Babilonia

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    Twilight Player

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    Bellissimo capitolo, hai modificato molte cose del vecchio Babilonia, eh?
    Il pezzo di Coris bambino è molto bello, uccide tutte le pecorelle e il padre c'ha paura de sgridarlo! Aoh! Du sculacciate sur culo! :asd:
    Dicevo..

    La fortezza è descritta bene, e poi Ambrus ritrova il compagno di mille avventure (?) Riccardo!!!!!!! (???)

    Bravo. :3
     
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  2. _Holy
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    CITAZIONE
    Bellissimo capitolo, hai modificato molte cose del vecchio Babilonia, eh?

    Eh sì XD
    Nonostante cercassi di pensare a tutt'altra storia, Babilonia mi rimaneva sempre vivida nei pensieri, come un boccone non digerito, e mi infastidiva l'averla interrotta in quel modo, e averla curata in quel modo.
    Anche se, lo ammetto, il Coris di una volta mi piaceva un po' di più XD mi ci immedesimavo un sacco.
     
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  3. _Holy
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    Ho deciso che posterò a velocità folle gli ultimi capitoli, in modo da mettervi immediatamente al passo con me.

    E' finita la transizione, i prossimi quattro capitoli saranno di AZIONE!


    ACQUA ROSSA


    "Cingendo legamenti di metallo attorno al proprio torace, alle proprie braccia e le proprie gambe, mandrie di uomini imbraccianti strumenti di morte si avviano per le calde sabbie del deserto, affrontando le appuntite lance di sole in rimbalzo sulle armature screpolate. Sudore e sangue si mischieranno, pile di corpi si ergeranno come colonne, animi contrastati colmeranno il loro io, le strade dei condottieri andranno a dividersi ed i cieli si frantumeranno di fronte ai gemelli speculari, uniti sotto ad un rosso sole cocente, un sole che sorriderà al viaggio che verrà..."


    L'inquietudine albeggiò negli animi dei presenti. Luisian si poggiò con i pugni sulla tavola circolare, ponderando prepotentemente su una soluzione all'inghippo di Riccardo, ma non era il solo a star lavorando di mente, anche Dazio, Owen, Ambrus, tutti erano in parte avviliti ed in parte indecisi.
    Nessuno si era aspettato che il racconto del re barbuto prendesse in considerazione elementi così criptici, i più pensavano si trattasse di qualche lavoro che comprendesse "comuni" spiriti irosi.
    - Vuoi tornare in questa città sull'Euphrat e vendicare il tuo battaglione... - Ricapitolò Luisian - E per farlo, hai chiesto l'aiuto del popolo eriseano e apolloniano... che accade? Aurelia non ha più riserve? -
    - I miei uomini... - Fece Riccardo - Sono impegnati in ben altre località! Mandarli alla volta di quel luogo sarebbe come privare gli avamposti settentrionali all'Euphrat delle loro difese! Tra l'altro, confido apertamente che quella città possa conferire un vantaggio tattico invidiabile... -
    - Perché? -
    - Costituirebbe un ottimo avamposto dove organizzare le truppe e marciare verso Jerusalem. -
    - Dimentichi che la città di cui parli è nel cuore di Oomad, territorio in mano agli eretici! -
    - Nessuno si avvicina a quel posto... le leggende narrano che sia maledetto... e poi, il deserto non è esattamente il luogo che i mauriniani favoriscono per ergere accampamenti. -
    - Non è nemmeno il luogo migliore su cui far marciare i nostri uomini! -
    - Luisian, mi meravigli... ce l'abbiamo fatta noi aureliani, perché non potrebbero farcela gli eriseani o gli apolloniani? Tra l'altro, L'Alta Croce è senza ombra di dubbio l'armata migliore nel ventaglio di Inamod... -
    Calò con impeto i palmi sulla tavola, facendo sobbalzare i calamai presenti - Erisea non è da meno! Organzzerò le mie truppe e marcerò sulla città, se è ciò che vuoi... -
    - Se è ciò che vuoi TU! -
    - Io voglio conquistare Jerusalem e darla alla chiesa! -
    - Anche io! Quello che voglio dirti è che devi essere pronto, tutti voi dovrete essere pronti... - Guardò indirettamente tutti i presenti, Ambrus ed Owen erano marginali alla tavolata - Se non lo sarete, perirete come il mio battaglione... -
    Il generale zaffiro esordì con apatia - Quando avete intenzione di partire? - Si rivolse a Riccardo.
    - Al più presto possibile. Vi lascerò il tempo per organizzarvi... -
    - Non chiedo di meglio... - Voltò le spalle, intento ad andarsene - Vieni, Ambrus... -
    - Ehi! - Dazio si erse dalla sedia, facendola capitombolare all'indietro - Dove credi di andare? Non sei nessuno per prendere decisioni! -
    - Sto andando ad organizzare i nostri uomini, Dazio... - Spinse un'anta della porta, il sole penetrò nella sala - Io partirei, è un'ottima occasione per ottenere un vantaggio tattico su Ibn-Mauri... -
    - Manderesti i nostri uomini a suicidarsi in quel modo?! Non hai sentito cosa ha detto Riccardo?! Non hai capito cosa c'è in quella città?! -
    - C'è un qualcosa che va fronteggiato, ha sterminato un intero battaglione, quindi è un nemico... - Sollecitò gestualmente Ambrus ad uscire - Se non volete farlo per voi stessi, fatelo per Jerusalem... va conquistata! - Lasciò la sala indetta per la riunione assieme all'amico, quindi si incamminò per le vie assolate di Isin, senza ripensamenti di alcun genere.
    - Sei sicuro di ciò che fai? La tua testardaggine potrebbe portarti al degrado... - Commentò Ambrus, a pugni chiusi affondando i piedi per le strade sporche, fondendosi al flusso di gente.
    - Per far salire qualcuno con molta meno competenza tattica rispetto a me? Dazio non è così stupido... - Come al solito, Owen teneva le mani raccolte alla zona lombare.
    - E Luisian? Ora è lui che tiene le redini... -
    - Luisian è con me. Vuole partire, sopratutto per non deludere le aspettative di Riccardo... -
    - Insomma l'unico titubante è Dazio. -
    - Ha sempre fatto così, è un codardo... -
    - Già... - Cacciò un sorriso - Ricordo che durante la campagna invernale venimmo sorpresi da una tempesta di frecce... là dove la maggior parte di noi si riparò con gli scudi, lui si gettò sotto al suo cavallo! -
    - Una vera dimostrazione di coraggio... - Fece senza alcun accenno di risata, per poi arrestarsi al bivio prossimo all'entrata cittadina - Ora ti pregherei di lasciarmi solo, Ambrus... vorrei dare atto ai preparativi. -
    - Senza alcuna autorizzazione? -
    - Sono tranquillo, so che a prescindere dai capricci di Dazio partiremo ugualmente... - Si incamminò fuori le mura, superando l'entrata rettangolare sovrastata dal posto di guardia - Tanto vale farci trovare preparati... - Aggiunse poi svanendo dietro la cinta muraria, si stava incamminando verso la collina erbosa sulla quale fiorivano le tende dell'Alta Croce.
    Il leone fu solo, e fu un ottimo momento per riposare. Rivangò quanto detto da Owen, che il vecchio monastero cittadino era zona di ritrovo per tutti gli ufficiali in carica, ma non se la sentiva di tornare in mezzo ai subordinati, di inquinare le proprie orecchie con formali "buongiorno capitano", per quella volta volle godersi l'aria aperta approfittando della fresca brezza che in quell'attimo spirava, cosa rara data la secchezza di Mauri, continente in cui le aride sabbie del deserto privileggiavano sul panorama.
    Dopo aver girovagato per Isin ed essersi descritto una mappa mentale della zona, trovò pesante l'atmosfera malsana che pervadeva le strade, le piazzole e i vicoli. Non gradiva l'odore delle pietanze mauriniane, la cui preparazione poteva essere tenuta d'occhio dai passanti a causa delle innumerevoli case sprovviste di porte e finestre, ma Ambrus non volle indagare, era diretto al di fuori delle mura, non alla tendopoli eriseana e nemmeno a quella del proprio esercito.
    Il luogo che raggiunse fu nel bel mezzo del sito collinare adiacente a Isin, non era tanto differente dai dintorni di Accidia, causa la morfologia del territorio pressocché identica, dopotutto le terre eretiche non spiccavano per varietà negli scorci.
    Si sedette sull'erba giallastra e gettò lo sguardo là dove il paesaggio si faceva meno nitido, troncato dalle dune del lontano deserto che in quel momento formavano l'immancabile linea di orizzonte.
    Fu l'attimo giusto per pensare... pensare a quanto nel corso degli anni la sua tempra combattiva fosse mutata, da come il suo agire sanguinario lasciò il posto all'esperienza e al senso del dovere, nonché della giustizia.
    Ambrus era il soldato perfetto.


    "La prima crociata..."


    Accusate delle fitte tremende allo stomaco, il giovane si precipitò sulle murature legnose che emergevano rassicuranti dalla facciata sinistra della nave, vi portò i palmi e gettò lo sguardo al mare sottostante, tagliato dalla prora appuntita che avanzava, poi iniziò ad ansimare in preda al nauseabondo influsso che i viaggi marittimi gli instillavano.
    Non si accorse che Riccardo lo aveva avvicinato - Ragazzo... - Esclamò lui - Il mare non ti piace, vero? -
    Reagì ondeggiando il capo e alzando lievemente lo sguardo, vide in lontananza altre numerose caravelle identiche di quella che lui e un vasto manipolo di soldati stavano occupando, supervisionati dai generali Dazio, Luisian e Riccardo, quest'ultimo ai tempi non ricopriva ancora la carica di re aureliano, la avrebbe ottenuta qualche anno in seguito all'approdo a Mauri.
    Fiancheggiò il ragazzo e si poggiò alla muratura - Quanti anni hai? -
    - Quindici... - Rispose lui senza smettere di ansimare.
    - Non sei un po' troppo giovane? - Notò che non gli rispose - Come ti chiami? -
    - Ambrus... - Si riprese, seppur minimamente, dando la schiena alla muratura e gli occhi all'albero maestro, adornato da una enorme vela triangolare sulla quale stagliava imponente la rossa croce dell'armata.
    Il resto della nave era umile, il fasciame dello scafo non possedeva decorazioni o intagli, solo solchi orizzontali delle assi in legno scuro; murature minimali dedite al semplice sostegno circondavano ogni superficie, interrompendosi solo nel punto in cui sarebbero saliti i passeggeri tramite un'asse in legno retrattile.
    Ambrus e Riccardo stazionavano sul castello di prora, la piazzola anteriore della caravella.
    - Non saresti dovuto partire, i giovani come te devono rimanere in patria, e vivere... - Sentenziò Riccardo con tono paterno - Perché hai preso la croce? -
    - Ti conosco? No! Quindi lasciami in pace, idiota! - Fece per allontanarsi, per poi sentire la mano del generale stringersi attorno al suo bicipite duro del muscolo allenato.
    Riccardo strattonò Ambrus lontano dal ponte senza aggiungere ulteriori parole, si insidiò nell'apertura rettangolare che conduceva ai piani inferiori della caravella.
    Nel mentre, un sorriso lieve e crudele aveva decorato i soldati sul ponte di coperta.
    Qualche minuto più tardi il biondo ragazzino sentì dei lacci metallici bloccargli i polsi e tenergli le braccia alzate, siccome vincolati ad un anello metallico sul soffitto del luogo in cui si trovava: la stiva della nave, impestata di un'orrendo tanfo e stracolma di rastrelliere per lance e spade; era un posto angusto, buio e claustrofobico.
    Ansimò nuovamente, non per il mal di mare, bensì per la paura, il suo petto era stato privato del "calore" conferito dalla fredda cotta di maglia e della bianca uniforme di tessuto; sulla sua nudità erano definite le fossette della lieve muscolatura.
    E poco oltre, Riccardo giocherellava pigramente con un coltello uncinato, fece roteare il manico tra le dita per almeno cinque volte prima di dirottare la propria attenzione su Ambrus, guardandolo con sadica reverenza.
    Si dimenò con l'odio stampato in volto, ma fu impossibile per lui muoversi sicché i lacci erano stati annodati con esperienza da quell'uomo dinnanzi, in pochi secondi lo vide avvicinarsi minacciosamente con il coltello.
    - Qualcuno deve insegnarti le buone maniere... avresti dovuto accertarti del mio grado, prima di darmi addosso in quel modo... - Prese a solcare la pelle di Ambrus con la punta ricurva del pugnale, ciò lo fece rabbrividire ma anche sudare freddo, in un contrasto che denotava puro terrore.
    - Smettila... smettila... - Sussurrò Ambrus a denti stretti.
    - E' tardi, ragazzino! - Premette con maggior foga sul pettorale del giovane soldato, la lama valicò la pelle e aprì un veloce squarcio obliquo, ciò non fece urlare Ambrus ma il dolore lo provò in egual misura - Mi hanno ordinato di andarci piano con quelli come te, ma mi riesce difficile... la sola cosa a cui penso dinnanzi a simili giovani sfrontati è di farli soffrire nella peggior maniera possibile! - Aggiunse staccando la punta arrossata dal torace di Ambrus, grondante di un rivolo di sangue dalla ferita.
    - Io... io ti ucciderò, bastardo! -
    - Zitto! - Ammontò un pugno al suo viso, ed un nuovo ruscelletto sanguigno fuoriuscì dall'estremità della bocca, macchiando il mento.
    - E' tutto ciò che sai fare? Avanti, colpiscimi! Colpiscimi!! -
    - Ti tirerò fuori l'intestino, mostriciattolo! - La mano armata si alzò, pronta a fiondarsi sull'addome di Ambrus, ma la provvidenza fu gentile, si manifestò sottoforma di una voce rauca e profonda che invocava il nome di Riccardo.
    Era Dazio, dai piani superiori.
    - Ti lascio qui! - Disse Riccardo gettando il pugnale sul pavimento della stiva, la sua bravura fece sì che si conficcasse nel legno, impiegò poi i gradini al ponte di coperta.


    "Capitano Ambrus... !"


    Il leone si voltò, riconoscendo la figura della Madonna d'Ebano dietro di sé, avvolta nell'abituale vestito nero con cappuccio - Wafa? - Fece lui.
    - Capitano Ambrus... cosa ci fa qui? -
    Riposizionò lo sguardo sull'orizzonte e si resse il mento con i pugni - Stavo pensando... -
    - Pensando a che cosa? -
    - Wafa... secondo te è possibile cancellare il passato... ? -
    Ella ammutolì per qualche istante, l'attimo ideale per riflettere, poi formulò una frase - Quando i miei genitori mi videro dopo essere entrata in Alta Croce... mi dissero che loro figlia era morta, che io non ero Wafa. Mi dissero cose brutte, come se avessero dimenticato l'amore che provavano per me. -
    Ambrus sospirò.
    - Penso che il passato si possa cancellare, capitano... ma non penso che sia giusto... -
    - E' sbagliato dimenticare le cose brutte? -
    - Questo non lo so. -
    - ... -


    "Là dove le onde si frantumano, è in agguato la morte..."


    Dazio distese sul tavolo circolare la mappa della costa designata dalla caravelle - Qui... - Indicò in un punto - E' qui che approderemo! -
    - Fatemi vedere... - Queste parole, coniate da una voce stridula, provenivano da un grasso individuo lì accanto, indossava una lunga tunica di colore rosso centrata da un sole sorridente; il suo viso era pienotto e arrossato, con degli spettinati capelli schiacciati. I libri di storia avrebbero riportato questo individuo con il nome di Luisian I, padre dello Stratega Scarlatto nonché Maestro dell'ordine eriseano - E' sicuro che la popolazione locale non ci attaccherà? -
    - No... - Fece Riccardo - Prima di partire abbiamo mandato dei brigantini a ispezionare la zona, non c'è anima viva. -
    I tre stazionavano nel bel mezzo del ponte di coperta, scrutando la disposizione delle caravelle distanti, mai troppo aggregate o troppo disperse.
    Soffiava un vento favorevole alle vele affamate, che faceva svolazzare la folta chioma nera di Riccardo, uomo che ai tempi non portava ancora una prosperosa barba, ma manteneva già i lineamenti del viso rocciosi e rudi.
    - Per prudenza... - Disse Dazio - E' partito un ultimo brigantino qualche ora fa, dovrebbe essere di ritorno a breve... -
    E quella imbarcazione non si fece attendere oltre il necessario. Tornò sospinta dal vento posizionandosi in mezzo alle navi crociate, il suo comportamento fu però sospetto, lo notarono tutti, e immediatamente i soldati dirottarono la propria attenzione verso il brigantino stesso.
    Tra il brusio che scaturì, i tre uomini sulla caravella a capo delle altre, Dazio, Riccardo e Luisian, realizzarono immediatamente le condizioni dei passeggeri di quella barca. Essa era dipinta del loro stesso sangue, sangue che imbrattava le vele bianche del brigantino e ne conferiva una macabra apparenza, che associata ai corpi mutilati dei passeggeri, pensolanti dall'asta orizzontale dell'albero maestro, lasciavano intuire che le coste non erano più tanto miti come accertato in precedenza.
    - No, merda! - Imprecò Dazio battendo il pugno chiuso sulla muratura della nave.
    - Presumo che le cose non siano andate per il verso giusto... - Arguì Luisian.
    Riccardo, sconcertato, fece cenno alla vedetta posta all'albero maestro di segnalare alle altre navi la preparazione all'armamento, in caso di opposizione ostile sulla costa, cosa molto probabile date le condizioni dell'equipaggio del brigantino.
    - Che facciamo con quei corpi? - Chiese Luisian ad un nervoso Dazio.
    - Provvedete a identificare i morti e poi mandate una lettera alle famiglie! -
    - Non dovremmo recuperarli? -
    - Non ne abbiamo il tempo! Diremo che si sono persi in alto mare! -
    Ben presto le trenta navi crociate solcanti quel mare, Asfaltide, detto anche "Mare dei morti" a causa della discordia che aveva in passato colpito i suoi esploratori, si decorarono dei propri strumenti di guerra. Grazie ad una giusta combinazione di ingranaggi, gli scafi si aprirono, e da essi fuoriuscirono delle piattaforme legnose sulle quali stagliavano minacciosamente delle catapulte rese in minor fattura, i supporti in legno erano stati bucherellati al fine di alleggerirne la massa e far dunque sì che l'interno dello scafo posette ospitarle senza troppi ingombri o sovraccarichi.
    Al successivo segnale delle sentinelle, gli strumenti d'assedio ospitarono ciascuno due uomini, necessari per far sì che l'arma potesse funzionare con continuità, senza interruzioni o eccessiva lentezza.
    Le procedure erano dunque state effettuate, e nel mentre i vari soldati si erano disposti in formazione rettangolare sui ponti di coperta, pronti a sbarcare nel momento opportuno; l'equipaggiamento generale era lo stesso per tutte e tre le fazioni: elmo cilindrico con forature a forma di croce a consentire la visuale, scudi dello stesso colore della uniforme riportanti lo stesso simbolo, lancia acuminata in mano e spada assicurata al fianco. Gli ufficiali si distinguevano dai mantelli, di vario colore a seconda del rango.
    In quel periodo antecedente alle future battaglie, le uniformi, le armi, gli strumenti utili alla causa, erano tutti lustri e gradevoli... ci avrebbe pensato poi il fango, la terra, le interperie del clima e il sangue dei nemici a macchiarne la consistenza allora signorile.
    Dazio guardò i propri soldati apolloniani prendere posizione sulla sua stessa nave e su quelle affiancate in linea parallela, abbastanza distanti tra loro da non creare intralcio al momento dell'attacco, l'organizzazione era il suo forte, ai tempi, quando ancora sapeva razionalizzare sulle strategie della battaglia e quando non vi era il generale zaffiro a fargli concorrenza in ambito bellico, nonché a superarlo alacremente.
    - Luisian, mettiti al riparo, non sei un soldato. - Sentenziò Riccardo all'eriseano, la cui presenza era giustificata dal semplice fatto che voleva far da spettatore, riponendo il comando dei propri soldati nelle mani dei due generali.
    Egli negò l'ordine e pronunciò ilare - Non crederete davvero che questi indigeni possano nuocerci, vero? Voglio assistere alla loro sconfitta! - Ridacchiò conducendo una mano alla bocca.
    Scuotendo il capo per l'imprudenza dimostrata da Luisian, Riccardo ricordò che Ambrus era rimasto inerme nella stiva, indi lo raggiunse approfittando di una distrazione dei generali. Lo trovò a capo chinato, immobile, apparentemente dormiente.
    - Ehi, rammollito! - Sciolse i vincoli metallici che lo tenevano prigioniero, ed Ambrus cadde sulle ginocchia. Il motivo di un simile gesto fu criptico.
    - Che fai? Non mi finisci? - Domandò Ambrus esordendo in uno sguardo truce.
    - Ne avremo il tempo, ragazzo... ora preparati e vai là sopra! - Fece poi una cosa che nessun istigatore dovrebbe mai fare: voltare le spalle alla vittima.
    Ambrus fu fulmineo come un lampo a ciel sereno, estraendo il pugnale dal pavimento e correndo alla volta di Riccardo, il generale, però, si preparò a respingere la sua intenzione omicida estraendo la signorile lama dal fodero e dirigendola verso il ragazzo, che dovette arrestarsi per non andare a sbattere contro la punta.
    - Gettalo... - Ordinò severamente - Gettalo! - Si ripetè dinnanzi all'esitazione di Ambrus, che infine eseguì. Riccardo calò la lama della spada nel fodero, il suo sguardo era indagatore e indecifrabile - La prossima volta ti uccido... -
    - Anche io... -
    Il generale non cavillò oltre, torno sul ponte di coperta e quindi a poppa, pronto a orchestrare l'attacco, nel mentre Ambrus ebbe tempo per rivestirsi e armarsi in maniera non differente dagli altri.

    "E questo... sarebbe un cavaliere?"


    - Fu ciò che mi chiesi pure io... non avevo ancora iniziato e già i crociati mi apparivano come un branco di barbari senza cuore. -
    - Molti di loro sono stati briganti o mercenari, così mi hanno detto. -
    - E' esatto, difatti. Chiunque può partecipare alle crociate, che sia nobile o straccione non importa, queste differenze non contano sul campo di battaglia, qui c'è una scala gerarchica del tutto indipendente... fu questo il richiamo che la chiesa lanciò, senza curarsi dell'infinità di criminali che avrebbero infine composto l'Alta Croce. -
    - Ma... perché fare guerra? -
    - "Redenzione", disse Inamod ai tempi, ovvero che a prescindere dai nostri peccati, la guerra ci avrebbe sanato. -
    - Lavare il sangue con il sangue? -
    - In un certo senso è così... anzi... è così! -
    - Però... capitano... come mai avete cominciato guerra a Mauri? Non me lo ha mai detto nessuno... -
    - Salahad uccise alcuni missionari serenini, non gli piaceva che predicassero nel suo continente. -
    - E... perché "Crociate" ? -
    - Vendetta... portiamo la croce per vendicare quei figli di Dio, e per sanare il mondo dagli spiriti irosi... - Si erse in piedi dal terriccio e l'erba - Wafa... voglio fidarmi di te, e voglio dirti che io detesto le Crociate! Non sono altro che uno stratagemma della chiesa per arricchirsi con nuove conquiste... le religioni mauriniane e serenine comprendono i medesimi principi, come l'esistenza degli spiriti irosi, e al posto di darci guerra dovremmo collaborare per dargli la caccia! -
    - Sì... capisco... -

    "Il mare si macchierà di sangue, Ambrus..."


    - Generale Dazio, guardi! - Urlò la vedetta al burbero crociato indicando verso la costa, visibile oltre le nebbie ormai diradate.
    Dazio non fu il solo a pendere dall'avvertimento del soldato, sicché ogni serenino non potè non notare che la alta parete rocciosa oltre la spiaggia era sormontata da un esercito di persone.
    Uomini con un armatura di ferro solcata orizzontalmente sulla pettorina, chiusa attorno all'addome e sopra le spalle da dei lacci metallici, rendendola aderente al fisico umano; i polpacci erano stretti in degli stivali di cuoio risvoltati nella parte alta e speronati sul davanti, con una punta arricciata in acciaio; l'elemento più caratteristico della loro divisa era senza dubbio il copricapo a forma di cipolla cadente sul retro e i fianchi della testa, con una punta sull'estremità alta, sempre in ferro.
    Ogni uomo presente su quell'altura era equipaggiato con strumenti convenzionali alla carica che in quel momento ricoprivano: arcieri. I loro archi erano puntati sull'avanzata delle navi crociate, pronti a scoccare in sincronia una tempesta di frecce. Per l'evenienza erano comunque pronte le spade ricurve legate sulla schiena insieme alla faretra, senza però alcun fodero.
    - Un'accoglienza calorosa... - Commentò Riccardo - Ma noi siamo preparati! -
    In meno di venti secondi, quei misteriosi avversari armarono i propri strumenti di tiro e li diressero in modo che l'ascensione delle frecce piombasse dritta sui ponti di coperta.
    - Posizione difensiva! - Urlò Riccardo trovando copertura, e immediatamente l'esercito crociato spianò dinnanzi a sé i propri scudi variopinti, in attesa della pioggia di punte. Ambrus fece lo stesso, ormai si era equipaggiato come i comuni fanti, ma a dispetto della sua iniziale spavalderia, si era insidiato un tremore lungo la sua schiena.
    I soldati nemici scoccarono, le frecce presero velocità tangibile solo nella loro traiettoria di caduta, conficcandosi nelle robuste assi delle navi e squarciando qualche vela, i crociati in armatura furono saldi, grazie alla posizione difensiva impiegata, e quella mortale tempesta si frantumò incontrando la resistenza dei robusti scudi. Nessuna ripercussione grave, tranne la vedetta della nave dei tre generali, che cadde sulle murature a causa di una ferita subita, rompendosi la schiena.
    - E' il momento, non lasciamogli il tempo di ricaricare! Che le navi sul fianco destro facciano fuoco! - Urlò l'aureliano.
    Con la vedetta morta, ci pensò Dazio a comunicare gestualmente alle navi alleate, la velocità di risposta fu ben maggiore, e quindi il tempo di preparazione per le armi d'assedio. Gli impiegati agivano in quest'ordine: uno caricava la munizione, l'altro prendeva la mira e faceva scattare la molla per il funzionamento della catapulta.
    Ciò che utilizzarono non fu una convenzionale pietra sferica, ma delle ampolle contenenti del liquido incolore i cui colli erano avvolti in dei rivestimenti di stoffa infiammata.
    Avvenne quanto ordinato da Riccardo: le navi a destra della propria riversarono le loro munizioni sul bordo roccioso, queste ampolle si frantumarono e dispersero il liquido che, a contatto con la fiamma, si incendiò a macchia d'olio perseverando un potente braciere sul punto di impatto. I soldati nemici si docciarono con le fiamme, prima di comprendere che era prudente arretrare da quella sporgenza e preparare un contrattacco.
    - Splendido! - Esultò Riccardo, per poi posare l'occhio sul paffuto maestro del sole sorridente - Luisian vada sottocoperta, glielo consiglio vivamente! -
    Questa volta dovette obbedire, sicché la precedente tempesta di frecce lo aveva decisamente allarmato, quindi si affrettò ad abbandonare la superficie del ponte, insidiandosi nella cabina di comando.
    - Ehi! - Urlò Dazio - Non è prudente approdare in quel punto! Quei bastardi ci staranno aspettando! -
    - E' troppo tardi per cambiare rotta, dobbiamo sfondare! -
    - Moriremo, pazzo! -
    - Non moriremo! I nostri scafi sono robusti, le nostre corazze spesse, e loro non hanno altro che misere frecce! -
    - Al diavolo! Non morirò per il tuo eroismo! -
    Riccardo notò che Dazio si stava ritirando nella cabina di comando, imitando Luisian - Che stai facendo?! -
    - Veditela tu con quei porci! - Sbattè la porta, quel gesto aveva offuscato prepotentemente la sua dignità di generale, e aveva già incentivato un brusio da parte dei soldati sul ponte di coperta, pronti come non mai a sbarcare e dar modo alle lame di saziarsi.
    Ambrus emise un sospiro, tanta era l'incertezza rivolta ai metodi di comando dei tre generali, sapeva che, molto probabilmente, avrebbe gettato la spugna alle prime difficoltà sul campo di battaglia, ma sentiva il desiderio di rifarsi su Riccardo ardere nel proprio petto, gonfiargli le vene e i muscoli, renderlo assetato di sangue.
    Finché, da una delle navi affiancate, si udì una voce urlare "Guardate! Il cielo!", e tutti donarono lo sguardo alla volta celeste prima grigia, ma in quel momento rossa quanto il sangue che avrebbe macchiato le lame dei crociati.
    Riccardo precipitò lo sguardo sul mare, accorgendosi che esso non aveva ricevuto una sorte migliore nella vena cromatica, ciò lo inquietò non poco, sicché quello specchio d'acqua rossa si estendeva fin dietro l'orizzonte - No... no... - Esclamò l'aureliano, tremante di terrore e impacciato nei suoi movimenti destinati all'afferrare il sacchetto posto sulla cintura, da cui estrasse la radice violacea essicata, dandoci un morso.
    Passò il tremore, lasciando spazio alla spossatezza e ad una competenza tattica più certosina, sicché libera dai pensieri negativi che quel mare amaranto instillava.
    - Uno spirito iroso... qui?! - Non ebbe il tempo di realizzare, che le urla di uno dei crociati raggiunse i suoi timpani.
    - Generale! Sulla costa! -
    Ogni soldato ruppe la propria posizione portandosi in prora alla nave, tutti volevano vedere, verificare cosa ci fosse sulla spiaggia poco lontana, dove due luci rossastre baluginavano ininterrotte su una sagoma oscura.
    "Ma chi è?!"
    "Avete visto?!"
    "Dio ci aiuti, questa è opera di uno dei Dodici!"
    Furono queste le frasi che spiccarono alle orecchie di Riccardo, che subito volle ricomporre la formazione rettangolare prima che il peso si esercitasse troppo sull'estremità anteriore della caravella - Tornate ai vostri posti! - Urlò lui, facendosi largo tra loro con affanno finché non riuscì ad aver vista di quel soggetto sormontato dalle luci rosse, si accorse che il giovane Ambrus era alle sua sinistra, sconcertato dallo spettacolo.
    - Torna in formazione con gli altri... subito! - Gli intimò, ma egli non si smosse - Ti ho detto di levarti da qui! -
    - Il mare... -
    - Cosa... ? - Si accorse ben presto che il suo sguardo non era posato sulla spiaggia, bensì sul pelo dell'acqua incurvato da un qualcosa sotto la sua superficie, così affinò la vista, e capì - No... non ci credo... -
    Lo aveva visto chiaramente? Una sagoma biancastra e imponente, sfocata dalle acque, era stata appena intravista, tuttavia sollecitò l'animo di Riccardo a dei nuovi ordini, dedicati alla salvaguardia generale.
    - Rotta verso la spiaggia! Dobbiamo andarcene da qui! - Urlò, dirigendosi a passo pesante verso il timone.
    Non ci fu più Dazio a fare il passaparola gestuale, così toccò ad uno dei soldati lì presenti, posizionandosi al fianco di Riccardo sulla poppa rialzata dove il timone attendeva la salda presa del generale aureliano, egli non si fece attendere e lo impugnò facendo rotta verso l'approdo ormai poco distante, prima che quel "qualcosa" in agguato nel mare cominciasse ad esser fonte di guai.
    Ambrus era ancora sulla prua navale, meravigliato, confuso, inquietato e incredulo riguardo a ciò che stava accadendo, le sensazioni si sovrapponevano dirottando la sua capacità di comprenderne il significato, l'unica cosa che capiva era lo sgradevole effetto che avvertiva sotto la pelle, come se migliaia di vermiciattoli ci stessero strisciando sotto.
    Si chiuse in un abbraccio autonomo portando le mani alle spalle, e strinse i denti come in preda ad un attacco di gelo, avrebbe perseverato quella posizione per ancora tanto tempo, forse durante l'intera traversata, quando si accorse che il cielo era pregno di minuscoli puntini neri, che accennavano ad avvicinarsi definendosi nell'identità di acuminate frecce.
    La sporgenza rocciosa oltre la spiaggia era di nuovo sovrastata da una numerosa fila di arcieri, i cui archi avevano appena riversato i loro carichi acuminati sulle navi crociate impreparate, fu difficile per i soldati prevenire la tempesta mortale che gli si avventò contro, ci pensò dunque il fato a stabilire chi si sarebbe salvato e chi no.
    Ambrus venne sfiorato ai lati della testa e alle braccia dalle frecce in caduta libera, ciò lo smosse facendolo cadere all'indietro, ancora non si era reso conto di essere stato fortunato.
    Ma gli uomini alle sue spalle non si poterono dire altrettanto fortunati, in quanto molti di loro vennero trafitti a morte o menomati seriamente da quelle punte, in grado a quella velocità di eludere la più spessa corazza serenina, e di bucare la carne al di sotto di essa.
    Fiori di sangue sbocciarono dalle ferite, i crociati colpiti a morte caddero al suolo senza esitazione, gli altri si dimenarono nel dolore.
    E lo stesso panorama poteva essere visto sui ponti delle altre navi.
    Riccardo ne esordì indenne - Ci hanno presi alla sprovvista! Ricomponete la formazione, svelti! - Urlò.


    "Lui è in agguato..."


    - E poi? Che accadde? - Chiese una curiosa Wafa.
    - Tutti rimasero in attesa, sperando che qualcuno o qualcosa definisse la nostra prossima mossa... qualcuno, un tempo, mi disse che sono gli eventi a fare uno stratega... -


    "E sono gli eventi ad uccidere uno stratega..."



    Già da prima che gli eriseani tendessero la loro mano verso Isin, questa era comandata dal reggente Jaber al-Quaed, uomo di dinastia proletaria reso a quella carica da Salahad stesso, poiché dimostratosi fedele nei riguardi del sultano stesso.
    Un tempo generale dell'esercito mauriniano, Jaber scelse di porre i propri servigi al soldo di Serenissima, poiché spaventato dalla sua potenza militare e dalla fine di cui sarebbe perito se avesse osato opporsi, fu per questo motivo che Isin venne presa senza enormi spargimenti di sangue, sicché Jaber era sceso a trattative con il giovane Luisian.
    Furono comunque molte le famiglie stroncate da quell'aria di cambiamenti, i predicanti di Mauri non volevano affermarsi sotto gli stendardi papali, così vennero giustiziati pubblicamente in modo che le loro morti potessero fare da monito, il tutto all'ombra di un Jaber che aveva tradito il proprio regno, e che si sollazzava sotto la protezione eriseana alle spalle del sultano Salahad, l'uomo che lo aveva reso potente.
    Durante quell'orario pomeridiano, Jaber era solito passeggiare per le balconate del proprio palazzo a prescindere dalle condizioni climatiche, nel mentre accompagnato da uno o più dei suoi vassalli fanciulleschi, di età non superiore ai dodici anni, molti questi avevano la pelle bianca, siccome di proprietà serenina, e di ciò il reggente non si crucciava affatto, siccome affermava che le sue preferenze sessuali erano meglio adatte a quei bambini bianchi, sani, non malati o sporchi come quelli di Mauri. Nei loro occhi non vi era più il minimo barlume emotivo.
    La balconata su cui passeggiava era percorsa sul pavimento da un lungo tappeto di colore ocra ricamato con raffigurazioni rosse rappresentanti vari tipi di piante e fiori rampicanti, questa costruzione, sporgente da un lato della struttura, era chiusa da una tettoia di tegole arancioni, tenuta stabile da delle sottili colonne a forma di spirale.
    Jaber, in quel momento, si affacciava ad Isin enfatizzando la propria posizione sociale rispetto al mare di straccioni che popolavano le strade sudicie e fangose della città, nessuno degli abitanti sembrava star svolgendo un'attività differente dal deprimersi o dal fare muffa ai bordi dei sentieri, sperando in qualche fortuita attenzione da parte dei crociati, ma nessun serenino donava interesse per quegli individui, solo alle donne nei casi più osceni, dettati da voglie malsane.
    Al reggente non interessava tutto il bailamme che albergava per i bassifondi della sua città, non era più mosso da amor patriottico, solo da istinto di sopravvivenza, sapeva che relegando le proprie ricchezze ed i propri uomini alla mercé di Aurelia, Erisea e Apollonia, avrebbe goduto di serenità.
    Ma per quanto?
    Fece ondeggiare nella sua mano un bicchiere a forma di piccolo calice, contenente un vino mauriniano detto "sabbioso", lo aveva impugnato dal vassoietto in legno del fanciullo serenino alle sue spalle, su cui stazionava anche una caraffa contenente almeno un litro di quella bevanda. Appiccò un sorso.
    Jaber al-Quaed, rivestito della carica di califfo, era obbligato a indossare gli abiti consoni a quel ruolo, abiti che ormai erano divenuti per lui una seconda pelle: un turbante nero cadente sulle sue spalle e un lungo abito simile all'abaya composto da scacchi dorati alternati a scacchi neri di tessuto, in vita era stretta una cinta, e alla cinta era assicurato il fodero ricurvo e tempestato di gioielli di una sciabola. Le dita del califfo erano inanellate all'indice ed il medio.
    Di età ormai prossima ai settanta, Jaber mostrava un viso pervaso da rughe più o meno evidenti, e una barba grigia e arricciata che nascondeva in parte le sue labbra secche. Una corporatura panzuta, frutto di anni di stasi, lo completava.
    - E' sempre un panorama bislacco, non è così? -
    Jaber si voltò in direzione della voce, riconoscendo Luisian nella sua veste rossa, in procinto di avvicinarsi al reggente e al ragazzino.
    - Uomini persi che chiedono aiuto ad altri uomini persi! La filosofia non è il mio succo, ma mi piace quando posso esprimermi in maniera aulica... - Si poggiò al bordo della balconata, scrutando le palme accanto al palazzo.
    - Signorino Luisian II... si è giunti ad un accordo? - Chiese il califfo, posando il bicchiere sul vassoietto del bambino.
    - Il generale dell'armata di Pilatte è una testa calda, senza autorizzazione si è recato all'accampamento apolloniano per organizzare le truppe. Il suo sesto senso è pertinente... -
    - Pertinente? Che significa? -
    - Significa... - Lo guardò storto - Significa che aveva inteso fin da subito che questo viaggio lo si sarebbe comunque intrapreso, sarebbe da stupidi omettere assistenza a Riccardo quando c'è in ballo la conquista di un luogo così importante a fini strategici! -
    - State parlando della città sul fiume? -
    - La conosci? -
    - No, so solo che nessun sovrano ha mai osato comandare quella città per periodi troppo lunghi... si dice che sia maledetta. -
    - Stupidaggini! - Diede la schiena al bordo del balcone, sfoggiando un sorriso sprezzante - Mauri non ha nulla di sovrannaturale, è stata dimenticata da Dio dopo che avete infangato il suo nome... -
    - La cosa non dava fastidio alla chiesa quando Mauri e Serenissima erano in alleanza, non è così? -
    - Non mi faccio gli affari della chiesa, sono in guerra solo perché vincolato all'esercito dalla mia stirpe nobiliare, è ciò che mio padre avrebbe voluto... -
    Il califfo, nell'attimo in cui Luisian chinò il capo perché sommerso nei pensieri, infierì con una oscena risatina - Noi di Mauri ne abbiamo viste di pazzie, eccome... abbiamo sofferto la tirannia di Norahad, abbiamo visto anni in cui la carestia dominava e anni in cui i Dodici sembravano vicinissimi a Dio stesso... ma non abbiamo mai visto una tale ipocrisia in un regno come il vostro! -
    - Lasciamo perdere queste idiozie religiose, a quelli come te basta poter respirare ancora! -
    - Tagliamo corto, signorino... - Con una delle sue mani decorate da anelli, carezzò i capelli del fanciullo accanto, che si diede ad un tremito - Che cosa volete da me? - Chiese poi il reggente.
    - Voglio dei soldati, vecchio. Non ho alzuna intenzione di mettere i miei uomini in mano a quel pazzo di Riccardo. -
    - Siete strano... poco fa elogiavate le sue intenzioni... -
    - Non sono così ingenuo, se posso permettermelo preferisco dedicarmi a faccende meno sbrigative, tra l'altro... -
    - Tra l'altro? -
    Luisian si ammutolì, gonfiando la cassa toracica con i propri sospiri.
    - Ho capito, sa? - Disse Jaber - Ha paura di ciò che si annida in quella città, quella cosa che ha fatto a pezzi il plotone del generale Riccardo. -
    - No, non è così! -
    - Oh... ma io lo vedo nei suoi occhi... - Assottigliò lo sguardo in maniera languida - La paura è palpabile, ed è più concentrata quando il frutto del timore è ignoto... non è così, signorino Luisian II? -
    Il canuto eriseano incontrò per un secondo gli occhi di Jaber, che sembravano covare intenzioni malsane - Che vuole da me... ?! -
    Jaber si mosse a passo lento verso la posizione dello Stratega Scarlatto, quest'ultimo credette di essere divenuto bersaglio delle sue preferenze, ma non soffrì alcun pericoloso tentativo da parte del reggente mauriniano, sicché questi si incamminò verso l'uscita della balconata assieme al ragazzino al suo seguito.
    Lasciò indetto qualcosa al provato eriseano - Ci penserò e le farò sapere. - Indi gli sorrise con malizia, prima di svanire dietro alla porta che conduceva all'interno del palazzo.
    Luisian si resse il petto con una mano, sussurrando tra sé e sé - Porco maledetto! -


    "E' destino che i deboli soffrano di dipartite precoci dettate dall'inesperienza."



    - Sei un uomo che vive di odio, non è così Ambrus? -
    Il leone si voltà in direzione della voce, imitato dalla Madonna d'Ebano.
    Riccardo era poco oltre, con le braccia portate ai fianchi ed un sorriso sulla faccia.


     
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    Veramente bel capitolo, me lo sono mangiato. E quindi, cosa che mancava anche nel vecchio Babilonia, è la storia di Ambrus, o più o meno come conobbe Riccardo. Beh, quindi il piccolo Ambrus era un coattello di borgata che girava con il coltello (?)!
    Scherzi a parte, lui è un uomo che vive d'odio!!!! NDDIAAAH!!!

    Come si diceva prima, preferivo il vecchio Coris, ma più avanti spero di vederlo all'opera =D
     
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  5. _Holy
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    CITAZIONE (Nemesis; @ 16/9/2011, 23:35) 
    Veramente bel capitolo, me lo sono mangiato. E quindi, cosa che mancava anche nel vecchio Babilonia, è la storia di Ambrus, o più o meno come conobbe Riccardo. Beh, quindi il piccolo Ambrus era un coattello di borgata che girava con il coltello (?)!
    Scherzi a parte, lui è un uomo che vive d'odio!!!! NDDIAAAH!!!

    Come si diceva prima, preferivo il vecchio Coris, ma più avanti spero di vederlo all'opera =D

    Nel primo BB non c'era Riccardo :guru:

    E beh... in questo nuovo BB la storia dei personaggi sarà molto più marcata e incisiva. Ho già in mente in capitolo tutto incentrato su flashback e mindfuck vari :sese:
     
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  6. Roxy!
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    finit

    Okkei, le faccende si arricchiscono sempre di più, Ambrus è stato il protagonista del capitolo :obv:
    Sempre più caratterizzato, sempre più dettagliato questo Babilonia :heart:

    E beh... in questo nuovo BB la storia dei personaggi sarà molto più marcata e incisiva. Ho già in mente in capitolo tutto incentrato su flashback e mindfuck vari :sese:


    mmmmhhh non vedo l'ora
     
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    CITAZIONE (_Holy @ 17/9/2011, 00:21) 
    CITAZIONE (Nemesis; @ 16/9/2011, 23:35) 
    Veramente bel capitolo, me lo sono mangiato. E quindi, cosa che mancava anche nel vecchio Babilonia, è la storia di Ambrus, o più o meno come conobbe Riccardo. Beh, quindi il piccolo Ambrus era un coattello di borgata che girava con il coltello (?)!
    Scherzi a parte, lui è un uomo che vive d'odio!!!! NDDIAAAH!!!

    Come si diceva prima, preferivo il vecchio Coris, ma più avanti spero di vederlo all'opera =D

    Nel primo BB non c'era Riccardo :guru:

    E beh... in questo nuovo BB la storia dei personaggi sarà molto più marcata e incisiva. Ho già in mente in capitolo tutto incentrato su flashback e mindfuck vari :sese:

    Lo so che non c'era, è stata una mossa azzeccata direi. :pig:
     
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  8. _Holy
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    Mi perdonerete per la tempestività della pubblicazione, ma Acqua Rossa va visto come un capitolo unico.
    Non vi sprono per nulla a leggerlo immediatamente, prendetevi il vostro tempo <3 non vi corre dietro nessuno.


    ACQUA ROSSA II


    "Mio signore...
    L'ora sta per giungere, la croce porterà il figlio alla Porta di Dio.
    Fate quanto in vostro potere per far sì che ciò non venga ostacolato..."

    La lettera conteneva i caratteri svolazzanti dell'alfabeto mauriniano, la strinse tra le mani ed essa si incenerì in maniera istantanea. Sorrise, pregustando l'attimo in cui il decantato "figlio" avrebbe conosciuto la verità.
    Circondato dalle strutture del campo militare di Isin, quell'uomo, quel mauriniano, era definibile nell'identità della persona più vicina al potere del califfo Jaber: Amid Kahed, generale delle truppe di Isin, anch'egli traditore del sultano Salahad.
    La conquista di quello sputo di città, Isin, aveva nuociuto alle schiere di uomini che Amid era solito comandare, tanto che in quel periodo dovette obbligatoriamente accontentarsi di poco più di settanta uomini, un contingente misero per qualsiasi gravante scopo militare, decine di questi erano poi impiegati nella guardia alle vie cittadine, scostandosi però di fronte all'operato di Serenissima, che aveva il comando.
    Tuttavia, nel suo essere rimasto alla mercè dei bianchi, Amid non aveva perso lo spirito combattivo che lo animava da ben venticinque anni; la sua mano destra si manteneva perennemente posata sul manico della scimitarra al fianco, dalla lama incurvata prepotentemente, facente coppia con una gemella posta sul fianco opposto; queste sue armi non erano impreziosite da nessuno sfarzoso decoro, al contrario della spada del reggente califfo Jaber, ma potevano vantare un'acutezza invidiabile, capace di opprimere seriamente qualsiasi superficie con il suo filo tagliente, nonché due foderi sobri ma rifiniti con anelli metallici distanti una spanna l'un l'altro, vi erano poi dei penzolanti lacci gialli legati ad entrambi.
    La sua veste, lunga fino alle caviglie, era squamata da piccoli rombi di colore nero alternati ad altri di colore arancione, terminava con un colletto alto nella parte superiore, e con una gonna chiusa a campana nella parte inferiore.
    Immerso nel campo militare di Isin, posto sul retro del palazzo, Amid era intento in un peregrinare malinconico; tanti erano i ricordi degli addestramenti passati, quando le scuderie traboccavano di cavalli sellati e i combattenti mantenevano formali dispiegamenti rettangolari, sorbendosi le discussioni di Kahed stesso.
    "Amid, c'è qualcuno..."
    La voce gli intimò di volgere gli occhi alla balconata del palazzo di Jaber, sovrastante il campo d'addestramento, essa era posta adiacente a delle strutture rampicanti. Assottigliò lo sguardo, sospettoso.


    "Vendicherò il tuo onore... Omma..."

    L'effige di Metartios era mascherata da un abito di sacco, la cui struttura comprendeva un cappuccio ed un mantello cadente sulla schiena, avrebbe nascosto il suo viso con accuratezza, rivelandosi anche comodo da indossare. Nonostante fosse un soldato eriseano, nonostante a quell'orario fosse d'obbligo portare l'ordinaria uniforme, trovò intelligente agire sprovvisto di essa, non poteva rischiare che scoprissero la sua identità, o che cominciassero a indagare sulla schiera eriseana.
    La lancia a manico metallico di Metartios era salda tra le sue mani, la sua estremità offensiva si manteneva talmente acuminata da pungere anche solo guardandola, un simile strumento non era decisamente consono alle tecniche di omicidio silenzioso, ma era l'unico che quel soldato fosse in grado di utilizzare con maestria.
    Un'intento sormontava qualsiasi priorità in quel momento: ripulire l'onta che il piccolo Omma subì, Metartios non poté accettare che l'atto osceno di Jaber rimanesse impunito, poteva divertirsi quanto voleva con i suoi ragazzini, ma Omma... Omma era escluso.
    Il solo pensiero provocava in Metartios un senso opprimente di rabbia e tristezza, un qualcosa che invadeva le sue viscere e gli impediva di pensare ad altro... i lividi presenti sul corpo di Omma non erano nulla se paragonati a quanto quel bambino narrò in seguito, di come il reggente violò la sua persona... la sua innocente persona.
    Durante tutta la sua esistenza, Metartios non ebbe mai modo di covare pensieri di invadente rivalsa, quella fu la prima volta che ne provò uno di quel genere, una sensazione nuova e orribile, che si sarebbe sanata in seguito al conseguimento dell'assassinio premeditato.
    Non fu facile entrare nel palazzo ostentando le entrate principali, ma Metartios era un combattente dal fisico prestante e atletico, per questo motivo i vari cornicioni e appigli della struttura gli garantirono un accesso rapido ai corridoi interni, penetrando da una delle balconate.
    La prima cosa che ebbe da pensare in quei momenti, mentre i suoi piedi calpestavano il lustro pavimento degli appartamenti nobiliari, fu al timore subentrante ad ogni intersezione di corridoi, ad ogni angolo o luogo con scarsa visibilità, il timore era ben dettato dall'incertezza su chi o cosa potesse comparire all'improvviso.
    Questa sua prudenza fu ben congegnata, siccome ad uno svincolo fece appena in tempo a nascondersi dietro il muro, alcune delle guardie di Jaber stavano discutendo tra loro. Le loro parole si coniavano della lingua mauriniana, accentuata da delle componenti dialettiche che resero vita difficile a Metartios, tuttavia la preparazione che ricevette in merito alle lingue straniere ebbe il sopravvento sulla situazione. I soldati avrebbero ottenuto nient'altro che benefici nel conoscere la lingua del proprio nemico.
    Ciò che comprese fu, a grandi linee, che il califfo si era chiuso nella propria stanza da letto.


    "Nella luce, amici, nell'ombra, nemici..."



    Riccardo era lì, tranquillo nonostante avesse udito le linee generali del discorso di Ambrus, nonostante quest'ultimo lo stesse squadrando con due occhi sottili ed indecifrabili in quanto a vena emotiva.
    Era paura... stupore... od odio?
    - Lo immaginavo, sai Ambrus? - Esclamò il re di Aurelia - Immaginavo che una volta solo avresti recriminato le nostre storie passate... -
    Il leone non disse nulla, sibilò solo il nome della nemesi - Riccardo... - Poi, non fece in tempo ad impedire a Wafa di allontanarsi, fiancheggiando tragicamente l'aureliano.
    Riccardo bloccò il passo a Wafa e la brancò per un braccio senza che lei potesse rendersi conto di quanto stesse accadendo, quel braccio glielo torse fin dietro la schiena e la tenne immobile quasi come uno scudo umano.
    Ambrus mostrò i denti - Wafa! -
    - Te la porti a letto, Ambrus? - Fece con aspra ironia Riccardo - Non è quel gran pezzo di ragazza... non è nemmeno formosa... - Non lo volle confessare ampiamente, ma l'altra mano aveva già cominciato a tastare le zone sensibili della donna, che con rassegnazione non disse o fece nulla.
    - Lasciala andare! - Fu l'istinto a intimargli di posare la mano sul manico della spada, ma Ambrus non aveva ancora familiarizzato con il fatto che la sua arma fosse andata perduta, il suo palmo carezzò l'aria.
    - Cerchi la tua spada, cavaliere d'elitè? - La morsa sulla mauriniana si affievolì, e lei non perse tempo per allontanarsi con la solita indifferenza nota a tutti gli abitanti delle Terre Eretiche, Riccardo non la seguì, aveva deciso lui stesso di mollarla. Diresse tutte le sue attenzioni verso il cavaliere dai capelli biondi - Sei un uomo che vive d'odio, non è così Ambrus? -
    La postura del biondo crociato era ora nettamente offensiva, le gambe stabili e divaricate, i pugni stretti ed il busto pronto a darsi uno slancio in avanti, in caso di evenienza.
    - Voglio essere sincero con te... questa nostra farsa sta cominciando a darmi sui nervi! Perché mai dovremo continuare a comportarci amichevolmente davanti a tutti gli altri? -
    - Allora finiamola qui e ora... -
    - So che non lo faresti... ti conosco troppo bene Ambrus... -
    - Hai paura di sfidarmi? -
    - Sarei in grado di stenderti anche a questa età, sai? -
    - Fallo, allora! Ti farò fare la fine di tuo figlio! -
    - Mio... figlio? - Non aveva incassato nessun colpo, eppure quanto detto da Ambrus lo aveva ferito. La postura, precedentemente stabile e composta, si fece più incurvata, scossa da dei tremori evidenti, il re aureliano iniziò ad ansimare copiosamente, mentre la sua bocca pareva secca e disidratata più di un deserto. Riccardo mosse la mano verso il sacchetto allacciato sulla cinta, estrasse la stessa radice violacea che utilizzò in passato, e in seguito ad averle appiccato un morso, quei postumi svanirono.
    Ambrus inarcò un sopracciglio - Vermiglia... -
    Ansimò, rimettendo a posto il sacchetto - Non menzionarlo mai più... mio figlio... -


    "Mio figlio... l'unica persona che desideravo si salvasse..."



    Non fu poi l'ennesima tempesta di frecce a spaventare i crociati, non fu qualche stregoneria dello spirito iroso in agguato sulla spiaggia, ma fu quanto emerse dalle acque rosse come il sangue e si erse fino al cielo scarlatto, quanto un'albero in crescita istantanea, la sua effige si ramificò disturbando la veduta complessiva del posto, la sua enorme stazza instillò nei cuori dei centinaia di soldati lì presenti un senso di opprimente terrore e impotenza.
    Già da allora simili creature partorite dagli stessi Dodici rispondevano al nome di Samael, esseri non umani, vere e proprie mostruosità concepite dallo spirito iroso Adramelech che, a rigor di logica, doveva in quel momento trovarsi sulla riva; i suoi occhi rossi e abbaglianti passarono in secondo piano in vista di Samael, tutti i crociati alzarono gli occhi descrivendolo per le sue fattezze serpentiformi, rivestito da delle deteriorate squame grigiastre e una nera cresta affilata che ne percorreva l'intera lunghezza.
    Il muso era appuntito, coniato da una dentatura possente perennemente in mostra e da due enormi occhi rossi in continuo movimento l'un l'altro, in direzioni totalmente opposte come se afflitti da una grave patologia di strabismo, i movimenti di quello sguardo non facevano altro che rivestirlo di un'aura malsana e pervasa da follia, e sembrava plausibile un suo improvviso e letale attacco.
    Ambrus, di schiena contro il pavimento della propria e circondato da frecce incastonate, si rimise in piedi guardando quell'essere con aria di meraviglia, come se si trovasse di fronte al suo stesso Dio.
    Avrebbe dovuto realizzare immediatamente quanto fosse ampia la pericolosità del mostro, che in quegli istanti non fece nulla, rimase emerso tra le navi crociate in posizione verticale, continuando a dirigere le sue inquietanti occhiate al vespaio di caravelle.
    Quello sbocco sull'Asfaltide non sembrò più tale in quelle condizioni, sicché era molto simile ad una fetta di inferno dove crociati, soldati stranieri, uno spirito iroso ed un Samael si fondevano, compressi dal mare e dal cielo rosso.
    Luisian e Dazio uscirono dalla cabina di comando, anch'essi erano stati profondamente turbati da quelle acque sanguigne visibili dalle finestre della cabina stessa, le loro rezioni furono differenti: Dazio spalancò la bocca e iniziò a tremare, mentre Luisian andò ad emettere un grido di terrore acuto, quasi femminile, per poi rintanarsi nuovamente nella cabina di comando.
    L'unico uomo che in quegli istanti di paura mantenne il suo smalto fu Riccardo, nei cui sentimenti non subentrava nessuna sensazione di timore rivolta all'aspetto del mostro, aveva solo paura di non saper coordinare bene le azioni di gruppo, siccome qualsiasi manovra di attacco andava orchestrata grazie ad un buon lavoro di squadra, cosa che in quel momento sembrava mancare.
    - Riprendetevi! - Urlò il generale di Aurelia, e le sue grida raggiunsero immediatamente le orecchie dei soldati sul ponte - Questo è solo un dannato Samael! Ordinate alle navi di sfoderare le baliste e fate fuoco! -
    Dazio fu il solo a rispondere le parole di Riccardo, con la sua solita indole contrastante - Ti sembra il momento di fare gli eroi? Una ritirata è indispensabile! -
    - Chiudi il becco, codardo! Non ho alcuna voglia di discutere con te, quindi stai zitto e comunica alle altre navi di attaccare! -
    Fu inutile aggiungere altro. Dazio, in quelle condizioni, non avrebbe accolto numerosi consensi, e Riccardo non sembrava intenzionato a dargliela vinta in nessun modo. Guardò al Samael emerso, stringendo i pugni, e forse per la prima volta in vita sua, ebbe il coraggio di fare qualcosa di encomiabile.
    - Lasciate a me il comando... - Esclamò Dazio.
    Riccardo fu sorpreso - Cosa?! -
    L'apolloniano non ebbe nulla da dire, andò a posizionarsi sulla sommità della poppa e cominciò ad orchestrare con tono formale e convinto le azioni della caravella - Rifoderate le catapulte, fate uscire le baliste! - Urlò lui, facendosi immediatamente intendere e obbedire dai soldati della nave.
    La procedura fu eseguita da manuale, e in breve tempo lo scafo ricontenne la postazione con catapulta precedentemente utilizzata, per sfoderare sul fianco opposto della nave una nuova postazione legnosa, adornata da una balista: strumento d'assedio replicante in stazza maggiore la struttura di una balestra.
    In dotazione alla balista vi era una freccia con la punta in struttura piramidale, forata per dimezzarne il peso complessivo. A differenza della postazione con catapulta, questa era adesa ad un seggiolino in legno che avrebbe consentito all'incaricato di mirare secondo la prospettiva di tiro, ancora una volta erano necessari due genieri affinché i tempi di ricarica si riducessero.
    - Genieri! Mirate alla parte bassa del corpo! - Ordinò Dazio. Prendendo di mira la zona appena emersa dal pelo dell'acqua, la freccia si sarebbe inabissata, in caso di colpo errato, nel caso invece i genieri avessero tentato di colpire alla testa del Samael, la freccia avrebbe potuto impattare contro una delle caravelle adiacenti.
    Simili calcoli tattici descrivevano le poche manifestazioni eroiche del Dazio di quei tempi, che con l'avanzare dell'età divenne sempre più vigliacco e impreparato.
    Il generale dell'esercito di Apollonia volse lo sguardo a Riccardo, in attesa di qualche commento da parte sua.
    Arrivò positivo, assieme al permesso di dare l'ordine decisivo.
    - Generale, è sotto tiro! - Sì udì provenire dalla facciata dello scafo.
    Dazio gonfiò i polmoni ed esclamò a gran voce, affinché tutti potessero udire - Scoccate! -
    Il serpente marino, per chissà quale motivo, non si smosse dalla propria posizione; essendo una creatura al seguito del demone Adramelech, forse era in attesa di un suo incentivo per calare le zanne su quei guerrieri. Fatto fu che incassò la possente freccia nella zona designata dai crociati, liberando dalla ferita un copioso getto di sangue.
    Samael rimase immobile come se non avesse subito nessun attacco, ciò insospettì i crociati.
    - Ebbene?! - Commentò Dazio, confuso come il resto dell'equipaggio da quella reazione praticamente nulla.
    Poi, videro l'asta della freccia inabissarsi nelle carni del mostro, ondeggiando circolarmente, come in balia a delle sabbie mobili, una volta inghiottita completamente dalle spoglie organiche di Samael, queste si chiusero attorno alla ferita, sigillandola. Il sangue smise di mischiarsi all'acqua, in quanto non sgorgava più da quello squarcio tra le sue scaglie.
    E allora, il timore tornò a trionfare sullo schieramento serenino, in particolar modo su Dazio, il cui gesto di eroica responsabilità non era servito a nulla - Non... non si è fatto niente... - Sussurrò poi, incredulo e abbattuto, mentre alle sue spalle, e alle spalle di Riccardo, qualcuno era appena comparso approfittando della confusione generale.
    Le sue parole instillarono nei presenti un germe di terrore - Vi ha mandati Kata? - Fece la voce, puramente contrastata da due timbri vocali differenti.
    Riccardo e Dazio si voltarono lentamente, pronti ad affrontare l'apparenza di quel "visitatore"; lo identificarono sotto le canoniche spoglie degli spiriti irosi: corpo ignudo dalla pelle ed i capelli neri come un cielo notturno, un cielo ospitante due stelle di un acceso rosso, gli occhi di Adramelech, gli occhi di tutti quanti i Dodici.
    Aveva scelto bene il corpo in cui albergare: muscoloso ma longilineo, apparentemente atletico e per nulla ingombrante. Le sue capacità sovrannaturali gli avevano permesso di materializzare la propria entità dalla spiaggia a quella nave. Incrociò le braccia, attendendo una risposta alla domanda che pose poco prima.
    Dazio - Da dove sbuchi fuori, essere maledetto? -
    Il demone sorrise, lasciandosi andare ad uno stiramento del collo, che ondeggiò a destra e a sinistra facendogli emettere uno scrocchiare - Ero a conoscenza del vostro arrivo, per questo motivo ho informato i soldati del posto che una forza straniera sarebbe giunta per conquistarli... -
    - Che cosa? Vorresti dirmi che quegli arcieri ti danno retta? -
    - Non solo quei soldati, bensì tutta la gente di Norahad... -
    - Norahad? -
    - Il sultano Norahad... -
    Riccardo si intromise, avanzando di un passo oltre Dazio - Che cosa significa tutto questo? -
    Lisciò i suoi capelli, tirandoli all'indietro - Significa che Serenissima per questa volta dovrebbe ammortizzare la propria sete di potere. -
    - E lasciare il mondo nelle mani di voi esseri maledetti? Giammai! Il Secondo Tomo ha predetto la comparsa di uno spirito iroso in questa terra, e così noi ci siamo mobilitati! -
    Adramelech adocchiò il panorama, facendosi un'idea della quantità di navi crociate presenti - Un simile dispiegamento di uomini... solo per dare la caccia a qualche spirito iroso? No... sono a conoscenza dei sotterfugi che l'Alta Croce edifica per assicurarsi la conquista di nuovi feudi. Facendosi scudo con la caccia agli spiriti irosi, muovete i vostri soldati verso i luoghi che interessano la vostra conquista. -
    - Taci, dannato! - Sfoderò la propria spada, decorata dal sigillo argenteo della Chiesa verso l'inizio della lama - In qualità di cavaliere d'elitè, ti ordino di ritirarti! -
    - Non accadrà, figlio degli uomini... potete spargere il vostro veleno religioso ovunque, ma queste terre non spettano a voi! - Chinò il capo, lasciando trasudare dalla postura e dal suo modo di parlare un lampante sentimento di odio - Questo è il continente che Dio ha abbandonato, è il continente che noi Dodici abbiamo preso sotto nostra custodia! Voi esseri inferiori non siete meritevoli della sua bellezza, delle sue sabbie e delle sue acque. - Alzò il braccio, avvolgendosi attorno alla propria apparenza inquietante, i cui occhi si stavano accendendo nuovamente del proprio colore dominante - Tornatevene a Città Mondana e riferite ad Inamod che nessun serenino toccherà mai questa costa... -
    - Hai passato il limite! - Riccardo, appellandosi alle proprie facoltà battagliere, eseguì un veloce scatto verso Adramelech, spianando dinnanzi a sé la punta della propria spada, che andò a trafiggersi nello stomaco dell'essere.
    Fu come se quell'affondo non fosse mai giunto al corpo del demone, in quanto mantenne la propria postura eretta e stabile, senza accennare ad un minimo di dolore - Patetico... - Esclamò - La prossima volta vedi di mirare più in alto, umano... - La luce amaranto dei propri occhi si accese per una fetta di secondo, abbagliando Riccardo, ma l'influsso che essa lanciò contro il generale fu ben più cruciale: un'onda d'urto che lo fece collidere contro il timone alle sue spalle, frantumandolo; Dazio osservò la scena senza sapere il da farsi, le sue pupille inquadravano sia Riccardo, tra i pezzi di legno del timone, sia Adramelech, che riposizionò il braccio destro verticalmente.
    Quell'atto di erosimo da parte del generale definì la rabbia immane del demone, che oramai era stanco di futili trattative. Attorno alla scena si radunarono i soldati dell'Alta Croce, intimoriti da quanto stava accadendo, tra loro vi era pure il giovane Ambrus, le cui preghiere erano rivolte ad un solo fine...

    "Fa che Adramelech non uccida Riccardo, fa che Adramelech non uccida Riccardo, fa che..."



    Adramelech non uccise Riccardo...
    Non era intenzionato a farlo direttamente...
    Le dita della mano destra schioccarono, quello fu il segnale decisivo per l'inizio della tragedia.
    - Morirete tutti... -
    L'attenzione ora virò su Samael, fu proprio Adramelech a dirottarla su quel mostro, in quanto indicò verso di lui. Fu impossibile non notare il cambiamento a cui era stato soggetto: i suoi occhi erano sì rossi, ma ora si mantenevano contornati da un bagliore gemello degli spiriti irosi.
    Spalancò le fauci, e fece quanto Adramelech gli stava ordinando mentalmente: si avventò contro una delle navi crociate, lacerandola in due parti con i propri denti aguzzi. I soldati a bordo della sventurata fecero quanto in loro potere per sottrarsi al tragico epilogo, ma Samael garantì ad ognuno di loro una fine atroce; i più vennero straziati dalle sue zanne, nonché divorati, altri morirono annegati in quel mare rosso, alcuni, quelli più lontani dalla testa del rettile, vennero schiacciati dalla gigantesca coda che Samael fece emergere per evenienza.
    La fine più patetica la fecero quelli che rimasero coinvolti nella distruzione della nave, venendo trafitti dalle schegge di legno.
    Quando Samael terminò quell'atto, si dedicò a tutt'altra imbarcazione, questa volta usufruì immediatamente della coda, ribaltandola su un lato e facendo di conseguenza inabissare tutto quanto l'equipaggio, sarebbero morti senza ombra di dubbio in balia delle acque, siccome la loro armatura gravava sul peso complessivo, impedendogli di nuotare o di rimanere a galla.
    Il serpente marino gettò un verso atroce a quel cielo scarlatto, sentendosi probabilmente invincibile.
    Quanto predetto da Adramelech si era dunque verificato: Samael stava facendo razzia delle vite di quei soldati, e nulla avrebbe ovviato a ciò. Sarebbe stato inutile usufruire delle baliste equipaggiate sulle navi, il mostro era troppo veloce, solo un tiro effettuato con acuta maestria avrebbe deciso le sorti dello scontro, anzi, del massacro.
    Quell'essere rettiliforme continuò a sguazzare tra le onde dell'Asfaltide, onde triplicate in misura dal suo impeto nello spostarsi verso le prede designate, con un colpo di coda era in grado di inabissare qualsiasi imbarcazione ivi presente, mentre i suoi denti non avrebbero trovato alcuna opposizione in grado di restistergli.
    Riccardo si alzò, spossato dalla botta subita nonché confuso sul da farsi, i suoi occhi puntavano il lontananza il Samael, intento nel massacro navale, i suoi denti macchiati del fluido organico dei soldati serenini, gli occhi baluginanti di un rosso invincibile.
    Quando tornò in piedi, aiutandosi con la spada come con una stampella di fortuna, non potè fare a meno che riposizionare uno sguardo recante odio su Adramelech, stagliante nella stessa posizione di poco prima.
    I crociati avevano occupato le due scalinate conducenti alla poppa rialzata senza però avvicinarsi troppo alla scena, avevano paura, e non potevano fare nulla contro quell'essere infernale.
    - Ritiratevi... - Esclamò lo spirito iroso rivolgendosi a Riccardo - Facciamo così... se ora getterai a terra la tua arma, apprenderò la tua resa e vi farò tornare a casa tutti interi. -
    - Tu... credi davvero che io lo farò? -
    - Sì... lo farai! Tra questi uomini vi è qualcuno di importante, non è così? -
    L'aureliano abbassò la testa, riconoscendo la verità nelle parole del demone, non volle però ammettere che suo figlio aveva preso la croce in qualità di fante.
    Ora, chissà dove si trovava... forse era già stato ucciso dal Samael.
    Meditò a lungo, finché tutte le sue intenzioni bellicose volsero al termine, favorendo un paterno senso di protezione nei confronti del figlio, e dell'armata.
    Cosa avrebbero potuto fare in quelle circostanze? Ribellarsi al volere di un simile essere, con al proprio fianco un mostro così potente, avrebbe definito la fine dell'esercito serenino, la fine di quella spedizione.
    Guardò dritto nel logo dorato a forma di croce riposto sulla lama della spada, e sospirò, conscio del fatto di aver tradito il proprio ideale.
    Scagliò l'arma sul pavimento in legno, suscitando stupore da parte di chiunque.
    - Una scelta saggia, generale... - Disse Adramelech - Una scelta stupida... -
    Imrpovvisamente, le dita dello spirito iroso si fecero lunghe e acuminate verso la gamba di Riccardo, la trafissero da parte a parte aprendo tre fori sanguinanti. Il generale lanciò delle urla di dolore, trattenute da un digrignare dei suoi denti.
    - Speravi davvero che fossi di parola? Sciocco! Forse non te ne sei reso conto, ma questa è una guerra... - Torse la mano, addolorando ulteriormente un Riccardo impossibilitato di muoversi - Una guerra tra noi, esseri rinnegati, e Dio -
    Il sermone dello spirito non gli consentì di avvistare un qualcosa in arrivo verso di sè; quando riaccese i sensi, vide chiaramente i capelli biondi del ragazzino che gli si era avventato contro, lacerando con un veloce colpo di spadone le sue dita dirette verso Riccardo.
    Dalle ferite di Adramelech grondò copiosamente del sangue, lo spirito iroso rimase meravigliato da una tale irruenza da parte di quel giovane soldato, che approfittando del vantaggio dettato dalla confusione nell'avversario, si preparò a vibrare un fendente orizzontale all'altezza del suo collo, lo avrebbe decapitato e imposto a morte.
    Riccardo, nel mentre, iniziò a rialzarsi dopo essersi privato delle dita nere di Adramelech, la sua gamba perdeva sangue, ma il dolore non sembrava affliggerlo più di tanto; stava ammirando le gesta del ragazzino che poco prima avrebbe voluto torturare.
    Non c'era paura nei suoi occhi... negli occhi del soldato perfetto.
    Il colpo incontrò la pelle nera del demone, Ambrus serrò gli occhi per non venir travolto dallo spruzzo di sangue che sarebbe emerso, ma così facendo non potè vedere che...
    ... Adramelech era ancora integro, ed il suo collo si era fatto resistente quanto acciaio, incassando il taglio orizzontale.
    Il giovane leone si lasciò andare ad un'espressione confusa, prima di venir brancato alla collotta dallo spirito iroso e gettato con forza verso l'albero maestro della nave, che sotto la forte pressione del corpo di Ambrus, si incurvò con una spaccatura nel punto di collisione.
    Cadde sul ponte trattenendo tra i denti una boccata di sangue, che non potè però fare a meno di sputare a fauci spalancate; la sua spada era precipitata accanto al suo corpo.
    Dalla sua posizione, alzò lo sguardo verso la poppa rialzata e vide Riccardo, descritto da uno sguardo indecifrabile, la sua gamba aveva disperso altro sangue sul pavimento navale.
    Ambrus si rialzò a fatica, barcollando sotto gli occhi dell'Alta Croce, affrontò quegli sguardi armandosi di coraggio e indifferenza, quindi riprese lo spadone tra le mani gettando dei pesantissimi sospiri.
    Tutto questo cavillare destò comunque le ire del demone stagliante alle spalle del menomato Riccardo, che pronunciò - Confido che non valga la pena lasciarvi vivere, o torturarvi... - Accompagnò un nuovo schiocco di dita con l'accensione dei bulbi oculari amaranti.
    Samael, che in quel preciso istante si era dato alla distruzione delle navi, tenendosi lontano da quella occupata dal proprio padrone, intercettò il comando di Adramelech e sollevò la testa dalla strage di crociati, puntandola curiosa verso la nave designata.
    I soldati si accorsero del serpente marino, carpirono le sue intenzioni, alcune armature cominciarono a traballare sotto i tremori di paura dei possessori, e Ambrus, notando gli sguardi dei compagni puntare tutti verso un'unica direzione, si interessò al loro stesso scrutare.
    Samael stagliava sulle acque tenendo le fauci spalancate e il capo leggermente chinato, i suoi occhi rossi avrebbero tormentato gli incubi e i pensieri di qualunque sopravvissuto alla strage...
    ... sempre se qualcuno fosse rimasto in vita.
    Dazio fu il primo a notare che ad Adramelech stava succedendo qualcosa, lo vide affievolirsi come un fumo vanificato - Ehi! Fermo, codardo! - Urlò lui incuriosendo i compagni d'arme, che nel momento in cui posizionarono gli occhi sullo spirito iroso, era già scomparso.
    L'attenzione tornò al serpente marino, accompagnato dal demone suo padrone, riapparso a qualche metro dalla sua testa e fluttuante come sottratto dalla gravità; Adramelech incrociò le braccia coprendosi di un'espressione cupa, questa sua posizione sembrò accentuare la larghezza di spalle del suo corpo muscoloso.
    - Prima che si riprenda, lanciate una nuova freccia dalla balista! - Urlò Riccardo, ormai scrollatosi di dosso il dolore pungente della coscia bucata - Date ordine alle navi rimanenti di prepararsi ad eseguire il medesimo attacco! Colpiremo quel Samael con una tempesta di arpioni! -
    - Pazzo! Ci colpiremo a vicenda! - Criticò Dazio.
    - E' un rischio che dobbiamo correre! -
    Non vi fu alcuna contesa o esitazione, il senso di difesa personale si accese nella tempra combattiva dei crociati genieri, i quali caricarono velocemente l'enorme freccia sulla balista adesa alla nave.
    Dazio, rassegnato agli ordini di Riccardo, ma cieco a nuove soluzioni, gesticolò alle altre caravelle di fare altrettanto con le proprie baliste. In neanche un minuto, almeno dodici navi erano pronte all'ordine imminente.
    La freccia scagliata dalla nave generale fu il segnale che precedette lo scoccare delle sue gemelle, uno sciame di arpioni con punta piramidale si stava avventando sulla testa di Samael; i brividi di vittoria cominciarono a inerpicare la schiena di Riccardo, ma dovettero cessare quando l'aureliano, e l'esercito crociato, videro le aste delle frecce arrestarsi a tre metri di distanza dal mostro.
    Ennesimo attacco fallito, sperare di traffiggere il cranio di Samael era l'unica plausibile opportunità di vederlo morto.
    Gli arpioni caddero in acqua, sicché l'influsso di Adramelech era giunto al termine, era stata opera sua, e ormai stanco di attendere, scelse di aizzare il mostro acquatico contro la nave occupata da Riccardo, in modo che la gerarchia e l'ordine generale andasse perduto.
    Tese il braccio verso la nave lontana, bastò questo gesto per il serpente, che due secondi dopo si diede un potente slancio inabissandosi sotto l'Asfaltide, la coda decorata da due imponenti pinne fu l'ultima parte del suo corpo a immergersi, in un sollevamento possente di acqua.
    Vi fu un istante di calma che avrebbe preannunciato senza ombra di dubbio un'imminente tempesta - Preparatevi! - Urlò Riccardo ai suoi uomini, ma solo alcuni fecero in tempo a tenersi saldi a qualche stabilità, prima che Samael riemergesse in prossimità del lato sinistro della nave; la spinta che diede emergendo fece ondeggiare lo scafo, e poi inclinare verso destra, alcuni cavalieri non furono in grado di mantenersi stabili e furono sbalzati sull'opposizione delle murature, solo pochi di essi scivolarono in acqua.
    Ambrus si era premunito, incastonando la punta dello spadone nel pavimento legnoso del ponte di coperta per poi tenersi saldamente aggrappato al suo manico; destò lo sguardo dinnanzi a sé, verso il lato ovest dell'imbarcazione, e vide il Samael emerso chinare la testa verso il ponte di coperta.
    Quel mostro strappò con le zanne le corde che tenevano in equilibrio l'albero maestro, in quanto lo infastidivano, fece poi altrettanto con parte della vela. La caravella, con quei danni, non avrebbe più potuto essere manovrata come da manuale.
    Il giovane strinse i denti, sempre aggrappato alla propria spada, se l'avesse lasciata andare il suo equilibrio ne avrebbe sofferto, facendogli raggiungere i crociati posti poco più in basso rispetto all'inclinazione della nave; tutta la sua attenzione era rivolta a Samael, che un'ultima volta spalancò la bocca, non per divorare qualche altra struttura dell'imbarcazione, bensì per scaturire dalle fauci un qualcosa che tumultuò disturbante nell'immaginario recondito dei presenti.
    L'orrore si impossessò di Ambrus, di Dazio e Riccardo ancora a poppa, dei tanti soldati che avevano avuto la sfortuna di occupare il ponte di coperta; una massa carnosa fuoriuscì dalla bocca spalancata di Samael, portante delle bocche grandi quanto tagliole da caccia protese da delle estensioni rosee simili a tentacoli, in direzione del pasto imminente.
    Ciò che faceva da collo a quelle bocche aguzze poteva allungarsi a piacimento fino a raggiungere la preda designata, e anatomicamente parlando, questa massa informe era una parte del corpo di Samael stesso, la più cruda e ributtante, forse dotata di vita propria.
    Otto bocche si estesero per il ponte, verso i cavalieri più vicini che, messi in difficoltà dalla posizione scomoda, finirono trucidati tutti in modi differenti.
    Ambrus dovette privare la spada dal legno, trovandosi di conseguenza in piedi su una superficie instabile e oscillante, era comunque un prezzo da pagare per aver salva la pelle; due fauci intriseche si fecero avanti, Ambrus vibrò un impacciato colpo di spada che venne scansato dalle due con semplicità, il leone colpì ancora e ancora, ma la sua scarsa capacità combattiva finì per renderlo estremamente vulnerabile alle fauci intriseche. Una di esse mirò al polso del giovane, ci diede un veloce morso affinché facesse cadere lo spadone, la seconda bocca invece si interessò alla gola del ragazzo, slanciandosi come una vipera sulla preda; Ambrus fermò quell'attacco mortale brancando il tentacolo oltre quelle zanne, lottò con tutto sé stesso per allontanare i denti da sé stesso, e stessa cosa la dovette fare con la fauce gemella, quella che lo aveva disarmato; le tenne strette nelle proprie mani, scansando di tanto in tanto la testa ad ogni loro slancio improvviso, quanto avrebbe resistito in quelle condizioni?
    Attorno a sé, le rimanenti bocche avevano decimato gran parte dei serenini, i pochi rimasti stavano lottando disastrosamente, facendo appello più alla salvaguardia che alla destrezza in combattimento.
    Adramelech, fluttuante nell'alto del cielo scarlatto, si godeva la scena come se si stesse sorbendo una rappresentazione teatrale, senza battere ciglio, ma impedendo alle navi crociate di fare uso delle baliste con lo stesso potere esercitato poco prima; ogni volta che un arpione partiva in direzione di Samel, lo spirito iroso lo arrestava prima che potesse trafiggerlo, rendendo così impossibile l'intervento da parte degli alleati.
    Poi, quando lo scenario si fece più infausto, quando Ambrus cominciò a perdere la forza, quando Riccardo e Dazio scelsero con rammarico di abbandonare ogni speranza, quando le fauci intriseche erano sul punto di fare a brandelli i superstiti della caravella, la sorte giunse prontamente; dalle scale conducenti ai ponti inferiori, si levò un soldato più robusto degli altri, coperto dall'uniforme dell'Alta Croce, nella mano destra brandiva un intreccio di corde dedito a formare un'arma da fromboliere, e come munizione vi erano due di quelle ampolle incendiarie; roteò due volte lo strumento, e quando lo rilasciò le ampolle partirono verso il punto di partenza di quei tentacoli zannuti, si frantumarono prendendo immediatamente fuoco, lasciando scaturire da Samael, e dalle fauci intriseche, un urlo di atroce dolore.
    Si ritirò dal ponte di coperta immergendosi immediatamente per spegnere l'ardente fiamma, la sua pressione sullo scafo cessò e la nave tornò dritta, oscillando e intontendo l'equilibrio generale.
    Il soldato lasciò cadere a terra l'intreccio di corde, levò l'elmo mostrando il suo volto dai lineamenti rigidi, mascella spigolosa e capelli neri raccolti in una corta coda.
    Quell'uomo era, e per sempre sarebbe stato, Filia; non conosceva ancora Ambrus, e in quei momenti si limitò a guardarlo con sufficienza - Stai attento... - Assicurò poi al biondo ragazzino, prima di scrutare il mare rosso in attesa di un ritorno di Samael, che non avvenne, non nei tempi stimati dall'immaginario collettivo.
    In Adramelech qualcosa non andava per il verso giusto, la sua iniziale spensieratezza, il senso di superiorità di cui aveva dato sfogo erano vanificati come il corpo del serpente marino; forse, in quegli attimi di stasi e attesa lacerante, stava conoscendo la paura.
    Ed infine, qualcosa tornò a galla.
    - Santo cielo... è... è bastato così poco?! - Commentò Dazio, affiancato ad un Riccardo ancor più stupito nel vedere il gigantesco Samael appiattito sul pelo acquatico, immobile come un ramo secco sospinto dalle onde.
    - Lanciategli addosso qualcosa! - Disse Riccardo, e Filia scelse di lanciare il proprio elmo sulla carcassa del mostro; nel momento in cui sbattè contro la sua pelle dura, tutti temettero un suo improvviso risveglio...
    ... ma non avvenne...
    Samael era stato sconfitto.
    Colui che fino a quel momento era rimasto nascosto, fuoriuscì dalla cabina di comando, esprimendosi come se non avesse la minima idea di che cosa ci facesse lì.
    Dazio lo vide arrivare - Luisian... - scese poi la scalinata e lo brancò per la collotta dell'abito rosso, sentenzianto amaramente la sua mancanza di coraggio, cosa che nel generale supremo non era comunque ben concentrata; i presenti si grattarono la testa non potendo esprimersi riguardo alla condotta di Dazio, e naturalmente di Luisian, quest'ultimo si privò dalla presa del generale supremo e indietreggiò, fino all'orlo ovest dell'imbarcazione - Come pretendete che possa cavarmela? Non sono un guerriero! -
    - Saresti dovuto rimanere nella tua merdosa Erisea! - Urlò Dazio, gesticolando nervosamente.
    - Vi prego di portare più rispetto per la carica che possiedo! -
    Dazio tacque, non per darla vinta a Luisian, tacque poiché alle sue spalle si stava ergendo qualcosa... qualcosa di pericoloso...
    Riccardo non potè fare altro se non urlare a squarciagola - Levati di lì! - Ma fu inutile, sicché Luisian non si accorse nemmeno di ciò che definì la sua morte. La Fauce Intriseca alle sue spalle lo brancò al cranio, incastonando gli acuminati denti nella carne e dando infine un rude strattone volendo lanciare il corpo in acqua; non ce la fece, data la stazza del Gran Maestro eriseano, ma la forza esercitata fu abbastanza elevata affinché la testa di Luisian venisse staccata e ingerita dai denti di quell'essere.
    Il collo troncato del cadavere zampillò, Luisian cadde dapprima sulle ginocchia e poi di petto sul ponte navale, disperdendo una vasta chiazza di sangue.
    Non importò a nessuno della sua morte, era più importante sapere che la battaglia...
    ... non era ancora finita.
    Non ci fu nemmeno il tempo per prepararsi allo scontro imminente, attorno alla caravella si ersero le lunghe estensioni carnose, i colli delle Fauci Intriseche, e le morse coniate da denti aguzzi erano spalancate, quasi sorridenti nel pregustare l'imminente banchetto di uomini.
    Adramelech gettò un forte sospiro di sollievo, e nel vedere il corpo di Samael divorato dalle Fauci Intriseche, pensò a quanto stava realmente accadendo...


    "Un mostro come questo, un parassita ributtante come la Fauce Intriseca...
    Potrebbe addirittura crescere fino alla formazione di ottomila tentacolari colli.
    Ma per far ciò, e per rigenerare le proprie ferite, questo mostro deve cibarsi dell'unica cosa che sazia la sua voracità eterna.
    Il suo fardello.
    La carne...
    E Samael, che altro non era se non l'involucro di questa creatura, è servito per donargli nuova linfa vitale.
    Morirete tutti, figli degli uomini"

    Poi, sentì un tremito provenire da dentro di sé, forse dal cuore; portò la mano al petto gonfio di muscoli, ed esclamò - Che sta succedendo... ? -

    "Posiamo gli occhi al di fuori del passato..."

    Jaber, dopo l'ennesimo sorso di vino sabbioso, posò il calice sul tavolino alla sua sinistra, della sua regale camera adornata da tappeti stravaganti, e da un letto il cui materasso mogano straripava oltre i margini della base in legno rettangolare.
    Dinnanzi a sé, avvolto nella sua innocente ingenuità, vi era Omma.
    - Hai paura? - Chiese il califfo al ragazzino, senza ottenere alcuna risposta ma un movimento incerto del capo - Ti adoro... ragazzino... adoro tutti voi bambini di Serenissima... -
    Per Jaber era divenuto spontaneo mettere gli occhi su fanciulli di età fin troppo giovane per l'operato bellico, ed Omma era uno di questi.
    La sua presenza nell'Alta Croce era giustificata dall'ennesima "crociata dei fanciulli", ovvero navi malconce che trasportavano i giovani serenini nelle aride e assolate Terre Eretiche; i più tra questi bambini servivano come apprendisti soldati, ma la sfortuna affliggeva gran parte di loro, sicché spesso, in quanto la loro abilità non era considerevole, venivano utilizzati in merito a disgustose scelte strategiche, quali avanscoperta.
    Una sorte a cui antavano incontro, e a cui era difficile sottrarsi, erano le attenzioni perverse da parte dei crociati stessi; la cosa ributtante era il fatto che la Santa Sede ne fosse al corrente, ma non si opponesse ad alcuna crociata fanciullesca, anzi... le incitasse in quanto "anche i più giovani devono mondare il proprio animo combattendo per il proprio Dio".
    Omma venne costretto dalla voce minacciosa del reggente a farsi più vicino, fino a quando la distanza tra i due non divenne così esigua da udire vagamente il reciproco respiro.
    Jaber si alzò di schiena dal materasso, puntando all'unico occhio che Omma possedeva, l'altro era coperto da una benda di cuoio alquanto piratesca - Che cosa hai fatto all'occhio? - Domandò poi, ma Omma non rispose, un rossore lo ricopriva, accoppiato ad un palpitare incessante del suo cuore.
    In quel momento desiderava appellarsi ad una presunta sfumatura caritatevole nel califfo, si chiudeva a riccio ansimando copiosamente e sperando che Jaber avesse pietà e non ripetesse quanto gli aveva già fatto; la cosa che non poteva sapere, era che il suo fare ingenuo, impaurito ed eccessivamente debole, o femminile, suscitavano un effetto totalmente contrario a quello voluto, nell'animo del reggente, che fece per muovere la mano verso l'orlo dell'esile abito di Omma: ricavato probabilmente da un qualche sacco di farina, e lavorato in modo che potesse comprendere due maniche.
    Il bambino privò lo sguardo da quanto stava succedendo, sentì il proprio vestitino alzarsi lasciando scoperto il nudo addome.
    Odiava farlo, ma... voleva piangere... piangere per non starsi privando alle angherie di quel putrido essere umano, ben più putrido di qualsiasi altra aberrazione demoniaca o infettiva che potesse comparire agli occhi del piccolo.
    La vita di quell'essere putrido si spense quando il suo petto venne bucato dalla acutezza invidiabile della lancia di Metartios.
    Omma non se n'era reso conto, intontito, credeva di esser preda di un'illusione, ma quando vide che l'asta metallica della lancia era brandita da Metartios, dal vero Metartios, non seppe a cosa pensare.
    - Metartios... - Esclamò con un filo di voce, contemplando il sangue di Jaber farsi largo sull'arma dell'amico.
    Egli si destò dall'espressione pregna d'odio nei confronti del reggente, rantolante, la cui bocca si faceva emittente di qualche colata di sangue anche in seguito al suo trapasso, ciò avvenne dopo qualche secondo.
    La vita di Jaber si era spenta in un modo indecente, relegandolo a entità puramente marginali nelle sorti della storia...
    - Omma! - Tolse la punta dal petto del califfo, si avvicinò al ragazzino e lo strinse forte a sé - Stai bene... ? -
    - Metartios... lui voleva... voleva... - Strinse le mani attorno agli indumenti di Metartios e digrignò i denti, fremendo.
    - Non piangere, Omma... non ora -
    - Scusami... -
    Il lanciere eriseano gli sorrise dando una scompigliata ai suoi capelli neri, fece poi per incamminarsi con lui al di fuori della stanza, sarebbero fuggiti dal palazzo reale, ma prima dovevano interfacciarsi con la schiera di uomini che, in quel preciso istante, aveva chiuso l'entrata alla camera.
    Erano in cinque ed erano mauriniani, gli ultimi soldati natii che Isin possedeva, il loro abbigliamento era ben differente da quello usufruito dai crociati: una casacca nera costituita da diversi rombi, stivali di cuoio portati sopra rigonfi e svolazzanti calzoni bianchi, in testa portavano una specie di fazzoletto ricamato a scacchi bianchi e neri, lungo fino alle spalle, tenuto stretto da un laccio nero legato attorno alla fronte.
    Molti di loro dovevano aver superato i quarant'anni, e denotavano grande esperienza combattiva, lo si poteva comprendere dallo sguardo sicuro, fisso sui due eriseani, e le mani ferme sui manici delle loro spade, ancora foderate al fianco, sembravano trasudare una grande abilità nel maneggiare gli strumenti di guerra.
    Al centro di essi vi era l'ultimo rimasto della scala gerarchica militare di Isin: Amid Kahed. Egli era l'unico a non aver ancora sfoderato le proprie sciabole.
    Metartios spinse Omma dietro di sé con il braccio non armato, per poi mettersi in posizione difensiva con la lancia ancora sporca del sangue di Jaber.
    Amid notò il reggente afflitto dalla morte alle spalle dei due, ma la sua emotività non sembrò smuoversi di un pelo, stesso discorso per gli uomini al suo seguito, l'unica cosa che fece fu pronunciare delle parole in lingua mauriniana, che necessitarono a Metartios qualche secondo per venir comprese, ma quando fu in grado di farlo, tra i due vi fu un diverbio criptico alle orecchie di Omma, che non conosceva quella lingua.
    Poi Amid, forse perché voleva che anche il piccolo capisse, si destreggiò nella lingua serenina - Lo avete ucciso... -
    Metartios impugnò saldamente la lancia, indietreggiando - Ucciso? Ah, stai parlando del reggente, non è così? -
    Amid posò una mano sull'elsa della sciabola, estraendola, facendo scintillare la lama con la luce del sole filtrante dalla finestra - Perché lo avete ucciso? Non vi aveva fatto niente. -
    - E' vostra abitudine... toccare i bambini?! -
    - Zitto... sono stati i tuoi fratelli bianchi a donarci quei piccoli. - Puntò l'indice verso Metartios ed Omma - Era la ricompensa che Jaber reclamò quando pose i suoi servigi al vostro ordine! -
    - Potrà pure averlo richiesto, ma... nessuno può mettere le mani addosso al mio amico! Il califfo lo ha picchiato, oltre che violentato... secondo voi un bambino merita un simile trattamento?! -
    - Perché no? Qui a Mauri si usa sposarsi molto presto, e quel bambino ha l'età adatta per conciliarsi nel matrimonio... -
    - C... come?! Bambini... che sposano uomini?! -
    - La regola si tramanda da anni, nessuno si è mai opposto. -
    - E' immorale! Omma non verrà mai toccato dalle vostre usanze! -
    - Non importa. tanto quel fanciullo è già stato toccato, nessun uomo o donna vorrà mai conciliarsi con lui! -
    Omma chiuse gli occhi, stringendosi attorno alla gamba dell'amico lanciere.
    - E' stato sporcato! Non è più degno di alcuna forma di amore o di affetto! E' merce rovinata! -
    Una lacrima discese dal suo occhio vedente, interrompendosi al bordo della mascella - Metartios... -
    - Omma non è sporco! E se davvero è così, allora questo significa che il vostro reggente non era altro che un suino! -
    Amid si adirò, nell'udire quell'uomo, quel... bianco... pronunciare simili offese nei confronti dell'uomo che aveva retto Isin fino a quel momento - Le tue parole oltraggiose ti costeranno la vita, insulso figlio degli uomini! -
    - Cosa? Figlio... degli uomini? -
    Perché usare quella frase? Fu questa la domanda che Metartios si pose, prima di andare incontro all'inevitabile influsso dell'entità malvagia presente in Amid.
    L'intero corpo di quel guerriero mauriniano, abiti compresi, divenne nero come la notte; si accesero in un improvviso bagliore luminoso i suoi occhi rossi, e nel mentre di quella prepotente virata verso lo spirito iroso intriseco, comparve anche il cielo, non più grigio, non più monotono e privo di suggestione, bensì...

    "Rosso..."


    L'acqua... non è più rossa...
    Il cielo... non è più rosso...
    Ambrus si guardò attorno, contemplando con ignoranza quella fetta di mondo schiacciata da due forze opposte: il cielo ed il mare, entrambi più neri dell'universo, entrambi neri come la pelle dei Dodici.
    Ma nonostante ciò, non era notte, se fosse stata notte Ambrus non avrebbe potuto vedere nient'altro che l'invadente oscurità, cosa che non era presente in quel luogo spogliato del colore, tendente alle tonalità più spente.
    E nel bel mezzo del Mare dei Morti Asfaltide, tra i rimasugli della flotta crociata si ergeva su una pila di legno accatastato l'effige afflitta di Adramelech.
    Sembrava triste.
    Ambrus si fece largo sulle banchine di fortuna che trovò sul mare, fino alla postazione dello spirito iroso stesso; si inerpicò su per la collinetta di rottami trascinandosi dietro lo spadone a doppio filo, inseparabile compagno di massacri, e infine giunse accanto allo spirito iroso senza che egli reagisse.
    Ambrus lo guardò dritto negli occhi, ma lui non ricambiò, se ne stette immobile con le pupille sgranate verso l'orizzonte.
    - Sei ancora vivo... ? - Domandò Adramelech.
    - Lo sono sempre... - Rispose Ambrus.
    In quel momento, il giovane leone non seppe pensare a niente, quel luogo era divenuto ancor più oscuro e misterioso di quanto lo fosse stato in precedenza, quando era avvolto nelle tonalità amaranto scaturite dall'influsso di Adramelech.
    - E' stata opera tua? Perché?! - Alluse alla distruzione della flotta di Serenissima, avvenuta poco prima da parte di un'improvvisa e violenta reazione di Adramelech stesso. La Fauce Intriseca si era in qualche modo persa nel disastro marittimo, che non risparmiò nessuna imbarcazione, lasciando al loro posto nient'altro che delle informi pile di legno sormontate da fu vele.
    - Per noi Dodici... per tutti noi Dodici... il momento arriva... -
    - Quale momento?! -
    - Initium... così lo chiamiamo... "L'inizio"... -
    - Initium? -
    - Sì... - Chinò il capo - Passiamo l'eternità ad inseguire la realizzazione dell'Initium... e quando arriva... veniamo colti dalla malinconia... -
    - Ti conviene chiudere il becco! - Abbassò la lama dello spadone sulla sua spalla - Ho già in mente cosa fare di te, sai? Prima ti ucciderò, poi farò a pezzi il corpo che hai posseduto e lo darò alle acque! -
    - Credi che me ne importi qualcosa? -
    La risposta lasciò stupito il ragazzo.
    - La mia esistenza come Adramelech sta per finire... ora che l'Initium si sta lentamente incarnando, è solo questione di tempo perché la consapevolezza di me stesso scivoli via... e torni ad essere ciò che era in origine... ciò che noi Dodici eravamo in origine... -
    - Che... che cosa eravate in origine? -
    Si gonfiò i polmoni inspirando dalle narici - Shemazai... -
    Il vento soffiò improvvisamente, facendo ondeggiare il caschetto biondo di Ambrus - Shemazai? -
    - Senti... - Fece una cosa che innervosì non poco Ambrus: posò una mano sulla sua spalla, senza però avanzare parole minacciose - Non mi impossesserò del tuo corpo, quindi ti prego... uccidimi, ora! -
    - Che... che cosa!? Tu che mi chiedi di ucciderti?! -
    - La senti questa brezza? Tutti i miei fratelli confluiranno dentro di me, a breve, e quando accadrà sarà troppo tardi! Devi uccidermi, ora! -
    - No, aspetta... spiegami! -
    Nell'aeree balenavano vacui i timbri vocali dei rimanenti undici, ciò sembrò turbare il dodicesimo, che con affanno criticò Ambrus - Piccolo parassita... non sei neanche in grado di uccidere il tuo nemico! -
    Ambrus venne spinto in acqua dallo spirito iroso, e quando riemerse dal fluido nero, dando una boccata d'aria, vide limpidamente che Adramelech impugnava lo spadone a doppio filo.
    - No! Fermati! - Urlò con forza il giovane, pregno di domande, ansioso di donarci delle risposte, ma fu del tutto inutile.
    Adramelech fu il primo spirito iroso a scongiurare l'Initium privandosi della vita di sua spontanea volontà: Si trafisse in totale autonomia con la spada del giovane crociato, che in quell'attimo vide vanificarsi l'oscurità del cielo e del mare dei morti, vide il volto di Adramelech portare un sorriso benevolo, vide la carnagione carbone dello spirito iroso virare verso la pallida consistenza del giovane che aveva posseduto.
    E nel cielo, quel giorno, si contorsero in mille lamenti ben undici voci.

    "No!!!"
    "Cosa hai fatto?!"
    "Perché?!"
    "Perché?! Perché?! Perché?!"


    Il sole era alto.
    Sulla spiaggia, i superstiti del massacro navale trovarono l'intero schieramento di arcieri, composti in una postura quasi venerativa, con le ginocchia a terra e la schiena abbassata come per prostrarsi ai piedi dei crociati sopravvissuti.
    Riccardo si fece fasciare la ferita alla gamba da uno dei suoi sottoposti in divisa color ambra; Dazio operò il suo desiderio di vendetta facendo giustiziare quei soldati stranieri, che stranamente non si opposero alla morte, ma sembrarono accoglierla con gioia; Il corpo di Luisian non venne mai più ritrovato, non ci volle molto a capire che era andato perduto con il disastro navale, ma ciò non sembrava interessare gli appartenenti al suo schieramento, in quanto sapevano che ben presto le loro sorti sarebbero andate in mano ad un nuovo generale eriseano, l'allora embrione Generale Scarlatto Luisian II.
    Ambrus giunse alla spiaggia in ritardo, rispetto ai compagni crociati, ciò che quel giorno aveva visto, sarebbe rimasto eternamente impresso nelle sue pupille smeralde. La spada ancora macchiata del sangue di Adramelech solcò la sabbia bagnata della spiaggia, il ragazzino se la trascinava dietro con apatia ed esaurimento, adocchiato dai suoi compagni d'arme che lo guardavano come fosse uno spettro, o una qualche fonte di attrattiva.
    La sua destinazione fu uno dei margini della spiaggia in cui giacevano i deceduti della catastrofe in una pila indecente di cadaveri umani, ai piedi di questa vi era il corpicino di un ragazzo poco più giovane di Ambrus, mutilato nel bel mezzo dello stomaco dal marchio lasciato da una dentatura.
    L'ennesima vittima di Samael, quando ancora si nutriva di distruzione.
    Riccardo era lì, a contemplare immobile l'immagine del giovine spentosi come una piccola candela; sentì sulla propria schiena la pungente spada del biondo soldato.
    Il suo gesto scaturì inevitabilmente le attenzioni del generale di Aurelia, che, sicuro dell'identità del fautore di quel gesto, si rivolse con un tono del tutto spogliato da regalità - Immagino tu voglia saldare i conti... -
    - Esatto! - Premette con maggior foga sulla divisa ambrata di Riccardo - Non sono diverso da quel ragazzino che stavi guardando! -
    - E'... era mio figlio... l'unico che speravo si salvasse, l'unico che desideravo non morisse... - Un'ultima occhiata malinconica al fanciullo, notando che la sua arma era ancora immacolata e riposta nel fodero, e si voltò verso Ambrus - Ho trascorso questi ultimi anni a impratichirlo nelle arti del combattimento... ricordo ancora la luce nei suoi occhi, quando gli dissi che era stato scelto per questa spedizione... -
    - La vostra famiglia non sembra conoscere bene le arti del combattimento, a quanto pare! Un padre che non ha mosso un dito contro quel mostro tentacolare, ed un figlio che è morto invano ancor prima di sfoderare la spada! -
    - Io... non ti permetto di parlarmi così! - Provò a muovere un passo avanti, ma la punta dello spadone di Ambrus finì premuta contro il proprio petto.
    Un conflittuale sguardo si accese tra i due, facendosi precursore per una rivalità duratura nel corso degli anni.
    - Immagino che ormai sia inutile affannarsi con uno come te... - Con una mano, sfilò dall'avambraccio la piastra metallica che lo ricopriva, tutto sotto gli occhi di un Ambrus confuso, e di un'armata confusa, quando poi fece scorrere la manica della cotta di maglia fin sopra il gomito, mostrando la nudità di metà braccio, calcò verticalmente la carne sulla punta di spada, in modo da potersi recidere le vene.
    Ambrus spalancò gli occhi, assottigliò le pupille, il sangue zampillò copioso ricoprendo il suo viso emaciato e la sua divisa bianca.
    - Hai pareggiato i conti... sei ancora vivo... - Le ultime parole del generale Riccardo, prima di cadere di schiena in prossimità di quel corpicino, posseduto in passato da un'animo destinato ad ereditare il potere del padre, e forse anche i suoi stessi sbagli.

     
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  9. Roxy!
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    Ohhh... sto leggendo e commento subito, visto che è lunghetto.

    Interessanti le descrizioni dei vestiti!! I rombi <3 io amo i rombi!!

    Ma Adramelech non era anche un coso di FF12?


    CITAZIONE
    La fine più patetica la fecero quelli che rimasero coinvolti nella distruzione della nave, venendo trafitti dalle schegge di legno.

    Che sfigati, poveri T.T

    Ma che stronzo di medda il mostro marino!!!

    CITAZIONE
    Il collo troncato del cadavere zampillò, Luisian cadde dapprima sulle ginocchia e poi di petto sul ponte navale, disperdendo una vasta chiazza di sangue.

    Oh merda, povero Luisian :sobad:
    La scena mi ha fatto venire in mente San Andreas XD



    Ohhh... sto leggendo e commento subito, visto che è lunghetto.

    Interessanti le descrizioni dei vestiti!! I rombi <3 io amo i rombi!!

    Ma Adramelech non era anche un coso di FF12?


    CITAZIONE
    La fine più patetica la fecero quelli che rimasero coinvolti nella distruzione della nave, venendo trafitti dalle schegge di legno.

    Che sfigati, poveri T.T

    Ma che stronzo di medda il mostro marino!!!

    CITAZIONE
    Il collo troncato del cadavere zampillò, Luisian cadde dapprima sulle ginocchia e poi di petto sul ponte navale, disperdendo una vasta chiazza di sangue.

    Oh merda, povero Luisian :sobad:
    La scena mi ha fatto venire in mente San Andreas XD

    Ah ma quindi la Fauce Intriseca sarebbe tipo l'Idra?

    E gli sta bene a quello schifoso Jaber.... EEHHH MA POVERO OMMA ç__ç

    E' stato un bellissimo capitolo, come sempre è tutto nel posto giusto e le situazioni si susseguono in modo esemplare.
    E' bello che ci siano altri protagonisti

    Non ho capito molto la scena finale, cmq :uhm:

     
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  10. _Holy
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    CITAZIONE
    Ma Adramelech non era anche un coso di FF12?

    Sarebbe più giusto dire che Adramelech è un coso della Cabala (gerarchia dei demoni) XD

    CITAZIONE
    Oh merda, povero Luisian
    La scena mi ha fatto venire in mente San Andreas XD

    ODDIO! :rotfl:

    CITAZIONE
    Ah ma quindi la Fauce Intriseca sarebbe tipo l'Idra?

    Pensavo a Shub Niggurath mentre la descrivevo, ma sì, è una specie di Idra XD

    CITAZIONE
    E' stato un bellissimo capitolo, come sempre è tutto nel posto giusto e le situazioni si susseguono in modo esemplare.
    E' bello che ci siano altri protagonisti

    E infatti, notare come Coris, il personaggio principale, non abbia fatto un cazzo XD

    CITAZIONE
    Non ho capito molto la scena finale, cmq

    Non sei il solo che non l'ha capita XD

    Grazie per il bel commento ^^
     
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    Twilight Player

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    Bellissimo capitolo. Adramelech è uno spirito iroso con i coglioni!
    Luisian muore, e che bella morte.. La fontana di sangue :3
    La Fauce Intriseca, l'Hydra. in poche parole..


    Omma piagnucolone, ahahah.
     
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  12. _Holy
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    CITAZIONE (Nemesis; @ 17/9/2011, 23:43) 
    Bellissimo capitolo. Adramelech è uno spirito iroso con i coglioni!
    Luisian muore, e che bella morte.. La fontana di sangue :3
    La Fauce Intriseca, l'Hydra. in poche parole..


    Omma piagnucolone, ahahah.

    Voglio vederti a non piangere dopo che te lo sbattono dentro in modo sonante :wosd:

    Comunque, grazie XD
     
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  13. Nyxenhaal89
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    Shota, shota everywhere! :omgsaw:
    Eccheccosa brutta però D; *vomita in un angolo pensando a Jaber*
    Vai Metartios, tira fuori l'Altair che è in te! *SMOKIN' SICK STYLISH!*
    In realtà Metartios è furioso perché il culetto di Omma lo voleva lui. TREMENDA VENDETTA! èAé
    Il califfo si è chiuso nella stanza da letto? Eccellente :megusta:

    Wafa, la gran figona che fa prostrare ai suoi piedi tutte le nazioni crociate Inamod compresa, si trova improvvisamente in mezzo ad un acceso diverbio tra due barboni, palpeggiata e denigrata! E fu così che Riccardo si trovò cieco.
    Ha toccato la frutta! èAé

    E nel frattempo Riccardo, allergico alle balestre, dimostra che il nepotismo è un male. Ha mandato suo figlio a morire smangiucchiato da un gigantesco mostro marino, una cosa immensamente LOL se non fosse che c'è troppo sangue.
    macheminchiadicostasera
    Oh, Samael! Che caVino!
    Un gigantesco mostro demoniaco che spunta dall'acqua e fa a pezzi navi e cose?
    NE VOGLIO CINQUE! :mku:
    E intanto Adrammelech si scopre essere membro onorario di Legambiente.
    Luisian muore! :mki:
    E Dazio tira fuori le palle. Oh, che roba bizzarra che si vede in giro! *gli cade il monocolo*
    La Fauce Intrinseca è una cosa disgustosa, orripilante, ributtante...
    ME GUSTA.

    E mentre Metartios fa ciò che deve per porre fine alla vita inutile diJaber...
    L'acqua non è più rossa e Adrammelech si è impalato da solo? °-° O forse l'hanno impalato gli altri.
    O E' STATA LA MAFIA. :mku:
    E tutto d'un tratto sbrocca e decide di uccidersi da solo!
    MA WTF D:
    L'Initium mi intriga.
    Non vedo l'ora di scoprire cos'è >w<

    E Metartios è nella merda fino al collo :°D

    La piccola Epopea dell'Acqua Rossa mi è piaciuta molto. Sei migliorato da quando hai descritto la tua prima battaglia campale, questa è davvero ben riuscita! Ti faccio vivissimi complimenti, mi ha appassionato molto. Sono contento che Jaber sia fuori uso, tra le altre cose, sai quanto tenga ai bambini >.< (Denzel: MA DAVVERO. è_é)
    Non vedo l'ora di sapere come continua ç__ç
    E qualcuno dica a Coris di piantarla di fare la chupa dance con Lithos e darsi una mossa! èAé
     
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  14. _Holy
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    Very well, ora che si è aggiunto anche Nyssh, direi che possiamo continuare...
    Mi avete seguito fin'ora, questo è fin dove sono arrivato a scrivere, spero che i miei tempi di pubblicazione non vi infastidiscano troppo. çAç

    Ringrazio Nyx, Roxy e Nemesis per i commenti che mi fate ogni volta, con tanto Ammoreh (eufemismo) e tanta pazienza (eufemismo x2)

    Sto scherzando :sese:

    Il capitolo a voi! *lancia*



    LUCIFUGO E IL CESTO DELLE SERPI

    La guerra imperversava cruenta ma spezzata da settimane e settimane di stasi, in quel continente arido, Mauri, chiamato però "Terre Eretiche" dai dispregiativi esponenti delle fazioni serenine.
    Qualunque serenino avesse messo piede tra quelle lande, avrebbe notato immediatamente l'intensa differenza di paesaggio e atmosfera che rendeva Mauri una terra ostile e dettata da una prospettiva di vita medio-bassa; là dove le dune si lanciavano sconfinate oltre l'orizzonte, Serenissima faceva sfoggio di rigogliose distese erbose; là dove qualche accumulo di palme e una pozza d'acqua conferiva un paradiso per qualunque viaggiatore del deserto, Serenissima vantava macchie d'alberi fitte e accoglienti, accoppiate talvolta con laghi di fattura minore a quello circolare di Città Mondana.
    Città Mondana... il pomeriggio la vestiva di un'aura del tutto nuova: non più strade desolate e torce infiammate appese ai muri, non più solitudine tra le sue vie ormai colme di un viavai incessante e confusionario, tra cardinali, vescovi, abitanti della città e guardie della reggia papale.
    Dall'alto della balconata che spuntava dalla stanza di Kata, Inamod osservava la città, il Lago della Serenità e la sconfinata pianura d'erba oltre ad esso; lo sguardo critico della papessa sembrava frugare nei meandri di ogni luogo, nelle movenze di ogni passante, nella traiettoria delle soffici nuvole in quel cielo azzurro.
    Nonostante la magnificenza del panorama, Inamod non si crogiolò nel suo influsso, qualcosa sembrava affliggerla nel profondo.
    - Enoch è tornato... ? -
    - No Kata... non è tornato... -
    L'entrata ad arco della balconata era impegnata dalla giovane Kata, vestita con un leggero velo bianco; il suo pallore divenne quasi abbagliante alla luce del sole, la sua testa calva sembrava riflettere i raggi del celeste cerchio di fiamme, mentre dai suoi occhi con bulbi neri, senza pupille, non era possibile trarre alcuna emotività.
    Abbassò lo sguardo al pavimento bianco del balcone, inspirando dalle narici la tiepida aria pomeridiana - Enoch... papà... -
    La papessa destò gli occhi dal paesaggio e guardò Kata, le si avvicinò con fare premuroso e le sollevò il viso dal mento, scrutando l'infinità dei suoi occhi - Kata, voglio la tua profezia! Voglio che tu mi dica a cosa andrà incontro questo mondo! -
    - Il sole... di che colore è oggi? -
    - Del suo solito colore, Kata... - Si inginocchiò dinnanzi a lei.
    - Io non conosco il colore del sole... -
    Inamod ammutolì, perplessa ma rassegnata al fare criptico della fanciulla - Kata... Shemazai tornerà? -
    Scosse il capo orizzontalmente - I Dodici non si stanno impegnando per incarnare l'Initium, e farlo tornare... ma io non mi preoccuperei di Shemazai... -
    - Allora di cosa dobbiamo preoccuparci?! -
    - Papà lo disse al terzo... -
    - Cosa?! - Spalancò gli occhi.
    - Il terzo... è lui che ha le risposte... -
    - Il terzo?! Kata, esiste un terzo Tomo? -
    Annuì con lentezza.
    - Dove si trova? - Chiese Inamod.
    - Papà ci disse che il terzo avrebbe dormito fino a quando il cielo dell'intero mondo non sarebbe diventato rosso... sapremo dove sarà solo quando si risveglierà... -
    - Mi stai dicendo che... apparirà solo durante l'Apocalisse?! -
    Annuì pigramente.
    - E come potremo mai prevenirla?! - Con nervosismo palpabile, la brancò alle spalle - Kata, abbiamo bisogno di più informazioni! Se non sarà Shemazai a portarci la fine del mondo, chi lo farà?! -
    - Non posso dirti niente... sono un Tomo, e i tomi non possiedono conoscenza infinita... -
    - Ti prego Kata! Ti prego! Ti prego! - La scrollò, notando che un'improvviso senso di fiacchezza l'aveva pervasa, fu però inutile in quanto la fanciulla perse i sensi.
    A quel punto, l'unica cosa che la papessa Inamod potè fare, fu sobbarcarsela tra le braccia e deporre il suo corpicino nelle lenzuola del suo bianco letto. Sospirò nel vedere la sua ingenuità fare contrasto all'importanza radicale che ella aveva avuto nel corso della storia.
    I Due Tomi... a detta di Kata, pareva esisterne un terzo... ma i Due Tomi altri non erano che i precursori della religione serenina. Due fanciulli privi di capelli, con la pelle bianca e pervasi da una strana forma di cecità: Kata e Protos, entrambi detentori di una gran mole di informazioni, decisive per l'esistenza stessa della religione cineriana, quella praticata dai serenini, chiamata così in nome dell'uomo che edificò la Santa Sede: Cinerio. Quest'uomo fu il primo a trascrivere su carta i segreti che i Due Tomi si portavano appresso, segreti inculcati, secondo le loro parole, da colui che pareva esserne il padre: Enoch... il misterioso Enoch...
    Chi fosse questo Enoch, e perché avesse dato vita a due esseri tanto strani, tanto disumani, era un mistero che nessuno fu in grado di rivolvere nel corso degli anni, ma intanto la Chiesa cresceva, facendosi forte delle parole dei Due Tomi, che predicavano quanto il padre gli aveva insegnato.
    Inamod abbandonò la limpida stanza di Kata mantenendo gli occhi socchiusi, quando fu all'esterno lì riaprì, gonfiandosi di orgoglio patriottico, dettato in quel caso dalla mordente voglia di salvaguardare sulle sorti dell'intero regno di Apollonia, del continente di Serenissima... e sull'intera umanità.
    Se Kata non era in grado di dire nulla, forse lo avrebbe fatto il Primo Tomo... Protos...
    Camminò velocemente per gli scorrevoli corridoi della reggia papale, trascinando la veste bianca sui tappeti scarlatti, affacciandosi talvolta alle enormi finestre per dare un'occhiata al movimento cittadino, tanto ingenuo, tanto pacifico; lungo la strada le capitò di incrociare alcuni dei cardinali al seguito dell'intera Santa Sede, ed i loro sguardi non potevano non posarsi sul moto frettoloso della papessa; i più sfrontati lanciavano domande, ma gli altri sceglievano di non intromettersi nelle faccende di Inamod.
    Parlando di sfrontatezza, seppur innocente, il cardinale Narçil di Erisea ne era un campione: egli, difatti, era afflitto da una grave forma di ingenuità e, forse, stupidità, che non gli consentiva di distinguere le situazioni in cui tenere la bocca chiusa da quelle in cui gli era consentito parlare anche solo a vanvera.
    Biondo, di statura ininfluente, portava i capelli raccolti in un codino; era riuscito ad entrare a far parte dei cardinali a causa della sua posizione nobiliare, e di suo padre, che con solo qualche giusto aggancio e qualche soldo, era riuscito a procurare di che vivere al figlio inetto ed incapace, forse ancora più incapace del Coris di Apollonia, poiché almeno lui era in grado di affrontare le difficoltà facendo uso di qualche picco spavaldo, come aveva dimostrato ad Accidia, contro Lilith.
    Così, quando Inamod vide l'effige assorta dell'eriseano, sperò con tutta sé stessa di non farsi notare, ma non accadde; Narçil corse alla volta della papessa, salutandola energicamente e tenendo faticosamente il suo passo frenetico - Sua Santità, dove è diretta? - Domandò.
    - Lasciami stare Narçil, non sono in vena di discorsi futili! - Continuò per la sua strada, scendendo alla prima rampa di scale che incontrò.
    - Oh, ma... non intendo infastidirla con discorsi inutili, sono qui solo per farle qualche resoconto sulla guerra! -
    - Allora sbrigati, mi sto dirigendo alla camera di Protos! -
    - La farò breve... ha presente il Re di Aurelia, Riccardo V? -
    - Un altro re che sceglie di prendere le armi... la morte di Pilatte non è stata di lezione a quanto vedo! -
    - Oh beh... lui però ha un'erede adulta e pronta ad impugnare le redini del regno, in patria, penso sia per questo che ha scelto di continuare a combattere. -
    - Sua figlia... già... dimenticavo che perse il suo primo figlio durante la Prima Crociata, nello sbarco... -
    - Pace all'anima sua... ad ogni modo, Sua Santità, volevo informarvi che il rapporto spedito da Mauri informa la necessità di intraprendere un viaggio verso una meta sconosciuta, una certa città sulle rive del fiume mauriniano. -
    Si arrestò sulla gradinata e guardò il cardinale con occhi critici - E mi disturbi solo per dirmi questa cosa? -
    - No signora! Cioè... non lo avrei mai fatto se non fosse per il motivo per cui questo viaggio è stato indetto... -
    - Allora parla, e appena hai finito, sparisci... -
    - Sì, signora... però vede... la questione potrebbe richiedere più tempo di quanto possa sembrare... Re Riccardo ha riferito chiaramente la scomparsa di un plotone aureliano nei meandri di quella città sul fiume, dice anche di aver trovato un qualcosa di diverso dai soliti spiriti irosi... -
    La frase di Narçil fu molto più interessante di quanto Inamod si aspettasse, tanto che lei chiese più informazioni a riguardo, Narçil, purtroppo, dovette arrestarsi in quanto il rapporto non riportava particolari esaustivi.
    - Qualcosa di diverso dai soliti spiri irosi, eh? - Abbassò la testa, pensierosa - Ho capito... capisco perfettamente... - Poi, si precipitò di fretta giù per le scale, ora aveva un incentivo più che valido per incontrare Protos.
    - Sua Santità, che le accade? - Narçil non smise di seguirla.
    - I Dodici, tutti loro sembrano trovarsi nelle Terre Eretiche, Kata mi ha riferito in maniera piuttosto criptica che qualcosa di disastroso si abbatterà sul mondo, ed il re di Aurelia dice di aver trovato una cosa che va al di là degli spiriti irosi... tutto questo deve avere una qualche sorta di collegamento, e intendo scoprirlo! -
    - Lei... crede che Protos possa darle le risposte che cerca? -
    - E' più esaustivo di Kata! Forse mi aiuterà. -
    Ed infine, la camminata della papessa la condusse ai piani più interrati della reggia papale, dove l'architettura si faceva più diroccata e abbandonata al tempo, dove ragnatele pendevano dal soffitto come sonagli, e la polvere faceva da tappeto.
    Due guardie papali presidiavano l'ingresso metallico che avrebbe condotto alla stanza di Protos, ed in confronto alle comuni guardie riscontrabili per le vie cittadine, queste erano equipaggiate molto più pesantemente: sulla testa portavano uno stravagante elmo senza paramento, con visiera abbassata sugli occhi, una piastra si protraeva in modo da difendere la nuca, e dalle estremità laterali dell'elmo partivano delle lavorazioni metalliche modellate in modo da rappresentare delle ali di colomba. Ciò che la loro tunica bianca portante un ricamo a forma di croce dorata circondata dai rovi, lunga fino ai piedi e senza maniche, non riusciva a coprire, era rivestito dello stesso baluginante metallo con cui era stato creato l'elmo.
    Dovevano essere due uomini, ed entrambi tenevano la mano sinistra sul fodero della propria spada, al fianco, e la mano destra all'alabarda di cui erano entrambi muniti.
    Non si smossero di un soffio quando Inamod varcò la porta di metallo a doppia anta, non fecero altrettanto con Narçil, che nell'esatto momento in cui cercò di passare, si ritrovò con le lame delle alabarde a poca distanza dal viso; si lasciò andare ad un'indecente esclamazione di spavento, mentre Inamod, armandosi di tanta pazienza, scelse di rivolgersi alle due guardie, ordinandogli di lasciar passare il cardinale eriseano.
    Alle parole della papessa, i due uomini armati riedificarono la propria posizione di partenza facendo uso di una rigidità ferrea, la stessa che distingueva abilmente le guardie della reggia papale a quelle cittadine; questi uomini erano disumani, e molti avrebbero giurato di non averli mai visti riposare, neanche per un solo istante.
    Narçil si resse il petto, e varcò l'ingresso con il terrore che quelle guardie potessero ripensarci.
    - Ci siamo... - Disse la papessa, scrutando attentamente la stanza che trovò oltre la porta come se fosse la prima volta che la vedeva.
    Un tappeto violaceo, strappato in diversi punti, si protraeva verso uno spazio esagonale con delle colonne a spirale erte ad ogni angolo, sei in totale, e ognuna di esse era collegata alle adiacenti tramite una lavorazione ad arco.
    Narçil, che ben poche volte aveva visto quel posto, fu sorpreso nel notare come fosse molto simile strutturalmente ad una chiesa, poiché facendo eccezione per lo spazio esagonale più avanti, tutto il resto non poteva non richiamare alla mente lo stile serenino nell'edificare strutture religiose: panche in legno stazionavano parallelamente l'una all'altra ai lati del tappeto viola, il soffitto era decisamente alto, e riportava dipinti a tema angelico mostrando diverse aggregazioni di uomini, donne e bambini alati, immersi nella bellezza di un cielo condito da nuvole bianche; il tempo, purtroppo, aveva deturpato l'originale composizione di quei dipinti, che ormai giacevano pervasi dalle muffe e dalle ragnatele.
    Vi era anche qualche candelabro, sorpendentemente acceso, ma si trovavano dispersi in diverse zone della stanza; Narçil notò con meraviglia che le loro tenui fiamme erano porporee, tuttavia non volle indagarsi su ciò che animava quel colorito anormale, sicché molto probabilmente non era altro che una delle doti di Protos, il fanciulo calvo e pallido che giaceva al centro di quello spazio esagonale, poggiato di ginocchia al pavimento e con aria ponderante.
    Lui e Kata erano gemelli, in lei si riconoscevano lineamenti più docili, ma lui era di statura meno elevata; l'unico suo indumento era un lungo abito grigio, deturpato e sporco di polvere, con un cappuccio abbassato sulla schiena.
    Inamod fu la prima ad avvicinarlo, con tranquillità e confidenza lampante - Ciao, Protos... - Disse, per poi cercare di porgli la questione che si era designata, ma Protos fu più svelto di lei.
    Con un timbro vocale molto mascolino, esordì - Sei qui per parlare con me... - Aprì gli occhi, uguali a quelli di Kata, e li puntò truci sulla papessa ed il cardinale - Vero? -
    Lei annuì.
    - Non possiamo dirti dove si trova il Terzo... non lo sappiamo... lo sapremo solo quando si sveglierà. - Abbassò la testa - Nostro padre lo ha nascosto molto bene... - Sorrise.
    - Questo perché siete in sintonia tra voi... vero? - Domandò Sua Santità, anche se era sicura della risposta, positiva da parte di Protos - Se non puoi dirmi dove si trova il Terzo, allora svelami l'entità del pericolo... non è Shemazai, vero? -
    Protos scosse il capo, in funzione negativa.
    - Allora chi è? - Insistette Inamod, con accanto a lei un Narçil scosso dal misticismo che albergava quella stanza... forse era stata una vecchia chiesa, un luogo di culto abbandonato nel corso degli anni.
    - Papessa... non hai idea di quanto Kata si stia sforzando per trovare questa fonte di pericolo... tutt'ora sta frugando nel mondo, negli animi della gente, alla ricerca di questo essere... - Fece una pausa ad effetto - Ma... non riesce a trovarlo... si nasconde bene, o forse non è ancora emerso del tutto -
    Intervenne dunque Narçil - Emerso? E' una specie di mostro marino? -
    Ovviamente, nessuno diede importanza alla sua affermazione alquanto inutile e stupida; incredibile come un individuo simile potesse continuare a fare il cardinale, una carica che oltre a portare alto il vessillo religioso, deve anche occuparsi di burocrazia e problemi interni, sopratutto in quel periodo tanto afflitto da dure tragedie economiche e militari.
    - Ho una sola cosa da dirle, papessa... -
    Inamod tese le orecchie.
    - Quello che andate cercando è molto simile ad uno spirito iroso, ma... comincio a sospettare che sia così fin dalla nascita... -
    - Fin dalla nascita?! - Sillabò la donna.
    - Il potere... è cristallino... è sopito, relegato ad un ego intriseco... lo sentiamo... io e Kata... sentiamo questo influsso malefico che brama la sua insurrezione... ma c'è qualcuno che lo tiene sedato... -
    - Dunque lo avete trovato?! -
    - No... noi percepiamo solo il suo potere, e dunque le conseguenze che ne scaturirebbero, ma non sappiamo ancora chi è il detentore di un simile spaventoso segreto... - Prese fiato, mozzando poi uno dei suoi sospiri all'improvviso - No... non è possibile... - Si portò le mani alla testa, stringendo i denti ed urlando - C'è qualcun'altro! C'è qualcun'altro! - Ansimò e mugolo allo stesso tempo, nel mentre di un disastroso influsso a quella stanza: le fiamme dei candelabri avevano accentuato il proprio bagliore di almeno dieci volte la loro massa originale, risplendendo nell'oscurità della pseudo chiesa, inerpicando lingue di porporee fiamme verso il soffitto.
    - Ce n'è un altro, ed è sveglio! E' orribile, orribile! - Continuò Protos - Orribile! -
    - Calmati! - Intervenne apprensiva Inamod - Calmati, e dimmi chi è! -
    - No! No! Non riesco ad uscirne, non riesco ad uscirne! - Quando il dolore intriseco trovò il suo vertice più intenso, Protos gettò un urlo tanto forte da far sì che tutte le panche in legno ivi presenti si alzassero per collidere contro il soffitto della stanza, lasciando cadere solo i rimasugli di legno sul pavimento polveroso.
    - E' il potere di questo bambino?! - Domandò con evidente nervosismo il cardinale - Se non fa attenzione, ci farà crollare il soffitto sulla testa! -
    Inamod, ormai rassegnata, comprese immediatamente quanto le semplici parole non sarebbero servite a nulla in quell'attimo di terrore; si fiondò verso Protos, i cui occhi neri erano spalancati sul vuoto, la cui bocca continuava ad urlare, e lo strinse a sé con l'amorosa foga che una madre eserciterebbe su un figlio.
    Fu allora che il Primo Tomo si calmò, e man mano che la sua beatitudine tornava a imperare, le fiamme diminuivano di intensità, fino a tornare fioche sui candelabri ormai grondanti di cera.
    - Protos... - Gli carezzò la nuca con dolcezza - Dimmi che cosa hai visto... -
    - Ho visto... - Chiuse gli occhi - La nostra fine... -


    "Questa è Isin... a breve diverrà un campo di battaglia. Volgete gli occhi al cielo, voi oppressi, e congiungete le mani in preghiera..."


    Riccardo fu il primo a spostare lo sguardo verso l'epicentro della città mauriniana, rifoderando i ricordi. Vide chiaramente che il cielo al di sopra del palazzo jaberiano si stava facendo ospite di una chiazza amaranto, che via via aumentava di volume divorando il cielo grigio, estendendosi verso l'orizzonte senza lasciare spazio a nessuno spiraglio di ordinarietà.
    Ambrus fece altrettanto, non potendo ignorare il cambiamento di atmosfera - Che diavolo?! -
    - Pare proprio che ci sia uno spirito iroso in città... -
    Il primo pensiero di Ambrus dirottò su...
    - Coris! -
    Il leone, impetuosamente, precipitò una corsa affannosa giù per la collina di erba gialla, verso la porta di Isin; in quel momento, in cui il timore più pungente si divertiva a torturare le sue aspettative, non pensò minimamente alla sua rivalità con Riccardo, alla possibilità di metter fine a quella faida una volta per tutte, poiché era abbastanza lontano affinché nessuno udisse i suoni di lotta. Non ci pensò, voleva solo accertarsi che quella volta cremisi non fosse opera del giovane dagli occhi porpora.
    Riccardo, stupito dall'avvenimento, fece altrettanto senza curarsi dunque della dipartita di Ambrus, quest'ultimo giunse alla porta cittadina dopo aver percorso la tendopoli della fazione rossa (eriseana); varcandola, rimase investito dalla confusione che si concentrava in quel posto: soldati che correvano ovunque, ufficiali che ordinavano alla calma generale, cittadini di Isin che squadravano il cielo senza muovere un muscolo, o si davano a esclamazioni di stupore accentuando il brusio che appesantiva l'aria e l'udito.
    Nel bailamme, Ambrus sperò di scorgere la figura zaffiro di Owen, ma ciò non accadde, i suoi occhi continuarono comunque a muoversi in quel mare di gente, sperando di riconoscere qualche viso famigliare; più volte venne spintonato dalla corsa affannosa di qualche subordinato, e ciò lo innvervosì non poco, fino a quando non giunse oltre alla folla mauriniana, dove una fila di nove soldati misti tra eriseani ed apolloniani presidiava la strada verso il palazzo. Tra questi, vi era anche la figura possente di Filia, che riconobbe Ambrus e di conseguenza si scostò per farlo passare velocemente, e poi richiuse la barricata.
    - Felice di rivederla, capitano... - Esclamò Filia, in quel momento sprovvisto di elmo.
    Ambrus diede una rapida occhiata alla strada verso il palazzo, desolata se non per la presenza di qualche soldato indaffarato, e poi guardò l'ingente gruppo di mauriniani, di "eretici", che stazionava dinnanzi all'imposizione di quei nove volontari - Che cosa sta succedendo?! - Domanò il leone.
    - Non ne ho la minima idea. Il generale Owen si è mosso con qualche soldato verso il palazzo. Se c'è uno spirito iroso, deve essere lì. - Accennò ad un momento di distrazione, e un mauriniano ne approfittò per varcare la barriera, Filia fu comunque rapido ad afferraro per i logori abiti e spingerlo verso i propri concittadini, di cui molti, sopratutto le donne, erano in ginocchio con le mani congiunte in preghiera.
    "L'ennesima dimostrazione del lieve margine di differenza religiosa che separa Mauri da Serenissima", pensò Ambrus vedendoli pregare, per poi farsi ricordare da Filia il luogo di raduno degli ufficiali.
    Il monastero... era questo il posto designato all'alloggio dei ranghi più importanti... Coris doveva essere lì, e forse anche Lithos.
    Nel percorrere le vie di Isin, le intersezioni di sentieri, i sottopassaggi sfasati, Ambrus ebbe modo di scorgere qualche abitante della città acquattato in un vicolo, talvolta aggregato ad altri individui, e altre volte gli capitò di trovarsi faccia a faccia con uno di loro, la cui reazione alla vista della divisa con croce fu fugace e terrorizzata; nonostante ciò, al capitano non importava nulla del loro destino: che varcassero o no l'imposizione dei soldati non faceva alcuna differenza per sé stesso; in quel momento voleva SOLO il bene di Coris e Lithos, voleva accertarsi che entrambi fossero al monastero, sopratutto Coris, che Ambrus temeva essere il fautore di quel cielo scarlatto.
    - Non può essersi manifestato... non così presto, dannazione! - Tuonò, mentre correva a capofitto verso la sua destinazione, con la lunga chioma bionda a seguirlo come una scia ondulata.
    Il monastero, proprio come aveva detto Filia, era l'edificio più imponente della città dopo il palazzo del califfo, e si ergeva a non troppa distanza dalle sue mura; era un edificio di forma cubica, decisamente capiente, ogni piano possedeva almeno quattro finestre, e a frapporsi nella monotonia dei suoi grigi muri vi era talvolta qualche lavorazione scavata nella pietra; la più comune: decine di uomini in ginocchio con le braccia protese verso una lavorazione tonda con delle linee in partenza dal suo centro; doveva trattarsi del sole, ma rimaneva un mistero il perché di quelle figure umane a venerarne l'imponenza.
    Le porte d'ingresso non avevano ante, i muri erano graffiati e talvolta degradati o sporchi di muffa, la campana posta sul tetto, la campana che serviva ad annunciare l'adunata alla preghiera, dava la parvenza che non avesse mai suonato in vita propria.
    Ambrus, tuttavia, se ne infischiò della parvenza dell'edificio, che rifletteva il colore del cielo sul suo manto grigiastro ottenendo un'apparenza macabra; scostò i cavalieri eriseani che incontrò accanto alla porta di entrata, tutti loro rivolgevano gli occhi alla vetta del palazzo jaberiano, e tra loro vi era anche la famigliare presenza del soldato con gli occhi di metallo, Lithos.
    Alla vista dell'amico, Ambrus gli si avvicinò e gli toccò la spalla, Lithos riemerse dalla sua aria contemplativa diretta alla volta celeste, e guardò dritto negli scarlatti occhi del capitano, con la sua solita espressione ingenua, che nel corso degli anni lo aveva reso vittima dei più prepotenti compagni crociati. Era facile prendersi gioco di chi mostrava un'apparenza cristallina, casta, pura, quasi infantile... era molto facile...
    - Ambrus... -
    - Lithos, va tutto bene? -
    - Sì Ambrus! - Chinò il capo, e ciò non piacque al leone.
    - Che c'è che non va? E sopratutto: dov'è Coris? -
    - E' proprio di questo che vorrei parlarti... - Si allontanò, entrando nel monastero e stagliandosi in una zona ombrosa, imitato da un Ambrus che rese il tono di voce più flebile, per non farsi udire dai soldati.
    - Dov'è Coris? -
    - Ascolta... poco dopo la comparsa del cielo rosso, Owen passò di qui, era accompagnato da alcuni soldati ben addestrati e da Ecthra... -
    - Ecthra? -
    - Sì... si stavano dirigendo al palazzo, è da lì che il cielo ha cominciato a farsi rosso... però... vedendo me e Coris all'esterno del monastero... -
    A quelle parole, gli occhi del leone si aprirono in tutta la loro espressività, denotando infine un timore molto evidente, e per nulla biasimabile.
    - Owen ha preso con sé Coris?! - Logorato dalla paura, brancò Lithos di petto - E tu non hai fatto nulla per impedirglielo?! Coris non è pronto a combattere! -
    - Ho cercato, lo giuro... ma... ma... -
    Ambrus mollò la presa.
    - Non ho potuto fare niente! Non sono altro che un sergente, come avrei potuto fare qualcosa?! -
    - Lo so, Lithos... - Sospirò a pieni polmoni - Hai ragione... - Lo sguardo, mite e perso nel vuoto, si incupì ad un tratto, ed Ambrus strinse i pugni con un impeto talmente alto da far scrocchiare le ossa - Vieni con me Lithos! - Si avviò al di fuori dell'edificio - Andiamo a palazzo! -


    "Andiamo a salvare il ragazzo che chiamerei volentieri figlio!"


    Cosa potè fare Metartios, se non lasciarsi avvolgere dalla paura? Uno spirito iroso era lì, dinnanzi a lui, armato e provvisto di chissà quali capacità occulte che avrebbero nuociuto sia a sé stesso sia al piccolo Omma. Confrontato agli altri spiriti irosi, quello albergante in Amid possedeva occhi ben più intensi e abbaglianti; gli elitè lo avrebbero subito riconosciuto in quanto a Lucifugo, comandante dei falsi Satariel, spiriti abituati a prendere la forma di comuni esseri umani.
    I Satariel comparvero anch'essi, in maniera alquanto raccapricciante: i soldati alle spalle di Lucifugo si incurvarono in avanti, come afflitti da una prepotente gobba, e dalla schiena di ognuno di loro, come una farfalla che fuoriesce dal suo bozzolo, emersero degli agglomerati di ossa umane, degli scheletri con il colore della carne, ed emersero fino a rendersi visibili dalla vita in su. Ognuno di essi si scrollò più volte per levarsi di dosso la materia organica rimasta impigliata nelle ossa, poi, tinti del sangue intriseco di quei soldati, assunsero una posizione minacciosa rivolta a Metartios ed Omma. Nonostante i corpi dei soldati mauriniani fossero stati straziati, non caddero a terra, rimasero in quella posizione ricurva, con in mano le proprie scimitarre e sorretti dalle proprie gambe, gambe che presero ad avanzare dei passi lenti verso i due serenini spaventati e confusi.
    Era orribile udire il fastidioso rumore delle ossa scrocchianti ad ogni loro movimento, era orribile notare che la loro distanza si stava facendo sempre meno imponente, e tutto ciò penetrava i pensieri e l'animo di Metartios, soldato abituato a ben altro genere di nemici.
    - Andate via! Via! - Gettò qualche affondo a casaccio nel tentativo di spaventare i Satariel, ma questi gesti impacciati e disperati non fecero altro che aumentare la convinzione di quei mostri, sensitivi nei confronti della paura di Metartios.
    Lucifugo si unì ai suoi servi nel tentativo di uccidere i due serenini, il suo braccio armato si allungò come il guizzante fisico di un serpente, dirigendosi spedito verso la figura del lanciere; Metartios frappose l'arma dinnanzi a sé, parando il colpo di spada vibrato da quel lungo braccio, che però non indugiò a sferrare altri colpi, tutti in punti diversi, ma l'abilità di Metartios gli consentì di deviare ogni attacco senza subire danni.
    Omma si stringeva alla gamba dell'amico, con il viso premuto su di essa per sottrarsi alla vista di quelle creature raccapriccianti, e man mano che Metartios indietreggiava, Omma faceva lo stesso, finché non poterono più farlo per colpa del materasso alle loro spalle, su cui giaceva il corpo privo di vita di Jaber.
    - Dannazione! - Imprecò Metartios a denti stretti, i Satariel erano abbastanza vicini da sferrare un attacco di spada, e tra essi c'era ancora il demoniaco braccio di Lucifugo, sempre armato di spada e sempre intento a spezzare l'eccellente difesa dell'eriseano.
    - E' inutile! - Esordì il demone eseguendo un attacco che disarmò Metartios della sua lancia - E' destino che tu perisca! -
    - No... no! - L'unica cosa che potè fare, in quel momento, fu dare le spalle ai nemici e cingere Omma tra le proprie braccia.
    Lucifugo non volle sporcarsi le mani, così rifoderò il braccio, che tornò proporzionato al corpo di Amid, lasciò i Satariel a completare l'opera, questi alzarono le scimitarre, pronti a calarle sulla schiena dell'eriseano, con un colpo ben indirizzato li avrebbero trafitti entrambi.
    Ma... non avevano considerato la furbizia del lanciere, che sventò l'attacco imminente lasciando cadere dalla propria cinta due strane sfere di argilla, che frantumandosi dispersero una bruma di grigio fumo, dedito a confondere quegli esseri. "Bombe fumogene", strumenti che ampliavano il repertorio di ladri e assassini facendo sì che gli inseguitori rimanessero disorientati e intossicati dalla fitta cortina; forse non avrebbero nuociuto ai polmoni dei Satariel, ma avrebbero nascosto i movimenti di Metartios, un Metartios che aveva notato una via d'accesso ad una balconata, una porta situata dietro al letto di Jaber.
    Prese in braccio Omma e balzò sul materasso scavalcandolo, poi impegnò l'uscita ad arco provvista di tende trasparenti e si ritrovò sul balcone ovale che si era descritto; al di sotto, una via cittadina, e sulla sinistra della balconata giacevano transenne in legno adese al muro del palazzo, rimasugli di qualche lavoro edilizio.
    Omma, che dalla sua posizione abbarbicata poteva guardare alle spalle di Metartios, lo informò del pericolo imminente rappresentato dai Satariel: uno di essi era fuoriuscito dalla stessa porta usata dai due, dalla quale fuoriusciva il prepotente fumo, e faticando un po' per via delle sue proporzioni alterate (a causa dello scheletro emergente dalla schiena) uscì completamente.
    Metartios fece in tempo a scansarsi prima che l'essere lo colpisse con la sua spada, ma lo scheletro adeso al corpo del mauriniano sottostante ghernì il suo mantello, impedendogli di distanziarsi. Dalla porta fuoriuscì un secondo Satariel, questo brandiva, con sopresa di Metartios, la sua lancia, e sembrava decisamente più svelto di riflessi siccome non perse tempo ad eseguire un affondo verso il lanciere stesso; lo mancò, perché Metartios aveva impugnato l'asta della lancia, bloccando l'attacco prima che nuocesse, poi strattonò l'arma e la privò dalle grinfie del mostro che cadde goffamente; usufruendo della stessa lancia, si occupò del Satariel armato di spada, trafiggendo il petto carnoso e alzando l'asta come una leva, in modo che l'essere cadesse di schiena.
    Proprio come aveva notato: quei mostri erano goffi e impacciati nei movimenti, con uno scarso senso dell'equilibrio.
    Il fumo all'interno della stanza si era ormai disperso, ed i rimanenti Satariel occuparono la soglia nel tentativo di giungere alla balconata.
    Metartios sussultò, non avendo vie di scampo facili.
    Accadde dunque... qualcosa.
    Prima che quei mostri superassero la porta ad arco, si scomposero in mille brandelli di ossa, carne e materia interiore, un getto di sangue rivestì la balconata, sporcando Metartios ed Omma, e quest'ultimo non potè sottrarsi alla orripilante vista delle carni contorte su sé stesse in una poltiglia inguardabile, degli arti lacerati e del sangue spalmato ovunque.
    - Ma... che cosa?! - Si chiese Metartios, sentendo la stretta del piccolo farsi più prepotente.
    - Andiamo via... - Sussurrò Omma.
    - S... sì... -
    L'unica via di fuga dalla balconata: le transenne. Metartios si avvicinò, disdegnando l'orrore che rivestiva il pavimento ed i muri, e poggiò un piede sul bordo del balcone, dandosi in seguito lo slancio necessario per giungere su una piattaforma di legno; lentamente si destreggiò tra le varie assi per giungere a terra inerme.
    Ciò che fece fu istintivo: correre, correre, correre a perdifiato il più lontano possibile dalla presenza di Lucifugo. Nella sua testa albergava ancora il quesito del perché i Satariel avessero sofferto di una fine tanto criptica, tanto macabra, ma cosa importava? Ciò che contava, in quel momento, era condurre Omma in un posto sicuro.
    Nessuno lo avrebbe mai più toccato, graffiando la sua innocenza, la sua purezza...


    "Le uniche cose che distinguono i bambini da quell'essere maturo e indegno che è l'uomo..."


    Lucifugo camminò verso il cadavere di Jaber armandosi della coscienza di Amid, che in quel momento non riuscì a provare nessun sentimenti di tristezza o rimpianto. L'unico motivo per cui aveva desiderato la morte di Omma e Metartios, era per ripulire l'onta subita da tutto il popolo di Serenissima.
    Dopotutto, Jaber non aveva fatto nulla per aizzare le ire di Erisea, non era degno di morire per mano di un miscredente come Metartios.
    Fu questo ciò che Amid pensò, avvolto nell'oscura coltre di malvagità che componeva Lucifugo. Tutto ciò lo fece sotto gli occhi di otto soldati dell'Alta Croce, nove con Owen, dieci con Coris, tutti in riga sulla soglia della stanza, come i precedenti Satariel.
    Ognuno di loro possedeva una innata tempra combattiva, sembravano tutti pronti a far fronte a Lucifugo, e ciò lo si denotava dal minimo particolare: sguardo fisso e preparato, postura rigida ma naturale, sicura, nessun movimento che avrebbe tolto concentrazione. Coris, però, faceva la giuista eccezione in quanto tremava visibilmente, e non riusciva ad impugnare doverosamente la sua spada, siccome si reggeva la testa di tanto in tanto, come se avesse una forte emicrania.
    Aveva paura, lo si capiva, e ciò avrebbe avuto un riscontro negativo per il verdetto di Owen, siccome il generale stesso era dubbioso sul promuoverlo a sergente; portarlo al cospetto di Lucifugo avrebbe definito la sua esperienza totale in combattimento... ma forse, anche la sua morte.
    - Siete arrivati, alla fine... - Disse lo spirito iroso, senza voltarsi, in quanto la loro presenza era stata percepita.
    Owen si portò in prima linea, rivolgendosi a Lucifugo con un tono privo di paura - Gettate le armi, Generale Amid! -
    - Mi hai riconosciuto, dunque... -
    - Hai dieci secondi per rinunciare a combattere, dopodiché saremo costretti ad intervenire con la forza! -
    Gettò un sospiro profondo, alzando il capo, e poi fece per voltarsi.
    - Getta le armi! - Ripetè Owen, riuscendo a farsi ascoltare: Amid lasciò cadere le sue spade e quindi si voltò completamente, investendo i presenti con i suoi occhi rossi, intensi, puntati principalmente su un Coris terrorizzato più che mai, un Coris che in quel rosso sguardo sembrava rivedere sé stesso durante le sporadiche manifestazioni.
    Lucifugo fece un mezzo sorriso, guardando poi Owen con lo sguardo di chi non attende che una prova di forza.
    - Ecthra, ora! -
    Lo schieramento crociato si divise in due gruppi, lasciando uno spazio libero al centro da cui Ecthra, preparatosi con il proprio arco e delle frecce posate sul pavimento, potè scoccare a sopresa verso la figura di Lucifugo, mantenendo una posizione stabile e accovacciata; in quanto ad elitè, lo avrebbe ucciso.
    La freccia di Ecthra andò dritta verso la fronte dello spirito iroso, ma non trovò compimento nel suo atto di uccisione: Lucifugo spalancò la bocca in maniera esagerata, la freccia vi entrò e fuoriuscì da un'apertura sulla nuca creata dallo spirito iroso stesso; quando tornò composto, sorrise ancora con metà labbro e attese la prossima mossa di Ecthra, che velocemente prese non una, ma ben TRE freccie e le scoccò in simultanea verso il nemico, ma ancora una volta non riuscì nella sua impresa: Lucifugo si divise a metà come se fosse stato tagliato in due da un colpo verticale, e si ricompose quando le freccie passarono in mezzo, congiungendosi grazie a dei filamenti neri come il suo corpo.
    Fu allora che i soldati sfoderarono le proprie spade, rimettendosi in riga e tenendo Owen dall'altra parte della loro barricata.
    - Vieni qui tu! - Ordinò il generale zaffiro a Coris, che superò i soldati per posizionarsi accanto a Owen e l'arciere Ecthra.
    - Perché... perché mi avete portato qui? - Domandò Coris.
    - Consideralo il tuo addestramento. A seconda di come ti comporterai, sceglierò se mantenerti sergente o degradarti a soldato di fanteria. -
    Un rango ancor più basso di caposquadra... Coris sarebbe divenuto peggio di quanto era in precedenza... doveva farcela, doveva dare il meglio di sé.
    Dalla sua prospettiva, osservava i soldati avvicinare il demone con prudenza, temendo qualche sua reazione, e la prima cosa che Coris si chiese, era se quei crociati avevano le doti necessarie per sconfiggere Lucifugo; la risposta alla sua domanda giunse quando guardò il generale negli occhi, egli fece cenno di sì, aveva compreso lo stato emotivo di Coris, e il dubbio decorato sul suo volto.
    Quei crociati erano degli elitè.
    Uno di essi precedette gli altri brandendo la sua spada con due mani, e quando fu abbastanza vicino a Lucifugo, rimase colpito da come egli si stesse inginocchiando, chinando il capo.
    I soldati rimasero tutti confusi a quel gesto, ancor più quando lo spirito iroso indicò verso il proprio collo, come per suggerire al soldato di decapitarlo.
    Remissivo, ma deciso, l'elitè scelse di non indugiare oltre, così alzò velocemente la spada e la calò all'altezza del collo di Lucifugo, a velocità folle frutto di intensivo allenamento, sperava che un colpo simile prevenisse uno qualsiasi dei suoi trucchetti, credeva che Lucifugo volesse attaccare di sopresa nel mentre dell'esecuzione.
    Ma non fu così...
    La testa del demone cadde, spense i suoi occhi e rotolò ai piedi dei rimanenti elitè, che si scansarono disgustati e timorosi della sua natura. L'esperienza aveva insegnato ad ognuno di loro come gli spiriti irosi potessero manipolare la propria fisionomia al fine di ingannare il nemico.
    L'elitè improvvisatosi boia avvicinò il corpo di Lucifugo e lo toccò con la punta della spada - Nulla, sembra morto... - Così, tornò in gruppo con i propri compagni, facendo per uscire dalla stanza.
    Owen vide Coris contorcersi nuovamente nel dolore alla testa, ma non ebbe tempo per badare a lui in quanto dal corridoio giungeva con affanno lo stratega Luisian, accompagnato da due soldati in divisa rossa - Si può sapere che diamine sta succedendo qui? - Chiese, rivolgendosi al generale zaffiro.
    - Nulla, ma avresti dovuto valutare bene chi risparmiare dei servi di Jaber... - Rispose serafico Owen, alludendo gestualmente alla stanza del reggente.
    Luisian guardò all'interno, passando in mezzo agli elitè, e nel veder Jaber con il petto bucato e Amid con la testa mozzata, digrignò i denti soffocando il disgusto - Spero abbiate una spiegazione per quanto accaduto! -
    - Uno spirito iroso... Amid lo era. -
    - E va bene, ma il califfo?! -
    - Questo non lo sappiamo, era già così quando siamo arrivati, ma... lo spirito sembrava fosse alle prese con qualcuno, al di fuori della balconata. -
    Luisian fece cenno ai suoi due uomini di seguirlo, per poi dirigersi verso il passaggio ad arco che conduceva al balcone ovale, lo spettacolo che si ritrovò di fronte era raccapricciante: i resti dei Satariel sparsi ovunque, il sangue a colare dai bordi della struttura, le carni che calpestò accidentalmente, e l'accumulo di ossa sparse qua e là.
    - Satariel... - Intervenne uno degli elitè - Sono soliti prendere forme umane, per poi emergere come scheletri nel momento del bisogno... -
    Luisian sussultò - Che schifo! Ma... chi li ha ridotti in questo stato?! - Un'ultima occhiata a quel posto, per poi rendersi conto, in simultanea con i presenti, che il cielo era ancora rosso - Ehi, là dentro! Siete sicuri che sia davvero morto?! - Fece per tornare dentro, ma la presenza dei due soldati glielo impedì, in quanto stagliavano dinnanzi all'accesso. L'eriseano incurvò la testa da un lato, domandando poi il perché di quel loro intontimento, ma nessuna risposta gli fu data.
    E nel mentre dell'incertezza, l'emicrania di Coris cominciò a farsi più intensa e imperante, tanto che il giovane lasciò cadere la spada per reggersi il capo con entrambe le mani: se lo sentiva esplodere.
    Owen lo adocchiò con sguardo indagatore, pronto a domandargli che diamine avesse, ma Coris coprì il suo intento urlando a squarciagola - E' ANCORA VIVO! -
    - Come?! -
    - Cosa!? -
    Gli elitè nella stanza presero le distanze dai resti di Amid, che ancora conservava il colorito nero degli spiriti irosi; se Lucifugo fosse realmente morto, il corpo sarebbe dovuto tornare alle sue sembianze originali, e invece continuava ad essere nero, nero come la notte.
    Dal corridoio impegnato precedentemente da Luisian, Owen vide giungere a corse il biondo Ambrus ed il brizzolato Lithos.
    - Owen! Dannazione! - Tuonò Ambrus, precipitoso verso il generale zaffiro - Porta Coris via di qui! Non e' un elitè! -
    - E' qui per imparare ad arrangiarsi. Se non lo fai tu, qualcuno lo deve pur fare. - Disse amaro Owen, e Ambrus placò la corsa accanto a lui.
    Lithos fu il primo ad occuparsi del fanciullo, notandolo sofferente - Coris! - Gli si avvicinò, mettendogli le mani sulle spalle - Che cos'hai? Ehi! -
    - Lithos... fateli uscire... fateli uscire! -


    "Fateli..."

    - Insomma, mi lasciate entrare o no?! - Sbraitò Luisian, ma i due eriseani non si mossero, lo lasciarono confinato al di fuori della stanza, su quel balcone.
    Uno di loro agì in maniera alquanto criptica: sfoderò la spada.
    - Ehi... amico... che succede? - Fece Luisian, ingenuamente, notando come il soldato stesse alzando il braccio, pronto a calare il colpo.


    "Uscire..."


    - No! - Con un repentino gesto del braccio, Luisian estrasse il suo stocco dal sottile fodero, e con un'azione dalla velocità altrettanto elevata fu in grado di tranciare la mano del soldato prima che la spada lo ferisse.
    La mano cadde ancora impugnante l'arma, Luisian indietreggiò verso il limite del balcone, spaventato da come il soldato non stesse accusando nessuna sensazione di dolore, sembrava invece annoiato.
    Fu poi la volta del secondo, anche lui estrasse la spada, e si diresse a passo lento verso il suo comandante.
    - State lontani! Che diavolo fate? Chi diavolo siete?! -
    Ambrus, dall'interno del palazzo, udì le grida di Luisian e si descrisse immediatamente la situazione - Trafiggete il cuore dello spirito! Presto! -
    Troppo tardi...
    La testa di Amid non si mosse, ma il suo corpo lasciò fuoriuscire dalla ferita della testa qualcosa come dodici estensioni nere, simili a tentacoli, che dopo qualche secondo erano ben denotabili nell'apparenza di minacciose e grosse serpi dagli occhi rossi.
    Gli elitè che per malaugurata sorte erano a poca distanza da Amid al momento di questa trasformazione, furono brancati alle caviglie dalle serpi e lasciati appesi a testa in giù come dei suini pronti al macello.
    Il corpo si rialzò, portandosi in piedi, e posizionò i soldati capovolti a poca distanza da sé; un gesto della mano, e gli addomi dei soldati d'elitè si squarciarono come sacchi di farina disperdendo gli organi interni sul pavimento, il tutto accadde a mente lucida di quei poveri crociati, che patirono una morte dolorosa e ributtante, soffocando il sibilio dei serpenti con le loro urla disumane, talmente alte di volume da venir udite persino al di fuori del palazzo.
    Lasciò cadere i corpi, bastò che le serpi mollassero la presa, e poi si chinò verso la propria testa, che nel momento in cui andò a contatto con il corpo di Amid, riaccese gli occhi scarlatti esclamando - E ora... divertiamoci... -


    "Anima violenta e cuore iracondo, affogherai nel sangue l'intero mondo..." [For Nemesis's sake :guru:]
     
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    Bellissimo capitolo. Amid è un figo, divertiamoci tutti insieme ammazza tutti mangia la testa di Luisian *ç*
    Ok, tornando seri. Questione di secondi e Omma e Metartios avrebbero incontrato Coris, Ambrus, Lithos e compagnia bella, ma loro sono powa e sono sfuggiti alla Assassin's Creed *ç*

    "Anima violenta e cuore iracondo, affogherai nel sangue l'intero mondo..."

    :Q____
    Coris ora si trasforma in spirito e ammazza tutti, poi si fonde con Amid e va a cercare le sfere del Drago Shenron.

    Il capitolo è scritto bene, non ho trovato errori come al solito e mi incuriosisce molto la storia dei Tomi, della papessa (!!!) e di quello che impazzisce. XD
     
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77 replies since 5/8/2011, 15:43   1016 views
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