono atterrato sulla roccia. Chiama qualcuno, il re, il castellano, qualsiasi persona che mi possa tirare fuori da questo dannato buco infernale. Ehi, Connor, mi senti? - Connor non lo stava sentendo. Stava guardando un’altra cosa, dietro Dirk. Non visibile, vicino la schiena di Dirk si stava muovendo una creatura nera come la pece, dagli occhi rossi come due rubini, le spire dotate di un rostro appuntito affilatissimo che correva lungo tutto il corpo e gli artigli taglienti come rasoi. Dirk si girò, e non fece neanche in tempo ad urlare: la creatura spalancò le fauci, rivelando decide di denti bianchi come il latte, che triturarono in qualche secondo il corpo di Dirk, masticandolo con vigore, per poi ingoiarlo. Connor, scioccato, fuggì via, rifugiandosi nelle sue stanze. Aveva appena assistito alla morte di due guardie, una delle quali era un suo amico e compagno di reparto. Aveva appena visto una creatura che riteneva estinta da secoli di lotte con gli umani. Aveva visto un drago.
     
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