Dvergar

Doye il nano alla riscossa!

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Saltare, ballare, trallallà!

    Group
    Member
    Posts
    1,608
    Location
    Il Cuore di ognuno

    Status
    Anonymous
    Riaprì gli occhi dopo un tempo che non seppe definire.
    Un viso delicato e bellissimo, due iridi di colore diverso, uno smeraldo e uno zaffiro, entrambe afflitte da una luce preoccupata.
    Tidus sapeva di esserne la causa e avrebbe voluto prendersi a schiaffi per questo, ma il suo corpo non doveva essere della sua stessa opinione perchè non si mosse.
    “Che vergogna” sussurrò il ragazzo con la poca voce che gli restava e una smorfia che voleva essere ironica. “Sono io che avrei dovuto salvarti”
    Il sorriso che illuminò il volto di Yuna gli sembrò la cosa più bella del mondo.
    “Mi hai fatto spaventare...” la sentì sussurrare dolcemente.
    Il non sentire nessun rimprovero, ma solo una profonda preoccupazione, lo intenerì e nel contempo lo fece sprofondare nella vergogna.
    L’abbraccio di Yuna arrivò inaspettato e gli strappò il fiato dal petto in una stretta tanto forte quanto confortante.
    Sorrise tristemente, assaporando il suo odore ed ascoltando il battito dei loro cuori.
    “Scusami...” mormorò.
    La felicità per averla ritrovata sana e salva si frammischiavano all’odio che provava per sè stesso per non essere stato all’altezza della situazione. La frustrazione e la consapevolezza di non meritarla, di non essere degno di essere lì, stretto tra le sue braccia, gli strinsero il cuore in una morsa dolorosa.
    “Sei uno stupido...”
    Le parole di Yuna lo colsero di sorpresa.
    “Non devi salvarmi per farmi capire” disse l’ex-evocatrice, stringendolo a sè. “Io so già cosa sono per te e tu sai cosa sei per me”
    Tidus sentì gli occhi inumidirsi.
    Yuna sciolse l’abbraccio e gli rivolse uno sguardo gentile.
    “Finchè continui a cercarmi, non mi servono altre conferme, non trovi?”
    Tidus aprì la bocca per parlare, ma un groppo gli serrava la gola e nessuna delle migliaia, milioni di cose che avrebbe voluto dirle fu in grado di uscire.
    La certezza di avere di fronte a sè la creatura più bella, comprensiva, - qualsiasi cosa!- era cosi forte da travolgerlo come un‘onda di marea. Lo scuoteva, fin nei più profondi recessi dell’anima, un sentimento cosi forte, potente ed alto da essere impossibile da spiegare.
    Yuna lo abbracciò ancora, ponendo fine a tutte le inutili parole che sarebbero seguite. Non era qualcosa che poteva essere detto.
    “D-da chi...” balbettò Tidus contro la sua spalla, un velo di lacrime a velargli gli occhi.
    Yuna ridacchiò. “Ho incontrato quel nanetto” disse, divertita. “Mi ha detto tutto...” Fece una pausa, Tidus capì che stava cercando le parole. “E’ davvero forte”
    Il ragazzo sorrise.
    “Lo so” sussurrò. “Però dobbiamo andare ad aiutarlo” Poggiò una mano a terra, ma quando tentò di rialzarsi il ginocchio gli si piegò e ricadde. “Non può farcela da solo” ansimò.
    Yuna lo sorresse. “Se vuoi...” cominciò a dire.
    “No!” La interruppe. “Devo...devo venire anche io”
    Tentò ancora di rialzarsi solo per finire nello stesso modo.
    Digrignò i denti per la frustrazione. Si sentiva il corpo rigido come legno per colpa della scarica elettrice che gli aveva lanciato contro quel...
    Trasalì. Non aveva abbattuto quel mostro!
    “Dove...” cominciò a dire, ma Yuna lo interruppe con un tocco gentile sulla guancia.
    “Non preoccuparti” disse la ragazza, stringendolo a sè, lo sguardo basso e velato.
    Tidus spostò istintivamente lo sguardo oltre le spalle di lei.
    Sgranò gli occhi.
    Steso sul pavimento, il corpo senza vita del Taurus andava disintegrandosi in migliaia di frammenti minuscoli. Decine di grossi fori lo crivellavano da capo a piedi, e a Tidus bastò quello per capire in che modo e da chi doveva essere stato abbattuto.
    “Ti ha fatto del male?”
    Il tono sussurrato di Yuna lo fece rabbrividire e divertire nel contempo.
    “Doye non è l’unico forte qui, vero?” Tentò ancora di rialzarsi e stavolta, con l’aiuto premuroso di Yuna, riuscì a reggersi sulle gambe malferme. “Lo sei anche tu, eh?” le sorrise, divertito.
    Yuna abbassò lo sguardo, le labbra incurvate leggermente verso l’alto.
    “Solo se mi arrabbio”
    Tidus non voleva proprio trovarsi nei panni di chi lo avesse fatto.

    Gli artigli dello Shadowgear fendettero l’aria.
    Doye si abbassò giusto in tempo perchè gli falciassero una manciata di capelli al posto della testa.
    “Ehi! Dal parrucchiere ci sono andato ieri, brutto bastardo!” sbottò, per poi scagliarsi contro l’essere oscuro con tutto i suo peso.
    Lo Shadowgear ruggì ed arretrò artigliandosi il petto.
    Quel momento bastò a Doye per fargli lo sgambetto e fargli perdere definitivamente l’equilibrio.
    L’essere oscuro cadde all’indietro e precipitò. Sarebbe svanito nella folla sottostante dei suoi simili se un Taurus non lo avesse afferrato al volo con le mani massicce, per poi rilanciarlo contro il nano assieme ad altri quattro uguali.
    Doye imprecò nel vederseli arrivare addosso come proiettili e raccolse una lastra di roccia grande come un piatto staccatasi assieme a metà della gradinata.
    “E che cavolo! Se dico che qui non salirete, non-sa-li-re-te!” sillabò, usandola come mazza da baseball e dedicando una sillaba ad ognuno degli Shadowgear che tornava da dove era venuto con la testa fracassata.
    Con un gesto rapido, disegnò un altro simbolo esplosivo sulla lastra e la scagliò, centrando in pieno il volto del Taurus, che cadde all‘indietro, dritto nel mucchio dei suoi simili.
    Vi scomparve in mezzo, travolto dalla massa, ma la luce che brillava sul pezzo di roccia era visibile come una torcia nel buio.
    L’ennesima esplosione squassò le gradinate.
    Riparandosi dietro una ringhiera semidistrutta per proteggersi vento sprigionato dal attacco, Doye si tolse il sudore dagli occhi con il dorso della mano.
    Si toccò il punto in cui adesso campeggiava una bella ciocca tagliata e fece una smorfia.
    “Uff, dovrò mettermi un cappello” borbottò col fiato corto.
    Cercando di riprendere fiato, gettò uno sguardo verso il paesaggio sottostante.
    La gradinata inferiore a cui si trovava, assieme alle due seguenti, erano invase da un mare brulicante di mostri desiderosi di fargli la pelle. Gli Shadowgears si arrampicavano come uno sciame di cavallette affamate e sembrava non esserci fine al loro numero.
    L’unico spazio libero dalla loro presenza, l’ultima gradinata sui Doye stava asserragliato, spiccava come uno scoglio in mezzo a un mare di petrolio.
    “Ma che bella situazione” commentò il nano strofinandosi il naso con un ghigno feroce.
    Altri Shadowgear stavano prendendo il posto del gruppo che aveva appena carbonizzato, emergendo da ogni pietra ed ogni angolo come ombre. Tra di loro, vi erano anche parecchi energumeni con le corna da toro che mugghiavano come tori e rompevano come scoiattoli, almeno dal punto di vista di Doye, perchè resistevano anche alle sue esplosioni.
    “Venite, venite, c‘è abbastanza Doye per tutti” sogghignò il nano, arretrando cautamente.
    Combattendo, si era lentamente portato sempre più in alto, fino ad avere il muro dello stadio dietro di sè, e da lì, grazie al vantaggio dell’altezza e al fatto che gli Shadowgears dovevano arrampicarsi per raggiungerlo, aveva opposto resistenza con successo.
    Ma quegli stupidi tori erano peggio della gramigna!
    Non morivano se non li faceva esplodere almeno due volte e per di più facevano da scudo a quelli più piccoli facendosi usare come scale o lanciandoli come proiettili.
    “Diamine, apprezzo il gioco di squadra, ma usatelo in qualche cos‘altro! Il calcio per esempio! E tu stattene di sotto!” sbottò il nano, e, per dar credito ed esempio delle proprie parole, respinse con un calcio uno Shadowgear che aveva cercato di arrampicarsi sul suo baluardo.
    Uno dei Taurus cercò di approfittare dell’occasione per colpirlo con una scarica elettrica e fu solo per un colpo di fortuna che Doye riuscì a schivarla saltando all’indietro. La scarica gli si infranse di fronte, lanciando scintille e frammenti in tutte le direzioni.
    Il nano ne incassò parecchi sul petto senza vacillare.
    “Tutto qua, pivello?” gridò facendo un gestaccio, lo sguardo che vagava oltre la marea di creature oscure che lo assediavano dal basso.
    Imprecò. Ce l’avevano fatta quegli storditi degli spettatori a mettersi in salvo finalmente!
    Per qualche motivo, gli Shadowgears avevano cominciato a puntarlo man mano che ne abbatteva. Anche quelli già impegnati nella caccia di un fuggitivo o anche sul punto di uccidere una guardia abbattuta lasciavano perdere per venire a cercare di fargli la pelle.
    Grazie a questo, parecchie delle persone presenti erano riuscite a mettersi in salvo ed ormai non restava più nessuno sugli spalti dello stadio a parte lui e gli Shadowgears.
    “Vi piace il mio dopobarba, eh?” li prese in giro il nano.
    Si sentiva il sangue ribollire nelle vene, il cuore battergli nel petto e un brivido di esaltazione solcargli la schiena.
    Quella situazione aveva risvegliato dentro di lui una sensazione antica, un fuoco che gli bruciava fin dalle profondità delle viscere, facendolo sentire più vivo che mai.
    Rise. Si stava decisamente divertendo.
    “D’accordo” pensò. “Vediamo che ne pensate di questo”.
    Smise di tentare di respingere gli Shadowgears, uno sforzo inutile per quel che aveva visto fino a quel momento, e si riparò dentro uno dei tanti crateri causati dagli attacchi elettrici dei Taurus e che costellavano la gradinata.
    Con un ghigno stampato in volto, afferrò un pezzo di roccia largo abbastanza da potervi stare sopra e vi impresse un simbolo sopra. Il frammento fu avvolto dalla ragnatela di linee e sembrò rattrappirsi, quasi la sua materia fosse attirata versoi il centro.
    Il cambiamento era quasi impercettibile, ma Doye sapeva che ora era molto più resistente di prima.
    Il nano vi si sedette sopra proprio nel momento in cui decine di Shadowgears si affacciavano oltre il bordo della gradinata.
    Li degnò di un largo ghigno.
    “Adesso facciamo a chi arriva più in alto” li derise.
    E battè il palmo sulla porzione di pavimento accanto a sè. Il simbolo dell’esplosione vi comparve sopra al suo tocco, ma stavolta prese ad allargarsi ed a illuminarsi fino a diventare accecante.
    Doye strinse le dita attorno ai bordi del proprio improvvisato mezzo di trasporto e sorrise.
    L’intera gradinata venne avvolta dall’esplosione e il nano venne sparato i naria dall’onda d’urto come il proiettile di una catapulta.
    “YAUUUUU!!!!” Gridò esaltato, mentre il contraccolpo lo colpiva con la violenza di un maglio e il fragore del vento gli riempiva le orecchie. Vide il pavimento allontanarsi a velocità pazzesca, finchè non si ritrovò ad osservare dall’alto tutto l’interno dello stadio, fermo nella stasi dell’apice del suo balzo temerario.
    Si godette il momento di calma con un’espressione critica.
    Era sicuro di aver calcolato perfettamente la traiettoria verso cui l’avrebbe spedito l’onda d’urto dell’esplosione, ma adesso che aveva una visuale più chiara capì di aver commesso dei piccoli errori di distanza: il palco centrale, su cui voleva cadere, era una ventina di metri più in là.
    Mentre rimuginava su calcoli e traiettorie, la spinta si esaurì e sia lui che la sua pietra cominciarono a cadere sempre più velocemente.
    Doye si grattò il mento coperto dalla barba svolazzante, pensoso.
    Di quel passo sarebbe caduto nel grosso spazio vuoto che c’era tra quel palco inguardabile e le tribune, andandosi a spiccicare come un vasetto di marmellata in fondo...
    Aggrottò la fronte. In fondo a cosa?
    Che diavolo c’era là sotto? Ma sopratutto, a che diavolo serviva tutto quello spazio vuoto?
    Scosse la testa. Il geometra che aveva progettato quello stadio doveva essere uno psicopatico.
    Doveva farsi dire dove viveva...
    “Bah” mugugnò, facendo spallucce, il momento dell’impatto che si faceva sempre più vicino.
    Mentre aspettava, il ricordo gli volò alla ragazza che aveva incontrato poco prima e tornò con la memoria a ciò che aveva detto e sentito da lei.

    “Ehi, ragazzina! Ehi, dico a te!”
    L’aveva trovata al centro di un anello di macerie, intenta a fare a pezzi a suon di pallottole mucchi di Shadowgears.
    Lei l’aveva guardato come fosse un alieno danzante.
    “E’ pericoloso stare qui!” aveva detto. “Scappi, signor...ehm...”
    Doye l’aveva liquidata con un cenno della mano.
    “Si, sono un nano, lo so, lo so. Apprezzo il signor, ma chiamami Doye, ok?”
    Lei aveva annuito con incertezza, lanciando occhiate nervose verso l’orda di Shadowgears avanzante.
    Doye aveva compreso i suoi dubbi e li aveva risolti lanciando una manciata di pietre esplosive contro la massa di creature oscure, falciandole come fili d’erba.
    “Dì un po’, ragazza” le disse, mentre lei lo guardava a metà tra la stranita e l‘intimorita. “Eri tu quella che faceva il concerto qui, vero? Ti ho visto sulle locandine all’entrata”
    Lei annuì, dandogli la risposta che cercava.
    “Uff, e che cavolo, non ci speravo più” sospirò, prima di rivolgere un’occhiata in tralice. “E per caso il tuo ragazzo è uno scemotto biondo dall’aria svanita?”
    Lei aveva aggrottato le sopracciglia, guardandolo male.
    “Scemotto? Tidus non è scemotto e non ha l‘aria svanita”
    “Si, si, lo penso anche io” Doye aveva annuito annoiato. “Ma adesso stammi a sentire”
    Le aveva raccontato tutto, dall’incontro sull’isola al primo attacco degli Shadowgears. dal loro arrivo a Luka a come erano entrati nello stadio, dalla minaccia degli Shadowgear fino al mistero che aveva portato a quel invasione. Aveva omesso di parlare della ragazza che avevano slavato ,però, non si poteva mai prevedere come avrebbe reagito a certe notizie una ragazza gelosa.
    “In sintesi” aveva concluso. “Devi correre da lui”
    Con sua grande sorpresa lei aveva scosso la testa, sorridendo.
    “Ti ringrazio per i tuoi sforzi, signor Doye, ma non ce ne è bisogno” Aveva sollevato lo sguardo, una calma fiducia riflessa nelle iridi di colore diseguale. “Mi fido di Tidus, non avrà nessun problema a raggiungerci, io devo rimanere qui a coprire la fuga dei civili”
    Si era inchinata in un gesto di grande cortesia che Doye aveva trovato snervante.
    “Ti ringrazio comunque per l’aiuto che gli hai dato. Grazie”
    Doye aveva resistito all’impulso di strapparsi di capelli solo ricacciando indietro gli Shadowgears con altre pietre esplosive.
    “Non hai capito” le aveva detto. “Non è questione di può farcela o no, lui non può farcela”
    Lei lo aveva guardato seria.
    “In che senso?”
    Doye si era battuto una manata in fronte ed aveva abbassato lo sguardo a terra.
    “Il portale che ho aperto per entrare nello stadio era instabile. Le energie che lo permeavano non hanno avuto effetto su di me perchè ero stato io ad infonderle, ma sul moccioso avranno avuto sicuramente un effetto tremendo. Sarà già tanto se riuscirà a camminare da qui ad una settimana”
    Ammettere il proprio fallimento era stato più difficile che affrontare l’orda degli Shadowgears, ma on poteva farsi prendere dall’orgoglio, almeno non in quel momento.
    “Capisco...” aveva detto Yuna con una calma innaturale.
    “Capisco un corno” Doye aveva sbottato. “Corri da lui e poi tutti e due scappate da questo buco”
    “Aspetta, signor Doye, tu cosa farai?”
    “Io li farò tutti quanti a pezzi e poi ci si rivedrà fuori per una tazza di tè, ma adesso vai!”
    Yuna aveva esitato.
    “Vai, ho detto!” le aveva urlato contro.
    Un’espressione decisa le si era dipinta in volto.
    “Due mie amiche stanno collaborando per far uscire gli spettatori, non dovrai aspettare molto, signor Doye”
    In tutta risposta, Doye aveva riso.
    “Ancora a preoccuparvi? Sei proprio come quel moccioso tu, lo volete capire che io sono fortissimo? Questi li faccio secchi tutti da solo”
    Yuna non aveva risposto, si era inchinata ed era corsa via, lasciandolo solo a combattere contro gli Shadowgears e a maledire il proprio cuore di pastafrolla, nemmeno in grado di spezzare le speranze di un ragazzo innamorato.

    “Oh, al diavolo me e questi merda di portali” sbottò, gettando bruscamente da parte tutti quei pensieri inutili.
    Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma non si sarebbe perdonato facilmente se quel biondino avesse perso le penne per colpa sua e della sua mancanza di decisione.
    Aveva superato da un pezzo le volute di fumo ed ormai il palco era vicinissimo. Ancora pochi secondi e si sarebbe schiantato.
    Borbottando tra sè, Doye sollevò un braccio e creò un portale sotto di sè.
    Ci si buttò dentro e riapparve con un saltello sul palco, proprio nell’istante in cui la pietra che aveva usato come mezzo andava a conficcarsi nella fronte del grosso robot batterista sottostante.
    Ansimando vistosamente, si guardò intorno.
    Neanche questo avrebbe mai ammesso, neanche con sè stesso, ma gli scontri di poco prima lo avevano stremato. Probabilmente non avrebbe avuto la forza di sostenerne altri.
    Nascosta molto in fondo, accanto all’immagine di un divano morbido e confortante, dietro tonnellate di arroganza e amor proprio, sosteneva la piccola speranza che almeno lì non ci fossero Shadowgear.
    Speranza subito delusa dai passi lenti di una delle creature oscure, che emerse dal fumo che avvolgeva metà dello spazio rotondo che formava il palco.
    Doye lo guardò con sospetto. Fece qualche passo verso destra, senza staccargli gli occhi di dosso.
    Rispetto a tutti quelli che aveva incontrato fino a quel momento, questo gli sembrò in qualche modo...diverso.
    A parte il fatto che portava cilindro e monocolo e già di per sè questo era strano. Un’aura di autorità sembrava emanarsi da lui ed una sorta di potere sopito che Doye non riuscì ad identificare con precisione.
    Notò che, rispetto ai suoi frenetici simili, lo Shadowgear esibiva uno sguardo calmo e freddo, cosa che lo rendeva cento volte più minaccioso, perchè nascondeva ogni sua possibile intenzione.
    Di sicuro, non prometteva nulla di buono.
    Muovendosi cautamente e senza mai perderlo di vista, Doye raccolse un sasso grande quanto un pugno, lo impresse del simbolo esplosivo e glielo scagliò contro.
    Lo Shadowgear non si mosse dalla traiettoria nè accennò un qualsiasi tentativo di difesa. Semplicemente, strinse gli occhi verso il proiettile, come se cercasse di metterlo a fuoco. Come rispondendo ad un comando, la pietra si fermò a mezz’aria, roteò per un istante su sè stesso e poi si disintegrò silenziosamente.
    Doye la vide svanire nel nulla con un’espressione corrucciata.
    “Bel trucco” commentò secco, afferrandone un’altra da terra.
    Lo Shadowgear si inchinò. “I miei ringraziamenti” disse, rivolgendosi con un tono di perfetta cortesia a chi aveva cercato di farlo saltare in aria.
    Doye sogghignò. “Tu sei quello di Besaid...” Non era una domanda. “Pendleton, giusto?”
    “Sono onorato che vi ricordiate di me, messer nano”
    “Niente assegni stavolta?” lo prese in giro, continuando a muoversi cautamente.
    Pendleton sospirò. “Temo che... Il tempo dei giochi sia finito, amico mio” Senza mostrare la minima preoccupazione, lo Shadowgear volse lo sguardo in direzione delle gradinate distrutte. “Ho assistito alle vostre imprese da qui. Davvero impressionante, non c’è che dire, resistere da solo contro tutta la massa dei miei fratelli ed abbatterne anche un gran numero, per giunta”
    “Pfui, mi sto solo riscaldando” sputò Doye, ma sapeva bene che il tremore dei suoi movimenti e l’ansimare della sua voce tradiva lo stato in cui si trovava.
    Pendleton lo osservò in tralice per un istante, abbastanza da fargli capire che non credeva d una sola delle sue parole, prima di tornare a guardare l’orizzonte.
    “Ho notato la tecnica che avete utilizzato per affrontare i miei confratelli, messer nano. Tutti quei simboli luminosi, non ho mai avuto una buona memoria, ma mi è sembrato di riconoscerli”
    Doye sbuffò d’impazienza.
    “Si, sono Rune, congratulazioni per la scoperta. E lo stile che uso si chiama Arte Runica dell‘Assalto Implacabile, vuoi sapere qualcos’altro?”
    “No, non ho particolare interesse riguardo ciò” Benchè fosse stato chiaramente preceduto, il tono della voce di Pendleton non perse una virgola della sua sfumatura neutra. “La cosa che mi lascia più perplesso è che pensavo ci fossero solo due persone in grado di utilizzarle al di fuori di quel pianeta”
    Doye sbarrò gli occhi.
    “E poichè una di esse non può essere, allora voi dovete essere...”
    Una scarica di esplosioni devastò tutta la zona circostante lo Shadowgear. Tutte quelle indirizzate a colpirlo furono deflesse o annullate da qualcosa di invisibile all’occhio umano, ma i crateri che lasciarono quelle esplose ne testimoniarono la potenza rabbiosa.
    “Questa vostra reazione mi fa dedurre di aver indovinato” commentò Pendleton. “Siete proprio voi...Doye...”
    La mascella stretta fino a farsi scricchiolare i denti, i pugni stretti e luminosi di energia Runica, gli occhi sbarrati e infiammati di pura furia, Doye teneva il braccio teso, fermo nel gesto con cui aveva scagliato dieci pietre in un colpo.
    “Stai zitto!” urlò. “Non parlare più...” Fiamme guizzanti gli percorsero la pelle delle braccia, man mano che vi apparivano sopra decine di simboli ognuno diverso dall’altro ed ognuno ribollente di energia.
    Tre parole pronunciò il nano, dense di una rabbia spaventosa e belluina.
    “O ti uccido”
    Pendleton fronteggiò la furia del nano con una calma stoica.
    “Capisco...” disse. “Non volete che si venga a sapere la vostra vera identità...rispetterò la vostra decisione”
    L’ombra di Pendleton si sollevò, innalzandosi enorme di fronte alla luce di Doye. Prese la forma di uno Shadowgear gigantesco, con una pancia enorme, braccia massicce e gambe larghe e tozze. Una corazza d’argento gli ricopriva spalle e stomaco, inerpicandosi fino ai pugni grandi come massi, dove si arcuava in larghi spuntoni, uno per ogni nocca. Pistoni e meccanismi la costellavano esalando sbuffi di vapore e clangore d’acciaio ad ogni movimento.
    Il Ciccio Shadowgear spalancò la mascella di ferro in un ruggito che scosse ogni pietra dello stadio.
    “Ora, però. devo distruggervi” disse Pendleton, glaciale.
    Al comando della sua voce, il mostro scagliò un pugno a terra e fu come se una valanga di massi si schiantasse al suolo.
    Doye fu colpito dall’onda d’urto e sbalzato a metri di distanza. Rotolò per attutire la caduta e si fermò in ginocchio, volgendosi di nuovo verso il suo nuovo, mastodontico avversario.
    “Vi distruggo, bastardi!”
    Mentre il Ciccio tornava a sollevare il braccio, il nano si scagliò in avanti con un furibondo grido di battaglia.
    Spinto dalla furia e dalla rabbia, non aveva esitazioni nel lasciarsi avvolgere dalla frenesia dello scontro, sopratutto perchè era convinto che ormai il biondino e la ragazza dovevano essersi messi in salvo.
    Non sapeva che entrambi si stavano affrettando verso il palco attraverso un passaggio sotterraneo. Troppo coraggiosi per lasciarlo da solo, si affrettavano verso la battaglia in cui avrebbero trovato il loro destino.
     
    Top
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Saltare, ballare, trallallà!

    Group
    Member
    Posts
    1,608
    Location
    Il Cuore di ognuno

    Status
    Anonymous
    Il rombo causato dal pugno del Ciccio rimbombò con la violenza di un tuono. Doye strinse i denti mentre l’onda d’aria causata dall’impatto lo colpiva in faccia come un muro di mattoni; si fece trasportare all’indietro per diversi metri, afferrò una sporgenza nel pavimento ormai crivellato di crateri e rotolò via, evitando per un soffio di finire schiacciato sotto un altro colpo.
    “Oh, un’agilità encomiabile, bravo” commentò Pendleton con sorpresa sincera, o almeno, era ciò che sembrava. Lo Shadowgear seguiva lo scontro come uno spettatore ad una partita di golf. Se ne stava fermo in perfetta tranquillità ad osservare ogni mossa, ma senza mai partecipare nè mostrare un interesse maggiore che non fosse quello adatto ad uno spettacolo divertente.
    “Vi piace?” chiese, mentre Doye schivava un altro pugno. “Questo valente soldato viene utilizzato nel nostro esercito per affrontare grandi masse di nemici, per compiere le manovre di sfondamento e per coprire i punti più “caldi“ del campo di battaglia, perdoni la semplicità dell’espressione” Pendleton si dondolò sulle punte. Sembrava un padre che parla fiero dei voti presi dal figlio a scuola. “Ho ritenuto sufficiente portare una singola unità per portare a termine la conquista di un pianeta periferico come questo, ma a quanto pare il destino ha voluto darmi il suo assenso”
    “Ma quanto parli! Stà zitto!”
    Doye avrebbe tanto voluto strangolarlo.
    Peccato che fosse troppo impegnato ad impedire a due tonnellate di acciaio ed argento sbuffante e stantuffante di trasformarlo in una frittata con le cipolle e lo stracchino, altrimenti avrebbe assecondato il suo impulso con enorme piacere.
    Si gettò in uno dei tanti crateri che ormai costellavano tutta la superficie luminescente del palco. Mentre ansimava per riprendere fiato, maledisse ancora una volta chiunque avesse costruito quel posto.
    Non bastavano le gradinate ripidissime, non bastava l’abisso che bisognava valicare per arrivare al centro dello stadio,non bastavano i pop corn schifosi e le luci inguardabili.
    Eh, no, dovevano aggiungerci anche un palco con un pavimento luminoso e trasparente.
    Come diavolo faceva a trovare una copertura decente dietro una roba del genere?
    Meditava ciò il nano, mentre faceva correre lo sguardo alla ricerca del suo mastodontico avversario.
    Ad attirare la sua attenzione fu una strana ombra che gli si andava allargando intorno.
    Perplesso, sollevò lo sguardo verso l’alto.
    Sgranò gli occhi: un enorme sedere di ferro stava piombandogli addosso. Tutto normale se non fosse stato per l’odiosa voce di Pendleton.
    “Fate attenzione, messere, il Ciccio sa saltare molto in alto”
    “Me ne sono accorto da solo, cogl...!” gridò Doye, un attimo prima che l’immensa mole dello Shadowgear gli crollasse addosso, seppellendolo senza scampo.
    Riapparve una decina di metri più in là uscendo, o meglio, cadendo da un portale runico sospeso in aria in orizzontale, assieme ad una nuvola di polvere e detriti.
    Crollò in ginocchio, ansimando con forza.
    “Dannazione” ringhiò, la fronte imperlata di sudore. Affrontare tutti quei dannati mostriciattoli cominciava a farlo stancare e quei dannati portali consumavano un sacco di energia ogni dannata volta che li usava.
    E il peggio era che aveva urgente bisogno di farsi una pisciata.
    Gettò uno sguardo rapido al Ciccio, chiedendosi perchè non avesse continuato ad attaccare.
    Lo vide fermo dove era atterrato.
    Lo Shadowgear stava piegando le ginocchia come un lottatore di sumo. La sua enorme massa si abbassava lentamente sopra i grossi stantuffi sulle ginocchia, che si piegavano sbuffando vapore e gemendo come dannati.
    “Ti metti a fare la cacca adesso, ciccione?” ringhiò il nano, afferrando al volo una manciata di sassi ed imprimendoli della Runa esplosiva. Li strinse nel pugno e tirò indietro il braccio. Puntò il Ciccio, che, da parte sua, continuò nel suo movimento.
    “Ti faccio saltare in aria!!” gridò, e li scagliò di fronte a sè in un ampio ventaglio.
    Dieci esplosioni avvolsero il Ciccio, nascondendolo alla vista.
    Per un attimo, Doye pensò di avercela fatta.
    “Vi prego di non distogliere lo sguardo, messere” lo richiamò Pendleton. “La potenza di salto va considerata sia in verticale che in orizzontale”
    Doye sgranò gli occhi. Qualcosa di enorme schizzò fuori dal fumo generato dalle esplosioni e lo travolse con una violenza tremenda. Il mondo svanì in un esplosione di stelle luminose. Quando ritrovò la visuale, si ritrovò con la schiena a terra, con il Ciccio che osservava dall’alto con i suoi grandi ed inespressivi occhi rossi, mentre lo teneva bloccato con una delle sue grosse mani, abbastanza grandi da avvolgergli completamente il tronco.
    “Questo bastardo...” pensò rabbiosamente. “Ha respinto le mie esplosioni solo con la sua massa in movimento? Ma di che diavolo è fatto...?”
    Si dimenò, ma la forza del mostro lo teneva inchiodato in una morsa d‘acciaio.
    Digrignò i denti per la rabbia e la frustrazione. Se solo fosse riuscito a liberare un braccio...
    “E’ inutile”
    Doye interruppe i suoi sforzi, sorpreso nel sentire quel tono quasi pietoso.
    Lord Pendleton entrò nel suo campo visivo.
    “Cosa è inutile?” chiese con un ghigno feroce.
    Pendleton lo guardò in silenzio per un istante prima di rispondere. “Perchè siete qui, Doye?” chiese, senza curarsi della sua domanda. “Vi prego di dirmi perchè, tra tutti, proprio voi siete venuto ad ostacolarci. Pensavo vi foste lasciato alle spalle le faccende del nostro universo”
    “Mi ha mandato un amico, problemi?” ghignò Doye, muovendosi per quel poco che gli permetteva la scomoda posizione. Le dita del Ciccio gli serravano le braccia al corpo: riusciva a malapena a sollevare il petto per respirare. “E poi” disse, in vena di chiacchiere. “Alla fine uno si annoia pure a stare sempre dentro casa, serve prendere un po’ d’aria”
    “Comprendo” commentò Pendleton. “Non vi credo, ma non vi chiederò altro. Ora vi prego di dirmi quale motivo vi ha portato proprio su questo pianeta e come avete saputo che sarebbe stato il nostro obiettivo”
    Doye fece spallucce, movimento che gli permise di sgusciare in avanti di un millimetro dalla presa dello Shadowgear e di liberare un dito, l’indice, che prese a muovere sul pavimento, tracciando qualcosa.
    Il primo passo.
    “Nah” interloquì “ E’ che mi piace bazzicare nelle città da schifo come questa nei week-end e cosi, dato che c’ero, mi sono chiesto *vediamo se c’è qualche mostro oscuro che cerca di compiere qualche misterioso piano malvagio*” Sorrise, mettendo in mostra tutta la dentatura. “E cosi eccomi qua! Ovvio, no?”
    “No”
    Il monosillabo di Pendleton coincise con la stretta della mano del Ciccio.
    Doye grugnì quando le pesanti dita lo strinsero fin quasi a stritolarlo, ma riuscì in qualche modo ancora a sorridere.
    “Ehi, non vorrei fare il maleducato, Lord, ma questo tuo amico qui non è un po’ troppo espansivo? Non che abbia niente contro i ciccioni, si intende”
    Rise per la sua stessa battuta. Il movimento sussultorio del petto gli permise di scivolare di un altro paio di millimetri.
    Riuscì ad allungare un altro dito, il medio, e sfiorò ancora una volta il freddo del pavimento sotto di sè.
    Mancava il terzo.
    Ancora un piccolo sforzo...
    Pendleton lo osservò per un lungo istante. Se si era reso conto dei suoi tentativi, non lo dava a vedere.
    “Vedere qualcuno come voi qui aveva portato al sottoscritto un notevole impulso di curiosità, ma vedo che siete ritroso a parlare e d‘altra parte sarebbe maleducato da parte mia insistere ulteriormente su domande a cui non volete dare risposte, quindi, in onore alle regole di buona educazione...” La stretta del Ciccio si serrò ulteriormente, avvolgendo Doye in un mare di dolore. “Vi accompagnerò all’uscita, che in questo caso coincide con la vostra dipartita”
    Doye strinse i denti, mentre fitte violente lo trafiggevano da capo a piedi. Adesso capiva cosa significasse sentirsi stritolati.
    Fece una smorfia che voleva essere un sorriso. Diamine, doveva vantarsene con qualcuno. Ci si facevano i milioni con le storie di gente uscita dal coma, chissà quanto poteva venirne con la storia di uno uscito da uno stritolamento?
    “Bah, mi vengono le idee idiote pure quando mi stanno ammazzando” pensò con ironia.
    Usando tutta la forza che gli rimaneva, torse di scatto il polso. Uno schiocco secco e un dolore acuto lo informò della slogatura che cercava, ma quello non era nulla rispetto al male dello stritolamento.
    Le dita gli caddero, inerti.
    Quella che voleva, l’anulare, toccò il pavimento.
    La rete era completata.
    Doye ghignò, mentre evocava il simbolo esplosivo.
    L’esplosione avvolse completamente lui e la faccia del Ciccio, che lasciò la presa e si rizzò in piedi, stringendosi la faccia ustionata con un ruggito di dolore.
    “Si è fatto esplodere?” esclamò Pendleton, sbigottito.
    Doye rotolò fuori dall’esplosione e si fermò in ginocchio di fronte ai due mostri, tenendosi la fronte da cui scendeva un rivolo di sangue. Sulle ustioni del volto, il suo sorriso era spaventoso.
    “Bevetevi questo alla mia salute, bastardi” gridò trionfante, sollevando il braccio.
    Un tuono e una scintilla di luce balenarono quando il palmo del nano battè contro il pavimento. Linee rossastre fuoriuscirono dalle dita, ramificandosi rapidamente. Man mano che avanzavano, sigilli rossastri rispondevano al loro tocco, illuminandosi uno dopo l‘altro, finchè una grande tela di luce rossa pulsante circondò completamente sia Pendleton che il Ciccio.
    Il Lord osservò quell’evento con un misto di confusione e perplessità. Lo sguardo gli si riempì della comprensione di un momento e i suoi occhi sbarrati si puntarono sul nano, ma ormai era troppo tardi.
    Ghignando, Doye sollevò entrambi le mani aperte e le battè una contro l’altra.
    “Attivati, Explosion Net”
    Pendleton e il suo servitore svanirono nelle esplosioni.
    Nello spazio in cui si trovavano i due, le fiamme si innalzarono con un ruggito rabbioso, scuotendosi come bestie selvagge ad ognuno dei boati. L’intero palco venne coinvolto nella raffica delle deflagrazioni, tremando violentemente. Frammenti di roccia schizzarono in tutte le dirazioni, spinti dall’aria sprigionata che spazzò lo stadio come un’onda di marea.
    Doye la incassava con le braccia di fronte al volto e un ginocchio a terra. Una grossa scheggia gli colpì il fianco, facendolo grugnire di dolore, ma si costrinse a restare fermo, perchè sapeva che se il vento lo avesse preso l’unico destino sarebbe stato di finire spiaccicato da qualche parte in quel buco.
    Se possibile, voleva evitarlo. Era un po’ contrario allo sfracellarsi.
    “Uff, ce l’ho fatta?” borbottò, ansimando pesantemente di fronte a quello spettacolo fiammeggiante.
    Per quanto fosse efficace, per lui l’Explosion Net era veramente fastidioso.
    Un reticolato di rune esplosive posizionate precedentemente ed attivate tutte assieme in modo da far convergere e concentrare il loro effetto su di un’area ristretta. Il problema non era sistemarle, bastavano tre dita per farlo: riuscire a farle conflagrarle tutte insieme, quello era il vero problema.
    Doye si guardò la mano: un’ampia bruciatura campeggiava al centro del palmo, nel punto in cui aveva emesso l’energia per attivare le rune.
    Strinse il pugno e l‘ustione svanì tra le pieghe grinzose della carne.
    “Questo corpo non è più abituato a robe del genere” borbottò tra i denti.
    Le fiamme continuavano a guadagnare in altezza, alimentate dal rimbombante tuono delle esplosioni.
    All’improvviso, Doye notò un’irregolarità.
    Alla base delle fiamme, nel centro esatto di quel vero e proprio uragano di fuoco, c’era una macchia scura.
    Doye aggrottò la fronte per capire di cosa si trattasse.
    L’irregolarità si allargò, allargandosi come una macchia d’olio nell’acqua. Man mano che si estendeva, le fiamme presero a contorcersi e a rattrappirsi; si spinsero verso la macchia, irresistibilmente risucchiate da essa.
    Doye strinse i denti. Non era riuscito a distruggerlo.
    “Sei dannatamente resistente, signor Lord” ansimò, ormai esausto.
    Due occhi, più rossi del fuoco che li circondava, portatori di uno sguardo proveniente dal più buio degli abissi, affiorarono nell’incendio.
    “Ne sono estremamente lusingato” ringraziò Pendleton, inchinandosi leggermente. La forma dello Shadowgear risaltava nella danza delle fiamme come un’ombra confusa, ritta e tranquilla come se fosse immersa in acqua fresca.
    La colonna di fuoco si restrinse ancora, fino a dimezzare di dimensioni; Pendleton mosse repentinamente una zampa, quasi a voler scacciare una mosca, e la disperse totalmente. Il suo gesto rilasciò un’ondata d’aria bollente che si propagò con violenza, arroventando le pietre e dando fuoco al resto.
    Doye se la vide venire addosso; cercò di difendersi, ma le ustioni tornarono a colpirlo con una fitta violenta che lo fece barcollare.
    “Dannazione...” maledì, digrignando i denti.
    Barcollò proprio nel momento i cui l’onda lo investì e lo scagliò in aria con prepotenza. Mentre veniva strappato da terra, il suo orgoglio gli urlava con forza di difendersi, ma l’urlo del suo corpo, più forte, gli impediva di fare qualsiasi cosa.
    L’urto col terreno gli strappò un grugnito. Rotolò per parecchi metri prima di fermarsi, dolorante, sul ciglio del palco.
    “Merda...” mormorò, facendo presa per sollevarsi. Le braccia gli cedettero e ricadde miseramente.
    “Merda...” disse, più forte, tentando di nuovo.
    Stava per issarsi sulle braccia, quando un piede gli calpestò la nuca, costringendolo nuovamente faccia a terra.
    Con il gelo del pavimento che gli artigliava la guancia e il dolore che gli urlava nelle orecchie, Doye sollevò la faccia quel poco che bastava per vedere la sagoma di Pendleton sopra di sè.
    “Merda...” ripetè ancora, stavolta a gran voce. Mise tutta la forza che aveva nel tentativo di rialzarsi, ma inutilmente. Pendleton aveva una forza terrificante, anche più del Ciccio, che pure era immensamente più grande di lui.
    “Ve l’ho detto...” esordì lo Shadowgear. “E’ inutile...” Non c’era derisione nella sua voce, solo una muta comprensione mista a gelido realismo.
    “Stà zitto...” sibilò Doye. Ancora una volta, cercò di rialzarsi. Ancora una volta, ricadde a terra sotto il piede di Pendleton.
    “Comprendo la vostra determinazione...” disse il Lord. “Ma non capisco perchè la indirizziate proprio verso questo pianeta”
    “Stà zitto e toglimi questo schifoso piede dalla testa!” Doye scalciò; sollevò un pugno e menò più e più volte sulla gamba che lo teneva inchiodato, con il solo risultato di spellarsi le nocche.
    Incurante dei suoi sforzi, Pendleton lo scrutò con freddezza. “Io vi conosco, Doye...”
    Al sentire quelle parole, Doye si bloccò, gli occhi sgranati, i pugni serrati.
    “Ma chi cazzo vuoi conoscere tu???” gridò a pieni polmoni, evocando la runa esplosiva sotto di sè. L’esplosione li avvolse entrambi con uno scoppio fragoroso e, quando sparì, Pendleton non si era spostato di un millimetro.
    Ringhiando di frustrazione, Doye ne evocò un’altra e un’altra ancora quando questa fallì ed un’altra, tutte inutilmente e procurandosi continue ferite e senza infliggerne nessuna allo Shadowgear.
    “Ti distruggo, mostriciattolo! Riprendo un po’ di fiato e ti distruggo!” ruggì, furibondo.
    “Nascondervi di nuovo dietro questo vostro velo di spacconeria non vi salverà, messer nano” commentò Pendleton, impassibile di fronte a quell’attacco cosi serrato. “Assumere un’aria spavalda anche di fronte a questa situazione non cambierà le cose, servirà solo a nascondere a voi stesso la realtà”
    Doye strinse i denti e strinse gli occhi, concentrandosi solo sulle rune che evocava una dopo l’altra. Sapeva che lo Shadowgear aveva ragione, ma i suoi sforzi non diminuirono neanche per un istante.
    “Proprio perchè vi conosco...” proseguì Pendleton, imperterrito. “Mi risulta sorprendente vedere una persona come voi mostrare un tale attaccamento a un pianeta cosi piccolo e periferico”
    L’ultima esplosione, evocata con un guizzo di orgoglio piuttosto che per servire realmente, lasciò Doye privato di ogni residua stilla di energia.
    Il nano si lasciò andare a terra; le braccia gli ricaddero e rimase ad ansimare, esausto e con cuore e mente in tumulto.
    “Chi se ne frega di questo pianeta di merda...” mormorò.
    “Come?” Penledeton si piegò appena. La mano di Doye scattò e gli si serrò attorno al polpaccio nero pece.
    “Ho detto...” Il nano cominciò, lentamente, a risollevarsi. “Che non me ne frega assolutamente niente di questo pianeta di merda” Mentre parlava, un’impalpabile aura dorata cominciò a delinearsi attorno al suo corpo. Una lieve incredulità apparve sul volto di Pendleton mentre il suo piede veniva spinto indietro, a dispetto della forza che vi metteva.
    Doye gridò. Un’onda di energia esplose da lui.
    Pendleton ne fu violentemente spinto via. Atterrò a diversi metri di distanza, fronteggiando il nano che si rimetteva in piedi.
    “Preoccuparmi per questo pianetucolo che non ho manco mai visto? Pfui, stronzate!” rise Doye, sollevando un pugno chiuso. Una luce dorata, la stessa che lo avvolgeva, gli invadeva gli occhi, riempiendoli di potere e minaccia.
    “Può anche sfondarsi subito per quel che mi riguarda” Fece un passo in avanti, crepando il pavimento sotto i suo piede. Fili di fumo si innalzarono dalla pietra, che iniziò a sfrigolare.
    “Ma quel ragazzo, che idiota, a credere di dover andare a farsi ammazzare per delle aspettative che si è inventato solo lui...e anche quella ragazza, cosi scema da fidarsi ciecamente di quel ragazzo stupido e perdonargli tutto, basta che torni da lei: due mocciosi che credono ancora nell‘amore eterno e altre cazzate del genere” Si afferrò la maglia con una stretta forte, sorridendo ferocemente. “Bene, quei due mocciosi mi piacciono e questo mi basta per difenderli”
    Con un gesto secco si strappò la maglia di dosso, mandandola a perdersi nel vento che aveva cominciato a spazzare il palco. Sul petto, all’altezza del cuore, una runa dorata brillava radiosamente: una stella di oro puro che spandeva la sua luce tutt’attorno a sè.
    Doye allargò le braccia, lo sguardo sollevato verso l’alto.
    “Sono tutti e due degli stupidi, ma che figura ci farei se scappassi di fronte a voi quattro mezze tacche come voialtri? Qua mi pare che sono l’unico a potervi massacrare tutti e, d’altronde, qualcuno dovrà pur farlo mentre gli altri si mettono in salvo, no?”
    Il nano sbattè le mani una contro l’altra. Il riverbero di quel semplice movimento fu cosi forte da far tremare l’intero palco.
    “E poi...” disse, ghignando. “Io ho un’immagine da difendere....se mi dai dello sbruffone, devo farti capire che non è vero”
     
    Top
    .
  3.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Saltare, ballare, trallallà!

    Group
    Member
    Posts
    1,608
    Location
    Il Cuore di ognuno

    Status
    Anonymous
    Pendleton allargò di scatto una zampa, lo sguardo cremisi pieno di fredda determinazione.
    “Molto bene” disse. “Mostratemi la vostra vera pasta e diamo a questo combattimento il suo vero inizio”
    Una delle sue quattro antenne si estese di scatto, schizzando verso l’ammasso di ferraglia a cui il Ciccio era ormai ridotto. Il poderoso, ma ormai morente, Shadowgear allargò l’unico braccio rimastogli e lasciò che avvenisse ciò che il Lord voleva; il tentacolo gli attraversò la pelle metallica come se fosse acqua e penetrò in profondità, fondendosi con il suo corpo..
    Un’ondata di Oscurità invase tutto il suo essere, facendolo tremare di pur potere.
    Con un ruggito cavernoso e il braccio mozzato che gli ricresceva, il Ciccio si risollevò in piedi, facendo tremare l’aria attorno a sè.
    Due pozzi di tenebra infinita avevano sostituito le iridi cremisi, due pozzi in cui Doye non riusciva a scorgere nessuna fine e nessun senso.
    Non era provocato dall’assenza della luce quel buio, era pura e semplice Oscurità, fine a sè stessa e vuota di ogni altra cosa.
    “Ammirate il coraggio di questo valente soldato, messer nano” Non erano che un sussurro le parole di Pendleton, ma risuonarono nel fragore causato dai passi del suo mostruoso servitore come se stesse urlando. “A differenza di esseri patetici come gli Heartless, noi Shadowgear abbiamo una coscienza: essa è il nostro bene più prezioso...per noi non esiste nulla pari alla consapevolezza della propria esistenza” Intrecciò gli artigli dietro la schiena, mentre il Ciccio camminava pesantemente verso Doye. Il palco tremava sotto i suoi passi.
    “Questo valente soldato vi ha rinunciato”
    Il Ciccio sollevò il braccio per colpire. Doye ne fu sovrastato, ma non fuggì nè cercò di spostarsi.
    “Le Tenebre hanno distrutto completamente la sua mente ed adesso in lui non c’è altro che potere ed Oscurità”
    Il colpo si abbattè con una violenza devastante: il palco ne fu scosso completamente e tremò con violenza. La superficie si incurvò verso il basso, crepandosi come uno specchio sul punto di andare in pezzi. Il robot inferiore che sosteneva tutta la struttura, grande come un palazzo a tre piani, venne percorso da una crepa larga più di un metro per tutta la sua altezza; uno delle braccia si spezzò e cadde, frantumandosi con fragore assordante alla fine dell’area inferiore.
    “La sua forza è stata aumentata di dieci volte” concluse serio Pendleton, parlando alla nube di fumo in cui il braccio del Ciccio affondava e in cui Doye era scomparso.
    “Credete, messer nano, di poter resistere di fronte a questo potere nato dalla volontà e dal sacrificio?”
    Tacque, attendendo una risposta che probabilmente non sarebbe mai giunta.
    Ma che, inaspettatamente, arrivò.
    “Ehi, ma quanto parli, tu”
    Le braccia tese in avanti, un ghigno ironico stampato in volto, Doye bloccava con le mani il pugno grande quanto lui del Ciccio Shadowgear. L’aura dorata gli danzava attorno come una fiamma vivida e fuoco dello stesso colore gli bruciava nello sguardo.
    “E’ proprio vero, questo ciccione è diventato più forte di almeno dieci volte” Il nano fischiò in cenno di apprezzamento, poi con il tono di chi vuole fare una confessione tra amici: “Allora, lascia che ti dica una cosa anche io, mostriciattolo. Fino ad adesso ti ho mostrato Zan, la Runa dell’Esplosione e Walthour, la Runa del Teletrasporto, adesso guarda Megingjord, la Runa della Potenza!” Prese fiato e si spinse in avanti di un passo, facendo retrocedere appena l’enorme mole del uso avversario. “Dieci volte più forte, dici? Peccato, perchè io adesso sono venti più volte più forte di prima!!!”
    Spalancò la bocca e con un urlo belluino respinse indietro il Ciccio, scaraventandolo a terra.
    “Una forza nata dal sacrificio, dici? Bene, la mia Runa converte la mia forza di volontà di energia fisica, che ne dici, siamo pari, adesso?” chiese affaticato, ma sorridente, a Pendleton, che osservava in silenzio. “Bello il tuo discorsetto, complimenti, ma dimmi una cosa”
    Il nano raccolse le gambe e spiccò un balzo contro Pendleton.
    “Per cosa la usate questa forza, eh?” gridò, mentre il suo pugno schizzava contro il volto dell’ impassibile Shadowgear.
    Il colpo impattò contro il braccio levato a difesa del Ciccio, prontamente messosi a difesa del suo Lord.
    Doye digrignò i denti per il contraccolpo che gli riverberò per tutto il braccio, ma continuò a spingere.
    “Per cosa avete fatto tutto questo disastro qui, eh?” gridò, mentre la pressione tra la sua forza e quella del Ciccio generava un impulsi circolari di energia dorata e nera. “Per divertirvi? Per far vedere quanto siete forti? Per conquistare? Perchè????”
    Sollevò l’altro braccio di scatto, imitato dal suo avversario.
    I pugni dei due collisero in una detonazione e un’onda d’urto che li respinse entrambi e spazzò impetuosamente il palco, sollevando polvere e detriti e sbilanciando ancora la struttura già instabile.
    “Avete una coscienza? Siete consapevoli di voi stessi?“ Doye digrignò i denti mentre veniva spinto indietro disegnando due solchi nel terreno. “E allora perchè?”
    Immagini di ricordi antichi gli tornarono alla memoria; frammenti di una storia antica e tragica che lo aveva segnato profondamente e che avrebbe voluto mai più rivedere danzarono di fronte alla sua coscienza offesa dalle azioni degli Shadowgear.
    Se sono cosciente di me stessa posso decidere
    “Perchè???”
    Schizzò di nuovo a tutta velocità verso Pendleton, mandando in frantumi il terreno dietro di sè.
    Per un istante, il suo sguardo infuriato si incrociò con quello freddo del Lord: oro e cremisi si fronteggiarono in un silenzio eterno.
    Entrambi che si facevano carico di pesi non detti, entrambi disposti a tutto per portare avanti i propri obiettivi, quello fu il suggello della loro rivalità.
    Poi Pendleton rispose.
    “Per giustizia”
    Al sentire quelle due, semplici parole Doye sgranò gli occhi, incapace di comprenderne il senso.
    Aprì la bocca per chiedere, per sbraitare ancora, ma quel contatto si estinse bruscamente come era cominciato: il Ciccio travolse Doye prima che potesse raggiungere il Lord ed entrambi caddero aggrovigliati in una lotta serrata.
    Doye imprecò nel vedere il bordo del palco avvicinarsi. Si dimenò e spinse con forza per liberarsi dall’abbraccio mortale del Ciccio, opponendosi furiosamente al proprio mastodontico nemico.
    E anche se era preso da quel confronto all’ultimo sangue, ancora riportò lo sguardo su Pendleton.
    “Che diavolo significa? Cosa diamine c’entra questo con la giustizia?”
    Pendleton non rispose subito.
    Voltò le spalle allo scontro in atto e, con la calma di una passeggiata, cominciò a camminare verso la seconda sezione del palco, dove la lotta non si era mai spostata fisicamente.
    “Sapete come è nato questo mondo, messer nano?”
    Doye avrebbe voluto rispondere, ma la foga con cui il Ciccio lo attaccava glielo impedì.
    Ciò non sembrò disturbare il Lord.
    ”Probabilmente no, ma non ha importanza. E‘ un fatto davvero comune”
    Sospirò. Uno dei suoi artigli tracciò una traiettoria nell’aria e di colpo una larga porzione dello spazio sovrastante alla metà del palco prese a tremare.
    “Lasciate dunque che vi educhi” disse il Lord, tornando a voltarsi verso il nano e il gigante avvinghiati nella lotta.
    Tutt’attorno a lui sembrò esplodere una macchia d’inchiostro: il vuoto venne sostituito da un nero profondo che andò a formare qualcosa di voluminoso e spigoloso.
    Doye si sentì afferrare il cuore da un profondo senso di inquietudine: lo stesso strano carro sbuffante vapore che lui e il moccioso avevano visto al molo era apparso dal nulle di fronte ai suoi occhi.
    “Come se me ne fregasse qualcosa!” Doye spinse via il Ciccio con un calcio e si gettò contro Pendleton. Un oscuro senso di pericolo gli urlava nelle orecchie come una tromba: quell’affare andava distrutto il più presto possibile.
    Stava quasi per raggiungerlo, ma prima che vi riuscisse una mano lo afferrò per la testa da dietro e lo sollevò in aria.
    Doye scalciò, imprecò, si spinse a terra con un colpo di reni e si voltò di scatto, afferrando a sua volta la testa del Ciccio, costretto ad abbassarsi per non perdere a sua volta la presa.
    Entrambi rimasero bloccati nel tentativo di spezzarsi il cranio a vicenda.
    “Merda..“ imprecò Doye, ignorando il dolore che gli martellava nei timpani. Il brutto presentimento lo rodeva sempre più forte, ma era impotente a fare qualsiasi cosa per colpa di quel ciccione ostinato.
    Indifferente alla lotta furiosa che gli si stava svolgendo di fronte, Pendleton esordì con tranquillità:
    “Non mi dilungherò in lunghe spiegazioni, poichè non vi è nè il modo nè la necessità di approfondire l’argomento. Sappiate solo questo: questo mondo è stato generato dall’Oscurità”
    “Ma di che diavolo stai parlando?”
    “Ma della verità, ovviamente” Pendleton allargò le braccia in un gesto quasi allegro. “Dell’unica, vera storia di questo universo e di tutti i mondi che lo infestano come parassiti...all’inizio vi era solo l’Oscurità, poichè l’Oscurità si estendeva su tutto. Essa era nata dall’ordine naturale e viveva in perfetto ordine; era lo stato naturale nato dall’eternità in cui si trovavano tutte le cose e non vi era nient’altro che non fosse l’Oscurità. Tutto era perfetto ed unito, logico e naturale come avrebbe dovuto essere, ma poi, un giorno giunse la fine di tanta perfezione...” Una nota di disgusto incrinò il self-control. “La Luce...a causa di quella obbrobriosa fonte di male l’ordine naturale dell’universo andò in pezzi. Essa incrinò il perfetto mondo dell’Oscurità e diede vita al proprio grande mondo, nient‘altro che una copia grottesca della perfezione che l‘aveva preceduto. Apparvero gli uomini e tute le razze, e con essi giunsero anche tutte le calamità insite nella loro natura: superbia, odio, egoismo, invidia, caos. La loro stolida presenza impedì all’Oscurità di tornare a regnare come sarebbe dovuto invece accadere e portò alla nascita di un nuovo universo, imbrattato di frammenti di Luce e costellato di tutti i loro peccati”
    Pendleton scosse la testa.
    “E’ ironico, non trovate? Se lasciassimo che questi stolti popoli della Luce continuassero per la propria strada, finirebbero solo per annientarsi. Quanto occorre essere stolti per ricercare la propria rovina e quella del proprio mondo, io mi domando?”
    “Dove cavolo...” Doye spiccò un balzo e colpì il Ciccio sul petto, atterrandolo. “Vuoi andare a parare?” gridò, tempestandolo di pugni violenti come tuoni. Domandava, ma temeva già di sapere la risposta.
    Pendleton sembrò lievemente deluso, eppure non sorpreso. “Dunque ciò sfugge alla vostra comprensione, messer nano...” Annuì. “Molto bene, allora sarò io chiarirvi le cose...questo vostro mondo, nato nella Luce so sostenuto dall Luce”
    Un enorme sorriso dentato squarciò la faccia di Pendleton.
    “E’ fasullo.”
    Doye sgranò gli occhi.
    Quella distrazione gli costò cara: il Ciccio ne lo afferrò per il collo e lo schiacciò a terra, per poi schiantarlo un pugno che gli coprì tutto il tronco. Per l’impatto, il robot inferiore, grande come un palazzo artesiani, si spaccò in due.
    “Guah” Doye tossì e sputò sangue, ma si morse la lingua e si costrinse a resistere e a continuare ad ascoltare.
    “Tutto falso!” Pendleton sollevò una zampa, indicando tutto lo stadio devastato attorno a sè. “Le persone, i palazzi, gli alberi, gli animali, l’aria, il cielo! E‘ tutto falso! Tutto costruito nell‘universo che appartiene all‘Oscurità fin dall‘inizio dei tempi! Tutto costruito alterando il naturale flusso delle cose! Tutto falso”
    L’Aspetto di Pendleton era tremendo mentre declamava con foga. Gli occhi rossi accesi, la bocca spalancata e i gesti ampi.
    Eppure la sua voce continuava ad essere calma e controllata, fredda come il ghiaccio più gelido.
    Doye lo fissava con il sangue alla bocca, cercando di respingere il dolore.
    “Usurpatori...” concluse lo Shadowgear, calmandosi. “Noi, gli Shadowgear, non vi perdoneremo. Noi siamo il popolo dell’Oscurità. Più degli Heartless, semplici burattini che esitano anche di fronte a una porta chiusa. Più dei Nessuno, esseri patetici alla ricerca del nulla. Più di ogni altro, noi Shadowgear abbatteremo ogni vostra patetica esistenza e riporteremo l’universo alla sua vera forma. Solo allora l’ordine naturale e la giustizia, verso cui questi obbrobri che voi chiamati mondi sono solo un’offesa, saranno ristabilite”
    Detto ciò, il Lord tacque.
    Schiacciato sotto la forza del Cicco, Doye ristette. Lo sguardo era indecifrabile, ma teneva la mascella serrata.
    La grandezza di quella rivelazione riverberava dentro di lui con uno strascico di ricordi ed immagini passate.
    Ogni più piccola memoria dei giorni che aveva trascorso nel suo mondo, ogni sorriso che aveva visto, ogni lacrima che aveva condiviso, ogni secondo che aveva vissuto...
    Cosa diavolo voleva dire con le sue parole quella sottospecie di scarafaggio nero?
    Che era tutto...
    “Fasullo?” sibilò. Le sue mani si strinsero attorno al pugno dello Shadowgear. Il ferro di cui era composto crepitò minacciosamente.
    “Stai dicendo che questo mondo è falso?” Le dita del nano affondarono nell’acciaio come coltelli nel burro. Sprizzi di Oscurità schizzarono dalle ferite.
    “Stai dicendo...” Doye sbarrò gli occhi, furioso. L’aura blu che lo circondava raddoppiò di dimensioni, ruggendo furiosa. “Che la mia vita è solo una bugia?!!” gridò, spezzando di netto l’avambraccio del Ciccio.
    Lo Shadowgear cadde, tenendosi il moncherino e stridendo di dolore.
    Ma Doye lo aveva già superato.
    Correva verso Pendleton, con rabbia e orgoglio nei suoi pugni. Deciso a difendere le proprie esperienze, per quanto dolorose esse fossero state, il nano scattò in avanti, portando con sè tutte le sue convinzioni.
    Il Lord rimase impassibile ad osservarlo.
    “Esattamente questo intendevo, messere” sussurrò. Tutte le sue antenne rimaste si allungarono, saldandosi al ripiano dello strano macchinario su cui posava i piedi, che cominciò a tremare. “Una bugia...” continuò, mentre l’acciaio del mezzo si contorceva e sollevava, prendendo una nuova forma.
    Sbarre si agganciarono, ruote fischiarono, pistoni lanciarono il loro spettrale richiamo, in una cacofonia di fischi e ingranaggi.
    “Una bugia a cui, però, abbiamo trovato rimedio...”
    Con un ultimo sibilo, la mostruosità meccanica si arrestò: un voluminoso cannone, formato da tre bocche che si attorcigliavano assieme in un ammasso disordinato, si sollevò verso il cielo. Bolle di Oscurità ne contorcevano la struttura, esplodendo e raggrumandosi con la vitalità di esseri vivi. Un ammasso confuso di antenne fuoriusciva dalla sua sommità, ondeggiando lascivamente al ritmo di un vento inesistente.
    “Order Seed...” disse Pendleton, lo sguardo basso. “Il seme che porterà al ritorno dell’ordine; il primo passo per la giustizia...”
    La sola vista di quell’orrore fece venire il voltastomaco a Doye.
    “Come se te lo lasciassi fare!” gridò, scagliandosi in avanti con determinazione.
    “Ciò che volete voi non ha nessuna importanza, messer nano” Pendleton gli voltò le spalle. Lentamente, sollevò una zampa e la puntò verso la parete dello stadio. “Nessuno può fermare la corsa inarrestabile del destino”
    Doye spiccò un balzo per raggiungerlo. Le sue gambe si erano staccate da terra quando sentì qualcosa afferrargliele. Imprecando, ricadde a terra duramente.
    Guardandosi indietro, vide il Ciccio che, trascinatosi con le ultime forze, lo aveva afferrato con l’unico braccio rimasto.
    “Dannazione! Levati di mezzo, ciccione!” sbottò, prendendolo inutilmente a calci in faccia.
    Con il cuore in tumulto e un senso di destino ineluttabile, lottò per liberarsi, ma ogni suo tentativo sembrava destinato a cadere nel vuoto.
    Pendleton emise un lieve verso divertito nel percepire i suoi sforzi inutili e mosse di lato la zampa di fronte a sè. Tutta la parete dello stadio svanì con un tremolio.
    Doye sgranò gli occhi.
    Vedere le luci di Luka, la grande città gremita di persone accorse per il concorso, fu ai suoi occhi come un segnale di condanna: il mostruoso cannone era puntato proprio in quella direzione.
    “Merda!” digrignò tra sè, riprendendo i suoi sforzi con rinnovato vigore, ma era lento, troppo lento.
    “Alla fine tutti i nodi vengono al pettine, amico mio” disse Pendleton, estraendo dal proprio cilindro una piccola chiave nera ed avvicinandola ad un foro che si apriva in quello che sembrava il pannello di controllo dell’arma. “Non importa se vecchi di ere, infine riemergono...”
    “Merda!” Doye allungò il braccio, come se quello bastasse per fermare tutto quello. “Fermatelo!” sibilò tra i denti. “Fermate questo bastardo!”
    “..e il giudizio che portano con sè è impietoso”
    La chiave sfiorò l’incavo.
    Uno sparo.
    Il rumore di un oggetto che va in pezzi.
    “Scusa” disse Yuna, brandendo la pistola fumante. “Ma non te lo permetteremo”
    Doye sentì la stretta sulle gambe allentarsi di colpo. Un secondo dopo la figura del Ciccio lo superò volando e andò a schiantarsi ai piedi di Pendleton.
    Il nano ci mise qualche istante a capire cosa stava succedendo. Tempo che non terminò senza che una faccia da moccioso fin troppo familiare entrasse nel suo campo visivo.
    “Scusa se ti abbiamo fatto aspettare” disse Tidus, aiutandolo ad alzarsi.
    Doye lo guardò incredulo.
    Incredulità che divenne furia rabbiosa, idrofoba.
    “Che cavolo ci fate voi due qua?!!”
    Tidus ne rimase sorpreso, e anche un po’ intimorito. “Beh...pe-pensavamo ti servisse aiuto”
    Il CONK del pugno del nano che cozzava sulla testa del ragazzo mise a tacere ogni giustificazione. “Quale parte di *Andate via! Non pensate a me!* Non ti è chiara, moccioso? Già mi faccio schifo a dire robe cosi fuori moda! Ci manca solo che me le fai ripetere!”
    “Ehm, a me non sembra”
    Parole avventate quelle di Tidus. Parole che diedero vita ad un altro CONK.
    “Stà zitto, scemo!” gli urlò addosso un Doye imbufalito come un toro e col fumo che gli usciva dalle orecchie.
    “Ehm, scusatemi” Yuna li richiamò più delicatamente che potè, anche se si avvertiva un certo filo di disagio nella sua voce.
    “Ah, giusto, giusto, prima il dovere” la liquidò Doye. Il nano avanzò tra i due, ragazzo e ragazza, ostentando la dignità di un generale. “Ok, voi ragazzi siete inutili, ma per stavolta chiuderò un occhio e vi lascerò come comparse. Comunque nei titoli di coda non ci sarete, ok?”
    Tidus e Yuna si guardarono, sorridendo lei e afflitto lui, prima di puntare gli sguardi seri su Pendleton. “D’accordo”
    Doye ghignò famelico, l’aura blu che gli danzava attorno.
    “Se non sbaglio tu ed io stavamo amichevolmente parlando, no, Lord?” disse, rivolto a Pendleton. “Che ne pensi di dare una bella accelerata a questo tuo destino cosi noioso?”
    Pendleton lo guardò un istante in silenzio, prima di rispondere. “Molto bene” commentò. Il moncherino della chiave rimastogli in mano finì schiacciato tra i suoi artigli.
    “Accetto la vostra sfida, messer nano, ma temo di dover declinare il vostro invito”
    La sua antenna, collegata ancora al Ciccio, si gonfiò di colpo, come se qualcosa di troppo voluminoso stesse cercando di attraversarla. Il rigonfiamento viaggiò per tutta la conduttura e affondò nel corpo dello Shadowgear gigante, che si risollevò con un ruggito, avvolto anche lui da un’aura, ma oscura come la notte.
    “Non esistono né accelerazioni né rallentamenti per il destino, solo passaggi necessari” riprese Pendleton e le sue parole sembrarono prendere conferma quando spalancò la mano, mostrando sul palmo la chiave perfettamente integra.
    “L’ha ricostruita?” chiese Tidus, esterrefatto.
    Un proiettile strappò l’oggetto di mano al Lord mandandola a cadere tra le macerie.
    “Lo vedremo subito” disse minacciosamente Yuna, abbassando la pistola.
    “A-ah, bel colpo!“ lo sbeffeggiò Doye, poi rivolto a Tidus e Yuna. “Mocciosi! Non importa come, ma impeditegli di far fuoco con quell’affare. Io distruggo questo ciccione e torno!”
    Schizzò in avanti contro il Ciccio in avanzata. Lo scontro dei loro pugni scatenò un’onda d’urto, cosi come tutti quelli seguenti.
    “Wow!” si lasciò sfuggire Tidus, con un misto di ammirazione e stupore, cercando di proteggersi dai violenti spostamenti d‘aria. “Che razza di potenza!”
    “Presto!” lo richiamò Yuna.
    Entrambi corsero verso il punto in cui la chiave era caduta.
    La ragazza gettò uno sguardo verso Pendleton. Con sua grande sorpresa, il Lord non si era mosso di un centimetro dalla sua posizione, anzi, non sembrava neanche prestare attenzione a loro due e alla chiave, dato che era completamente concentrato sullo scontro tra Doye e il gigante.
    Quello strano comportamento la turbò: a prima vista la chiave serviva per attivare quell’arma, no? E allora perché non correva a recuperarla?
    “È laggiù!”
    Il grido di Tidus la richiamò dai suoi pensieri: il ragazzo le stava indicando una rientranza nella superficie del palco ormai prossima allo spezzarsi. La chiave era lì, stesa tra i mucchi di frammenti.
    “Interessante come un oggetto cosi piccolo risulti importante, non trovate?”
    Tidus e Yuna si irrigidirono: Pendleton era di fronte a loro e li guardava bonariamente.
    Esterrefatta, Yuna spostò lo sguardo tra lui e il macchinario ora deserto. Non l’aveva neanche visto muoversi.
    Deglutì. Se poteva muoversi cosi velocemente...
    “No, non posso tentennare adesso” si disse. Non dopo aver corso tutti quei pericoli e non quando c’era in gioco il destino di tante persone innocenti.
    Rivolse uno sguardo a Tidus e gli vide negli occhi la stessa determinazione. Lui la guardò e lei annuì.
    Un secondo dopo, erano in azione.
    Tidus scattò verso la chiave e quando Pendleton fece per intercettarlo, Yuna gli sparò contro una raffica di proiettili.
    Vedendoseli venire addosso, lo Shadowgear sospirò; sollevò la zampa e la mosse di fronte o sé, facendoli svanire tutti quanti come fumo dissolto dal vento.
    “Vi consiglio di provare ben altro, signorina” consigliò garbatamente.
    Yuna non demorse: puntò i piedi a terra, strinse i denti e premette i grilletti a raffica, inondandolo di pallottole.
    Pendleton rimase impassibile: poco prima di toccarlo i proiettili svanivano uno dopo l‘altro.“A piacer vostro, ma resta perfettamente inutile” disse tranquillo. Benchè fossero un flusso costante, le pallottole non lo sfioravano minimamente
    Yuna continuò ad attaccarlo con determinazione finchè un lugubre click le rintoccò nelle orecchie.
    Le pallottole erano finite.
    Premette ancora un paio di volte i grilletti prima di arrendersi e gettare via le due armi ormai inutili.
    “Oh? Sono terminate?” chiese Pendleton con quella che sembrava sincera sorpresa.
    “Ho altre armi!” rispose Yuna, caricandolo. Una luce gentile la circondò, per poi dissiparsi subito dopo, rivelandola nel suo nuovo Look Cavaliere Oscuro.
    “Oh?” fece Pendleton, senza muoversi.
    A gran velocità la ragazza azzerò la distanza che li separava e calò la spada sulla testa dello Shadowgear con tutta la forza che aveva. Uno scoppio di polvere e frammenti esplose a causa del suo attacco.
    “L’ho colpito?” si chiese.
    Era certa di esservi riuscita, ma si ritrovò di fronte nient’altro che l’aria.
    Con gli occhi sgranati per la sorpresa, sentì una piccola mano artigliata posarsi sulla sua schiena.
    “Nobile tentativo” le disse la voce di Pendleton. Una sensazione di totale vuoto le afferrò le membra. Le sembrava di stare...svanendo. “Ora, vi prego, svanite”
    Non sapeva cosa stesse succedendo e per sua fortuna non lo seppe mai.
    Doye e il Ciccio piombarono là dove si trovava un istante dopo, aggrovigliati in una lotta senza quartiere.
    Il contraccolpo del loro atterraggio la sbalzò via, mandandola a sbattere contro i lato del cannone Shadowgear.
    Appena toccata terra, sentì respiro e cuore tornare a funzionare regolarmente. Respirò più e più volte per essere sicura di esistere ancora. Il vuoto che aveva sentito afferrarla era svanito, ma al suo posto adesso una sgradevole sensazione di debolezza la permeava.
    “Yuna! Stai bene?” Vedere Tidus correre al suo fianco le fu d’aiuto.
    Sorrise, cercando di non far trapelare lo stato in cui si trovava. “La chiave...” Lasciò la domanda interrotta a metà. Non aveva la forza di completarla.
    Per fortuna, Tidus sembrò capire.
    “Eccola” disse il ragazzo, mostrando la piccola chiave nera.
    “Distruggetela, che aspettate?” gridò loro Doye, mentre era impegnato a combattere con il Ciccio. Un sorriso spavaldo affiorò sul volto del nano.
    Non gli importava di sapere cosa stava macchinando quel dannato Lord chiacchierone, non gli importava di conoscere il perché né quale fosse il suo obiettivo, non gli importava di sapere un bel niente, ma sapeva che doveva essere fermato ad ogni costo. Lo sentiva più di ogni altra cosa.
    “Distruggete quell’affare!” gridò ancora, menando un pugno al fianco del Ciccio e strappandogli un verso di dolore.
    Yuna annuì, risoluta.
    Anche lei condivideva i pensieri del nano. Proprio per questo non avrebbe permesso che quell’occasione andasse perduta.
    Vide Tidus porgerle la spada cadutale con uno sguardo fiducioso.
    Sorrise.
    “Non io” gli disse, scuotendo la testa. Appoggiò la sua mano su quella del ragazzo. “Insieme”
    Come insieme erano giunti in quel luogo, come insieme li aveva portati a stare la strada che avevano percorso, cosi insieme dovevano fare anche quello.
    Tidus annuì a sua volta. Solo in quel momento gli sembrava di capire finalmente appieno quanto fosse stato fortunato ad incontrare proprio Yuna in quel vasto mondo, quanto la sua presenza fosse veramente fondamentale per la sua vita.
    Insieme, sollevarono la spada.
    Insieme, la infusero di energia magica, facendola brillare di luce bianca, cosi che distruggesse quel piccolo pernicioso oggetto delle tenebre senza lasciarne neanche una briciola.
    Insieme, la calarono con tutta la forza che avevano.
    Sotto il loro colpo, la chiave si spezzò seccamente in due tronconi, che vennero avvolti da un fuoco magico che li consumò completamente, senza lasciare nessun residuo della loro esistenza.
    Solo quando anche il più piccolo frammento della chiave fu svanito nel nulla, si lasciarono andare ad un sorriso reciproco.
    Ce l’avevano fatta.
    “Ben fatto!” ruggì Doye, superando gli echi dello scontro con il Ciccio.
    Yuna sorrise dolcemente, mentre Tidus incoraggiava il nano con un grido.
    Ce l’avevano fatta.
    Per degli attimi aveva temuto che non sarebbero riusciti ad impedire a quei mostri di seminare ulteriore distruzione, ma alla fine tutto sembrava stare per aggiustarsi in modo...
    “Perfetto”
    Yuna si irrigidì. Un’ondata di paura tornò ad invaderla e vide lo stesso sentimento offuscare l’azzurro cristallino dello sguardo di Tidus.
    No, come avevano potuto dimenticarlo?
    “Assolutamente perfetto”
    Si voltarono in direzione della voce, fin troppo conosciuta e ciò che videro li riempì di terrore.
    In tutta la sua perfetta calma e compostezza, Pendleton si ergeva di fronte al pannello di controllo dell’arma. Nell’artiglio, stringeva una copia perfetta della chiave che avevano appena distrutto.
    “No, non è possibile!” urlò mentalmente Yuna. Non avevano lasciato nulla di quell’oggetto. Come faceva ad averlo di nuovo?
    Mentre pensava questo, Tidus scattò in avanti.
    Accadde tutto in un lampo.
    Lei non ebbe il tempo di richiamarlo.
    Lo vide riuscire appena fare appena qualche passo prima di venire schiantato indietro da una forza invisibile e crollare pesantemente a terra con un gemito.
    “Tidus!” gridò, disperata.
    “Moccioso!” le fece eco Doye, ma il combattimento era troppo serrato perchè potesse accorrere.
    Yuna cercò di alzarsi, ma le ginocchia le cedettero e ricadde.
    Non si fermò neanche un attimo a pensare: con la forza della disperazione, si trascinò fino al ragazzo inerte e gli sollevò la testa, un mortale terrore ad attanagliarla.
    Con suo grande sollievo, lui tossì e socchiuse gli occhi.
    “Yu...na...” riuscì appena a mormorare.
    Yuna ringraziò tutti i Dei di tutte le razze e di tutti i tempi. Era malconcio e ferito, ma almeno era vivo. Vivo.
    Lo strinse a sè, colma di gratitudine.
    Per un attimo, aveva davvero temuto di averlo perso.
    Il pensiero l’aveva scossa profondamente e profonda allo stesso modo fu la rabbia che provò verso colui che era stato il responsabile di quell’orribile attimo di incertezza. .
    “Oh?” Pendleton inclinò la testa leggermente di lato quando lei lo trafisse con uno sguardo di pura furia.
    Il Lord ne sembrò divertito e incurante allo stesso modo.
    “Vedete, messer nano?” chiese, rivolgendosi a Doye. “Esattamente ciò di cui vi parlavo. Emozioni, avventatezza, stoltezza. Ecco i grandi vincoli del vostro mondo. Essi sono la via per il Caos, per l’instabilità, il disordine più assoluto. Guardate questa fanciulla e questo ragazzo” Indicò Yuna, che lo guardava furiosa, e Tidus, semi svenuto, con un leggero movimento della zampa. “Non pensiate che non riesca a capire cosa proviate entrambi. Il legame che vi unisce è qualcosa di grande, prezioso, ma siete consapevoli di quali sono le sue conseguenze? Amare qualcuno significa essere pronti a sacrificare tutto il resto per esso. Questo è quello che viene comunemente chiamato egoismo, amici miei” Pedleton scosse la testa. “Riuscite a capirlo? Riuscite ad afferrare la verità? Non dovrebbe essere possibile che qualcosa di cosi forte e che trovate cosi bello crei tanta sofferenza. Per questo, anche questi vostri forti sentimenti sono un malvagia illusione, come lo è tutto questo mondo illuminato dalla Luce. Solo la profonda Oscurità è priva di queste false illusioni”
    “Non è...vero...” Gli occhi stretti per contenere il dolore, Tidus fece presa per risollevarsi. Yuna lo aiutò, ma le parole la tradivano. In quel momento di profonda incertezza e rabbia, non sapeva cosa dire.
    “Non è...falso...” ansimò per lei il ragazzo, provato. “Non è falso! Io...so che è vero! Non è falso!”
    Sentire sforzarsi cosi tanto le strinse il cuore. Yuna avrebbe voluto piangere ed urlare, ma la gola si ostinava a restarle serrata.
    Come poteva succedere tutto quello?
    “Non ti sforzare, ragazzo, non cambierà le cose” Pendleton si accostò al pannello di controllo, scuotendo il capo. “E’ una scena già vista, nevvero?” chiese, tranquillo.
    Yuna sapeva che non si stava riferendo unicamente al fatto che stava per attivare l’arma, bensì che non potevano fare nulla per fermarlo. Tidus sembrava sul punto di svenire e lei non aveva neppure la forza di alzarsi. Per di più, sentiva ancora chiaramente le grida di guerra di Doye impegnato nella battaglia con il Ciccio, chiaro segno che neanche da parte del nano poteva arrivare aiuto.
    “Una menzogna, amici miei. E’ in questo che vivete, ma non abbiate paura, noi vi libereremo...” Con un movimento deciso, il Lord infilò la chiave nella serratura. Appena lo ebbe fatto, la mostruosa arma cominciò a tremare e a distorcersi famelicamente.
    “Che tutto torni all’Oscurità” recitò il Lord, arretrando di qualche passo.
    Le tre canne attorcigliate presero a sibilare e a torcersi come spettri affamati. L’intero grottesco macchinario gracchiò e fischiò, per poi sollevarsi e puntare verso l’enorme apertura nelle mura dello stadio e, oltre quella, verso la città di Luka.
    “No!” gridò Yuna, ma il suo grido rimase inascoltato.
    “Solleviamo il sipario su un’altra purificazione!” disse Pendleton, mentre le bolle di Oscurità si staccavano una dopo l’altra dalla superficie ribollente dell’arma, galleggiando pigramente nell’aria.
    Le tre canne diedero un ultimo stridio prima di assestarsi del tutto, piegandosi e puntandosi a vicenda nella forma di una cuspide. Come richiamata, l’Oscurità prese ad addensarsi alla punta formatasi, condensandosi in una densa sfera nerastra.
    Terrorizzata, Yuna vide il proiettile oscuro gonfiarsi di dimensioni sempre di più sotto lo sguardo compiaciuto di Pendleton. Si guardò intorno, alla disperata ricerca di una soluzione, di qualsiasi cosa che potesse impedire la tragedia che stava per abbattersi sulla città.
    Non ne trovò nessuna.
    Anche Doye si era accorto del disastro incombente, e infuriava con una valanga di colpi ed imprecazioni sul viso del Cicico che lo tratteneva strenuamente. Si sarebbe liberato, era solo questione di tempo, ma non abbastanza in fretta.
    Forse assieme a Tidus avrebbero potuto fermarlo, ma il ragazzo sembrava appena cosciente e Yuna non aveva nessuna intenzione di esporlo ancora ad altri pericoli.
    Rimaneva solo lei...
    “Rimango solo io...” ripetè a sè stessa.
    Un’idea la folgorò.
    Era un progetto folle, pazzo, ma sentiva che era l’unica possibilità rimasta.
    Un lampo di determinazione le illuminò gli occhi.
    Per tutto ciò che amava e in cui credeva, sapeva che andava fatto.
    Aveva solo un piccolo rimpianto.
    “Tidus” sussurrò, volgendo il ragazzo verso di sè. Lui la guardò, non comprendendo il perchè del suo sorriso gentile.
    “Sono felice di essere stata con te”
    Tidus sgranò gli occhi. “No...” sussurrò. “No” ripetè, ma Yuna l’aveva già lasciato.
    Come se le lancette del tempo avessero deciso di rallentare per permettergli di imprimersi per l’ultima volta il suo viso nella mente, la vide correre via, verso il cannone in procinto di sparare.
    “YUNA!” gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
    Yuna lo sentì, ma non si fermò. Non poteva fermarsi.
    Pendleton la notò.
    “Ferma!” ordinò imperioso, e le puntò una mano contro.
    Ma neanche lui riuscì a fermarla.
    Yuna spiccò il volo, appena un attimo prima che il suolo su cui poggiava i piedi svanisse nel nulla come se non fosse mai esistito.
    Il tempo sembrò fermarsi.
    Pendleton, Tidus, perfino Doye ed il Ciccio interruppero il loro furioso scontro per vederla innalzata di fronte alla bocca dell’arma Shadowgear quasi caricata completamente.
    Di fronte a quella mostruosità, di fronte alla morte, Yuna non mostrava altro che uno sguardo determinato.
    Sensazioni contrastanti, felicità per i momenti trascorsi, rimpianto per i momenti futuri, la avvolsero.
    Tidus le stava gridando qualcosa, ma il rimbombo emesso dell’arma era troppo forte e non riusciva a sentirlo.
    Gli sorrise, chiedendogli scusa.
    Gli chiese scusa per tutte le sofferenze attraverso cui era stato costretto a passare per causa sua, per tutti i dubbi, per tutte le più piccole cose che potevano avergli arrecato danno per causa sua.
    Poi lo ringraziò.
    “Grazie”
    Puntò i palmi in avanti, l’uno sopra l’altro. Un globo di elettricità li avvolse.
    “Grazie a tutti”
    La sua magia colpì uno dei supporti principali del cannone, facendolo in mille pezzi. Senza l’appoggio necessario per sostenere la sua immensa energia, la mostruosa arma si impennò, rivolgendosi verso il cielo.
    “Grazie Wakka, per avermi fatto da fratello maggiore. Grazie Lulu, per essermi stata sempre vicina. Grazie Kimarhi, per avermi protetta. Grazie Auron, per avermi mostrato la strada. Grazie Rikku, per avermi ascoltata. Grazie Paine, per avermi rimproverata”
    Vide i tentacoli di Pendleton afferrare saldamente le tre canne e rivolgerle di nuovo verso il basso.
    Dritte verso di lei.
    Mentre si lasciava cadere, privata di ogni energia, guardò verso Doye: il nano ancora combatteva per raggiungerla.
    Non ci sarebbe riuscito, ma ugualmente gli sorrise.
    “Grazie anche a te, signor Doye, per avermi fatto incontrare con lui un’ultima volta”
    Sollevò lo sguardo sereno verso di lui.
    La stava osservando con una foga sgomenta e disperata.
    “E grazie a te” sussurrò Yuna. “Per essere stato la mia Luce”
    Perchè se di qualcosa lei era mai stata certa era che ciò che li legava non era fasullo.
    Era vero, scintillante come il sole di mezzogiorno e chiaro come il cielo azzurro.
    Vero come la vita che avevano trascorso assieme.
    Il cannone sparò.
    Yuna non sentì nessun dolore, solo qualcuno che gridava il suo nome in lontananza.
    Poi rimasero solo il buio assoluto e un inno lontano ad un‘ombra senza tempo.
     
    Top
    .
17 replies since 15/9/2011, 22:59   527 views
  Share  
.
Top