Dirge of Keyblade

L'Ultimo Atto della Trilogia!

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  1. Nyxenhaal89
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    Grazie per le vostre recensioni!
    Sono arrivato ormai oltre la metà dell'arco narrativo, dunque posso iniziare a pubblicare *w*
    Quindi, eccoci qui al primo dei quattro capitoli della battaglia di Weisshaupt!
    Mi auguro che vi piaccia.
    Dovevo pubblicarlo il mese scorso, dato che la kols faceva ben tre sudatissimi anni XD
    Ma non importa.
    A voi la battaglia di Weisshaupt!
    Buona lettura!



    30: Le Spade tra le Fiamme

    La chiesa del settore 6 era rimasta miracolosamente illesa durante la follia che seguì alla sconfitta dell'io di Denzel, ma tutt'intorno le macerie avevano regnato incontrastate per oltre una settimana: lo sgomento per un'altra ferita sul volto della città e la paura per quello che fu ribattezzato come "figlio del demonio" rallentarono di molto i soccorsi. La notte fu allestito un coprifuoco nell'intero settore e oltre una trentina di sciacalli trovarono la morte mentre tentavano di depredare le rovine delle abitazioni. Rufus Shinra, da Minas Tirith, non aveva perso tempo con le mezze misure: chiunque fosse stato trovato a rovistare di notte tra le macerie doveva essere fucilato a vista e nessuno avrebbe dovuto lasciare le proprie case dopo le nove di sera. Qualunque attività notturna del settore sarebbe cessata fino allo sgombro delle macerie e una volta ristabilita una parvenza di civiltà l'intera zona sarebbe stata presa in esame per un'eventuale riabilitazione totale. Anche se la parte alta del settore era rimasta incolume infatti, la parte bassa (ossia quella al livello del terreno, e non sospesa su pilastri di metallo) era stata rasa al suolo per buona parte e Shinra stava ponderando sull'eventualità di iniziare da lì la radicale "bonifica" dei sobborghi, spesso pieni di criminali e organizzate bande mafiose. Uno dei casi più emblematici fu l'involontaria uccisione di Don Corneo, boss di una pericolosa associazione malavitosa che risiedeva nel Settore 7 e allargava i suoi tentacoli anche al sesto e al quinto. Ci vollero sei mesi per isolarlo nel suo bunker e la collaborazione coi Turks si rivelò indispensabile e vitale. Vincent Valentine stesso prese il comando dell'operazione e fu la sua Cerberus a uccidere il boss mafioso, a causa di un subordinato dello stesso che per salvarsi la vita prese Corneo e lo pose davanti a sé come scudo umano. Alla fine i morti furono più degli arrestati e diverse case di piacere mascherate da scuole serali furono smantellate. Quella fu comunque una piccola vittoria: la malavita organizzata di Midgar aveva rapidamente sostituito Corneo e stava già riprendendo ad avvolgere i suoi tentacoli attorno al Settore 7. Rufus meditava dunque di ristrutturare i sobborghi, promuovere un corpo di guardia efficiente e usare una politica di tolleranza zero nei confronti del crimine, ma la sua Croce, che oltre a proteggerlo lo consigliava, gli suggeriva cautela.
    Per il momento, comunque, non c'erano pericoli di sorta. Il Settore 6 era sgombro e la chiesa ospitava solo il sacerdote, che aveva fatto appello al suo dovere per non essere portato via a forza verso gli altri settori. Shera Highwind occupava una panca tra le tante, ben lontana dalla prima fila, lo sguardo fisso su quello benevolo del Creatore, la cui grande statua occupava lo spazio davanti alle canne dell'organo, dietro l'altare. Nonostante la chiesa non fosse molto grande, in grado di contenere non più di duecento persone, era notevolmente decorata: istoriate colonne reggevano la navata, antichi affreschi dipinti a olio tempestavano le pareti e il soffitto. Erano tutte scene importanti del Canto della Luce, infuse di speranza e fede ad ogni pennellata. Nonostante la donna Highwind non fosse particolarmente religiosa, amava quelle pitture. Ovunque andasse, le piaceva controllare i luoghi di culto a vedere quanta cura ci fosse in essi. A Nibelheim, dov'era nata e dov'erano stati messi al mondo e battezzati i suoi figli, la chiesa era ancora più piccola e i suoi muri erano decorati con mensole su cui erano poggiate statuette in legno, raffiguranti personaggi e momenti del Canto.
    Sempre in quella chiesa aveva pregato quando Roxas giaceva in incubatrice, o quando Tidus si era fratturato l'anca durante una vacanza dai nonni materni: lei non era eccessivamente fedele alla sua religione, ma in quel momento sentiva la necessità di pregare. Chiedere al Creatore di difendere i suoi figli, ovunque fossero e con chiunque fossero. Chiedere che la Sua mano vegliasse su di loro, li proteggesse dai pericoli. Nessuno dei Custodi mandava nemmeno una lettera, così i familiari erano costretti ad attendere col cuore in gola ogni giorno: ma Shera Highwind, tra tutti, era quella messa peggio. Suo marito era in guerra, a bordo del suo fidato caccia chiamato Shera in suo nome; suo figlio maggiore aveva abbandonato la città con quelle strane persone, per salvare Denzel; Roxas era sperduto chissà dove, in compagnia dei suoi compagni di scuola e in balia di eventi troppo grandi per loro... e infine c'era Denzel, il bambino che in quei cinque anni aveva amato come se fosse figlio suo, trattandolo come tale. Quel bambino ora si macchiava di immani massacri, ma sapeva che non era colpa sua.
    Non importava comunque. La sua famiglia si era disintegrata e non passava giorno che non stesse con l'ansia a divorarle le membra. Se Roxas fosse morto, non ne avrebbe saputo nulla. Lo stesso valeva per Denzel. Solo Tidus riusciva a mandare una lettera ogni tanto, e Shera era sempre sollevata quando vedeva il colombo dell'Enclave (così si chiamava quella sorta di associazione a cui si era unito) becchettarle la finestra.
    E anche quel pomeriggio aveva visto il volatile cercare di entrare in casa, la lettera del figlio ordinatamente piegata in un cilindretto legato alla zampa. Quando però incrociò gli occhi del colombo, Shera ebbe un tremito che non riuscì a dimenticare facilmente. In quel momento le sembrò che il mondo le si stesse dissolvendo attorno, come se aprendo quella lettera avesse trovato notizie che non l'avrebbero affatto consolata. E sentì quindi il bisogno di pregare.
    Era corsa alla chiesa nonostante il coprifuoco fosse sul punto di scadere, con la lettera ancora piegata stretta nella mano ossuta. Shera aveva perso molto peso da quando quella guerra era cominciata, diventando ormai nient'altro che l'ombra di se stessa. Profonde occhiaie le scavavano il viso, i capelli castani erano arruffati e legati casualmente in una coda. La sua pelle era pallida e tirata, stanche rughe testimoniavano la sua scarsa idratazione. Da quando Denzel e Tidus erano andati via, il mondo le era crollato addosso. Poteva sopportare l'assenza di suo marito e di Roxas, se almeno metà della sua famiglia era ancora sotto il suo sguardo vigile. Ma ormai erano andati via tutti e lei era rimasta da sola, con le sue preghiere e quel pezzo di carta piegato.
    Lo tolse dalla mano sudata, trattenendo il respiro come se stesse per immergersi in un lago ghiacciato. La sua paura più grande era che portasse cattive notizie. Il suo istinto materno l'aveva avvisata. Cos'altro poteva essere se non quello? Era vero che a volte le madri tendevano a ingigantire i problemi, lei molte volte aveva fatto tragedie se i suoi figli si sbucciavano un ginocchio e quando Tidus si ruppe l'anca passò tre notti senza dormire malgrado gli incoraggianti commenti dei medici, ma stavolta era diverso. Era la sensazione di pericolo più violenta e brutale che avesse mai percepito.
    Portò il pezzo di carta allo sguardo del Creatore, la sua granitica espressione benevola che pareva incoraggiarla. Con lentezza e con le mani tremanti, prese a spiegare il foglio, non molto grande, quanto bastava per ospitare una corposa lettera scritta con l'ordinata calligrafia di suo figlio maggiore. La chiesa, però, era al buio: si sarebbe dovuta spostare vicino alle candele che ardevano a ridosso delle pareti, ma in quel modo si sarebbe allontanata dallo sguardo del Creatore. Da quando era così superstiziosa?
    Cercò di alzarsi, ma le gambe sembravano diventate di pietra come la statua. Una luce biancastra illuminò la lettera, facendo luccicare l'inchiostro delle parole in un brillante guizzo simile a un saluto.
    - Il coprifuoco è attivo da almeno mezz'ora, Shera - disse una calda voce femminile che non tardò a riconoscere. Un'altra madre, un altro cuore straziato. Con la differenza che Lucrecia Valentine non era il tipo da mostrare troppo apertamente le proprie sofferenze. Sora era là fuori con Roxas; Squall e Vincent avevano mandato notizie tutt'altro che confortanti su di lui ed erano in guerra anche loro. Sora era cieco. E Roxas, ora che ci pensava, non era neppure con loro. A Esthar, dicevano, a cercare i draghi. La notizia aveva gettato Shera nel terrore più nero e non si meravigliò di averla dimenticata. Roxas era un ragazzo, le uniche guerre che aveva combattuto erano quelle dei videogiochi che gli piacevano tanto, cosa avrebbe impedito a un Drago di inghiottirlo in un boccone? Come Denzel, anche lei aveva iniziato a pulire ossessivamente la casa. A volte si metteva anche a giocare, come se così riuscisse a sentire i suoi figli più vicini, ma dopo un po' il dolore si rafforzava e spegneva tutto. Era una donna senza pace.
    - Signora Valentine... - salutò lei con la voce mozzata.
    - Lucrecia andrà benissimo, te l'ho detto - rispose lei sedendosi sulla panca, la torcia a luce bianca che proiettava il suo cono sulla scalcinata figura della donna. - Voglio dire, siamo anche consuocere - aggiunse con una risata divertita. Da quando aveva saputo che Sora e Roxas stavano insieme, Lucrecia si era avvicinata agli Highwind. Cid non era uomo da comprendere facilmente la varietà del mondo e fu anche col suo aiuto se riuscì quantomeno a non considerare la cosa come "umiliante" per il suo secondogenito. "Oltretutto" aveva detto Lucrecia, "hai visto mio figlio, Cid. Ti sembra che possa umiliare Roxas in qualunque modo?" della femminea gracilità di Sora, lei era ben consapevole e rimase stupita quando seppe che aveva affrontato la battaglia a Osgiliath cieco e senza alcuna esitazione. Suppose che la guerra dovesse aver tirato fuori la sua vera personalità, cosa di cui fu estremamente orgogliosa. Non che ovviamente non fosse preoccupata per i suoi uomini quanto Shera. Ma Lucrecia non aveva mai vissuto davvero la famiglia. Negli ultimi otto anni aveva visto Sora solo a fine mese o per le occasioni importanti, e Squall era ormai un fantasma nella sua vita. Era abituata a vedere Vincent assentarsi per settimane. In un certo senso, era abituata a stare da sola.
    - Già... - realizzò Shera con un sorriso che non le si estese oltre le labbra. - Per favore... leggila tu - aggiunse porgendole il foglio. Non riusciva a leggerla, gli occhi le si annebbiavano di lacrime.
    Lucrecia si ravviò la lunga coda castana tutta intrecciata e si sedette più comodamente, dando una leggera allargata ai jeans quando li sentì troppo stretti sulle gambe. Posizionò la torcia sullo schienale della panca e spiegò per bene il foglio dopo averlo preso dalle mani tremanti di Shera. Si schiarì la voce.
    - Cara mamma - disse trattenendo un sorriso intenerito. Squall non scriveva lettere, ma al cellulare e per e-mail era sempre affettuoso. - Vorrei dirti solo cose buone, ma purtroppo non posso. Secondo la somma Theresa, all'orizzonte si muovono "venti oscuri"... immagino voglia dire che ci sarà poco da stare tranquilli. - Diede a Shera il tempo di emettere un sospiro ansioso, e riprese. - Inoltre ho saputo che Denzel ha attaccato Roxas a Esthar. Ma se la sono cavata con il morale a terra, anche se Denzel è sparito di nuovo. Non preoccuparti mamma, so come possiamo riprendercelo. Qui all'Enclave mi stanno aiutando - Lucrecia aggiungeva alla lettera toni rassicuranti con la propria voce, così da confortare l'animo tormentato di Shera. - Ma non ti ho avvisata solo per scriverti brutte notizie, almeno una buona ce n'è - e sorrise nel vedere alzarsi lo sguardo della donna, speranzosa. - Roxas è arrivato stamattina all'Enclave. Era parecchio sbattuto e stanco, ma sta bene. Come al solito vuole strafare, ma non glielo permetterò. Ti vogliamo bene, mamma. Speriamo di poter tornare presto... i tuoi figli - concluse ripiegando la lettera e porgendogliela. Sorrise ancora. - Qualunque preghiera tu abbia rivolto, penso sia stata esaudita, almeno in parte - sentenziò torturandosi una ciocca di capelli castani. Shera strinse la lettera al petto come se fosse i suoi stessi figli.
    - Immagino sia troppo, sperare di trovarli a casa e pensare che non sia successo nulla - sospirò con un po' di amarezza. - Ma mi accontenterò. E' bello sapere almeno che sono vivi... -
    - Sarà meglio andare - la esortò Lucrecia. Come membro di spicco del gruppo di ricerca ShinRa, aveva qualche libertà in più rispetto ai civili. Sotto scorta, poteva muoversi liberamente nel settore distrutto e quando aveva compreso che casa Highwind era deserta sapeva perfettamente dove trovare l'unica rimasta della famiglia. - Ti accompagno a casa, Shera. O se preferisci, posso ospitarti a casa mia. Siamo entrambe in attesa che i nostri uomini tornino - aggiunse con un sorriso ironico. Non era mai stata una donna di quello stampo, ma si era arresa di fronte all'evidenza di non poter seguire i suoi figli e suo marito nell'impresa che conducevano.
    - Mi farebbe piacere - annuì lei. Il suo sorriso, quello che aveva fatto innamorare perdutamente quell'orso intrattabile di Cid Highwind, increspava le sue guance abbruttendola notevolmente. Lucrecia non tradì la compassione che le cavalcava i pensieri, limitandosi a farle strada, il camice da laboratorio ancora indossato sugli abiti comodi e sportivi.
    Shera si voltò verso la statua del Creatore. Il suo sguardo sembrava incontrare i suoi occhi.
    Tidus, Roxas, Denzel, pregò. Siate forti. Siate prudenti.


    Ritrovò Allen Walker, che credeva scomparso nel nulla, impegnato a farsi controllare il braccio con l'Innocence nientemeno che da Road Kamelot, la quale a quanto pareva si era allontanata dall'Esorcista giusto il tempo di assistere al discorso di Theresa. Sembrava impaziente di iniziare a dare battaglia, ma questo non inficiava la cura meticolosa che metteva nell'analizzare ogni centimetro del braccio nero e argento di Allen.
    Si trovavano al piano terra della fortezza, in una stanza adiacente all'infermeria che ospitava il capo dei Guaritori. L'arredamento era scarno e semplice: una grande vetrina piena di pozioni e medicamenti disposti ordinatamente, una grossa mappa anatomica del corpo umano con una serie di parole arcane vicine ad ogni "punto chiave" di esso, uno scrittoio di legno malconcio con dietro una poltrona polverosa. Chiunque fosse a capo dei Guaritori, evidentemente non passava molto tempo seduto.
    - E' a posto - commentò infine Road, spostando gli occhi dorati verso Roxas. - E tu che vuoi? - chiese fintamente scocciata. In quel momento, la Noah sembrava più divertita che mai.
    - Ehilà - salutò brevemente Allen. Era a torso mezzo nudo, il cappotto da Esorcista che lasciava scoperta buona parte del torace e del grottesco braccio sinistro. Senza dire una parola, provò alcune trasformazioni dell'Innocence, quindi si rivestì del tutto. Il suo corpo era martoriato di tagli e cicatrici poco profonde, che unite al braccio le cui ramificazioni scure si propagavano fino a qualche centimetro prima del collo, rendevano Allen Walker una presenza non esattamente gradevole da guardare quando priva dei suoi eleganti abiti da membro dell'Ordine Oscuro. Il giovane aveva visto tutt'altro che contento un paio di giovani Streghe fissare con imbambolato disgusto il suo corpo, e per questo Road decise di spostare il loro lavoro nella stanza del capo dei Guaritori, così da continuare in pace. - Pronto per la battaglia? -
    - Sì, abbastanza - mentì Roxas. Non era pronto per nulla, aveva solo indossato le protezioni di cuoio al petto, alle spalle, agli avambracci e alle tibie. Non aveva idea di cosa stessero per affrontare, ricordava solo cosa Zexion avesse fatto a Sora tempo prima e cos'avesse fatto a Cloud. Niente di rassicurante, in ogni caso. Si era costretto ad essere ottimista, ma aveva solo una gran voglia di urlare al mondo intero il proprio disagio. Quella battaglia lo aveva preso del tutto alla sprovvista. Non aveva colto le voci che giravano per i corridoi e il suo dolore per la morte di Yiazmat era ancora troppo forte perché potesse concentrarsi lucidamente in un combattimento. Si sentiva sorprendentemente vulnerabile, forse per quello era andato a cercare Allen: in altri momenti, l'Esorcista si era rivelato un valido sostegno e fonte d'incoraggiamento.
    - Conosco bambini con le mani nella marmellata che mentono meglio di te - schernì Allen con una pacca sulla spalla. - Dov'è finito il difensore di Minas Tirith? -
    - E' rimasto a Minas Tirith - rispose Roxas con sguardo basso, un sorriso mesto sul viso.
    - Be', posso assicurarti che mi sento fuori posto quanto te - Allen sospirò, finendo di abbottonarsi il cappotto lungo nero e bianco. - Sono passati più mesi di quanti ricordi da quando voi Custodi siete entrati nella mia vita. Le sensazioni che provi adesso io le ho provate dal primissimo istante che vi ho conosciuti -
    Entrambi uscirono dall'infermeria (anche se non erano certi che si chiamasse davvero così) e Allen notò con soddisfazione che le due Streghe avevano in viso un'espressione che trasudava da ogni poro del bruciante senso di colpa.
    - Prenderai di nuovo posto tra gli arcieri? - domandò Roxas quando furono in vista del portone del castello. Un viatico di soldati e magici si susseguiva nel viale e molte armature luccicavano nella notte sulla cima delle mura. L'inquietante schiera dei Revenant restava a silente guardia del grande cancello di legno e ferro, immobile come un esercito di statue. Tra loro c'era anche una piccola forza di soldati umani: Meredith e Greagoir presenziavano alla difesa delle mura sull'arcata coperta che sovrastava il cancello.
    - Entrambi - rispose Allen osservando le forze schierate. - Combatterò con gli arcieri finché il portone reggerà, quindi mi trasferirò alla difesa dell'ingresso. La mia spada sarà molto più utile laggiù -
    A Roxas il piano sembrava sensato. Non sapeva delle tattiche di Theresa: a dire il vero, non aveva una minima idea se ci fossero tattiche in gioco o meno. Sospettava comunque che una volta caduta la barriera le cose sarebbero peggiorate drasticamente, dal momento che la Veggente gli spiegò che la sua presenza impediva alla magia di entrare o di uscire. In altre parole avrebbe tenuto fuori Zexion e i suoi Mangiamorte, permettendo all'Enclave di difendersi all'arma bianca contro i Nessuno privi di poteri magici, come gli Spadaccini e i Simili. In base alle informazioni della Strega ferita, c'erano anche diversi Heartless Cavalieri tra le fila del Burattinaio Mascherato.
    Erano appena un migliaio, contro un esercito almeno dieci volte più grande. Non era la prima volta che Roxas si trovava in una battaglia disperata: Midgar, Minas Tirith... non erano certo mancate le occasioni. Però stavolta sentiva qualcosa di diverso nell'aria. Sperò che quella barriera reggesse abbastanza a lungo da permettere alla difesa di sfoltire notevolmente i ranghi avversari, così da rendere più facile lo scontro con Zexion.
    Weisshaupt vigilava su un crocevia, ma dei quattro enormi cancelli che Zack aveva visto quando vi giunse la prima volta ne rimaneva uno solo, quello nella direzione dell'esercito dei Nessuno. Gli altri furono letteralmente inglobati dalle mura a scopo difensivo: in quel modo la pietra, apparentemente piegata al volere dei magici e in grado di resistere a qualunque attacco, avrebbe protetto due terzi della fortezza. Con un unico varco da proteggere, la difesa poteva muoversi meglio. La via dalla quale veniva Zexion era quella che portava a Mordor, cosa che non sembrò rendere molto contenti gli abitanti dell'Enclave. Fino ad allora, quella via era stata chiusa da frane e terremoti. I Nessuno dovevano averla riaperta, rendendo la posizione di Weisshaupt assai rischiosa e creando una costante via d'accesso alla fortezza. Dopo quella battaglia, se fossero riusciti a vincere, avrebbero dovuto richiuderla per evitare che i Nessuno affluissero in massa verso di loro. Inoltre, la via che portava verso Mordor era quella più ampia: un lungo ed ampio rettilineo in grado di far passare comodamente una quindicina di uomini affiancati a mezzo metro di distanza l'uno. La via poi si torceva e restringeva formando un labirintico dedalo di canyon e stradine nascoste tra le rocce, luogo perfetto per un'imboscata se avessero avuto abbastanza uomini per farlo. Ma le forze dell'Enclave erano esigue e appena sufficienti alla difesa della fortezza. Weisshaupt aveva la fama di essere difficilmente espugnabile, ma solo in virtù della sua posizione elevata e degli stretti sentieri che ad essa conducevano. Un esercito ben rifornito e armato poteva prenderla con un lungo assedio, o così sarebbe stato prima dell'arrivo dell'Enclave. La presenza della magia cambiò radicalmente le carte in tavola, rendendo Weisshaupt enormemente più forte e resistente. Perlomeno, contro avversari umani.
    - Vado a prendere il mio posto - disse Allen dopo aver finito di analizzare la situazione. - Se davvero è caduta una fortezza verso Est, è probabile che ci saranno addosso da più fronti o che vogliano depistarci... il grosso della battaglia si svolgerà comunque alla Porta Ovest -
    Era cambiato, Roxas lo vedeva. Dopo Minas Tirith, Allen era diventato assai più serio e pensoso, meno avventato. Si rese conto di aver sbagliato a non fidarsi del suo giudizio tra i boschi del Tevinter, ma provato com'era dalla vista di Denzel, non avrebbe potuto fare altrimenti.
    - Ci vediamo in battaglia allora - si congedò Roxas sorridendo tiepidamente. A Midgar era stato da solo contro Cloud, a Minas Tirith aveva comandato lui. Adesso doveva solo ubbidire, non più in testa all'esercito ma tra i suoi ranghi. Avanzando, trovò la fila dove voleva stare: suo fratello era dietro un paio di Revenant, i suoi occhi che li fissavano con una certa tensione.
    - Non è che questi cosi all'improvviso cambiano idea e ci troncano la testa, eh Rox? - domandò tenendo la spada sguainata, con la punta poggiata al terreno. Era nervoso, si vedeva.
    - Novità dal fronte est? - la voce stentorea di Greagoir, uno dei due comandanti dei Cavalieri del Tempio, inghiottì la risposta di Roxas. Era un uomo robusto, con i capelli corti e una folta barbetta grigia che gli conferiva un'aria saggia e carismatica. Il suo accento era Orlesiano, ma chissà a quale epoca apparteneva.
    - Nessuna, comandante! - esclamò una guardia dopo un lungo passaparola.
    Era dunque un depistaggio, come Allen aveva detto poco prima? Il fumo si levava ancora alto sul cielo ancora irrorato dal fatuo rossore degli ultimi attimi di tramonto, ma non giungeva altro da quella direzione.
    Nell'aria si percepiva la tensione. Non c'erano tamburi, non c'erano manifestazioni di forza o schermaglie psicologiche tra gli eserciti: Zexion era là fuori, da qualche parte, ma di lui non c'era apparentemente nessuna traccia. Theresa era salita all'Osservatorio per reggere la barriera con Flemeth, aveva evocato i Revenant, aveva preso sulle proprie spalle la protezione dell'Enclave, ma da cosa dovesse proteggerlo quella notte non era ancora ben chiaro.
    Eppure, non era un bluff. C'era una piazzaforte distrutta ad est come prova e diverse Streghe facevano rapporto di una forza considerevole che avanzava verso l'Enclave. Ma era ad est che l'avevano vista: com'era possibile che avessero concentrato tutte le proprie difese sull'ovest? Oltretutto la fortezza sembrava essersi orientata verso ovest, come dotata di vita propria. Roxas aveva rinunciato a capire quel posto.
    Alcuni uomini iniziarono a dare segni d'impazienza. Diversi cavalieri si sedettero sulla mura, altri abbandonarono le armi e formarono compagnie per bere qualcosa. Alcuni giocavano ai dadi, altri scherzavano tra loro. Ma non c'erano vere risate nell'aria, non c'era la rilassata quiete tipica di quel posto. Non mostravano la loro paura, ma ce l'avevano comunque. Roxas lo sentiva.
    - Ah, per il Creatore - borbottò Tidus ficcando la spada in terra e sedendosi con malagrazia, poggiato ai palmi accanto ai fianchi. - A Minas Tirith avevi aspettato così tanto? -
    - A me non piace aspettare - disse Vanitas, sbucando tra i Revenant dietro di loro. - Ho subito iniziato l'assalto con le catapulte -
    - ...Hai? - Tidus deglutì, cercando l'impugnatura della spada.
    - Hai l'onore di avere davanti l'autore del massacro di Osgiliath e dell'assedio di Minas Tirith - disse Roxas tetro. - E non mi permettono di uccidere questo piccolo figlio di puttana -
    - Teoricamente sono stato generato da Sora - Vanitas sorrise a Roxas, un sorriso che lo fece inferocire come poche cose. - Ma dato che non ha obiettato quando la lingua di Cloud gli ha esplorato la gola, probabilmente non sbagli -
    Le mani di Roxas tremarono di collera. Vanitas era tornato ad essere sgradevole e odioso, com'era prima della loro chiacchierata sulla cima della fortezza. Possibile che fosse capace di cambiare così costantemente il suo modo di fare, o era solo una mascherata per non fare vedere agli altri le proprie fragilità?
    - Quello era solo un diversivo - l'imponente figura di Cloud era proprio accanto a lui, e si chiese come avesse fatto a non vederlo. Erano alti pressoché allo stesso modo, e anche la loro costituzione era molto simile. Ad occhio, si sarebbe potuto capire che ci fosse una parentela fra loro. - E comunque sia, il vostro starnazzare non ci aiuterà nella battaglia imminente -
    - Hai molti debiti da saldare anche tu - lo rimbeccò Roxas, arrossendo di rabbia. - Non comportatevi come se foste senza peccato -
    - Non ho mai detto di esserlo - rispose Cloud indifferente. - So bene cosa mi attende -
    C'era una strana sensazione nella voce di Cloud, così come nello sguardo di Vanitas. Era possibile che fosse senso di colpa? In effetti sembrava un'idea plausibile, anche se insolita. Strinse l'impugnatura di Narsil mentre attendeva qualche risvolto che svegliasse il torpore di quella situazione.
    - Zexion vuole snervarci con la tensione - disse corrucciato. - O vuole farci abbassare la guardia -
    - O entrambe le cose - disse Cloud osservando il cielo ormai scuro. Non c'era nemmeno una nuvola, così l'intera volta celeste si manifestava in tutto il suo stellato splendore. Migliaia di luccicanti astri sfavillavano nel cielo come per tranquillizzarli, una sottile falce di luna faceva da spettatrice silenziosa e indifferente agli eventi terreni.

    Passarono altri quarti d'ora di assoluto nulla, col cielo che diventava ormai nero e punteggiato: anche le stelle più piccole brillavano pienamente. Eppure, dell'esercito di Zexion continuava a non esserci traccia. Il vento soffiava tra le fronde degli alberi nel Giardino delle Ninfe, dietro il castello, mentre i grilli cantavano e i gufi volavano tra i picchi alla ricerca di prede.
    Sulle mura, anche Greagoir e Meredith avevano preso un posto a sedere. Gli uomini non osavano abbandonare le loro posizioni per l'ansia di un attacco a sorpresa, ma erano ormai tutti accomodati sui bastioni a parlare, scherzare, affilare le armi e controllarsi le corazze. La barriera restava al suo posto, così come le Ninfe, placide statue di cristallo che stazionavano sulle torri in posizione di preghiera.
    Roxas era divorato dall'ansia. Era diverso quando si doveva ubbidire e non comandare. A momenti si sarebbe gettato nella mischia, confusamente, seguendo la massa e mulinando Narsil nel tentativo di restare vivo fino alla fine della battaglia. Senza Keyblade era un soldato qualunque, non certo un Custode, e il fatto che l'unico a potersi definire tale in quel momento fosse proprio Cloud lo mandò in bestia.
    O forse era la tensione a farlo infuriare. Ogni respiro era pesante, sudava e fremeva. Tidus era ancora peggio: stringeva le mani alle ginocchia e muoveva forsennatamente le gambe da seduto, aprendole e chiudendole brevemente con sguardi nervosi verso il cancello. Solo i Revenant erano impassibili, immobili come statue, i loro minacciosi occhi rossi che brillavano sotto le celate.
    Poi qualcuno alzò lo sguardo e indicò il cielo con esclamazioni meravigliate.
    Altre si susseguirono.
    Roxas alzò la testa di scatto, pronto a vedere cos'avesse suscitato tanto scalpore in mezzo agli armati dell'Enclave... e una terrificata meraviglia si manifestò sul suo volto.
    In alto nel cielo era comparso uno sciame di luci azzurrognole, fiammeggianti, simili a candide comete che attraversavano lente la notte delle montagne di Nowart. E per pochi istanti tutti sperarono che fossero davvero stelle, un buon auspicio per la vittoria magari, o un semplice prodigio che potesse distoglierli dalla guerra per un battito di ciglia.
    Ma non fu così.
    Le comete azzurre calarono, in una parabola discendente e inesorabile, e presto quelle fulgide e meravigliose stelle nevicarono su di loro. Un grido percorse le loro file, soffocato da un boato simile al rombo di mlle tuoni.
    La barriera crepitò, si contrasse, gemette sotto il peso di quattrocento e più di quelle misteriose stelle, il frastuono infernale che facevano nello scontrarsi con la cupola cristallina che spingeva alcuni uomini a togliere gli elmi per tapparsi le orecchie, ma non cedette. Ad ogni attacco, ad ogni ondata di quelle stelle venefiche, essa reagiva con sofferenza, ma poi tornava immobile e invisibile come prima. Quando subiva un colpo, aloni biancastri pieni di crepe si manifestavano come se fossero sul punto di spezzarsi.
    Quello fu il segnale che tutti stavano aspettando: il morale era confuso e poco intelleggibile, ma nessuno si ritirò di fronte a quella sfrontata manifestazione di potere. Zexion li aveva attaccati di sorpresa come temevano, ma forse non sapeva della barriera e aveva sperato di sterminarli con un singolo colpo.
    - TUTTI GLI UOMINI IN FORMAZIONE! - latrò Greagoir inutilmente: i suoi soldati si erano già schierati sulle mura, archi in pugno, non appena la seconda bordata colpì lo scudo dell'Enclave.
    - Se solo potessi vedere al di là delle mura... - deglutì Roxas stringendo con forza ossessiva l'impugnatura di Narsil. Ormai era questione di tempo prima che la usasse.
    - Perché? Sei inutile come arciere - rispose Cloud facendo spallucce. Tuttavia non distaccava lo sguardo dalla barriera, come se avesse il timore di vederla frantumarsi da un momento all'altro. - Servi di più qui -
    - Anche tu servi di più qui - rispose Roxas eloquente, mettendogli una mano alla nuca e forzandolo a guardare dritto. Ritirò le mani con una smorfia incredula: Cloud sudava freddo, i suoi occhi fissavano il vuoto assoluto. - Non aiuterai molto se sarai presente a metà -
    - Dio... - mormorò Tidus vedendo le luci che continuavano a schiantarsi sulla cupola che li proteggeva.
    - Spero che ti senta - disse Roxas respirando a fondo. - Un po' di aiuto divino ci farebbe comodo -
    - Per il culo di Andrast... - un paio di Cavalieri si voltarono sul più grande degli Highwind, il loro cipiglio ostile ben intuibile nonostante le celate abbassate. - Per il Creatore, Roxas - si corresse - non hai paura?! -
    - Certo che ce l'ho - rispose il fratello. - Ma sono più abituato di te - il suo sorriso spavaldo non resse molto. - Tidus... niente pazzie - disse quasi implorante.
    - Lo stesso vale per te - rispose Tidus guardandolo severo. Era più basso di Roxas di quasi tutta la testa, ma robusto e ben piantato. Il minore era curioso di vederlo in azione con quella spada lunga. - Lo so che hai la fissa di fare l'eroe, me l'ha detto quella tua amichetta coi capelli bianchi - sospirò. - E lo so io, dopo averti visto gettarti in una casa in fiamme e tirare fuori Denzel. Ma qua non serve, devi restare vivo -
    Roxas annuì con gratitudine, sorvolando sull'ennesimo scambio di genere su Allen... si chiese come fosse possibile che lo scambiassero per una ragazza. I suoi lineamenti erano piuttosto mascolini.
    - Resta dietro di me - sussurrò Cloud a Vanitas, tenendo stretta l'impugnatura della sua Buster Sword.
    - Cloud, ho affrontato l'intera Organizzazione da solo, ti ho portato fin qui - disse sbuffando. - Te l'ho già detto, non ho bisogno di nessuno che mi difenda -
    - Non puoi richiamare i tuoi Nazgul qui - gli ricordò secco il Custode del Caos. - E nemmeno gli Unversed. Non puoi usare appieno l'oscurità. Stai dietro di me - ribadì. Sentiva, forse per gratitudine, forse per altro, di doverlo tenere al sicuro. Non voleva che gli accadesse qualcosa di male, anche se non capiva il perché.
    Vanitas non gli rispose, e non dovette applicarsi troppo per capire che non lo avrebbe ascoltato. Deglutì tornando a guardare la barriera, in alto, sempre flagellata da quella cascata di sfere bianche. Erano gli incantesimi dei Mangiamorte di Zexion, che cercavano di rompere la difesa: se quelli fossero piovuti nel cortile avrebbero sicuramente fatto una strage.
    - Eccoli! - gridò un arciere, facendolo bruscamente tornare alla realtà.
    I soldati davanti al cancello, esclusi i Revenant, si misero sull'attenti. Il clangore delle armature e il rumore di passi pesanti non tardarono a farsi sentire. Una cacofonia ininterrotta di metallo e roccia, senza nessun altro rumore. Nessun tamburo, nessun corno, assolutamente nulla. Le sfere bianche continuavano a piovere da luoghi ignoti, ma di Zexion non c'era traccia e i suoi soldati non emettevano un suono che non fosse quello dei loro passi.
    - ARCIERI! - richiamò Meredith Stannard. Alta, magra e dagli zigomi pronunciati, la seconda Comandante dei Cavalieri del Tempio indossava un cappuccio rosso retto da un diadema di ferro, che lasciava libera un'abbondante porzione di capelli biondi. I suoi occhi erano di un azzurro vivo e intenso, ma glaciali nello sguardo. Il suo volto era un'austera e tesa maschera di autorità, e bastò quella sua semplice parola perché chiunque avesse un arco estraesse una freccia dalla faretra e la incoccasse.
    Roxas non poteva vedere quello spettacolo, ma Allen sì. Come a Minas Tirith, gli Heartless Cavaliere avanzavano verso la fortezza, un fiume nero senza fine che si faceva strada a ranghi serrati. Da zone tra le montagne piovevano ancora le sfere bianche, ma aveva imparato ad ignorarle. I due comandanti gli avevano spiegato la funzione della barriera: bloccare ogni tipo di magia, in entrata o in uscita. Ciò voleva dire che avrebbero costretto l'esercito di Zexion a un combattimento corpo a corpo, imbottigliandoli all'ingresso. Se davvero erano diecimila, forse con quel sistema sarebbero riusciti a superare la notte. Le mura di Weisshaupt erano impregnate di magia, e nonostante fossero alte tre o quattro uomini uno sull'altro nessuna macchina d'assedio poteva sfondarle o scalarle: solo il portone era violabile ed era lì che il colpo si sarebbe sentito.
    Tuttavia, Allen non aveva mai maneggiato un arco in vita sua. Sapeva usare la forma di cannone dell'Innocence, ma quell'arco lungo non riusciva a farselo piacere. Aveva provato a usarlo un paio di volte con l'unico risultato di tirarsi la corda sul naso, ma i suoi nuovi commilitoni non avevano ammesso repliche. "O così, o vai giù con gli altri" aveva detto la Stannard. Allen si forzò a imparare in fretta, si sentiva più utile come arciere finché il portone reggeva.
    Allen tirò fuori una freccia e la incoccò sul suo brutto arco di tasso, dando un'occhiata alle corazze nere che luccicavano nella notte stellata. Non ci sarebbe stata penuria di bersagli, questo era sicuro.
    - Sono a gittata - disse un Cavaliere accanto a lui facendogli salire il cuore in gola. - Comandante, sono a gittata! - ripeté a uno dei due Comandanti sui bastioni. Greagoir non riuscì a stare con le mani in mano e tese un arco immenso, con la freccia incoccata.
    - TIRARE! - urlò con voce incredibilmente potente la Comandante: la freccia di Greagoir fu la prima a partire, seguita da tutte le altre. Un'unica pioggia di morte composta da quattrocento strali sibilò nel cielo, per poi cadere verso i suoi bersagli in modo disordinato. All'impatto diversi corpi caddero, altre frecce rimbalzarono su scudi e terreno. Meredith alzò una mano, e tutti fermarono il tiro. I suoi occhi indagatori fremettero nell'attesa che quei grotteschi esseri che risalivano il sentiero fossero tutti a portata. - TIRATE A VOLONTA'! - abbaiò decisa.
    Altre salve partirono, e altre ancora. Il cielo fu spettatore e ospite di fulgide sfere bianche e silenziosi dardi neri che andavano nelle direzioni opposte in un'inesorabile pioggia devastante. Gli Heartless cadevano a decine nonostante gli scudi alzati, il passo cadenzato e inarrestabile. Allen tirava e tirava, delle trenta frecce nella sua faretra ne rimanevano diciassette, o forse quindici. Mirava in punti indefiniti dello schieramento, senza neanche fare caso a quale colpire in quell'informe massa di metallo nero.
    Quanti potevano averne uccisi? Quattrocento? Settecento? La marea copriva tutto, scavalcava i suoi cadaveri e riformava rapidamente i ranghi. Ma poi, il fiume divenne da nero a bianco. Come all'Ordine Oscuro, silenti esseri di colore variabile dal bianco al grigio fumo marciavano verso le porte. Erano nella retroguardia, troppo lontani per essere colpiti dalle frecce. Vide che alcuni uomini avevano delle balestre, ma sparavano troppo lentamente rispetto agli arcieri e restavano accovacciati per la maggior parte del tempo. Non li aveva notati prima: ma quando prestò attenzione vide che miravano verso il fondo dell'esercito nemico, verso i Nessuno.
    - Continuano ad avanzare - notò Greagoir tirando un'altra freccia. - Ma non vedo arieti -
    - Rallentate il tiro! Frecce incendiarie! - ordinò Meredith osservando l'orda che avanzava. Ormai erano a una ventina di metri dalla porta, e non c'era traccia di macchine da sfondamento. Come avevano intenzione di entrare nella fortezza?
    Allen si scostò di un passo per permettere ad una fiamma color rubino di serpeggiare proprio sotto i bastioni. Era controllata da alcuni maghi che si trovavano con loro sulle mura, probabilmente per curare i feriti o per assistere i soldati. L'Esorcista abbassò l'arco per infiammare la punta della freccia, notando che le fiamme avvolgevano il metallo senza problemi. Mirò e tirò assieme agli altri, sentendo il braccio che iniziava a dolergli per le continue trazioni.
    Le frecce infuocate invasero il cielo come una fumante pioggia di piccole meteore. Altre meteore, più grosse e bianche, continuavano a colpire la barriera, senza impensierirli più del dovuto: la magia di Theresa e Flemeth era troppo potente perché potesse essere scalfita.
    Per cinque volte le frecce fiammeggianti lampeggiarono nella notte, e per altrettante volte colpirono il nemico: formavano una perfetta mezzaluna e coprivano un notevole terreno. Le lanciavano a distanza variabile, nella speranza di incendiare qualunque ariete: e visto che i Nessuno erano in vista, Greagoir ordinò ai genieri di preparare le catapulte. Quattro erano disponibili per l'uso, due ai lati del cancello e due sui torrioni ovest. A ritmo di due o tre minuti, enormi sferoidi fiammeggianti si libravano nel cielo per poi rotolare pesantemente tra i nemici facendone scempio.

    La prima faretra di frecce era stata interamente esaurita, la seconda era ormai giunta alla metà. Un'altra stava ai loro piedi pronta ad essere utilizzata. La loro avanzata però sembrava inarrestabile, nonostante tutto quello che lanciavano. Allen iniziava a scoraggiarsi, complice il braccio che iniziava a bruciargli dal dolore, tanto che la freccia che lanciò in quel momento volò pigramente per qualche metro prima di cadere innocua nel vuoto. Si tirò indietro lasciando un Cavaliere del Tempio al proprio posto, e cedendogli anche la faretra.
    - Scendi - disse Meredith vedendolo avvicinarsi alla garitta coperta dove stavano lei e Greagoir, il quale continuava a lanciare frecce e aveva già vuotato due faretre. - Va' dalle Ninfe e di' loro di portare altre frecce. Iniziamo ad essere a corto -
    In effetti Allen notò che tutti erano passati alla terza ed erano tornati a tirare frecce normali. La striscia fiammeggiante color rubino era immediatamente scomparsa permettendo agli arcieri di mirare con più precisione, a ridosso delle merlature.
    - Perché non rispondono? -
    La domanda di Allen mise i due comandanti improvvisamente in allerta. Presi com'erano dall'ansia del combattimento avevano tirato a volontà, organizzato una difesa pressoché perfetta e quasi due quinti dell'esercito nemico parevano giacere a terra: ma come aveva detto Greagoir, non portavano arieti.
    - Non rispondono all'attacco e non portano arieti... - l'uomo si allontanò dal parapetto scrutando le tenebre. - Meredith, fa' venire qui Road -
    - Temi... - esordì la donna, ma il Comandante la bloccò annuendo.
    - E' di Zexion che parliamo -
    Allen non ci mise molto a capire quali fossero i timori dei due ufficiali. Zexion aveva quasi distrutto la mente di Sora tra i boschi di Spira, semplicemente distorcendo la realtà. Ma gli era stato necessario guardarlo negli occhi: dubitava che tutti loro avessero fatto lo stesso. Possibile che ci fosse davvero un'illusione di mezzo? L'unica nota reale di quell'assalto era il braccio che gli bruciava?
    - Posso farlo io - intervenne dunque, con decisione, tenendosi due dita sull'occhio sinistro. - Mio padre mi ha donato la capacità di vedere attraverso le illusioni degli Akuma. Con l'arrivo di questa guerra, il potere di quest'occhio si è amplificato. Forse posso aiutarvi -
    - Fallo dunque - ordinò Meredith con la voce carica di dubbio. Se fino a quel momento tutta la loro difesa fosse stata vana, il morale dell'esercito sarebbe crollato vertiginosamente.
    Allen si avvicinò al bastione, con entrambi gli occhi chiusi: una volta avrebbe avuto bisogno di evocare Crown Clown per usare una sorta di visore che gli permetteva di vedere ancora meglio attraverso le coperture degli Akuma, ma adesso non gli occorreva più. Dall'assalto all'Ordine Oscuro l'occhio aveva sanguinato ininterrottamente per giorni, cambiando. L'Innocence aveva assunto un nuovo livello di simbiosi, a quanto gli aveva spiegato Komui. Pensando a Komui, per un attimo gli tornarono in mente i suoi compagni, sperduti chissà dove in quel momento. Miranda, Lavi, Kanda, Bookman... Linalee. Aprì gli occhi.
    Il sinistro divenne nero, l'iride argentata, e una nuova agghiacciante visione gli si parò davanti.
    Non era servito a niente.
    Non c'era niente.

    Per oltre cinquanta metri, il terreno era punteggiato di frecce, bruciature dovute alle sfere fiammeggianti delle catapulte, fiammelle ormai morenti delle frecce incendiarie. Il sentiero ovest che portava a Mordor era martoriato e danneggiato, ma non c'era alcuna traccia dell'esercito di Zexion.
    Era vuoto.
    - Non c'è niente... - sibilò Allen con un tremito. Uno sferragliante tintinnio sotto la tonaca avvertì che le gambe di Meredith stavano per cedere. Cercando di mantenere un atteggiamento autoritario, la donna si sedette con profondi e dolorosi respiri. - Siamo stati ingannati -
    - Va'... - mormorò Greagoir. - CESSATE IL TIRO! - ordinò. - RESTATE PRONTI! -
    Allen annuì e corse lungo le mura. Non era affatto semplice data la loro estensione, ma doveva vedere se per qualche crudele scherzo della sorte Zexion non avesse deciso davvero di attaccare da Est. Ma cos'avrebbe potuto fare poi? Le mura erano invalicabili, poteva solo aggirarle per raggiungere il portone.
    Terminò dopo qualche minuto, gettando sguardi attenti un po' ovunque, ma non c'era la minima traccia della forza di cui parlavano. Attorno a Weisshaupt regnava il vuoto più totale.
    Però...
    Allen fu colto da un'improvvisa fitta alla testa. Inciampò tenendosi a una merlatura, soccorso da una delle vedette che controllavano le altre mura. Gemette portandosi le mani alle tempie, sentendo qualcosa, una bruciante presenza, che si faceva spazio nella sua mente.
    Non hai guardato con attenzione.
    Gli occhi dell'Esorcista si spalancarono. In quell'istante il suo sguardo fu quasi forzato verso il portone ovest, e lì vide, in lontananza, sei grosse figure biancastre in procinto di lanciare qualcosa.
    - Berserker... - realizzò tremando. Quelle bestie erano state in grado di lanciare enormi pietre fino al secondo livello di Minas Tirith.
    Sei giganteschi massi rotondi presero il volo, ma nessuno pareva vederli.
    - LANCI D'ASSEDIO! BERSERKER! - gridò, gridò con tutto il fiato che gli era rimasto nei polomni dopo quella folle corsa. - TENETEVI GIU'! -
    L'avvertimento non restò inascoltato. Roxas afferrò Tidus per il collo e lo spinse giù, Cloud si spinse da parte con Vanitas, diversi Cavalieri si allontanarono dal portone: gli arcieri si ripararono dietro i bastioni invulnerabili.
    - Che il Creatore ci salvi... - riuscì a dire Meredith in un sussurro.
    In quella manciata di istanti, il folle volo dei sei enormi proiettili fu prossimo alla fine. Superarono la barriera in quanto semplici oggetti privi di potere magico...
    Roxas credette di essere arrivato all'inferno.
    Un boato più forte di qualunque incantesimo avesse colpito la cupola protettiva invase l'interno di essa, persino la sua cristallina superficie sembrò crepitare con violenza. Gli enormi massi rotondi colpirono quasi simultaneamente, con precisione innaturale, tutti nello stesso punto: e per ognuno che toccava il legno e il ferro, una spaventosa esplosione ne prendeva il posto. Al sesto colpo le porte si squarciarono inutili, incapaci di contenere oltre la furia del fuoco, tutto talmente in fretta che nessuno ebbe il tempo di realizzarlo. Il cancello si spalancò di scatto, i ferri che lo tenevano ancorato al terreno schizzarono via come insignificanti pagliuzze. Un rutilante vortice di schegge lignee e frantumi di ferro si abbatté sui difensori, fiammeggiante e inevitabile: alcuni si ripararono dietro i Revenant, altri dovettero voltarsi di spalle per proteggere il viso. Roxas sentì sul volto un calore opprimente, bruciante, che gli levava il respiro: per attimi interminabili, chiunque si trovasse nei pressi del cancello si sentì morire tra le fiamme.
    Ancora una volta, solo i Revenant rimasero immobili, incuranti del fuoco e del ferro. I loro occhi rossi scrutavano il vuoto davanti alla fortezza.
    Vuoto che si riempì presto, e stavolta per davvero.

    - Che il Creatore ci perdoni! - farfugliò Greagoir inorridito. - Come abbiamo potuto essere così stolti?! -
    - Non possiamo più pensarci ormai - tagliò corto Meredith ansante, estraendo la sua lunga spada a due mani da dietro la schiena. - CHIAMATE I GUARITORI! -
    Il canto degli archi da battaglia riprese. I Berserker, almeno venti, marciavano in testa a una lunga colonna di Nessuno, alzando scudi immensi alti quasi quanto le mura di Weisshaupt, parando la maggior parte delle frecce e costringendo gli arcieri a tirare alla cieca, mirando verso l'alto.
    Quando furono a poco meno di venti metri dall'arcata che una volta ospitava il grande cancello, i Revenant ebbero la prima reazione dopo ore. Con un gesto all'unisono, i cinquecento non-morti si flessero parando lo scudo davanti a sé. Quelli dell'avanguardia puntarono lunghe lance nere formando una muraglia all'indirizzo degli aggressori, di cui vedevano soltanto un muro nero in costante avanzata.
    - Rox, stammi vicino - disse Tidus cercando di apparire protettivo, ma sembrava l'esatto opposto, ossia che volesse la protezione del fratello minore.
    - Una volta che uccidi il primo, il resto viene da sé - rassicuro Roxas sguainando Narsil con un lungo sibilo metallico. La spada luccicò sinistramente sotto i continui lampi degli incantesimi dei Mangiamorte, le rune intagliate che sembravano fiammeggiare al suo sguardo.
    "Che tu sia Soldato o Generale, Re o Contadino, Uomo o Donna, se la tua anima impugnerà questa Spada Reale, la Lama di Nabradia, lo Spirito di Nabradia ti proteggerà in battaglia" ricordò la traduzione di quella lingua antica, e con essa la meraviglia che si manifestò sul suo viso quando Rasler gliene parlò, porgendogli l'arma quasi con reverenza. Lui era il difensore di Minas Tirith. Il Custode dell'Equilibrio. Un Assassino.
    Ed era uno studente delle superiori di Twilight Town, secondogenito di una famiglia amorevole. Non doveva dimenticare chi era, chi c'era sotto quelle vesti bianche, non doveva dimenticare a chi appartenevano le mani che impugnavano i Keyblade. Aveva affrontato battaglie e dilemmi che fino a quel momento aveva visto solo nei libri, o al cinema, o nei videogiochi che a lui e Sora piacevano tanto, ma messo da parte il Custode, non era che un ragazzo.
    Portò Narsil davanti al viso, chiudendo gli occhi. Ogni rumore si affievolì fino a svanire nell'oceano della sua concentrazione. L'odore della battaglia era ancora una volta giunto alle sue narici. Polvere, sudore e sangue si sollevavano ancora, e lui era nuovamente lì in mezzo. Poteva udire il proprio pesante respiro, il sudore che gli appesantiva la pelle, la consistenza polverosa dell'aria che inalava. Le sue mani si strinsero sulla lunga spada di Nabradia. Poteva percepire le emozioni di chiunque gli fosse vicino, trapelanti dai loro cuori, amplificate dalla sua sensibilità di Assassino. Non-morti immobili dai cuori di pietra, umani esitanti che cercavano il coraggio per difendere la propria casa, la marea biancastra e oscura che si infrangeva sugli scudi dei Revenant, le Ninfe immobili, i magici che correvano nel cortile portando munizioni. Suo fratello e poi l'Unversed...
    - CLOUD! - chiamò spalancando gli occhi, richiamando tutta la propria forza. Era passato diverso tempo ormai, gran parte del suo spirito era stata ricomposta. Xaldin, Larxene, Marluxia, Luxord, Demyx, Axel, Saix... non ne mancavano che poche parti. Una fiamma bianca lo avvolse, fulgida e splendente come il giorno che usò tutto il proprio potere per volare via da Bikanel con Sora. Le sue gambe si flessero, pronte al salto: nello stesso istante, il cuore di Vanitas ebbe un sussulto. Che fosse il frammento di Lexaeus che cercava di tornare a lui? L'Unversed cercò di aiutarlo a ricongiungersi con Roxas, ma riuscì solo a sentirsi il fiato mozzo. E accanto a lui, in una fiammata viola scuro, Cloud saltò assieme al Custode dell'Equilibrio, superando lo schieramento dei Revenant.
    Narsil e la Buster Sword si abbatterono sulla schiera di Nessuno ed Heartless che era giunta al portone: i Berserker avevano piantato con forza sovrumana gli enormi scudi nel terreno, in modo da coprire il più possibile coloro che non potevano entrare nella cinta muraria. I due Custodi piombarono in mezzo agli assedianti, notando che molti erano già caduti sotto le lance nere dei Revenant.
    - Quanto tempo hai? - domandò Cloud in tono spavaldo, gli occhi che luccicavano di viola acceso.
    - Trenta minuti circa - rispose Roxas istintivamente. Era forse Ventus a contare il tempo che poteva passare usando il potere dell'Equilibrio? Non riusciva più a sentirlo bene come prima, ormai la sua voce era un impercettibile sussurro che solo il suo cuore riusciva a udire.
    Equilibrio e Caos sbarrarono con la loro presenza il passaggio davanti all'arcata: erano ancora entro la barriera, per pochi passi. Una posizione perfetta per la difesa, mentre i Revenant continuavano a montare la guardia.
    I Nessuno si avventarono, spade e artigli sfoderati: gli Heartless cavaliere balzarono su di loro, in breve si trovarono circondati. L'immensa spada di Cloud riusciva a falciarli anche tre per volta, lasciandosi dietro nient'altro che fiamme violacee: Narsil brillava del fuoco bianco di Roxas, ma la sua portata permetteva al suo possessore di uccidere un nemico per volta, anche se con incredibile velocità. La spada sembrava dotata di vita propria mentre la mulinava con decisione tra un nemico e l'altro. Vide la testa di uno Spadaccino volare, perdendo fiotti di polveroso sangue bianco. Due ne presero immediatamente il posto e Roxas scartò di lato, conficcando Narsil nella schiena di uno e la lama celata nella faccia deforme dell'altro. Saltò all'indietro e le katana dei Nessuno, almeno una decina, si animarono circondandosi della stessa aura bianca che circondava il Custode Assassino: Roxas stese una mano ed esse partirono come proiettili, conficcandosi nel corpo di un enorme berserker che avanzava verso di loro brandendo lo spadone simile a una mazza. Nel suo salto si voltò di scatto tranciando in due un Simile che tentava di oltrepassare la loro linea difensiva. La Buster Sword di Cloud aveva creato un monticello di cadaveri ai piedi del suo padrone, che ora incrociava la spada con due Berserker inferociti. Uno Spadaccino particolarmente tenace si parò tra i due Custodi e Roxas fu obbligato a schivare un paio di fendenti velocissimi, per poi rispondere infilzandolo sullo sterno parte a parte.
    Tidus era strabiliato. In un vortice di fiamme bicolore, i due sembravano usciti da una leggenda. Il giovane di Midgar scoprì un lato completamente nuovo di suo fratello, ed ebbe un brivido nel vedere, attraverso la sua espressione risoluta e battagliera, che si trovasse pienamente a suo agio. Era come se fosse nato per quel momento, per la battaglia. O era forse la situazione a tramutare così un essere umano?
    Voleva vivere abbastanza a lungo da sapere la risposta. I Revenant sterminavano qualunque essere superasse la difesa dei due Custodi, ma quanto tempo sarebbe durato ancora? Se davvero Roxas era in grado di esercitare una potenza del genere costantemente, dubitava che quella guerra sarebbe durata così tanto.
    - Venti minuti - disse Vanitas stringendo l'impugnatura del suo Keyblade. - Venti minuti ancora e saremo nel fitto della battaglia anche noi -
    Gli arcieri continuavano a lanciare senza sosta, ma sempre di meno: alcuni dovettero farsi da parte e affidarsi ai guaritori per superare velocemente il dolore che provavano alle braccia. Avevano scagliato ciascuno qualcosa come quaranta o cinquanta frecce, alcuni mostravano segni di sfinimento. Le pozioni e le erbe ricostituenti di Anders sortivano solo una minima parte dell'effetto sperato, causando rallentamenti nell'attacco.
    Un altro dei venti Berserker cadde, trafitto da una decina di dardi alla testa e al collo. Roxas lo calciò via in direzione di un gruppo di Spadaccini che si faceva largo in mezzo agli scudi, ostacolandoli. Molti saltarono il cadavere in tempo e gli si avventarono addosso, trovando la resistenza della sua spada nabradiana. Uno ad uno, caddero rovinosamente a terra.
    Roxas volteggiava tra i nemici, la spada fiammeggiante di bianco stretta in pugno, ogni muscolo del corpo pronto e guizzante per la mossa successiva. Intercettava ogni spada, ogni artiglio, con una tecnica quasi perfetta. Alla marea bianca si mischiò quella nera: gli Heartless Cavaliere divennero una presenza massiccia, e Roxas e Cloud si trovarono schiena a schiena.
    - Ancora quindici minuti - sogghignò Cloud alzando la spada in modo da avere la punta davanti al viso.
    - Ci siamo arrivati a un paio di centinaia? - domandò Roxas flettendosi.
    - Colpiscili tutti finché non ne resta nessuno, è la via migliore -
    - Allora fallo - sfidò il Custode Assassino.
    - Potrei, ma non sopravviverei - sospirò Cloud. - So che sentiresti la mia mancanza -
    - Allora comportati in modo da sopravvivere, così che possa staccarvi la testa - replicò Roxas sistemando Narsil tra le mani. La lama grondava sangue argenteo e nero.
    Quei brevi secondi di pausa furono sufficienti. I due Custodi tornarono all'attacco, stavolta ruotando sul posto, schiena a schiena, difendendosi a vicenda dagli attacchi sempre più implacabili di Nessuno ed Heartless. Nel momento in cui Buster Sword sfondò la difesa di due Cavalieri simultaneamente, Narsil tagliava di netto il volto di uno Spadaccino e si conficcava di traverso nel torace di un Simile. Roxas si abbassò per evitare un affondo dello stesso, sollevando la spada all'interno del suo corpo per tagliarlo trasversalmente. Tirò un calcio all'elmo di un altro Cavaliere e in una fiammata bianca lo colpì con un fendente diagonale dall'alto, facendolo stramazzare al suolo, immediatamente sostituito da almeno altri tre. Roxas si spinse in avanti, affrontandoli tutti e tre contemporaneamente e vincendoli tutti, ma non si accorse che uno di quelli uccisi gli afferrò una gamba, ancora disperatamente vivo. Il Custode inciampò su un ginocchio, colpendolo con la lama celata e difendendosi da altri due Spadaccini con una mano sola. Mosse una mano e un'onda d'urto biancastra allargò appena il suo campo di battaglia, permettendogli di rimettersi in piedi. La vista gli si annebbiò per un attimo, e si accorse solo in quel momento del caldo fluido vitale che gli percorreva la coscia. Il taglio lo distrasse.
    ROXAS!
    "Ven...?"
    - PAPA'! - Un'aguzza lama fiammeggiante di viola roteò come un boomerang, spaccando in due un gigantesco Berserker che lo ghermiva, per poi falciare qualunque Heartless e Nessuno trovasse nella sua strada di ritorno verso il suo legittimo proprietario, che si avvicinò immediatamente.
    - Cloud...? - realizzò confuso. Aveva davvero gridato quella parola? Probabilmente l'aveva sentita solo lui, con tutto il frastuono che c'era, ma l'aveva detta. L'attimo che aveva incrociato il suo sguardo, era carico di paura. Temeva forse che gli succedesse qualcosa? - Sto bene, sta già guarendo da sola - indicò la ferita, che aveva smesso di perdere sangue. Forse era Ventus che lo stava curando.
    - E' meglio ritirarci verso l'interno, mancano meno di dieci min... AH! - ringhiò spingendo Roxas verso l'arcata e mulinando la sua immensa spada come fosse di carta, uccidendo qualunque creatura incontrasse davanti a sé.
    - CLOUD, ALLE SPALLE! - avvisò Roxas rimettendosi in piedi. Si dovette difendere da uno Spadaccino, sbattendolo contro la pietra delle mura e trafiggendolo alla schiena. Cloud si voltò, ma dovette proteggersi il viso da un'esplosione improvvisa. Entrambi alzarono lo sguardo, trovando Allen Walker che sorrideva, reggendosi il braccio tramutato in cannone.
    L'Esorcista saltò giù, verso di loro, sguainando la spada dall'Innocence durante la caduta e schiantandola su un Cavaliere prima che attaccasse i due.
    - Grazie per l'aiuto - disse Allen uccidendo altri Nessuno con la sua lunga spada, indietreggiando. I due Custodi fecero altrettanto, con le spade puntate, limitandosi a uccidere qualunque creatura si parasse davanti a loro.
    Roxas?
    "Ven?"
    E' meglio ritirarti per il momento.
    Roxas comprese il senso di quelle parole nello stesso istante in cui la voce di Ven gliele pronunciava. Non avrebbe più potuto reggere la fiamma dell'Equilibrio.
    - REVENANT! - la voce possente di Greagoir sovrastò il rombo degli incantesimi, degli archi lanciati e delle urla di battaglia. La schiera di non-morti in armatura sollevo le spade e puntò le lance, avanzando con marcia spedita e inarrestabile verso i Nessuno, un unico clangore metallico ripetuto cinquecento volte nello stesso istante, ad ogni passo. La falange di Revenant superò i Custodi e l'Esorcista, mentre la fiamma bianca e la fiamma viola si spegnevano. Roxas sentì improvvisamente tutto il peso della stanchezza e si ritirò verso una panca di legno a ridosso della strada, prontamente raggiunto dal fratello incredulo.
    - Sei stato grande là fuori! - esultò sbalordito. - Non credevo... -
    - Nemmeno io - ridacchiò Roxas ansante, concedendosi un attimo di respiro. Aveva visto l'entità dell'esercito di Zexion.
    Forse sarebbero riusciti a superare quella notte, dopotutto.

    Mentre i Revenant formavano un'impenetrabile difesa davanti alla porta, tagliando e infilzando qualunque abominio cercasse di oltrepassare la loro schiera, nel castello incombeva una battaglia diversa.
    Flemeth e Theresa stavano in piedi nell'Osservatorio, una stanza in penombra a pianta ottagonale le cui pareti solitamente permettevano di vedere il cielo grazie ad alcune magie impregnate nelle mura. In quel momento però, la stanza era vuota, i sedili a ridosso delle pareti non erano occupati. Ai lati del piedistallo del Palantìr, l'una di fronte all'altra, le mani tese sulla sfera, le due anziane Streghe pronunciavano mentalmente formule arcane per tenere la barriera in piedi. La loro magia era troppo potente perché essa potesse soffrire danni ingenti, ma non volevano correre rischi quando si parlava di Zexion.
    - La battaglia procede bene - disse Flemeth in tono calmo. - Due quinti delle forze nemiche abbattuti. Forse anche di più -
    - Finché la barriera reggerà, il vero nemico non sarà un problema - rispose Theresa. - Quanto prima ci sbarazzeremo di questo esercito di marionette, prima potremo dedicarci a Zexion -
    Un silenzio pesante calò nella piccola stanza. Le rughe sul viso di Flemeth parvero accentuarsi.
    - Fai quello che devi, Flemeth - sorrise Theresa, i baluginanti occhi ciechi che trasmettevano un calore amichevole. - Sono pronta -






    Ci vediamo tra due settimane ^^
     
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    Toccante la scena di Shera e di Lucrecia, due madri lasciate da tutti i loro uomini (doppio senso mode on), a Midgar, da sole. Volete un po' di compagnia, belle donzelle? (Robert Baratheon docet)

    La battaglia inizia *_*
    Allen con le sue cicatrici.. zio, non sei più maschio, anzi fai ancora più schifo a tutti. Ok, povero Allen, ce lo portiamo dietro da troppo tempo per iniziare a insultarlo ORA x°°

    Roxas, Cloud e Vanitas; che trio. Fanno il culo a strisce per un po', ma poi si devono ritirare. Poi Cloud che chiama Roxas papà.. fuck yeah.

    Zexion *ç* Non farmelo morire, è un mito. Grande Ienzo. Xezion. Sezion. Session.

    Capitolo molto bello come sempre e non sono incappato in nessun errore, magnifico *ç*
    Tra due settimane, voglio vedere Tidus morire. Non so perché, ma me lo sento x°°°
     
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  3. Nyxenhaal89
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    Eccomi qua col nuovo capitolo u.u
    Grazie nemesisio per il commento e a tutti i lettori *D*
    Eccoci alla seconda parte della battaglia. Ci ho messo un po' a causa del mio recente trasferimento da holyucciopuccio, ma ora sono di nuovo abbastanza operativo :3
    Spero che vi piaccia!
    Buona lettura!



    31: La Battaglia di Weisshaupt

    Mentre recuperava le forze, sorseggiando un forte liquore portatogli dalle Ninfe, Roxas assisteva sconvolto alla potenza immortale dei Revenant. La loro condizione di morti tornati alla vita li rendeva invincibili, immuni al dolore e alla fatica e dotati di una disciplina solida come il più duro dei metalli. Erano delle marionette probabilmente, come marionette erano i soldati di Zexion, ma non erano per nulla svantaggiati dalla propria inferiorità numerica. Ciò che restava dei Cavalieri del Tempio riesumati era una schiera feroce e implacabile nella sua fredda precisione. Non emettevano un gemito, un suono che non fosse il clangore dei loro scudi o il sibilo delle loro spade. Il Custode assisteva con agghiacciata fascinazione alla loro flessuosa e irrefrenabile dimostrazione di potenza: formavano un muro di scudi e lance impossibile da oltrepassare, e alcuni di loro si erano mossi in avanti per contrastare attivamente i nemici. Erano veloci e agili, capaci di piroettare attorno al nemico e colpirli con affondi a sorpresa. Riuscì a vederne uno che veniva trafitto da quattro spade contemporaneamente senza la minima reazione. Il Revenant colpito si limitò a sollevare la spada e squartare quattro crani di spadaccino con un unico violentissimo fendente. Erano creature nate dalla magia e solo la magia poteva fermarli: per questo stavano all'interno della barriera, mentre le orde di Zexion continuavano a infrangersi contro la loro impenetrabile difesa come le onde sugli scogli.
    Quello che a Roxas sfuggiva era il perché.
    Quando un Revenant cadeva a terra, si rialzava all'istante e portava con sé un'altra decina di Nessuno prima di cadere di nuovo. Ai loro piedi si ergeva un monticello di cadaveri, e se a quelli si aggiungevano le vittime degli arcieri, ormai dovevano aver sterminato almeno due quinti di quella forza. Probabilmente molti di più, dato che i Revenant erano tanto lesti a uccidere quanto i loro nemici a gettarglisi sulle lame. Ma Roxas continuava a non capire il senso di quell'assalto sconsiderato. I Revenant non potevano essere fermati: il combattimento procedeva ininterrotto da tre ore ormai, diversi arcieri erano scesi nel cortile per fare posto a forze fresche e riposare le braccia. Gli enormi scudi che i Nessuno avevano ammassato impedivano agli assedianti di rispondere al fuoco e i pochi che superavano la muraglia di picche venivano immediatamente uccisi dai Revenant che si trovavano dietro. Qual era lo scopo di quella lotta, dunque? Stancarli? Le loro forze erano ancora illese e pronte alla battaglia. I Revenant avrebbero combattuto finché l'esercito di Zexion non fosse stato completamente distrutto. E c'erano comunque almeno altri quattrocento maghi nella fortezza, pronti a fare il proprio dovere se le prime linee fossero state sfondate. Roxas ormai si era ben ripreso, ma lui e Cloud erano costretti a restare in disparte mentre i soldati immortali facevano il proprio dovere. Anche il Custode del Caos era comunque inquieto e sospettoso di fronte a quella situazione.
    Nessuno parlava.
    Tidus e Vanitas si erano avvicinati a loro, Allen era tornato sulle mura a dare manforte ai Revenant. Le urla che giungevano dai bastioni e gli ordini sempre meno concitati avvisavano che la battaglia volgeva chiaramente a loro favore. Che la strategia di Theresa fosse semplicemente lasciar infrangere l'attacco sui Revenant senza che altri innocenti perissero?
    Ogni tanto qualche Nessuno particolarmente temerario che riusciva a superare le picche saltava sulle mura, ma veniva prontamente abbattuto prima che potesse realmente fare qualunque danno. I proiettili dell'Innocence di Allen si rivelarono estremamente più utili della sua abilità di arciere. Alcuni nemici tentavano di aggirare le mura, ma i Revenant li intercettavano prima. Le vedette vollero comunque almeno venti uomini per ogni lato della cinta che fosse troppo vicino al campo di battaglia per evitare di essere presi alle spalle. Sul retro della fortezza non c'era nulla. Inoltre la conformazione del territorio non permetteva comunque un facile accerchiamento di Weisshaupt, e le forze di Zexion erano sempre più esigue di minuto in minuto.
    Eppure l'inquietudine non se ne andava. Roxas temeva di vedere da un momento all'altro altri diecimila soldati spuntare dalla strada per Ecclesia o per Vellond, saltare sulle mura e trucidarli tutti. Alcune Streghe si erano unite alle vedette per spezzare le illusioni, nel timore che il Burattinaio Mascherato avesse un'altra trappola in serbo per loro. Avrebbero retto un altro assalto? Le frecce iniziavano a scarseggiare: ormai erano state vuotate almeno dieci faretre, e gli arcieri dovevano darsi continuamente il cambio per riposare le braccia doloranti. Le catapulte ripresero a lanciare i pochi barili di pece e i massi che restavano, seminando la distruzione tra le fila nemiche. Tidus sembrava rallegrato dalla cosa: già immaginava l'esercito dei Nessuno che batteva in ritirata in tutta fretta, schiacciato dalla loro potenza. E probabilmente si vedeva corrergli dietro con la spada in pugno, falciando ogni fuggitivo che potesse raggiungere.
    - E' uno scenario che puoi scordarti - lo interruppe seccamente Vanitas. - I Nessuno e gli Heartless non sono dei fifoni come i soldati umani. Se scappano, è perché il loro padrone lo ordina. Altrimenti combatteranno fino all'ultimo armato rimasto. E se anche finissimo con loro... - indicò le montagne con un dito inguantato di nero - C'è Zexion tra quelle cime, con cinquecento Mangiamorte che ci faranno a pezzi prima che riusciamo a raggiungerli. Questa battaglia è ben lontana dall'essere vinta -
    Questo zittì il maggiore dei fratelli Highwind, mentre il minore continuava a pensare. Sicuramente la distruzione del suo esercito avrebbe reso Zexion decisamente più vulnerabile, ma non poteva dimenticarsi del potere che era in grado di esercitare. Aveva illuso un'intera fortezza, e se non fosse stato per Allen sarebbero stati tutti massacrati sulle mura ancor prima di accorgersi di cosa stesse succedendo.
    - La sconfitta a Minas Tirith è stata un brutto colpo - intervenne Cloud controllando la sua Buster Sword. Il pendaglio con la testa di lupo che una volta era stato il Drago Nythera lampeggiava sotto gli incantesimi che si abbattevano sulla barriera. - Trecentomila Heartless trucidati. E ancor prima a Midgar, altri duecentomila. Xigbar parla di diversi milioni di Heartless e Nessuno al loro servizio, ma volevano solo bluffare davanti a me. Sicuramente hanno ancora una gran quantità di forze, ma non le sprecheranno contro l'Enclave. Xemnas deve difendersi da pericoli ben peggiori -
    - Hironeiden? - azzardò Roxas con gli avambracci poggiati alle cosce, pensoso.
    - L'intera Bersia - rispose Cloud. - Se tutte le forze del continente dovessero unirsi contro di lui, Xemnas si ritroverebbe completamente circondato. Per questo starà sicuramente presidiando tutti i confini di Mordor, allargandoli dove può. Un passo falso e si ritroverebbe centinaia di migliaia di soldati inferociti alle porte del Castello Bianco -
    - Il Castello Bianco? - ripeté Tidus.
    - E' così che si chiama la sua fortezza - spiegò Vanitas. - Una mostruosità fluttuante tutta torri e bastioni, alta almeno dieci volte Weisshaupt. Riesce a superare in altezza persino Barad-Dur, e dentro è ancora peggio. Un labirinto di stanze, corridoi, cunicoli e passaggi segreti... è impossibile espugnarla con metodi tradizionali. Si fa prima a raderla al suolo, possibilmente coi suoi abitanti dentro -
    Una prospettiva che di certo Roxas non avrebbe evitato di considerare. Non pensava più di tanto al futuro di quella guerra, ma sapeva che la battaglia finale sarebbe stata lì, a Bersia. Tutti non facevano che ripeterlo. A Bersia si sarebbe conclusa la guerra, in un modo o nell'altro. "Due consanguinei..."
    Roxas guardò Cloud, perplesso. Erano consanguinei, dopotutto: ma solo per uno scherzo dei mondi possibili. Roxas era ancora troppo giovane per essere davvero il padre di Cloud.
    "Mi ha chiamato papà..." quel pensiero lo faceva sorridere. Non riusciva a perdonargli il male che aveva fatto, ma il suo presunto figlio si stava rivelando una compagnia più piacevole dei suoi tempi all'Organizzazione. Doveva davvero dare tutta la colpa a Rixfern?
    - Ma Xemnas ha la sua Organizzazione... - disse Tidus distogliendolo dai suoi pensieri.
    - E un miserabile principino di Nabradia ha tagliato Saix in due. Sì, possono tornare... ma non come prima - rispose Cloud, che sembrava quasi divertirsi a fare sentire Tidus un perfetto idiota.
    - Anche se l'Organizzazione si è ricomposta, non è più quella che era una volta. Si sono indeboliti. Nemmeno loro possono fronteggiare gli eserciti di tutto il mondo da soli - continuò Vanitas. - Il Frutto dell'Eden ha solo richiamato dei residui, quello che restava di loro nel Flusso Vitale -
    - In poche parole, l'Organizzazione è alla frutta - concluse Cloud stiracchiando le lunghe braccia muscolose. - Quindi cerchiamo di trovare Zexion e togliercelo dalle palle -
    - E' probabile che ci sia Lexaeus con lui - avvisò Roxas.
    - Secondo me ci dorme, con Lexaeus - sbuffò il Custode del Caos. - Non li ho mai visti separati neanche una volta. Ma non importa, li ammazzeremo tutti e due. Quel tuo fabbro azzurro ha finito? -
    - Celeste - corresse Roxas. - E no, altrimenti mi avrebbe mandato a chiamare - il furore della battaglia gli aveva fatto dimenticare Yiazmat, per qualche ora, ma ripensare a Cysero che lavorava alla Forgia Celeste gli riportò in mente il sorriso del Drago dell'Equilibrio di fronte alla sua fine imminente. Dovette fare a pugni con se stesso per non piangere davanti a Cloud.
    - Be', spero che ti chiami presto - Cloud si alzò, osservando i Revenant che impedivano a qualunque nemico di passare. - Con quel tagliacarte nabradiano, sei del tutto inutile -


    Il viso rugoso di Flemeth si increspò maggiormente al dire della Profetessa. Era serena, un sorriso enigmatico a decorarle il volto affilato del colore dell'ebano. Teneva le mani ossute sul palantìr, con apparente noncuranza verso tutto il resto.
    - Zexion ha perso più di metà del suo esercito - disse guardando nel globo nero. Un'ombra bluastra vorticava al suo interno, ma Theresa sembrava in grado di leggervi dentro. - Immagino ci ritenesse prede più facili -
    I suoi occhi ciechi si fissarono sulla Strega, il cui volto divenne una contrita maschera di pietra. Le sue mani erano incerte sul palantìr, e sembrava incapace di parlare. Per lungo tempo nella sala tornò il silenzio. C'era già stato silenzio anche prima: dopo le parole di Theresa, una calma pesante e pregna di tensione era subentrata alla rilassata concentrazione che la precedeva. E dopo quelle parole, la temibile Strega delle Selve sembrava ridotta ad una bambina spaventata. - Concentrati di più, per favore. La barriera si sta assottigliando - le chiese con la consueta gentilezza. Flemeth tornò a concentrarsi e di nuovo lo scudo si erse possente e ineffabile. Theresa sorrise. - Non Vedo la fine di questa battaglia... -
    Le gambe di Flemeth parvero cedere sotto il suo insignificante peso. Anziana e potente com'era, non sembrava in grado di reggere quella tensione ancora a lungo. La tranquillità della Profetessa era ciò che la demoliva maggiormente.
    - Come? - domandò la Strega. La sua voce sembrò un belato rauco, ben lontano dalla maestosità del suo tono acido e sarcastico di fronte alla figlia.
    Lei sorrise ancora. Un'altra pugnalata nel cuore di Flemeth, nonostante tutti dicessero che non fosse un'opera facile. Secondo sua figlia, una lama doveva essere estremamente fortunata per trovare il suo cuore. Quella piccola stupida...
    - Una domanda sciocca - si rispose da sola, ricambiando il sorriso con una bruciante fitta di sensi di colpa ad avvolgerle le stanche viscere. - Lo sapevi da sempre - le sue dita bianche e smunte ebbero un sussulto. - Perché non mi hai uccisa? - le domandò. - Potevi fuggire... -
    - Penso di aver sopportato a sufficienza i dolori della vecchiaia - una risata delicata eruppe dalla voce velata di Theresa. Era un suono melodico, arcano. Che non faceva che aumentare il fardello che gravava sulle spalle della Mutaforma. Poteva trasformarsi in un drago, in un corvo gigante, in qualunque abominio partorito dalla terra. Ma non poteva ribellarsi a questo. - Dimmi solo una cosa, te ne prego - proseguì mentre vedeva i Revenant uccidere i Nessuno senza soste. - Come ha fatto? -
    Gli occhi di Flemeth divennero due pozze lucide.
    - Sono una madre - disse in un soffio. - E la mia unica figlia ed erede aveva un invisibile cappio al collo -
    - Sono passati cinquant'anni... - la voce di Theresa era incrinata dalla tristezza.
    - Forse aveva Visto prima di noi - rispose Flemeth. - O forse ha pensato che un'alleata forzata nell'Enclave delle Streghe gli sarebbe tornata utile. Indipendentemente dalle sue motivazioni, eccomi qui -
    - Cosa ti disse? - domandò Theresa, immobile come una statua.
    - Avrei rinunciato all'amore della mia unica figlia - parole incrinate uscirono dalle labbra della Strega delle Selve. - Sarei stata nient'altro che una creatura odiosa ai suoi occhi, o sarebbe morta davanti ai miei. E qualora avesse marciato contro di noi, se fossimo stati sul punto di avere la meglio... - una lacrima incespicò tra le rughe del suo volto.
    - Tu mi avresti uccisa, Sorella mia - completò Theresa senza tristezza.
    Nonostante la voce tremante e gli occhi arrossati, Flemeth si ergeva altera di fronte all'amica e compagna di battaglia. Erano le due principali consigliere della Divina Andraste, assieme a Road Kamelot. Theresa non aveva permesso che la Noah entrasse nell'Osservatorio con loro. Un membro delle Tre doveva restare in vita in assenza della Divina, per prendersi cura dell'Enclave.
    Un pugnale scattò nella mano della Strega, ricurvo e lungo, dalla bellissima lama bianca luccicante come un astro del mattino, l'impugnatura di acciaio rosso che si accomodava perfettamente tra le sue dita.
    - E sarei morta, senza dire mai a mia figlia la verità. C'è forse tormento peggiore per una madre? - avvicinò la lama al petto, fissando Theresa con dolore. - Ti getti in pasto alla morte, tu che sei la più potente di noi... -
    - Se la Vista mi abbandona, vuol dire che il mio tempo è giunto - rispose la Profetessa. - Io Vedo solo fin dove mi è concesso. E non mi è concesso oltre questa notte -
    Flemeth abbandonò il palantìr e si avvicinò a Theresa. Lei continuava a tenere le mani tese sul globo. Per tutto il tempo la Strega sperò che qualcuno intervenisse a fermarla.
    Le labbra di Theresa si incurvarono in un sorriso ancora più radioso, mentre i suoi occhi ciechi riflettevano la lama del pugnale che si muoveva verso di lei.


    Il combattimento volgeva inevitabilmente a loro favore. La falange di Revenant aveva fino a quel momento tenuto tutti i Nessuno al di là del confine della barriera, centinaia di nemici giacevano a terra morti, i loro corpi corrotti che andavano lentamente disfacendosi. I soldati dell'Enclave erano tutti sulle mura, tranne un'esigua forza di una cinquantina di uomini, compresi gli Highwind, Cloud e Vanitas. Non potevano fare altro che osservare i soldati non-morti fare tutto il lavoro e lasciarsi davanti cumuli di cadaveri, che calciavano periodicamente via per non permettere alle creature di usarli come trampolino. Le frecce continuavano a sibilare.
    Roxas si sentiva comunque inquieto oltre misura. La battaglia stava andando troppo bene: era impossibile, a suo parere, che Zexion avesse commesso un simile errore di calcolo. Dalle storie che gli raccontavano era un avversario subdolo e spietato, secondo solo a Xemnas. Nonostante fosse il numero VI, era temuto da superiori e inferiori e persino il Signore dell'Organizzazione lo guardava con maggiore rispetto. Cloud gli aveva raccontato della farsa che avevano inscenato per indurlo a sentirsi al sicuro, culminata con il suo smascheramento nella Torre di Ecthelion. Non poteva essere tanto semplice...
    Allen urlò.

    Ora tocca a me.

    Roxas spalancò gli occhi, in direzione delle comete che continuavano a saettare come un'ondata immane verso di loro. Continuavano a infrangersi sulla barriera, che si riempiva di crepe cristalline per poi rigenerarsi immediatamente. Il cuore del Custode dell'Equilibrio prese a battere forsennatamente, e mise d'istinto la mano alla spada. Narsil luccicò nuovamente alla luce degli incantesimi, ma tanta era l'improvvisa tensione che la sentiva tra le dita come un inutile pezzo di metallo. Non l'avrebbe difeso dagli incantesimi, dopotutto.
    - Roxas... - biascicò Tidus, terreo.
    Alzarono lo sguardo, e in breve un brusio orripilato pervase il cortile.
    La barriera si stava dissolvendo.

    In un reticolato confuso, rosso come il fuoco, la cupola che fino a quel momento aveva protetto Weisshaupt dagli attacchi implacabili dei Mangiamorte andò assottigliandosi sempre di più, fino a ridursi ad una matassa sfilacciosa e confusa di filamenti sanguigni che si disfacevano a velocità scoraggiante. Le Ninfe della Promessa si videro strappate alle loro crisalidi di cristallo, realizzando improvvisamente ciò che stava accadendo. E in un urlo assordante, simile agli stridii dei Nazgul ma carico di una sofferenza incontenibile, i Revenant si disgregarono in una nube di pulviscolo nero come un incubo. Quell'incubo che tutti loro si accorsero di stare vivendo.
    Roxas sentì distintamente qualcuno respirare a fatica, e si girò immediatamente per vedere chi fosse: stava già per chiamare Anders, quando si accorse che Cloud stava tremando.
    "Quello che gli ha fatto Zexion..."
    Anche Vanitas lo notò. Il Custode del Caos fissava il cielo con espressione assente, gli occhi spalancati sul reticolato distorto che una volta era la barriera. L'Unversed non perse tempo e la sua mano scattò a stringersi immediatamente alla sua, con una forza e un trasporto tale da risvegliare Cloud da quella trance momentanea. L'espressione che gli si dipinse sul volto era incerta, imbarazzata e spaventata, ma non gli permise di separarsi. E Vanitas non lo fece.
    Roxas riuscì a malapena a guardarli, a dare il tempo ai suoi occhi di recepire l'immagine, che una nuova pioggia di incantesimi sfolgoranti balenò nel cielo, stagliandosi minacciosa e terribile su di loro.
    - No... - riuscì solo a mormorare, con uno sconforto infinito nella voce.
    Qualcuno urlò, qualcun altro cercò di fuggire, alcuni maghi alzarono fragili scudi per difendere i compagni, ognuno muovendosi con una lentezza esasperante, soffocante, opprimente. Il tempo sembrava prendersi dieci secondi di tempo per farne scorrere uno solo. Le crudeli comete che fino a quel momento avevano ignorato formarono una continua, incessante cascata simile a lacrime splendenti, tracciarono un'elegante parabola nel cielo, andarono a posarsi con leggiadria per tutto il grande cortile e le mura.
    In un infinito battito del cuore, molti cessarono. Custodi, Magici e Cavalieri del Tempio furono avvolti da un'unica luce, terribile e impetuosa. Con inarrestabile violenza, essa inghiottì respiri, vite, spade e bastoni, uomini e donne. Per il tempo di un battito del cuore.
    Un boato fece tremare la terra e il cielo, con un'intensità dieci volte più grande di qualunque altro che avessero sentito prima. Il tuono rutilò ancora una volta, immenso e bramoso di sangue, ed esso proseguì l'opera della sua ancella, quella bianca luce che aveva avvolto Weisshaupt nel suo splendente oblio; ed esso fece sue le grida, le voci, i rumori che scaturivano dal terrore e dall'incertezza.
    Il rimbombo non aveva ancora finito di avvolgere l'antica pietra che arrivò l'ondata, rovente e distruttiva: il fuoco, devastante e spietato, dilagò in una vampata biancastra, facendo suoi la luce e il tuono, ruggendo e rotolando in immense volute sul cortile di Weisshaupt con inarrestabile e zelante rapidità. In breve le fiamme avvamparono ovunque, investendo i difensori, troppo lenti nei loro miseri tentativi di fuggire. Le mura furono colpite da un altro boato, ma che generò solo una poderosa esplosione d'aria rovente. I difensori sui bastioni, impreparati e molli nella loro speranza distrutta, furono facilmente sbaragliati e scaraventati nell'ampio cortile, molti verso la morte. I più furbi si ripararono dietro le invincibili merlature, ma troppo pochi perché potessero ancora proteggerle.
    Fu un battito del cuore, forse il più lungo mai sentito fino a quel momento. Un lungo, interminabile attimo di sconfitta.
    Il battito del cuore successivo le fiamme cavalcarono via, simili a possenti stalloni argento e arancio, lasciandosi dietro null'altro che tenebre e morte.

    Allen fu uno dei pochi che riuscirono a salvarsi riparandosi dietro le merlature. Il calore generato dall'esplosione d'aria fu tutt'altro che delicato sulla sua pelle: aveva la guancia destra bollente, forse ustionata, rossa come un rubino, e il suo braccio destro non riuscì a ripararlo in tempo. Vesciche e ustioni rossastre sbucavano dal cappotto da Esorcista sbrindellato. Gemette di dolore alzandosi, cercando le Ninfe e i Guaritori con lo sguardo. La guancia iniziò a pulsare, mentre il braccio gli dava i dolori dell'inferno. Si maledisse per essere stato tanto stupido da non coprirsi dal lato dell'Innocence, che avrebbe sicuramente retto il colpo. Timoroso e incerto sollevò la testa dalle merlature temendo un nuovo attacco, ma non arrivò: la pioggia splendente aveva alleggerito i loro ranghi, ma anche quelli degli invasori. Le carcasse lasciate dall'operato dei Revenant erano svanite in una tempesta di cenere, mentre nuovi corpi carbonizzati giacevano dimenticati dinanzi ai frantumi della porta.
    - Esorcista... - biascicò Greagoir reggendosi a quello che restava della garitta. L'esplosione aveva spazzato via il tetto, lasciando pochi pilastri di legno bruciato simili ai denti marciti di un vecchio. Allen arrancò fino a lui, solo per vedere che il Comandante dei Cavalieri del Tempio strisciava sui pezzi delle proprie gambe che avevano avuto la misericordia di restare attaccati al suo corpo. L'uomo era possente, con un fisico da guerriero, ma di tale forza restava poco: il dolore lo rendeva un fagotto di carne sofferente e riusciva a malapena a parlare.
    - Le trovo subito un guaritore - deglutì Allen, sentendo le membra gelarsi a quella visione. Aveva visto ogni genere di barbarie e atrocità sia come Esorcista che come aiutante dei Custodi, ma era impossibile abituarsi a spettacoli del genere. E in quel momento, si trovò a pensare a Linalee. Da qualche parte, in qualche modo, poteva esserci lei nello stato del Comandante... - Dov'è Meredith? - domandò senza preoccuparsi dei titoli.
    - Laggiù... credo - disse indicando in basso, verso il cortile. Meredith Stannard giaceva a faccia in giù in una pozza del proprio sangue, le ossa degli arti in una posa grottesca e orribile. Le mani di Allen perserò ogni calore. In un secondo l'Enclave aveva perso i suoi comandanti, Theresa e Flemeth avevano fatto cedere la barriera e quello che restava dell'esercito di Zexion si dirigeva di gran carriera verso di loro, spade e lance sguainate in una corsa che dilaniava le loro speranze ad ogni passo.
    - Greagoir, mi dica cosa... - cadde in ginocchio. Il Comandante aveva seguito la sua compagna di battaglia nel sonno eterno in un altro battito del cuore, l'ultimo. Le viscere di Allen divennero pesanti come piombo. Se le cariche dell'Enclave erano morte, chi poteva comandare la difesa? Lui? Ma lui non era mai stato fatto per comandare. Aveva sempre ubbidito, ai capi dell'Ordine Oscuro o ai propri istinti. Era completamente negato per il comando. - Archi... - e di nuovo fu interrotto. Diversi Simili e Spadaccini erano saltati con elegante maestria sui bastioni, cogliendo di sorpresa i soldati che faticavano ad alzarsi. In breve, i rimasugli della difesa delle mura furono costretti a un corpo a corpo totalmente a loro svantaggio.
    Allen gridò. Afferrò la mazza ferrata del Comandante Greagoir e la mulinò col braccio dell'Innocence, sfondando crani e casse toraciche di qualunque abominio gli si parasse di fronte. Ma l'arma era di metallo solido e robusto, troppo pesante persino per il suo arto nero e argento. Era stanco, il braccio ustionato continuava a pulsargli emanando il fetore della carne bruciata e del pus delle vesciche che andavano esplodendo una per una. Le dita tremavano, insensibili agli impulsi, ma non ebbe scelta: evoco Crown Clown, tirando nuovamente fuori la lunga spada nera, squadrata e spessa. Si era stancato dell'Enclave, dei loro capi incapaci di difendere chi gli si affidava. Stavano per vincere la battaglia!
    - Roxas - ringhiò muovendo il braccio in modo da atterrare uno Spadaccino con un fendente. - Mi serve Roxas. Ci serve Roxas! - l'impatto dell'arma contro la creatura gli procurò una violentissima fitta di dolore, ma non cedette. Doveva trovare il Custode dell'Equilibrio, e sperare che in quella sua testa oberata di pensieri inutili affiorasse l'idea giusta. - Giù dalle mura! - cercò di ordinare con una voce più simile a un belato che al tono di un capitano: il dolore stroncava qualunque sua pretesa al riguardo. - Ritiratevi verso il Castello! - e mentre seguitava a dare quell'ordine e proteggere la ritirata, menava dolorosi fendenti. Dovette arrangiarsi nell'usare la mano dell'Innocence, la sinistra, col risultato di dare colpi goffi e mal calibrati.
    I Nessuno inondarono l'ingresso, dilagando rapidi come sangue nell'acqua. Perdevano tempo nel dare il colpo di grazia a tutti i corpi inerti che si trovavano sul loro passaggio, ma avevano ormai guadagnato le porte...
    E finalmente lo vide. Gli abiti bianchi da Assassino erano sudici, ma sembrava illeso. Si stava rialzando, a fatica, da un punto vicino all'ingresso.
    Troppo vicino.
    - ROXAS! - gridò, correndo a perdifiato verso la garitta, ignorando il cadavere sanguinolento di Greagoir e schivando la sibilante katana di uno Spadaccino spiccò un salto disperato, nel tentativo di salvare la vita del compagno di battaglia. Suo fratello gli giaceva accanto, quasi in piedi. Ma non c'era traccia del traditore e della brutta copia di Sora.
    "Traditori", pensò.
    Un dolore acuto, insopportabile e angosciante si unì allo sferragliare di spade e armature: Allen capì di essere atterrato sui nemici, attirando la loro attenzione. Doveva fargli guadagnare tempo, solo un po'.
    Tirò un colpo dietro l'altro, gli occhi annebbiati dalle lacrime, il braccio ustionato che continuava a pulsare e bruciare.
    "Linalee..."
    Narsil scintillò nella notte. La voce di Roxas si levò, alta e limpida, pervasa di rabbia e paura, ma con una tale risolutezza da bloccare all'istante gli esseri che ormai avevano sopraffatto l'Esorcista. Spinto da un impulso nuovo e improvviso, Roxas era corso verso un nutrito gruppo di maghi che curava diversi Cavalieri. Non fu solo Narsil a scintillare, altri bagliori la seguirono: fiamme, ghiaccio, saette e lame di vento investirono come un torrente in piena qualunque Heartless o Nessuno che gli stesse addosso. Allen era a terra, sopraffatto dal dolore, sorpreso di poter rivedere il cielo. I corpi morti dei suoi nemici volarono come fantocci contro quelli ancora vivi, causando scompiglio tra le loro file, e la lama di Nabradia sibilò ancora.
    - CAVALIERI, CARICAAA! - ruggì Roxas puntando Narsil davanti a sé. Corse, circondato da un'aura bianca, la spada che fiammeggiava, alla testa di duecento Cavalieri. Tidus era al suo fianco, gridando assieme agli altri soldati in quell'assalto. Scudi, mazze e spade impattarono con uno schianto assordante, un rumore sgangherato di metallo contro metallo. Vide Morrigan roteare il suo bastone nodoso, sparando proiettili lucenti che colpivano ogni volta con incredibile precisione. Mani sconosciute afferrarono l'Esorcista trascinandolo via dallo scontro: era Anders, il capo dei Guaritori. Aveva gli occhi lucidi e arrossati, le vesti annerite e il volto coperto di fuliggine, ma sembrava illeso. Lo poggiò contro il muro, mentre maghi e streghe lanciavano incantesimi contro le creature che oltrepassavano la difesa.
    - Devo tornare... - biascicò Allen impossibilitato a muoversi. Anders gli forzò in bocca un'ampolla di un liquido dolciastro, dal gusto farinoso.
    - Non distrarmi - disse Anders. - Grace, impediscigli di buttare anche una goccia di questa pozione - gli occhi del Guaritore scintillarono d'azzurro elettrico, inquietando Allen. Spirali dello stesso colore gli avvilupparono le braccia, per poi trasmettere un'energia gelida sul suo arto ferito: l'Esorcista gridò come se lo stesse scuoiando, delirante. Sentiva il corpo in subbuglio, quasi in preda alle febbri. Quando la pozione terminò e Grace gliela tolse di bocca, arrivò a implorare di smetterla, di lasciare stare, di farlo guarire col tempo: tutto quello che ottenne fu un malrovescio da parte di Grace, una guaritrice dalla pelle olivastra, il naso dritto e i capelli castano scuro. Portava un tatuaggio all'occhio, due linee concentriche che ricalcavano la forma delle palpebre, però più ondeggianti e aggraziate.
    - Non distrarlo, ha detto - disse minacciosa. Ad Allen ricordò talmente tanto la brutta suora dell'Ordine Oscuro che afferrò il colletto del cappotto con i denti, e tirò nel tentativo di seppellire le urla. Il dolore era insopportabile: era come se Anders gli stesse tirando fuori ogni vaso sanguigno, come se gli stesse strappando la pelle per ricomporla subito dopo. Per diverse volte si sentiva sul punto di perdere i sensi, ma qualcosa glielo impediva. Iniziò a sospettare che quella pozione servisse allo scopo, per qualche motivo Anders aveva bisogno di lui sveglio e reattivo. Dopo qualche secondo ancora, il processo terminò. Gli occhi del Guaritore tornarono al loro consueto grigio-azzurro, privi di bagliori. Grace assistette il mago, che crollò seduto accanto a loro.
    - Dovresti essere a posto - sentenziò Anders accettando una fiaschetta di quello che pareva vino da Grace, che lo aiutò a rialzarsi subito dopo. - Grace, raduna i feriti dentro la fortezza, formiamo una catena. Tra poco qui sarà l'inferno -
    I due maghi si allontanarono da lui, lasciandolo con il braccio e la guancia completamente sanati, la spada accanto alle gambe distese e i dubbi che gli divoravano il cervello. Uno in particolare non gli lasciava tregua.
    Dov'era Cloud?
    Anche Roxas aveva questa domanda a tarlarlo, ma in quel momento ritrovò appieno tutta la grinta che aveva a Minas Tirith e pensò unicamente ai propri doveri. Più a suo agio quando oppresso dalle responsabilità che spensierato, il giovane Custode combatteva alla testa dei Cavalieri con una tale forza da rincuorare chiunque gli stesse accanto. Narsil fiammeggiava di bianco splendente, abbattendosi sui nemici come la lama del giudizio divino. I Cavalieri, scudi alzati e mazze che roteavano, lottavano fianco a fianco formando una linea difensiva nel tentativo di ricacciare indietro gli aggressori ancora una volta, ma sempre di più sfuggivano al loro schieramento. Il cortile era ormai pieno di cadaveri di entrambe le fazioni. Tidus era accanto a lui, che brandiva la sua lunga spada menando fendenti brutali. Aveva il viso rosso e sudato per la fatica e i muscoli gonfi, ma riusciva a reggere bene: Noctis e Lightning erano stati severi nell'addestrarlo, portando decisamente ottimi frutti.
    - Possiamo farcela, Tidus! - disse Roxas in mezzo alla battaglia, squarciando di netto il torace di un Heartless Cavaliere e calciandolo indietro. - Le forze di Zexion sono ridotte a meno di un quinto, ormai! -
    Un quinto voleva dire che c'erano a stento duemila soldati rimasti, se i calcoli delle streghe erano giusti. Ma quello che Roxas non voleva o non poteva vedere era che i Cavalieri del Tempio erano esausti, molti di loro erano feriti, e almeno un centinaio erano morti nell'impatto degli incantesimi dei Mangiamorte. Erano comunque inferiori numericamente, e parecchio. Se solo avesse potuto dare fondo alle proprie energie, avrebbe potuto chiudere in fretta lo scontro e permettere alle Streghe di prendere il volo, per affrontare i Nessuno magici. Ma Ventus continuava a sconsigliarglielo, era ancora troppo presto e non aveva recuperato abbastanza le energie: poteva solo permettersi di circondarsi di quella tenue aura argentea che faceva fiammeggiare la sua spada. Era quasi inutile in combattimento, ma sembrava che i soldati dell'Enclave, vedendola , avessero recuperato un po' di motivazione. E così combattevano e morivano al suo fianco, prontamente portati via se feriti, guariti e ributtati nella mischia. Ma stavano comunque cedendo.
    I Nessuno e gli Heartless rimasti erano comunque quattro volte il loro numero e continuavano a spingere, sfuggendo anche dalle loro lame per poi essere intercettati dai bastoni di maghi e streghe. Roxas vibrava fendenti con ardore, sempre in testa, sempre il primo ad incrociare la spada con gli altri, ma teneva d'occhio l'ingresso e la fortezza per preparare un'eventuale via di fuga.
    - Niente male, eh? - commentò Tidus spavaldo, atterrando un altro Spadaccino e dandogli il colpo di grazia. - Ho perso il conto di quanti ne ho uccisi -
    - Se continui così, potrai quasi sembrare un guerriero - lo punzecchiò Roxas, nascondendo un certo orgoglio. Era felice di combattere al fianco del fratello maggiore, e fino a quel momento aveva avuto dubbi sui suoi piani per Denzel. Ma vedendo con quale determinazione affondava la lama nei nemici e cercava di difenderlo, fu lentamente costretto a ricredersi. Tidus fece per rispondergli, mentre inchiodava un Simile al muro per poi farlo afflosciare a terra, ma le parole gli morirono in gola alla vista che si parò dinanzi alla fortezza. Roxas voltò istintivamente lo sguardo nella stessa direzione, sentendo un gelo improvviso pervadergli le membra. I suoi occhi si spalancarono nell'orrore.
    Alla testa di una riserva di almeno una trentina di Berserker, la gigantesca figura nera di Lexaeus si palesò nella notte. Alla mano teneva il suo enorme tomahawk rosso e nero con il filo della lama bianco e scintillante. Era avvolto da fiamme nere come la pece, il volto simile a pietra contratto in un'espressione arcigna e ponderante. A quella visione, diversi Cavalieri del Tempio iniziarono una lenta ritirata, indietreggiando con gli scudi alzati e gli sguardi spauriti.
    - Restate fermi! - intimò Roxas con autorità. Per qualche tempo i soldati interruppero la loro fuga, cercando di combattere e continuare ad assottigliare i ranghi dei Nessuno, ma con minore convinzione.
    Lexaeus grugnì, agitò l'enorme lama e la conficcò nella roccia dura, senza alcuna difficoltà: si inginocchiò come se stesse pregando, mentre le fiamme nere attorno a lui vorticavano impazzite. Dalla fenditura che aveva aperto con la sua arma iniziarono a fuoriuscire sfilacciosi filamenti neri, luccicanti di una sinistra luce verdastra; saettarono verso il cielo, frustando l'aria e sibilando come serpenti, intrecciandosi e percuotendo con violenza le rocce, i crinali, i pendii e persino le alte montagne.
    - Che diavolo fa..? - farfugliò Tidus a mezza voce.
    Lexaeus inarcò la schiena all'indietro e lanciò un urlo simile al barrito di un elefante infuriato, che riecheggiò per la catena di Nowart con echi insopportabili, come se cento Lexaeus fossero appostati in ogni anfratto, crepaccio e fenditura dei monti, ognuno dotato di quegli incredibili polmoni. Roxas strinse più forte l'impugnatura di Narsil, cercando di sovrastare il panico che gli montava in petto.
    Un altro grido, simile a un immane ruggito, fece nuovamente tremare la terra sotto i loro piedi: il castello sembrò sul punto di crollare come un insignificante giocattolo, quasi tutti si tapparono le orecchie atterriti, persino i loro nemici si bloccarono scuotendo le teste con aria infastidita e confusa. Poi, rumori confusi di pietra frantumata, penetranti e graffianti come spari. Enormi massi arrivarono da ogni parte, frustati dai filamenti neri che li tiravano verso il loro epicentro. Le rocce si scontravano, si disintegravano, rompevano e frammentavano per poi vorticare confusamente attorno al punto dove il tomahawk era conficcato, formando una colonna alta quasi tre volte il castello di Weisshaupt. Il ruggito continuava, incessante e dirompente, con pezzi di roccia che volavano da tutte le parti. Poi degli urti, mentre i filamenti sembravano prendere una forma umanoide, e furono ricoperti dalle centinaia di pietre che turbinavano attorno al tomahawk. Con una serie di schianti assordanti, le pietre si fissarono, si modellarono e fusero formando una primitiva corazza rocciosa, che terminava con enormi mani; gambe lunghissime furono ricoperte di spessa pietra, una prominente armatura pettorale ne proteggeva il torace. Una testa minuscola fu coperta da un grosso elmo cornuto. La grottesca sagoma umana prese forma, con le sembianze di un ciclopico cavaliere di pietra, talmente alto da superare ampiamente le cime delle montagne su cui sorgeva la fortezza. Alcuni filamenti si unirono fino a formare la una colossale spada, lunga quasi quanto tutto il suo corpo, presto ricoperta di pietra e modellata fino ad essere immensa e squadrata. La creatura voltò uno sguardo buio verso il cortile di Weisshaupt...
    E due occhi simili a inquietanti dischi azzurro-verdi, chiarissimi, si accesero illuminando un roccioso e inquietante sorriso a falce di luna.

    Anche Vanitas era tormentato dalla stessa domanda. L'esplosione e le fiamme li avevano colpiti duramente, anche se avevano avuto la fortuna di essere stati travolti da un tronco, finendo a terra. Roxas e Tidus ebbero una fortuna diversa: un mago cercò di alzare una barriera, riuscendo a difendere solo Tidus. I suoi resti carbonizzati giacevano a pochi centimetri da Roxas, che se ne allontanò annaspando una volta che si riprese dall'impatto. Il Custode dell'Equilibrio riuscì a ripararsi dietro delle rocce, cavandosela con qualche bruciatura prontamente guarita dall'energia di Ventus. Vanitas si accorse di essere rimasto da solo. Accanto a lui non c'era più Cloud, e non era nemmeno in mezzo alla battaglia. Ignorando qualunque altra cosa, l'Unversed si tirò su e si dileguò prima ancora che Allen saltasse per difendere il Custode dell'Equilibrio.
    Lo chiamò continuamente, cercandolo in ogni dove della fortezza: non guardò sul retro o sulle mura, poiché l'istinto glielo sconsigliava. Si spostò invece all'interno, ignorando i maghi che gli davano del codardo, cercando Cloud solo attraverso le proprie sensazioni. Come aveva fatto a sparire tanto in fretta, tra l'altro? Erano stati a terra solo pochi istanti e non l'aveva neppure sentito muoversi.
    "Non può essere fuggito..."
    Cloud non fuggiva. Mai. Anche durante la loro evasione era con la spada in pugno, nonostante fosse in fin di vita e Ike lo avesse rapidamente messo con le spalle al muro. Forse era ferito ed era andato a farsi curare, ma anche quello era improbabile. Cloud non era il tipo da abbandonare uno scontro simile solo perché sanguinante come una fontana da ogni parte del corpo. Ma allora che alternative restavano? Dando retta al suo istinto e alle sue conoscenze, l'unica conclusione era che Cloud si fosse semplicemente volatilizzato nel nulla. Ma quella era ovviamente del tutto inverosimile, dunque non si perse d'animo e continuò a sperare di vederlo da qualche parte in giro per il castello, così da poterlo riportare in mezzo alla battaglia come doveva essere.
    - Hai visto Cloud? - domandò a una giovane Ninfa dagli occhi color zaffiro, indaffarata mentre portava alcune faretre piene di frecce.
    - No - sbottò lei irritata. Lo guardò con disprezzo e gli sputò in faccia. - Ma dagli questo da parte mia, quando lo vedi -
    "Piccola sgualdrina", pensò Vanitas fissandola in cagnesco mentre si allontanava con le frecce che ticchettavano nei rozzi cilindri di cuoio duro. Non poté comunque fare a meno di pensare che uno sputo in faccia Cloud se lo meritasse, dopo essersi dileguato in quel modo da una battaglia cruciale. Inoltre, non era un mistero che tra i ranghi più infimi dell'Enclave Cloud venisse chiamato "Custode voltagabbana" mentre lui veniva chiamato da troppe persone "la puttana del traditore". Era stata Kururu a riferirglielo, e lui si arrabbiò tanto da tirarle uno schiaffo. Lei non se la prese, limitandosi a sorridergli mestamente.
    Correva e correva, ma di Cloud continuava a non esserci traccia. Aveva anche pensato di voltarsi di scatto, pensando che magari si fosse nascosto dietro di lui, ma era un'idea stupida e la sua ovvia conclusione fu che Vanitas si trovò a battere violentemente contro un pilastro mentre girava rapidamente la testa per cogliere il Custode in flagrante.
    - CLOUD, VIENI FUORI! - iniziò a gridare per i corridoi con una tale veemenza da farsi sentire in mezzo al frastuono delle battaglie. Nemmeno quello servì: continuò a non trovarlo, e si ridusse a cercare in ogni singolo anfratto e angolo del Castello, mentre fuori da quelle solide mura l'inferno si palesava sulla terra.

    - Fermi... FERMI! - ordinò Roxas puntando la spada, sentendo il sudore gelido gocciolargli viscido lungo la schiena come una processione di formiche. Cercò un po' di coraggio nella spada di Nabradia, ma Narsil tremava vistosamente come le sue gambe. A quella vista, il suo carisma si dissolse come le sterpaglie sotto un incendio e molti Cavalieri iniziarono una lenta ritirata, combattuti tra il dovere di lottare e il diritto di salvare le proprie vite come meglio potevano.
    Roxas annaspava bramando speranza. Il gigantesco mostro di pietra e magia oscura che si stagliava su di loro era qualcosa che non aveva mai neanche creduto di poter vedere. Forse, solo nei videogiochi di Sora. Era immenso, colossale, infinito. I due dischi azzurrognoli che costituivano gli occhi erano così alti e lontani da sembrare stelle. La sua malvagia e sorridente mezzaluna sogghignava come un predatore famelico di fronte al pasto imminente. La spada che reggeva avrebbe potuto spazzare via il castello con una singola falciata, mietere gli uomini e le donne dell'Enclave come spighe di grano. Non sembrava avere piedi: le gambe erano enormi pilastri pieghevoli che terminavano con una base ridicolmente piccola e squadrata. La creatura sembrava faticare a muovere un passo, come trattenuta da qualcosa, e all'inizio ciò diede agli uomini dell'Enclave la forza di combattere ancora. Ma quando le grottesche gambe superarono la cinta muraria, non tardò a dilagare il panico.
    - E' finita, Custode! - latrò un Cavaliere, incespicando sulla tonaca mentre gettava a terra scudo e mazza. - Muori tu, se tanto ci tieni! -
    E a quell'uomo ne seguirono altri, troppi altri. Le forze di Roxas, giù pesantemente provate dalla disperata carica al portone, persero così tante unità da non risultare più una forza combattiva degna di tale nome. I folli, gli ingenui e i coraggiosi erano rimasti al suo fianco, menando colpi fino a non sentire più le braccia o a morire trafitti da quattro spade consecutivamente. Roxas non poteva continuare a guardare quelli che se ne andavano, dunque tornò alla sua battaglia.
    Poi ci fu un urto.
    Si voltò di scatto, quando a quello seguì un lungo urlo di dolore: un frastuono metallico risuonò per gli scalini che conducevano al castello e quello che vide successivamente furono tre Cavalieri del Tempio riversi a terra. Uno, che aveva cercato di avanzare nuovamente, giaceva a faccia in giù nel proprio sangue, con le ossa del cranio fracassate.
    - Tornate indietro, vigliacchi! - ringhiò un soldato alto, massiccio. Era assai robusto, ma non poteva vederne il volto. Roxas avrebbe voluto avvicinarglisi e chiedergli cosa diavolo fosse successo. Nessuno di quelli che avevano cercato di scappare era riuscito a passare oltre le porte del Castello: due enormi Cavalieri del Tempio si stagliarono sull'ingresso come Revenant viventi, le mazze flangiate in pugno e gli scudi branditi come se dovessero affrontare una carica nemica.
    - Filia... maledetto! - sputò un altro soldato togliendosi l'elmo. Era biondo, con un pizzetto attorno alle labbra e il volto coperto di sangue e sudore. - Vuoi condannarci tutti?! -
    - Una volta che sarete entrati tutti farete la fine del topo - rispose l'uomo chiamato Filia, puntando la mazza contro il soldato. - E morirete le cento morti del codardo, essendo fuggiti da una battaglia. Sei un codardo, Cullen? Spero di sì, perché voglio avere il privilegio di ammazzarti la prima volta -
    Cullen si ritrasse con la paura negli occhi. Roxas non riuscì a vedere altro per un lungo lasso di tempo, dovendosi difendere da tre Spadaccini contemporaneamente. L'intervento di un vecchio Cavaliere lo salvò da una serie di attacchi stancanti e avvilenti, permettendogli così di continuare a combattere altrove.
    - Echtra, prendi parte anche tu a questa follia?! - Cullen tornò alla carica, tenendosi a debita distanza dai due e anche dai combattimenti. Si rivolgeva al secondo Cavaliere. La sua corporatura era più esile di quella del compagno, ma la mazza insanguinata del cranio del soldato morto era la sua. - Cerca di mettere un po' di sale in zucca a quest'idiota! - Nessuno dei Cavalieri osava avvicinarsi.
    - Fa' silenzio, Cullen. Il Castello non ti salverà a meno che non venga ordinata l'evacuazione. Ma se così non fosse, Zexion farà crollare tutta Weisshaupt con noi dentro - la voce di Echtra arrivò rapida e sferzante come una frustata. - In ogni caso, oggi si muore. Scegliete voi come ciò dovrà accadere -
    - E avete un bel fegato a lasciare un ragazzino a combattere da solo - aggiunse Filia con disprezzo, roteando la sua mazza. - Girate i tacchi e morite come si deve! Per cosa credevate di essere stati addestrati? -
    Roxas vide i soldati che avevano cercato di fuggire riprendere le armi e tornare a combattere, ma non c'era alcuna determinazione nelle loro voci, nessuna forza nei loro colpi: la battaglia divenne statica, fasulla. Nessuno di loro era disposto a dare battaglia, tantomeno a morire. Il morale era semplicemente inesistente.
    Zexion aveva vinto.

    - Era ora -
    Vanitas fu percorso da un brivido di sollievo quando trovò la figura rannicchiata nel buio. Era nelle cucine, nascosto tra alcuni barili di birra, con le mani e le gambe che tremavano incontrollate. Persino lì nell'oscurità sotterranea della fortezza dell'Enclave, i suoni e i tremori della battaglia trovavano il modo di passare, come se il Castello chiamasse a raccolta tutti i suoi difensori.
    Cloud Strife sollevò lo sguardo pallido e arrossato, cereo in viso. Aveva una brutta ustione al braccio sinistro e diversi tagli sparsi lungo le braccia e il viso. Quando lo vide, spostò le mani alle orecchie e si appallottolò nascondendo il volto dietro le gambe. Vanitas rimase allibito da quella reazione. Cloud non era nemmeno l'ombra del guerriero che aveva lottato neanche due ore prima al fianco di Roxas in quella difesa disperata. Quando la barriera cadde lui la seguì cadendo nel baratro del terrore, qualcosa di così grande e terribile per lui da impedirgli persino di sollevare la spada, abbandonata accanto ai bracieri come un inutile pezzo di ferro. L'Unversed non dubitava che in quelle circostanze la leggendaria Buster Sword si sarebbe frantumata come un grissino, ancor peggio dei Keyblade di Roxas.
    Cloud non diceva una parola. Restava lì immobile, terrorizzato come un bambino, probabilmente desiderando solo che quella battaglia finisse. E sapeva anche cosa temesse: di finire nuovamente nelle mani di Zexion, rivivere gli orrori che subiva ogni giorno, ogni notte, sempre. Poiché Zexion diceva che avrebbe terminato di torturare la sua vittima solo quando avesse sentito la gioia pervaderlo. Ma essendo senza cuore e dotato di un residuo infimo e meschino, tale sollievo non giungeva mai e chiunque capitasse tra le sue mani finiva per uccidersi negli incubi che provocava, pur di cessare quel tormento infinito.
    - Cloud? - chiamò gentilmente, chinandosi per prendergli una mano, ma il Custode si ritrasse con un gemito. Vanitas non se l'aspettava. Rimase a occhi sgranati a fissarlo come se davanti a lui ci fosse un estraneo. Dov'era l'uomo in grado di fronteggiare da solo un esercito?
    - Cloud, dobbiamo tornare - lo incitò afferrandogli un polso, guardandolo risoluto. Cloud si rannicchiò ancora di più, evidentemente incapace anche solo di concepire l'idea di tornare sul campo. - Roxas è là fuori da solo! -
    - Vattene... - disse un relitto devastato con la voce di Cloud. Non sollevò nemmeno lo sguardo. - Non dire a nessuno dove mi trovo. Lasciami qui... - pregò pronunciando ogni parola con rauca sofferenza, ogni parola simile a uno sforzo troppo grande da sopportare.
    - Qui? - Vanitas sbuffò quasi divertito dall'assurdità della faccenda. - Vuoi ubriacarti fino a morire, Cloud? Vuoi fuggire? -
    - Lasciami stare - ripeté il relitto senza dargli ascolto. Voleva solo che se ne andasse, Vanitas lo sapeva. Ma voleva davvero essere lasciato da solo con le proprie paure, con la propria tristezza? Non poteva credere che Cloud si fosse ridotto in quel modo nel giro di pochi minuti. Continuava a tremare e farfugliare come se fosse ancora sotto tortura, e nei suoi occhi non c'era più la minima traccia della sua vera forza.
    E in quel momento, Vanitas non aveva la minima idea di come comportarsi. Non pensava neppure che Cloud potesse mai dubitare di se stesso fino a quel punto. Era ancorato a un ideale di lui troppo diverso e forte per poterlo anche solo immaginare. E ora che era in quella situazione, si sentiva disperatamente solo e sotto pressione. Solo lui poteva risolvere la cosa, e lo sapeva. Era l'unico in grado di aiutarlo, escluso probabilmente Roxas, ma quest'ultimo era troppo lontano da loro perché potesse far tornare un po' di coraggio nel Custode del Caos. E fu in quel momento che si odiò per ciò che arrivò a pensare.
    "Cosa farebbe Sora?"
    Un profondo sconforto piombò nel suo cuore quando quella domanda gli venne in mente. Perché doveva rifarsi proprio a Sora come modello, nonostante cercasse costantemente di allontanarsene? Fu un affondo talmente violento nel suo orgoglio che per poco non riuscì più nemmeno a formulare un qualsivoglia ragionamento. Solo la determinazione di riportare Cloud in mezzo alla battaglia riuscì a farlo desistere dall'idea di mandare tutto al diavolo e andarsene anche lui.
    - No, non ti lascio stare - rispose Vanitas usando tutta la propria forza per sollevare lo sguardo di Cloud. Non ce ne fu bisogno: era talmente molle e derelitto da non avere nemmeno la forza di fare resistenza. Dovette inevitabilmente chiedersi se ci fosse davvero qualcosa che si potesse fare, se non porre fine ai suoi tormenti tagliandogli la gola. - Cloud, ti prego, devi ascoltarmi -
    Cloud faticava a sostenere il confronto di occhi con le sue stanche iridi azzurre, e solo in quel momento Vanitas si accorse che le ustioni che aveva sul corpo non guarivano da sole come ogni altra ferita. Era possibile che il Caos non riuscisse a guarirlo?
    - Se non combatti, non ci sarà un domani, né per me né per te - cercò di essere realista, di parlare con gentilezza nonostante il frastuono che filtrava dalle mura di pietra e l'ansia che gli pervadeva le viscere, stringendogliele in una morsa di ghiaccio. - Roxas non può farcela da solo, non ha nemmeno un Keyblade! A Minas Tirith avresti voluto combattere assieme a lui, non è così? -
    Era un pensiero timido e fallace, ma Vanitas sapeva che avesse un fondo di verità. Quando per quei pochi attimi aveva avuto in sé parte dell'essenza del Caos che ardeva nel Cuore di Cloud, aveva percepito quella piccola speranza. Cloud che voleva combattere al fianco di tutto ciò che poteva ancora ricordargli suo padre, la sua famiglia, tutto ciò che amava e per cui aveva incessantemente lottato per quei dieci interminabili anni. La prova che Cloud Strife non era stato inghiottito dalla rabbia e dal rancore di Rixfern, la prova che era ancora un essere umano. Completamente.
    - Io so cos'è che ti spaventa tanto - disse Vanitas prendendogli il volto tra le mani con dolcezza. Nonostante i guanti, sentiva il calore della sua pelle. Era confortante. - So che temi Zexion... non hai motivo di vergognartene o nasconderlo. Zexion è potente e pericoloso, anche a me fa paura. E so che dopo quello che ti ha fatto, l'idea di affrontarlo col rischio di cadere di nuovo nelle sue grinfie ti terrorizzi -
    Un barlume di vita riemerse sui pallidi laghi azzurrognoli che erano le iridi di Cloud. L'Unversed si sentì enormemente sollevato nel vederlo, sentendosi sulla strada giusta per aiutarlo. Tuttavia negli occhi del Custode comparve un lampo di rabbia.
    - Tu non sai niente - soffiò Cloud scostandosi debolmente dalla sua presa. - Tu non sai cosa voglia dire essere alla sua mercè... giorno dopo giorno... - qualcosa dentro Vanitas fremette in modo innaturale. - Per quanto lo supplicassi, non si fermava. Ogni giorno per quasi tutto il tempo... sempre... metteva le mani sulla mia testa, iniziava a farmi vedere cose orribili... tutto ciò che non volevo, e lui lo sapeva. Era nella mia testa... nella mia testa, Vanitas... lo sentivo scavare, lacerare, strappare i miei pensieri, mi faceva a pezzi e mi mostrava i brandelli... - Le braccia di Vanitas si strinsero attorno alle sue spalle, e Cloud iniziò a piangere.
    Ma non erano lacrime di dolore. Non c'era frustrazione nei suoi singhiozzi. Era una liberazione, il sollevamento di un pesante coperchio, l'apertura di quella porta cadente che tratteneva le emozioni sopite nel suo Cuore.
    - Non voglio, Vanitas... - gemette senza ribellarsi all'abbraccio, ansando mentre piangeva copiosamente sulla sua casacca nera. L'Unversed era confuso e incerto sul da farsi, ma rimase a stringerlo senza allontanarlo da sé un solo attimo. Sapeva che era la cosa giusta, che era ciò di cui Cloud necessitava in quel momento. Rimase in silenzio, lasciando che sfogasse la sua paura e la sua impotenza, cercando di incoraggiarlo con la propria mera presenza. Avrebbe voluto poter fare di più... si chiese quanto potesse essere efficace la testa di Zexion infilzata su una spada, come cura per quell'improvvisa fobia. - Non voglio che mi rimetta le mani addosso. Non voglio essere di nuovo torturato in quella segreta... - perché sapeva che Zexion non l'avrebbe certo ucciso e basta. Il Burattinaio Mascherato non uccideva senza aver prima cercato il proprio divertimento.
    - Non accadrà, Cloud - disse Vanitas sicuro, guardandolo intensamente. - Stavolta è diverso. Ci sono i maghi, ci sono io, c'è Roxas. Ti aiuteremo e ti difenderemo. Tu vedrai Zexion morire, te lo giuro. E smetterà di perseguitarti, non tornerai in quella segreta -
    - Ma non posso comunque combattere - insistette Cloud faticando per alzarsi. La sua gamba destra era claudicante e ad ogni passo accompagnava un guaito di sofferenza. - Tralasciando le mie ferite... ho troppa paura anche solo per avvicinarmici. Non posso affrontare Zexion, Vanitas -
    - I Keyblade di Roxas saranno presto pronti, credo - replicò l'Unversed preoccupato. - Per sistemare la Buster Sword ci mise poco. Chissà, magari in questo momento si sta affrettando per portarglieli - sperò con un sorriso incoraggiante. - E se così non sarà, affronterò io Zexion. Conosco il suo vero nome -
    - Ienzo - recitò il Custode in un sussurro tremante. - Il più giovane dell'Organizzazione XIII... -
    - Quando avrò finito con lui, non sapranno distinguerlo dal cibo per gatti - sbuffò Vanitas in tutta risposta, spavaldo. - Cloud, stare quaggiù ad autocommiserarti e fare il codardo so bene che non è da te. Se anche in questo momento Zexion dovesse morire, tu saresti comunque il vigliacco che non ha combattuto con gli altri, e non è una cosa che si addice a uno come te -
    - Uno come me - ripeté Cloud con un sorriso mesto. - Cosa pensi che sia io? -
    - Un guerriero - rispose Vanitas senza esitare. - Non un eroe o un salvatore... ma comunque, molto più di quello che Zexion ti fa credere di essere -
    Cloud lo guardò, afferrando la Buster Sword.
    - Io non so davvero cosa sono, in questo momento - disse a voce bassa, rabbuiato. - Ma hai ragione, purtroppo. Non sarà nascondendomi qui che vedrò il ghigno di Zexion sparire dalla faccia della terra - afferrò una caraffa d'acqua da uno dei tanti ripiani, fredda e rigenerante, bevendone una lunga sorsata e gettando via il vetro delicato. - E non posso fare la parte del vigliacco... quella del voltagabbana è più che sufficiente - concluse guardandolo per qualche istante, dritto negli occhi dorati.
    Vanitas sorrise. Fino a quel momento, Cloud gli aveva detto "grazie" una volta sola, ma ormai non aveva più bisogno di sentirselo dire. Quello sguardo fu più eloquente di mille ringraziamenti.

    - NON PENSATE A QUELLA COSA! - urlò Roxas roteando Narsil e atterrando un Heartless Cavaliere, mozzandogli la testa di netto. Non perse tempo per riflettere un istante, andando immediatamente a colpire il successivo. - NON LASCIATELI ENTRARE NEL CASTELLO! FATE RIENTRARE LE NINFE DELLA PROMESSA! - per tutto quel tempo le giovani protettrici dell'Enclave erano rimaste assediate nei torrioni: quelle lontane dal cancello erano riuscite a rientrare, ma quattro o cinque di loro erano ancora minacciate dall'orda di Zexion e i loro guardiani avevano barricato le porte delle torri, nell'attesa di un segnale per la ritirata. Ovviamente le loro difese erano ormai sul punto di cedere e avevano urgente bisogno d'aiuto. A ciò si sommava il terrore generale causato dalla comparsa della colossale statua di pietra: tuttavia essa non si muoveva, limitandosi a sostare in mezzo al cortile con la spada puntata a terra e gli occhi brillanti che trasudavano una silenziosa attesa. Tutt'intorno ad essa, i Cavalieri del Tempio e l'esercito nemico combattevano senza quartiere, con ben poche speranze di sopravvivere: Morrigan conduceva maghi e streghe da battaglia cercando di scalfire la pietra del colosso, ma tutti i loro incantesimi si infrangevano su di esso come le onde sugli scogli.
    Roxas era ormai arrivato alla disperazione più totale. La battaglia era chiaramente persa: i "suoi" soldati cadevano uno dopo l'altro, la loro difesa era labile, e i Mangiamorte non si erano ancora mostrati. Zexion li stava sicuramente tenendo per dare il colpo di grazia alle forze ormai dilaniate dell'Enclave, che combattevano giusto perché non avevano altra scelta. La sopravvivenza aveva abbandonato da tempo le loro speranze. Il Custode dell'Equilibrio cercava di incoraggiarli, continuando a combattere in testa ai loro ranghi, urlando incitamenti e uccidendo nemici a due a due, ma non era abbastanza. Erano tutti sfiniti, spaventati e dubbiosi. Lui stesso era incerto su tutto e la visione di quell'essere in mezzo al cortile, che sembrava solo attendere un segnale per porre fine allo scontro in maniera drastica e brutale, lo rendeva ancora più inquieto.
    Roxas non aveva più la forza di combattere. Le gambe gli tremavano pervase di acido lattico, le braccia gli bruciavano e dolevano, le mani erano talmente esauste e piene di contusioni da riuscire a stento a chiuderle attorno alla spada. Non poteva più continuare, e lo sapeva bene. La fuga sembrava l'unica via d'uscita da quella situazione, ma ovunque si girasse vedeva solo nemici, e sangue e morte.
    - Creatore... - mormorò cadendo in ginocchio. Non vedeva quasi più nulla. Aveva gli occhi stanchi e annebbiati, le orecchie invase da un'ovattato senso di pace. Doveva solo arrendersi... lasciarsi andare per pochi secondi.
    Era già morto una volta, dopotutto.
    I Cavalieri del Tempio iniziarono a ritirarsi senza guardare più niente e nessuno. Forse vide Allen da qualche parte tentare di richiamarli, sentiva le minacce confuse di Morrigan, intravedeva i lampi dei maghi.
    "Non voglio morire, Sora"
    L'aveva pensato quella volta, laggiù, nelle profondità dello Stretto tra Twilight Town e il continente di Midgar. Pensava a Sora. Pensava sempre a Sora, ma quel pensiero non gli dava forza. Cos'aveva fatto per Sora? Non era riuscito a difenderlo da nulla, e ora era lontano da lui. E poi Riku, Kairi, Naminé e Xion...
    Sarebbe morto lì, circondato da nemici, senza coloro che conosceva da metà della propria vita.
    Una fiammata viola investì il colosso.
     
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    Grande capitolo, seriamente, me lo sono mangiato tutto in un sol boccone anche se ci ho messo veramente tanto, e mi scuso veramente tanto.. porca miseria, quasi un mese o.o
    In ogni caso.. ma che hanno fatto Theresa e Flemeth!? Perché la barriera è caduta come se nulla fosse? uhm.. in ogni caso, molto "toccante" la loro chiacchierata, e poi Flemeth-AH che piange!?!?? Thumbs up x2

    AHAH! Meredith morta! Godo, lezza! Povero Greagaoaidfofgiaori (lol), e Allen che pensava di dover comandare, ah-ah, bello mio, c'è sempre Roxas, a te nun te se fila nessuno!

    Poveri Revenant, erano così coatti, che distruggevano tutto.. ç_ç

    Vanitas entra nelle cucine alla Matteo Montesi "se pò bucca chi dentro, c'è nisciu?" e trova un piccolo Cloud che piange.. ANCHE LUI!! PIANGONO TUTTI!! ODDIO!!
    Molto bella la scena tra Vanitas e Cloud, seriamente.

    Anche se mi ha fatto sbavare l'avvento di Lexaeus. :Q_

    Scusa ancora Nyx, il prossimo capitolo me lo mangio prima.
     
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  5. Nyxenhaal89
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    NuoFo capitolo u.u
    A un'eternità di distanza, ma vabé.
    Grazie a Nemesisio per la recensione e a tutti i lettori!
    Spero che questo capitolo vi piaccia :3
    Buona lettura!

    32: Giuramento e Oblio


    L'arrivo di quella possente, meteorica fiamma d'ametista irruppe nella notte dei loro cuori con la potenza di un raggio di sole, quasi un'antefatto di quell'alba che sembrava non arrivare mai. Il cielo nero sovrastava il castello come una cappa soffocante, pregna d'aria viziata e stantia che aveva l'odore del sangue e della morte. Nella confusa devastazione che lo circondava, Roxas vide dei Cavalieri salvarlo dall'affondo di uno Spadaccino, altri portarlo via mentre lui continuava a ribellarsi e dimenarsi. Forse la sua bocca esalava qualche parola, ma tra le urla, gli ordini e la baraonda che imperava nel cortile nessuno lo sentiva. La sue membra esauste si rifiutavano di accogliere la sua forza di spirito, la sola idea di brandire ancora Narsil causava lungo i suoi muscoli ondate di dolore fiammeggiante e improvvise sensazioni di svenimento. Si sentiva molle, sonnolento e debole: i suoi abiti erano intrisi di sangue nero, rosso e argento. Doveva aver subito diverse ferite.
    Ma nonostante tutto, aveva ancora voglia di combattere, ne aveva bisogno. Non poteva riposare neppure un istante, non con l'Enclave in quella situazione, non con i Cavalieri decimati e i Maghi che cercavano inutilmente di contenere l'orda straripante. Non potevano essere rimaste più di un quinto delle forze di Zexion, eppure il corso degli eventi volgeva inevitabilmente a favore del Numero VI. Che avesse pianificato tutto? I Nessuno e gli Heartless, per l'Organizzazione, erano soltanto carne da macello. Ne avevano in ampie quantità, potevano procurarsene altri in qualunque momento ed erano completamente intercambiabili, dunque nessuno di loro era fondamentale. La loro forza stava nel numero, e per quanti ne avessero uccisi in quei mesi, tale numero sembrava soltanto accrescersi. Quel principio non valeva per gli esseri umani. Lo sbalzo epocale dei continenti aveva notevolmente diminuito il numero di persone nel mondo, e ogni uomo che moriva non poteva essere rimpiazzato. Tutti coloro che cadevano in quella guerra disperata erano padri, madri, figli e figlie, nonni, parenti, vuoti che non sarebbero mai più stati colmati da niente e da nessuno. Era quindi ovvio che quella tattica andasse più che bene per Zexion, il quale aveva soltanto lavorato per logorarli e infiacchirli gettandogli addosso i suoi pesci più piccoli: e ora, Weisshaupt era alla mercè dei suoi Mangiamorte e dell'enorme colosso.
    E Tidus? Dov'era Tidus? La domanda gli sorse quasi per caso, mentre si guardava intorno nel tentativo di fuggire ai soldati che tentavano di salvarlo dalla propria scelleratezza. Si voltò da tutte le parti, ma del fratello non c'era la minima traccia. Stava quasi per chiamare il suo nome, ma la parola gli morì tra le labbra. Dopotutto non si era staccato un attimo da lui... ma non poteva essere morto. La sua mente si rifiutava anche solo di pensarci. Tidus non sarebbe morto così facilmente! Doveva ricordare, doveva vedere dove fosse finito, sapeva che l'avrebbe ritrovato, magari al castello, sporco di sangue e ferito ma vivo. Era questa la sua idea, più simile ad una pallida speranza che andava affievolendosi man mano che quella notte maledetta si faceva sempre più nera.
    Udì il ruggito feroce del colosso, un verso cupo, cavernoso e terribile, che riempì le montagne di Nowart con la potenza dei corni di mille eserciti. Chiunque combattesse sotto i suoi piedi scemò, disperdendosi alla ricerca di ripari e di posti sicuri, ogni soldato dell'Enclave circondato da cinque creature dell'Organizzazione. Ma quel verso tremendo non era un motivo di preoccupazione per loro: era Cloud ad averglielo causato, con la Buster Sword in pugno ammantata di fiamme ametista. Volava veloce, una scia nera e violacea nel cielo notturno, e ad ogni suo giro colpiva duramente il mostro, dritto al volto, facendolo barcollare. E fu in quel momento che vide Sora -non era Sora, purtroppo, bensì Vanitas- poggiargli una mano sulla spalla dolorante e aiutare gli uomini a portare il loro recalcitrante e improvvisato leader in una zona più sicura.
    - Vanitas... - esalò Roxas sfinito, lasciandosi cadere a terra quando i soldati lo lasciarono. Erano dentro il castello, accanto alle porte d'ingresso. Le urla soffocate della battaglia sembravano lontane parecchie vite. - L'hai trovato - sorrise, sentendo la stanchezza impossessarsi di lui. Avrebbe voluto addormentarsi lì, magari accucciandosi a Vanitas con la convinzione che fosse Sora. Ma non avrebbe mai potuto ferire il vero Sora in quel modo.
    - Avrei voluto trovarlo prima - rispose Vanitas quasi scusandosi. Porse la mano verso una Ninfa, che gli diede una fiaschetta.
    - No... per favore... - implorò debolmente Roxas. - Non ne posso più di quella roba... - non poteva reggere ancora quell'intruglio la cui proprietà era "togliere la stanchezza". Quando il suo effetto finiva, si sentiva ancora peggio, come in quell'esatto momento.
    - La notte è ancora lunga, Roxas - disse Vanitas duramente. - E tu sei proprio l'ultima persona di cui possiamo fare a meno -
    - Voglio solo riposare un po'... - lamentò il Custode in preda ai dolori. Non c'era un singolo muscolo che non gli bruciasse. Le braccia gli sembrava di averle lasciate sul campo e di averle sostituite con due enormi macigni. - Un quarto d'ora, mezz'ora, non chiedo di più - sapeva quanto Vanitas che in mezz'ora non avrebbe recuperato un briciolo delle proprie forze, ma in quel momento si sentiva debole e indifeso, come un bambino stanco che strepita per tornare a casa.
    Hai usato troppo il potere dell'Equilibrio, Roxas...
    Il rimprovero di Ven era più una preoccupazione, ma non aveva la forza di rispondere nemmeno a quello. Era vero, nella fretta di proteggere l'Enclave aveva usato ogni stilla del suo potere senza riserve, ignorando quanto fosse pericoloso. Voltò la testa in direzione del cortile, cercando di distinguere qualcosa in quell'inferno di lampi e tramestii di spade e scudi.
    - Cloud ce la farà? - domandò guardando le gambe del colosso che continuavano a barcollare, i suoi possenti barriti che assordavano qualunque malcapitato nel reggio di centinaia di metri.
    - Ha detto di sì - rispose Vanitas guardandolo con tristezza. Standogli vicino, sentiva distintamente quella sorta di presenza dentro di sé, quel corpo estraneo che lottava per uscire e ricongiungersi a lui. Aveva pensato a mille modi per fare sì che ciò avvenisse, ma nessuno di essi lo trovava d'accordo. Avrebbe potuto baciarlo, infondendogli il suo frammento d'anima, ma non voleva farlo. Niente lo avrebbe spinto a toccarlo in quel modo, non avrebbe tradito Cloud.
    La cosa peggiore era che non vedeva altre alternative: pensava solo a un contatto fisico, come mezzo per restituirgli quel frammento. E ancora non capiva nemmeno cosa l'avesse spinto a prenderlo quando lo vide galleggiare fuori dal tomahawk distrutto di Lexaeus. Forse era quella parte di Sora che viveva dentro di lui... la stessa che, per il bene dell'Enclave, lo esortava a restituirgli quel frammento in qualunque modo.
    Ma Vanitas non cedette a sentimenti non suoi, preferendo voltargli la testa e ficcargli la fiaschetta in bocca senza troppi preamboli.
    - Bevi - disse autoritario. - C'è bisogno di te -
    Roxas sospirò stancamente, accettando non proprio di buon grado e bevendola tutta d'un fiato. La sua espressione dolente e disgustata si trasmutò presto in una più rilassata, e da questo Vanitas capì che avesse fatto effetto.
    - Come ti senti? - gli domandò prendendogli di mano il contenitore vuoto.
    - Come uno straccio lavato troppe volte - rispose il Custode alzandosi in piedi, barcollante. - Spiegami solo che diavolo potrei farci io... Non posso usare l'Equilibrio, e non sono nemmeno nelle condizioni di combattere decentemente. E non ho neanche quei maledetti Keyblade. In questo momento sono talmente inutile che sarebbe stato meglio se mi avessi avvelenato, Vanitas -
    - Per favore! - sbuffò Vanitas irritato da quell'improvviso attacco di pessimismo. - Prima ti atteggi a salvatore e quando le cose ti vanno male ti rintani in un cantuccio a piangerti addosso? Bah - sbuffò ancora, innervosito. - Ora capisco da chi ha preso - si tappò la bocca, imbarazzandosi per quello che aveva detto. Non stava forse parlando con il presunto padre di Cloud? E avevano un sacco di atteggiamenti in comune, dopotutto. - Però lui sono riuscito a farlo tornare sul campo -
    - Lui si è riposato un bel po' - rispose Roxas senza dare peso al suo piccolo sfogo. - Io non posso nuocere a nessuno, in questo momento -
    - E non pensi a tuo fratello? - ribatté Vanitas guardandolo negli occhi. - Lui è ancora là fuori, e senza offesa, combatterei meglio io senza gambe, con le braccia rotte e gli occhi bendati -
    Roxas rise d'istinto a quell'osservazione. Tidus si comportava bene in battaglia, anche se era più bravo ad attaccare che a difendersi. Era stato ferito superficialmente diverse volte, ma non dubitava del suo valore. Era però innegabile che Vanitas avesse ragione, doveva far rientrare Tidus.
    No, doveva far rientrare tutti. La pietra del Castello era solida e innaturale come quella delle mura, e il portone avrebbe garantito una buona difesa contro quel che restava delle forze di Zexion. I maghi avrebbero potuto proteggere le finestre, restringendo così il campo di battaglia a poche zone e piccoli combattimenti sparsi che avrebbero garantito ai magici massima mobilità. Ma come poteva fare?


    Il colosso barcollò e ruggì, infuriato, cercando di raggiungerlo e ucciderlo. Cloud poteva sentire la sua ira, la sua ferocia, il suo istinto omicida che trasudava da quei dischi inespressivi che aveva a decorargli la piccola e ridicola testa pelosa. Ma sapeva anche di essere troppo veloce per lui. Vanitas l'aveva incoraggiato e convinto a fare un'azione tanto pazza e scellerata come scagliarsi su quell'essere a spada tratta, e più lo combatteva meno ne aveva paura: era sì enorme, ma anche lento e stupido. Quella creatura incuteva terrore e i suoi attacchi a terra erano semplicemente devastanti, ma non poteva nulla contro un nemico aereo. Cloud per esso era solo una mosca, un fastidioso insetto che tuttavia pungeva in modo estremamente doloroso. Fino a quel momento Cloud aveva colpito il mostro tre volte, mulinando la possente Buster Sword con impeto e turbinanti fiamme violacee. Il primo attacco fece ondeggiare pericolosamente la creatura, che usò l'immensa spada per evitare di cadere e diede la schiena al suo aggressore, che calò su di lui un secondo, tremendo colpo sulla zona più debole della corazza di pietra, facendolo barrire di rabbia e dolore. L'essere si riprese e tirò un fendente che avrebbe potuto decapitare una montagna, ma andò a colpire il muro del castello: la pietra millenaria di Weisshaupt emise un bagliore sinistro e inquietante e scaturì un lancinante e chiassoso rumore, una lunga nota cupa simile a quella di un gong che frastornò tutti i presenti e riecheggiò per le montagne. La creatura tremò da capo a piedi, la corazza del braccio che prese a crepitare e scricchiolare come roccia franante, e in uno schiocco assordante i frammenti del suo bracciale si spararono in più direzioni scoprendo il braccio molle e coperto di peluria innaturale. Quindi il terzo colpo, dritto alla faccia del mostro, che ruggì causando uno spostamento d'aria che per poco non spedì Cloud dentro il castello.
    - Non ne hai ancora abbastanza? - lo provocò Cloud sentendo nel cervello l'ebbrezza del combattimento, l'adrenalina che lo sovreccitava senza tuttavia offuscargli i sensi. Solo una volta aveva sentito Zexion parlare dei colossi di Lexaeus, enormi creature che poteva evocare dalla terra stessa. Esse prendevano vita dall'oscurità del mondo e si univano alla roccia, formando un orribile essere vivente dotato di una debole intelligenza e totalmente succube del proprio evocatore. Il lato positivo era che Lexaeus poteva evocarne solo uno per volta e solo con larghi margini di tempo l'uno dall'altro: in altre parole, eliminato quello non se ne sarebbero trovati un altro davanti nell'immediato futuro.
    La cosa più importante da ricordare era che i colossi portavano un marchio che testimoniava la loro totale obbedienza all'evocatore e li manteneva in forma fisica sulla terra, ed era quello che Cloud voleva cercare e colpire. Aveva visto una sorta di mappa del colosso che Lexaeus amava evocare maggiormente, l'enorme gigante di roccia che stava affrontando, e che rispondeva al nome di "Gaius", o almeno così l'aveva chiamato l'Eroe del Silenzio. Un essere ciclopico e dall'apparenza tremenda, un po' come il suo stesso evocatore in fondo. Il marchio era situato da qualche parte dietro il corpo del mostro, ma non ricordava bene dove: la schiena, forse? Se sì, il colpo che aveva sferrato prima avrebbe dovuto ucciderlo all'istante. Invece il bestione era ancora vivo, vegeto e furioso oltre misura: la sua corazza cadeva a pezzi in più punti e fiamme color ametista divoravano la disgustosa peluria di colore indefinibile che albergava sotto la pietra. Cloud evitò con una piroetta a mezz'aria un altro goffo fendente della creatura, che ricadde pesantemente sul muro ovest della fortezza e fece rimbalzare la spada all'indietro, facendo barcollare ancora il colosso con passi impacciati e incerti a causa delle enormi gambe.
    Cloud atterrò silenziosamente sul tetto del castello, studiando il suo nemico. L'aveva indebolito e fatto infuriare, ma era ancora una seria minaccia per tutti gli abitanti di Weisshaupt e per le sorti della battaglia. Poteva anche non essere in grado di perforare la pietra della struttura, ma la sua presenza bastava a dissuadere chiunque dall'uscire e i Mangiamorte di Zexion avrebbero presto fatto irruzione per uccidere qualunque cosa si muovesse dentro le mura interne. Una difesa a oltranza non avrebbe retto all'infinito, a meno che non trovassero qualcosa di definitivo per spezzare quell'assalto. In ogni caso, Gaius doveva sparire da quel cortile.
    - Si è già disinteressato a me - notò vedendo che Gaius cercava di colpire gli uomini a terra schiacciandoli come scarafaggi. Per fortuna la maggior parte aveva l'accortezza di saltare di lato, anche se il costante attacco da parte dei Nessuno e degli Heartless li costringeva a stare costantemente sulla difensiva. Cloud sollevò lo sguardo dal campo di battaglia, verso il cielo, cercando tracce dei Mangiamorte. Avevano smesso di lanciare i loro attacchi da tempo, permettendo ai Nessuno di combattere con lo sfinito esercito dell'Enclave dopo avergli infiacchito a dovere il morale. E ce l'avevano fatta: cosa potevano nemmeno un paio di centinaia di uomini contro una simile potenza magica e fisica? E Gaius ovviamente complicava ulteriormente le cose. Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse fare prima di vedersela con il colosso una volta per tutte, intenzionato a fare la sua parte nella battaglia, ma dappertutto vedeva solo cose da fare. Non poteva essere ovunque allo stesso tempo, come faceva Roxas ad anche solo immaginare una simile responsabilità? Avrebbe fatto meglio a occuparsi solo di Gaius, ma qualcosa bloccò le sue gambe mentre stava per prendere di nuovo il volo tramite il potere del Caos.
    - Chiedo scusa per il disturbo, Custode... - era una Ninfa, dai tratti delicati e il corpo esile. Era sporca di fuliggini e macchiata da bruciature sulle braccia, e solo in quel momento Cloud si rese conto che alcuni Heartless erano riusciti a scalare il castello dandosi battaglia con un manipolo di armature semoventi e alcuni maghi. Le spde di Noctis e gli spari di Lightning spiccavano su tutto. Le fiamme avevano i gazebi e le delicate vie verdi che dividevano la terrazza superiore, avvolgendo tutto nel rosso e arancio della morte.
    - Che succede? - domandò Cloud toccandole una spalla. - Perché non è stato avvisato nessuno? -
    - Non occorreva - assicurò la Ninfa. - Quassù non ci sono state vittime -
    Il pensiero rincuorò il Custode, che poté così concentrarsi nuovamente sulla sua visitatrice.
    - Allora come mai sei venuta a chiamarmi? -
    - Sono stata mandata da Mastro Cysero - disse lei.
    Cloud capì, e non poté fermare il sorriso che gli nacque spontaneamente sulle labbra.


    Fuoco.
    Ovunque si voltasse era circondato dal fuoco, che divorava ogni cosa come un mostro famelico. Non dava tregua, illuminava ogni cosa col suo bagliore mortifero per poi spostarsi a distruggere qualcos'altro, un'irrefrenabile ondata di piena che avvolgeva i portici accanto alle mura e le mura stesse: benché queste non potessero essere distrutte, ne venivano comunque avvolte, lambite e imprigionate. E non c'era solo il fuoco, ma anche le macerie, pezzi di pietra che cadevano da ogni dove, macigni che cedevano dalle pareti inviolabili di Weisshaupt abbattendosi nell'immediato terreno sottostante. Il tremore causato dal gigante di roccia che era comparso dal nulla, gli attacchi magici dei Mangiamorte, il fuoco, ogni cosa stava seriamente provando la difesa della fortezza: si ricordò di aver chiesto per quale motivo non avessero sigillato anche la porta frontale con la magia come le altre, e gli risposero che così facendo sarebbero morti ancor prima, o almeno così aveva detto Theresa. Cos'era cambiato da allora?
    Stavano morendo comunque. Si era separato da Roxas, unendosi ad un manipolo di Cavalieri che miravano a salvare le Ninfe della Promessa assediate: avevano combattuto per le mura come se non ci fosse un domani, ricevendo e infliggendo perdite, esausti ma ancora sospinti da un disperato spirito combattivo: gruppi di Streghe, in piccoli stormi da cinque o sei, saettavano nel cielo lanciando frecce e incantesimi contro i Nessuno, i maghi a terra cercavano di dar manforte ai Cavalieri guarendoli e lanciando magie, e per qualche istante la situazione tornò in un tenue equilibrio.
    Ma poi arrivarono i Mangiamorte e il cortile piombò nuovamente nel caos. Scie nere sfrecciarono nel cielo, intercettarono le Streghe obbligandole a combattere in aria; alcuni atterrarono attaccando di sorpresa maghi e Cavalieri, causando almeno trenta morti in un battito di ciglia. Tidus non riusciva più a escludere dal proprio udito le urla e le esplosioni che avevano pervaso Weisshaupt, ma lui non poteva sopportarle, non voleva sentirle. Il suo cuore sembrava stretto in una morsa di paura, muovere ogni passo era peggio che camminare nella neve alta e dura di Nibelheim, in quegli inverni che gelavano persino il fiato in gola. Ma qualcosa dentro di lui continuava a battere, continuava a ordinargli di combattere. Battiti o muori, gli diceva quella voce nascosta da qualche parte, incitandolo, dando forza alle sue braccia esauste. Tidus Highwind non era dotato del talento strategico del fratello, non aveva la forza di Cloud, non era nemmeno più forte di quei Cavalieri che seguiva, ma sarebbe stato tenace. Avrebbe venduto cara la pelle, portandosi dappresso qualunque nemico fosse riuscito a sconfiggere con la sua lunga spada rossa. Non poteva morire lì, lo sapeva bene: doveva salvare Denzel, riportarlo a casa. Stavolta doveva essere lui a gettarsi tra le fiamme per portarlo fuori sano e salvo, anche a costo di ustionarsi gravemente come aveva fatto Roxas quattro anni prima, da solo e privo di qualunque protezione, spinto unicamente dal proprio istinto.
    Gridò, e un altro Spadaccino cadde a terra morto. E poi un altro, e un altro ancora: la porta che i Nessuno stavano martoriando fu presto liberata dai Cavalieri del Tempio, che si riunirono ai compagni assediati. Al suo interno stava la Ninfa Kururu, la più potente delle sue Sorelle: un altro manipolo di Cavalieri veniva con un'altra, dal corpo esile coperto da una veste verde fluente piena di strappi e bruciature sugli orli: si presento come Vanille, e i suoi occhi erano colmi di terrore.
    - Un altro gruppo ha già messo al sicuro le ultime due, Filia - disse Echtra reggendo a malapena lo scudo. - Bisogna portare in salvo solo queste -
    - Bene - ringhiò Filia. - Tu, ragazzo! - indicò Tidus, che strabuzzò gli occhi. - Vi copriremo la ritirata. Prendi queste due Ninfe e portale sane e salve al castello, mi hai capito? Non voglio che gli succeda qualcosa! -
    - F...farò del mio meglio, signore! - disse d'istinto il maggiore degli Highwind, impettendosi.
    - Lo vedremo. Andate con lui, cercheremo di formare un cordone sicuro. Addio, giovane! - disse il nerboruto Filia, i cui occhi visibili dalla celata avevano l'inconfondibile espressione di chi va a gettarsi serenamente tra le braccia della morte.
    Non dissero altro. I Cavalieri li tennero in mezzo ai ranghi prima di disperdersi nel cortile, parando talvolta gli incantesimi dei Mangiamorte con gli scudi, altri venendone investiti. Erano circa una ventina e presto tutti si ritrovarono in combattimento con Spadaccini ed Heartless Cavaliere, mantenendo la loro promessa: i tre si trovarono al sicuro sotto ciò che restava del portico, senza che qualche creatura venisse ad attaccarli. E corsero. Correvano senza voltarsi indietro, spaventati e atterriti: Tidus eliminò uno Spadaccino sbandato che tentava di colpirli, e nel farlo fu obbligato a vedere il campo di battaglia devastato. Il gigante di roccia colpiva e investiva ogni cosa che si muoveva, ruggendo e ridendo, ma era poco quello che riusciva a fare davvero. Tidus volle voltarsi, ma non poté distogliere lo sguardo dalla visione di Filia che veniva infilzato da sette Heartless contemporaneamente: il prode Cavaliere ne uccise comunque quattro prima di cadere a terra morto, e tutto il resto divenne una nebbia acquosa e confusa.
    Tidus si asciugò gli occhi e continuò a correre seguito dalle due Ninfe, dispensando colpi con la spada dove poteva, vedendo il portone sempre più vicino a loro. Ancora pochi passi, pensava. Ancora poco e saremo al sicuro. Per quanto, non lo sapeva, ma perlomeno aveva qualcosa di chiaro nell'oceano di pensieri che gli facevano esplodere la testa.
    Non durò a lungo. Nello stesso momento in cui lo pensava lo sguardo dell'enorme colosso si posò su di loro e s'illuminò, forse attratto dal potere delle Ninfe, forse direzionato da Lexaeus: la sua gigantesca spada calò rovinosamente su di loro, abbattendosi con violenza inaudita sul muro di cinta. Con un sonoro gong il portico si sgretolò, cadendo addosso al gruppo che dovette dividersi in più punti per evitarlo. Tidus spinse via Kururu e Vanille e si buttò di lato, venendo solo ferito al fianco da una grossa pietra. Il mostro ruggì furibondo per aver fallito nuovamente l'attacco, mentre Tidus si rialzava trattenendo il dolore al fianco.
    - State... state bene? - annaspò alzandosi tra le macerie, afferrando nuovamente la spada.
    - Sì... credo di sì - rispose Kururu afferrando Vanille per un braccio. - Andiamo -
    - Sì - annuì Tidus voltandosi, ma un tonfo seguito dal ciottolio della pietra lo avvertì che una delle due era caduta. - Che succede?! - disse voltandosi di scatto, preoccupato.
    - Non riesco a muovermi... - rispose Vanille mortificata. Le sue gambe erano coperte di ferite sanguinanti e in viso era pallida come un cencio. - Porta via Kururu. Helm non ha bisogno di tutte noi per funzionare. Io posso restare indietro -
    - Nessuno resta indietro! - intervenne una voce dietro di loro. Aveva perso il cappello, una manica del suo cappotto azzurro sbrindellato e ingrigito era stata disintegrata e i buffi pantaloni a righe che portava erano anneriti dalla terra e dagli incantesimi fiammeggianti, ma era più vitale che mai. Vivi, il bambino che gli avevano presentato come "catalizzatore" per il rituale necessario a salvare Denzel, era lì in piedi davanti a loro. Poggiò la punta del bastone di quercia sulle gambe di Vanille, guarendogliele e aiutandola a rialzarsi. - Nessuno resta indietro - ripeté con un sorriso debole.
    - Grazie, Vivi... - disse Kururu colpevole. Purtroppo le Ninfe della Promessa non erano in grado di usare i propri poteri curativi subito dopo aver evocato la barriera di Weisshaupt, e questo era un forte impedimento in una battaglia così cruciale. Intorno a loro gli incantesimi brillavano e baluginavano con sferzanti rumori simili a spari, la battaglia aveva ormai raggiunto un punto in cui nessun rumore era più definibile. Urla e fendenti si mischiavano a esplosioni e ruggiti, grida di dolore e d'incitamento.
    I quattro compagni improvvisati si rimisero a correre nella loro disperata fuga verso il portone, con Vivi alle spalle che respingeva i nemici lanciando onde d'urto: un paio di volte furono costretti a nascondersi dietro le colonne per evitare gli incantesimi, a cui il giovanissimo mago rispondeva per le rime con incredibile rapidità.
    - NO! NOOO! - strillò improvvisamente Kururu: i tre si voltarono e anche Vanille iniziò a piangere disperata, vedendo una Ninfa della Promessa come loro giacere a terra sulla strada che stavano percorrendo, circondata dai cadaveri dei Cavalieri del Tempio che la difendevano. Era Sakura, che aveva aiutato a guarire gli abitanti di Kilika quando Kakuzu e Hidan si scontrarono con Xaldin. Denzel stesso, in fin di vita, fu curato da lei, ma nessuno fu in grado di salvarla da quella battaglia. Giaceva con gli occhi spalancati, rannicchiata in posizione fetale, la veste verde squarciata con sangue e carne sparsi orribilmente attorno a quello che restava del suo corpo pallido.
    - Non c'è più niente da fare, Kururu! - esclamò Tidus trattenendo il proprio sconfortato e rabbioso scoramento e afferrandola dalle spalle, cingendole l'esile addome. - Non possiamo fare più nulla per lei, dobbiamo andare! - la incitava, mentre lei piangeva e strillava, affondandosi le unghie nel viso. - Vanille, aiutami! -
    Lei ubbidì, sovrastando la propria tristezza e afferrando saldamente Kururu, portandola via. Ormai erano alla porta, dovevano farcela. Vedeva le luci della sala, i maghi che difendevano l'entrata, Morrigan che lanciava fulmini e dardi di ghiaccio sbraitando ordini con la voce rotta. Uscirono da sotto il portico, avanzando nella zona poco dinanzi al portone, pericolosamente accanto alla gamba del colosso: e in quel momento più di due dozzine di Nessuno la scavalcarono, le spade sguainate, pronti ad affondarle nelle loro carni. Tidus sapeva che con uno scatto avrebbero potuto ucciderli ben prima che loro raggiungessero il portone, e che nemmeno i maghi sarebbero riusciti a salvarli.
    Restava solo una cosa che poteva fare.
    - Vivi, coprile mentre entrano nel castello! - esclamò puntando la spada. - Cercherò di impegnarli! - gli occhi dorati del ragazzino si spalancarono per la meraviglia, ma non si mosse di lì. - Le uccideranno! -
    - Come no! - disse una voce spavalda.
    Nove spade si conficcarono nel corpo dei Nessuno scaraventandoli all'indietro, cinque spari ne uccisero altrettanti: così ridotti i Nessuno furono massacrati dai maghi, salvando Tidus dalla propria avventatezza.
    E l'attimo dopo, Road Kamelot puntò l'ombrello annerito come una bacchetta, e da esso scaturì una luce immensa e abbacinante che si allargò, dilagò, s'ingigantì fino a formare un'enorme cupola azzurra che andava ingrandendosi sempre di più, escludendo qualunque essere che lei non volesse dal proprio interno: i Nessuno e gli Heartless più deboli ne erano direttamente inceneriti in un luccichio bianco, mentre i Mangiamorte venivano scacciati; il colosso tentò di trattenerla e venne sbalzato all'indietro con veemenza, incapace di contenere una magia più potente di lui...
    E lo videro.
    Avvolto in un manto nero, le mani inguantate, i lunghi capelli blu-violacei che si inondavano sinistramente della luce della cupola, l'occhio azzurro lasciato libero dal lungo ciuffo che brillava di malvagio godimento. Gli bastò puntare una mano davanti a sé e la cupola arrestò la sua corsa, incurvandosi verso di lui come se volesse stritolarlo, ma non riuscì a fare neanche questo: si ritirò formando un ovale apparentemente impenetrabile, mentre Zexion stazionava lì dov'era comparso, una presenza piccola e gigantesca allo stesso tempo, minaccioso più dell'enorme colosso che lo sovrastava.
    I suoi Mangiamorte si unirono presto a lui, avvolti in cappe nere e maschere d'argento, in numero dimezzato, calpestando i cadaveri che trovavano sotto i loro piedi. Lexaeus si mosse vicino al Numero VI, un guardiano silente e inquietante quanto il mostro che aveva evocato. Alle sue spalle, il cielo della notte più buia mai affrontata dalla fortezza dell'Enclave iniziava a schiarirsi. L'alba era giunta.


    Quello che accadde dopo nel castello fu inevitabile: nel giro di pochi istanti, le Ninfe furono oberate di lavoro per assistere le decine di feriti che si erano riversati nella sala d'ingresso. Noctis e Lightning chiusero le grandi porte di legno e ferro e Road stessa le sigillò in modo che durassero il più a lungo possibile. Si sentiva una stupida ragazzina ingenua, nonostate la sua secolare età. Non era riuscita a capire che le illusioni di Zexion, in qualche modo, fossero riuscite ad infiacchire i Cavalieri del Tempio senza nemmeno sfiorare la barriera. Quando l'inganno fu svelato, il morale piombò inspiegabilmente a terra, ben più del normale. E gli arcieri? Uomini addestrati che sì, avevano combattuto ben poche battaglie rispetto a Tyki e i suoi Custodi, ma che vantavano una ferrea disciplina e una solida resistenza che permetteva loro di combattere per ore senza accusare particolare fatica. Come poteva essere stata così stupida?
    - Perché non tiravi fuori quel trucchetto qualche morto fa, ragazzina? - sferzò Cloud con la Buster Sword in spalla, sbucando in mezzo ai feriti.
    - Prova a immaginare perché si possa usare una volta sola, idiota - rispose Road senza degnarlo di uno sguardo. - Siete ferite? - domandò poi a Kururu e Vanille, osservandole con apprensione. Le due Ninfe erano in ginocchio accanto al portone chiuso, le vesti verdi ridotte a brandelli bruciacchiati, gli occhi gonfi di lacrime.
    - Sakura... - singhiozzò Kururu prima di tornare a piangere.
    - Capisco - rispose Road rabbuiata. Si allontanò da loro e riprese a girare tra i feriti.
    Intanto, Roxas si era un po' ripreso, grazie alla pozione che gli aveva dato Vanitas e alla propria residua forza di volontà. Stava in piedi e si guardava attorno, cercando di assistere le Ninfe come poteva affiancato dall'Unversed. Vanitas si era dimostrato più solerte e premuroso di quanto si aspettasse: una sorpresa insolita e gradita, ma che di certo non lo allontanava dai suoi propositi. Fino a quel momento non aveva avuto più possibilità di pensarci, ma non aveva dimenticato le parole di Morrigan: a Esthar avrebbe trovato un modo di ridare la vista a Sora. Ma forse era stato lui a intendere male. Più probabilmente la Strega si riferiva alla riparazione dei suoi Keyblade, molto più importante della cecità del suo compagno. C'era un modo, allora, per ridargli la vista? Oppure aveva solo preso un colossale abbaglio? Avrebbe voluto chiederlo a Morrigan, ma le Streghe erano tutte impegnatissime a sostenere la provvisoria barriera o ad aiutare le Ninfe con le loro conoscenze magiche, mentre Anders andava in giro lamentandosi di aver finito le scorte di erbe medicinali e rimproverava mezza Enclave di non averlo assistito nella raccolta, dispensando incantesimi di guarigione ovunque potesse e obbligando chiunque avesse nozioni di magia taumaturgica di fare altrettanto.
    La conta dei morti era esorbitante. Weisshaupt non contava più di cinquecento tra Cavalieri del Tempio, Magici, semplici abitanti e Ninfe. I primi erano circa duecento o poco più, e di essi erano rimasti ancora in vita appena una trentina e più della metà si erano salvati disertando la battaglia e rifugiandosi nel castello. C'erano quaranta soldati feriti mortalmente e nemmeno i poteri di Anders furono in grado di fermare la loro fine prematura. Gli altri erano tutti morti, e tutti erano rimasti all'esterno del castello, maciullati dai Nessuno e dagli Heartless inferociti dalla propria imminente vittoria. I Maghi subirono poche perdite, mentre le Ninfe erano state dimezzate; in totale, a Weisshaupt rimanevano circa duecento persone, appena un centinaio in grado di combattere e tutti troppo provati per andare avanti. La battaglia si era protratta per tutta la notte e non rimaneva più niente dei diecimila soldati di Zexion, ma aveva ancora quasi quattrocento Mangiamorte, quell'enorme abominio di pietra e Lexaeus, che era immune a gran parte degli incantesimi distruttivi che gli si lanciavano addosso. Roxas ricordò che persino le bombe di Deidara non l'avevano scalfito: come potevano combattere un mostro del genere?
    - C'è qualcosa che posso fare? - domandò ad Anders per distogliersi da quei pensieri cupi. L'unico che era stato in grado di competere con Lexaeus in un corpo a corpo era Kakuzu, ovviamente escludendo Altair. Quanto a Zexion, Riku era riuscito a scaraventarlo giù dal Vegnagun, a Saint Bevelle, ma solo grazie alla collaborazione di Itachi che era riuscito a bloccare i suoi incantesimi con le arti illusorie.
    - No, lascia stare - rispose Anders asciugandosi il sudore dalla fronte. - Se avessi il tuo Keyblade bianco potresti aiutarmi... ma non ce l'hai - Roxas era troppo provato per raccogliere l'offesa e si ritirò verso la scalinata di destra, dove trovò Tidus che lo accolse con un abbraccio stretto e pieno di sollievo.
    - Per il Creatore... - disse con voce tremante. - Come diavolo ci riesci? -
    - Vorrei tanto saperlo - rispose Roxas ricambiando l'abbraccio. - Stai bene? -
    - Quando tutto questo sarà finito, starò decisamente meglio - disse Tidus funereo. - Ma non t'invidio per niente, fratellino... affrontare queste cose tutti i giorni... -
    - Vorrei non doverlo fare, a volte - sospirò il Custode, poggiandosi alla balaustra. - Mi mancano i tempi in cui dormivo fino a mezzogiorno inoltrato con l'unica preoccupazione di portare un bel voto a casa - Tidus scoppiò a ridere.
    - Sembrano passati secoli da allora! - aggiunse il fratello maggiore continuando a ridere, per poi calmarsi di colpo. - Certo che è brutto... pensare di aver vissuto sempre così, in mezzo a questo inferno -
    - Prima o poi prenderemo Xemnas, Tidus - assicurò Roxas. - E allora, questi tempi sembreranno solo un brutto ricordo - Diede una pacca sulla spalla al fratello e si allontanò, un po' sollevato da quel dialogo. Senza Tidus e senza Allen, la sua permanenza nell'Enclave di Weisshaupt sarebbe stata flagellata da un'infinità di dubbi e paure, e probabilmente sarebbe anche morto prima.
    - Finalmente ti trovo - Cloud lo spinse a voltarsi. Aveva un'espressione tranquilla e quasi strafottente, come se quella persona che un'oretta prima si era rintanata nelle cucine a piangere e tremare non fosse lui. - Sarai anche alto e grosso e vestito in modo parecchio vistoso, ma è stata un'impresa comunque -
    - Cosa succede? - domandò Roxas alzandosi in piedi e portando istintivamente la mano all'elsa di Narsil. - Nemici dentro la barriera? -
    - No, no, rilassati - lo tranquillizzò Cloud con qualche gesto pigro della mano. - Ti manda a chiamare quello zuccone della Forgia Celeste -
    - Zuccone? - ripeté Roxas alzando un sopracciglio. - Intendi Cysero? -
    - Sì, lui. Non mi hanno detto perché, ma spero che sia per i tuoi maledetti Keyblade - disse il Custode del Caos con impazienza. - Se ci fa aspettare ancora, potrà metterli sulla tua tomba -
    - Allora vado subito, e speriamo bene - disse l'altro con trepidazione.

    Percorse i gradini che portavano verso la terrazza saltandoli tre a tre, tanta era l'eccitazione che lo pervadeva mentre pregustava già il momento in cui avrebbe finalmente riutilizzato le Chiavi. Una rampa di scale dopo l'altra, il suo cuore batteva sempre più forte e con maggiore emozione, Narsil sembrava così pesante, così inutile al confronto. L'aveva servito bene, quel dono di Rasler: ma Narsil non era la sua spada, sebbene avesse sangue Heios nelle vene. Era la lama che difendeva Nabradia dalla sua fondazione, tramandata di padre in figlio in modo che il formidabile acciaio continuasse a proteggere la nazione. Ma non era solo una questione ideologica che gli dava il bisogno di far tornare Narsil nelle mani del legittimo proprietario. I Keyblade non avevano praticamente peso, nonostante il loro metallo fosse più forte di qualsiasi altro, ed era abituato a maneggiarli con disinvoltura. La spada nabradiana, invece, portava tutto il peso dei suoi materiali e sebbene Roxas avesse la muscolatura atta a padroneggiarne l'uso, il suo braccio non resisteva per più di qualche ora di battaglia serrata. Fu dunque con questi pensieri che attraversò la porta che dava sulla terrazza, trovandosi davanti uno scenario completamente diverso da quello che ricordava.
    Il giorno prima il tetto del castello era un trionfo di colori: fiori di tante specie, erba verde coperta di un sottile strato di nevischio, piante magiche di consistenza cristallina e alberi alti e sottili dalle forme aggraziate carichi di frutta. Il giardino era composto da un ordinato labirinto di sentieri lastricati di pietra e argini che impedivano di camminare negli spazi verdi per errore. Panche di legno bianco lavorate con motivi eleganti e sinuosi costeggiavano le aiuole in diversi punti e lì si sedevano maghi e streghe per discutere delle loro faccende... ma quello che aveva davanti adesso era una versione distorta e grigia di quel tripudio. Il chiarore grigiastro della prima alba montana mostrava gran parte delle ordinate aiuole verdi ridotte a grovigli carbonizzati, alcuni alberi erano caduti, i fiori di cristallo trasformati in cumuli deformi di schegge. Molte panche erano state distrutte e tutt'intorno c'erano segni di battaglia. Nessuno Spadaccini e Mangiamorte macchiavano il percorso un po' dappetutto, ma fu sollevato dall'assenza di cadaveri appartenenti all'Enclave. Mentre proseguiva, vide che davanti all'ingresso della Forgia Celeste alcuni maghi avevano approntato una barricata e lo osservavano guardinghi.
    - Mi ha mandato a chiamare il Fabbro Celeste - disse d'istinto mentre si avvicinava, alzando le mani.
    - Non preoccuparti, Custode - disse la Strega che aveva visto poco prima della battaglia, con un sorriso conciliante. - Nessun abominio di Xemnas può sostare sotto questa barriera - indicò le porte, mentre una decina di maghi si faceva da parte per allargare la barricata. - Mastro Cysero aveva urgenza di parlarti -
    - Anch'io - disse Roxas.
    La porta di pietra della Forgia si aprì al suo tocco, scorrendo con il tipico rumore di roccia contro roccia all'interno della montagna: in breve Roxas, attraversandola, si trovò di fronte alla familiare aquila che sovrastava l'enorme braciere fiammeggiante. Si guardò intorno ma non vide traccia dei Keyblade: una punta di sconforto si fece largo nelle sue speranze, costringendolo a ridimensionare le proprie aspettative. Forse Cysero lo aveva chiamato per dirgli che non era riuscito a forgiarli?
    - Come va la battaglia? - chiese il Fabbro Celeste.
    Roxas si voltò e riuscì a vederlo: era poggiato a una lunga penisola in pietra, oltre la quale notò la presenza di un letto che nella sua prima visita non aveva notato. Perplesso, si girò completamente verso di lui con un'espressione incerta. Gli occhi dell'uomo erano coperti dalla sua zazzera di capelli castani ed era impossibile capire cosa stesse pensando in quel momento. Il Custode non poté fare a mano di sentirsi preso in giro, ma forse era stato lui stesso, con le sue illusioni, a farlo.
    - Male - disse Roxas senza mezzi termini, evitando l'argomento Keyblade. - Ma penso che se ne sia accorto da solo -
    - Qui abbiamo affrontato solo un paio di Mangiamorte sbandati e qualche Spadaccino temerario, niente di che - assicurò Cysero con un dubbio sorrisetto. - Lì sotto com'è andata? -
    - Zexion ci ha schiacciati. Abbiamo solo un centinaio di combattenti spaventati a competere con i suoi Mangiamorte, Lexaeus, lui stesso e quel maledetto colosso di pietra - Roxas non poté fare a meno di sputargli addosso tutta la sua frustrazione. Possibile che l'avesse chiamato solo per quello? Per sapere com'era andata la battaglia? Poteva affacciarsi da quella sua maledetta forgia e vederlo da solo! - E' finita - disse cupo.
    - Ho sentito che la Cupola ha ceduto - disse il fabbro andando ad armeggiare con la sua fucina.
    - Non ne conosco le cause - negò Roxas.
    - Theresa è morta, non c'è altra spiegazione - nella sua voce sembrava esserci del dispiacere, ma se lo provava, non lo dava a vedere. Per contro, Roxas sentì mancargli il terreno sotto i piedi. Se Theresa era morta... certo, ora si capiva perché la barriera aveva ceduto, perché Zexion avesse un tale potere su di loro, perché i Revenant fossero scomparsi! - Lo aveva sempre saputo, che questo giorno sarebbe arrivato -
    - Se lo sapeva, perché non ha fatto niente per evitarlo? Com'è potuto succedere? - il giovane Highwind era nella disperazione più nera. Aveva sperato che Theresa fosse ancora viva, lei di sicuro avrebbe saputo cosa fare, magari sarebbe uscita lei stessa ad aiutarli contro Zexion. Ma aveva senso, dopotutto. Non si era più fatta vedere, e nemmeno Flemeth.
    - Flemeth deve averla uccisa. Erano sole nell'Osservatorio - spiegò Cysero con amarezza. - Povera donna, Flemeth -
    - Come sarebbe a dire?! - Roxas era sconvolto: tra le rivelazioni e le stupide parole del fabbro, non sapeva per cosa inorridirsi di più. - Come può essere una "povera donna", se è stata lei a condannarci tutti? -
    - Chiediti perché Morrigan sia ancora viva nonostante la sua avventatezza - rispose l'altro in tono calmo. - E poi fai un paio di conti -
    - Ha... protetto Morrigan in qualche modo? - non aveva senso. Non ce l'aveva per niente.
    - Flemeth mi raccontò di aver duellato con Zexion, dieci anni fa. Morrigan aveva appena quindici anni, ma era già testarda e arrogante come adesso. Lei lo affrontò, ne fu sconfitta e Flemeth dovette intervenire per difenderla - disse Cysero continuando a muoversi qua e là per la stanza a passo lento, maneggiando questo o quello strumento e prendendoli tra le grosse mani nodose. - Ovviamente Zexion era troppo potente anche per lei: solo un Custode potrebbe davvero batterlo. Flemeth riuscì a salvare Morrigan traslandola all'Enclave, ma lei fu irretita. Zexion le disse che un giorno avrebbe avuto bisogno di lei... e che Morrigan sarebbe morta se non l'avesse accontentato. E Flemeth dovette acconsentire, in segreto, prendendosi la nomea di codarda, di madre degenere e guadagnandosi il disprezzo dei molti nonché, soprattutto, l'odio della sua unica figlia - finendo di parlare, mise gli oggetti in una grossa cassa e la chiuse con indifferenza.
    Roxas cadde seduto su una panca di pietra, spuntata misteriosamente dalla roccia. Se ne sarebbe meravigliato se avesse potuto, ma quella storia l'aveva tramortito. Da quel punto di vista, non poteva giudicare Flemeth. E se davvero solo un Custode avrebbe potuto sconfiggere Zexion, lei era stata condannata a quella maledizione fino a qualche ora prima e tutto perché l'Organizzazione era sempre stata troppo forte per chiunque l'avesse affrontata. Si sentì male. Aveva avuto Zexion a portata di spada per tante volte, e non era mai stato in grado di puntare a lui! Una volta a Spira, mentre Sora cadeva vittima delle sue illusioni... avrebbe potuto colpirlo allora. Oppure a Saint Bevelle. O sarebbe potuto volare tra le montagne durante quella battaglia, stanarlo in mezzo ai suoi Mangiamorte e ucciderlo, liberando Flemeth da quella tortura e lasciandola libera di riaggiudicarsi l'amore della figlia. Ebbe la tentazione di piangere.
    - E ora Flemeth dov'è? - domandò, temendo la risposta.
    - Non credo che serva dirlo - era morta, quindi. Proprio come aveva intuito.
    - Perché mi ha raccontato questa storia? -
    - Perché tu conoscessi la verità. Non è questo che cercate voi Assassini? - domandò Cysero ironico.
    Era vero. Lui era anche un Assassino... anche se a volte, trascinato com'era da un evento all'altro, lo dimenticava. Non avevano mai avuto una vera rotta finora, si limitavano a seguire la corrente sperando di raggiungere il loro scopo. Ma questo doveva cambiare. Una volta ricongiuntosi ai suoi compagni, avrebbero deciso un corso ben diverso e razionale. Si sarebbero fatti forti e non si sarebbero più separati, se necessario avrebbe costretto anche Cloud e Vanitas a collaborare con loro. Ogni Keyblade disponibile doveva essere impiegato per eliminare una volta per tutte l'Organizzazione e restituire il Frutto dell'Eden al Kingdom Hearts, risanando l'Armonia. Ma prima di tutto, andava sconfitto Zexion.
    - Hai un piano contro Zexion? - domandò Cysero cogliendolo di sorpresa. Aveva una voce piuttosto seria, in quel momento, e un piglio decisamente più ricettivo del solito.
    - Sì, credo di sì - ci aveva pensato mentre parlava con Vanitas. L'Unversed gli aveva raccontato del motivo per cui Cloud temesse tanto il Numero VI dell'Organizzazione, e aveva anche accennato ai possibili modi per contrastarlo. - Zexion è forte delle sue illusioni e degli incantesimi, ma a corta distanza è vulnerabile -
    - C'è Lexaeus a difenderlo - ricordò il fabbro in tono d'avvertimento.
    - Vanitas gli ha già tenuto testa una volta - disse Roxas. - E mentre lui si occuperà di separare quel bestione da Zexion, io farò da esca -
    - Hai intenzione di farti attaccare? - il tono meravigliato di Cysero lo fece vacillare.
    - Cercherò di costringerlo a usare le sue illusioni su di me, per uccidermi - annuì il Custode stringendo d'istinto l'elsa di Narsil. - Cloud si terrà a distanza e quando Zexion sarà concentrato su di me, lo colpirà alle spalle -
    - E Lexaeus? - ricordò Cysero ancora una volta, andando dietro la penisola.
    - Se Vanitas l'avrà tenuto a bada fino a quel momento, cosa di cui sono sicuro, io e Cloud interverremo. Non siamo più deboli com'eravamo a Kalm; questa volta avrà la peggio - disse Roxas sicuro.
    - Fai molto affidamento su di loro... - affermò Cysero con una nota ambigua nella voce.
    - Io... ho bisogno di loro - ammise Roxas. - E so di potermi fidare -
    - Anche di Vanitas? - la sua domanda lo lasciò stranito. - Ricorda da cos'è nato -
    - Per quanto io lo detesti - confessò - non mi faccio ingannare dal suo aspetto. Lui non è Sora, lo so. Ma c'è molto di Sora in lui. Per questo avremo successo -
    - Potresti occuparti di Zexion anche da solo, volendo - disse Cysero meditabondo. - Sei un Custode, puoi spezzare da solo le sue illusioni. Cloud non ha potuto farlo perché colto di sorpresa, ma tu verresti irretito con un preavviso che ti avvantaggia -
    - Sì, potrebbe essere - annuì Roxas. - Ma non potrei comunque ucciderlo. Non definitivamente, almeno. Per questo ho bisogno di Cloud e della sua Buster Sword -
    Cysero, inaspettatamente, sorrise.
    - Puoi farlo tu - disse con l'orgoglio nella voce. - Coi tuoi Keyblade -
    Gli occhi di Roxas si spalancarono d'incredulità: da dietro la penisola di pietra, stretto nelle mani robuste del Fabbro Celeste emerse un involto di pesante stoffa marrone, lungo più di un metro. Cysero lo mostrò per tutta la sua estensione e sorrise ancora più ampiamente, per poi porgerglielo. Nel movimento l'involto si aprì appena rivelando, in tutto il loro splendore, le armi tanto agognate in quella dura battaglia.
    - Giuramento e Oblio, forgiati dai frantumi di Portafortuna e Lontano Ricordo - disse fiero, guardandolo. Roxas si sentì trapassato dal suo sguardo. Cysero lasciò che prendesse l'involto tra le mani, con una cura quasi paterna. Strabiliato, Roxas svolse completamente la stoffa e afferrò Giuramento, il Keyblade bianco, separandolo dall'altro e brandendolo; fece scivolare Oblio, quello nero, sulla propria mano destra fino a prenderne l'impugnatura e li roteò assieme. Produssero un sibilo acuto, quasi musicale, luccicando allegramente al danzare delle fiamme della fucina: nelle sue mani i Keyblade parevano sfolgorare e saettare, mentre sentiva il cuore battergli fortissimo, come se le Chiavi e il Custode stessero festeggiando la loro riunione con balli e risate. Roxas sentì gli occhi lucidi e per qualche istante gli parve di sentire il possente ruggito di Yiazmat inondargli le orecchie. I Keyblade erano sostanzialmente identici a prima, ma le lame erano ricche di incisioni che andavano dall'elsa alla punta e in qualche modo sembravano poco più lunghi e inspiegabilmente più decorati. Ma forse era solo la gioia di poterli nuovamente impugnare, che gli faceva sembrare tutto infinitamente più bello.
    - Io... - riuscì solo a dire. - Grazie -
    - Senza troppa arroganza posso dirti che si tratta del mio lavoro migliore - disse Cysero scorrendo la lama di Giuramento con l'indice. - Queste rune sono state incise dal Cuore di Yiazmat. Non ne so il significato, ma credo si tratti di una benedizione in Draconico. Ho pensato, dal momento che si tratta di doppi Keyblade creati da due Draghi giovani e potenti, di non gettare i frantumi e usare il potere di Yiazmat per riforgiarli - accorgendosi di star parlando troppo, Cysero si bloccò e si voltò a fissarlo. - In altre parole, adesso brandisci il potere di due Draghi dell'Equilibrio. Yiazmat e Alduin -
    - Quindi era vero? Yiazmat... vive? Nei miei Keyblade? - domandò incerto.
    - Diciamo di sì - confermò il fabbro. - Il vero Yiazmat riposa a Sovngarde, ma un frammento del suo Cuore è qui, in queste spade. Ma devo avvisarti su Alduin, Roxas. C'è molta rabbia nel suo Cuore. Solitamente un Keyblade spezzato viene gettato via perché il Drago che l'ha creato è deluso e amareggiato dall'incapacità del suo Custode, e non intende dare altre possibilità; tuttavia, Alduin è rimasto saldamente attaccato a questi frantumi e ha agevolato il processo di riforgiatura...non so perché. Non nutro false speranze. Alduin era grande e orgoglioso, poco incline al perdono - parlava veloce, in tono pratico, come se stesse parlando a un esperto fabbro. Roxas cercò di seguire quanto possibile. - Sta' attento e tratta bene i tuoi Keyblade, Roxas. Collaborare con due Draghi potrebbe esserti fatale. Se il tuo cuore tentenna, Yiazmat potrebbe non riuscire a contenere la furia di Alduin. I Keyblade potrebbero disintegrartisi tra le mani e tu stesso potresti non sopravvivere -
    - So che non voleva mettermi pressione - commentò Roxas con un certo sarcasmo. - Non c'è pericolo, tratterò questi Keyblade come si deve -
    - Vorrei poterlo credere - adesso Cysero aveva ripreso a mettere le cose in altri bauli che spuntavano dal nulla: schioccò le dita e le fiamme della fucina si spensero all'istante. La stanza stessa sembrava diventare sempre più piccola. - Purtroppo, ragazzo mio, avrai ancora molti momenti difficili davanti a te. La parola "fine" per questa storia è ancora lontana... e non so quanti sacrifici si porterà dietro -
    - Pensiamo al presente, per adesso - disse Roxas roteando ancora i Keyblade, sentendo una nuova forza scorrergli nelle vene. - E' il momento di liberare l'Enclave dall'assedio -

     
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  6. Nyxenhaal89
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    Capitolo 33 online!
    Grazie a Nemesis per la recensione (che farà u.u) a tutti quelli che hanno letto finora (5300+ visite... grazie! *W* ), sperando che la storia continui ad appassionarvi e a piacervi! Un saluto a tutti quelli che leggevano, sperando di poterli rivedere su queste pagine.
    Buona lettura!


    33: Il Burattinaio Mascherato

    Fu quindi con il cuore traboccante di nuove speranze che Roxas scese le scale che portavano giù, verso la sala d'ingresso e il salone del trono, totalmente spoglio ora che i paramenti azzurri e il tappeto che partiva dall'ingresso erano stati tolti e tagliati per farne giacigli. Al suo ritorno l'ambiente non era cambiato poi tanto: c'erano ancora i lenzuoli e le barelle che ospitavano i feriti e le Ninfe che correvano senza sosta da un bisognoso all'altro, nel tentativo di accontentare tutte le richieste. Anders, stremato, continuava comunque a fare il proprio dovere di Guaritore e anche le Streghe facevano del proprio meglio, nonostante la loro preparazione fosse più orientata sugli incantesimi offensivi. Road Kamelot girava tra le barelle e le lettighe, dispensando parole di conforto con una voce del tutto diversa dal consueto squittio petulante. Sembrava molto più adulta e non c'era un briciolo della superficiale frivolezza che l'accompagnava, sul suo viso.
    - Buone notizie, vedo - disse Cloud raggiungendolo alle spalle e passando l'indice sull'elsa di Giuramento. - Mi aspettavo una nuova forma -
    - Anch'io. Ma sembra che sia riuscito a riforgiare quelli rotti - rispose Roxas guardandosi intorno.
    - Ti sono anche tornate le forze, a quanto pare - aggiunse l'altro incoraggiante.
    - Spero saranno sufficienti -
    - Eccoti di ritorno - intervenne Road avvicinandosi con passo leggero. La sua voce era davvero molto più matura, il che stonava visibilmente con il suo corpo di bambina. - E appena in tempo -
    - Quanti uomini abbiamo? - domandò immediatamente Roxas senza esitare. Dovevano fare una sortita finché potevano. - Cloud può occuparsi di quel mostro. Possiamo affrontare Zexion -
    - No, Roxas - nel tono di Road non c'era possibilità di appello. - Ho bisogno di te e Cloud nel castello. Il Trio è stato spezzato -
    - Il Trio? - ripeté Cloud.
    - Flemeth e Theresa sono morte. Con loro eravamo il Trio che protegge l'Enclave in assenza di Andraste - spiegò la Noah.
    - Perché ti serviamo nel castello? Un manipolo di bravi maghi potrebbe mettere fuori gioco i Mangiamorte... - Roxas continuava a pensare strategie: la sua testa era percorsa da un viavai confusionario di ipotesi, tattiche, probabilità e schemi che cercava costantemente di razionalizzare e selezionare.
    - Il Trio è stato spezzato - ripeté Road con insistenza. - Theresa e Flemeth sono morte. Andraste è lontana. La via per Mordor è riaperta e questo ci rende un facilissimo bersaglio -
    - Non starai pensando di... - nella mente di Roxas si fece spazio un'amara delusione.
    - Abbandoniamo l'Enclave, Roxas. Tu e Cloud chiuderete la fila e assisterete la ritirata fino al Fosso di Helm, la fortezza nascosta di Hexter - disse con tutta l'aria di aver appena proferito un ordine tassativo.
    - Non abbiamo ancora perso, Road! - il Custode aveva gli occhi spalancati d'incredulità: come potevano volersi arrendere così? - Dopo che hai lanciato la tua barriera sono rimasti solo i Mangiamorte! Possiamo ancora combattere! -
    - E morire - precisò Road con sguardo severo. - Weisshaupt è perduta, Roxas. Zexion ci ha colti nel momento di massima debolezza ed è riuscito a contaminare il Trio rendendoci estremamente vulnerabili. Più di metà degli abitanti di questo castello sono morti e vuoi che ne mandi altri al macello? Non getterò le loro vite in pasto a Zexion per una sortita suicida - rimproverò. - L'Enclave ricade sulle mie spalle, adesso. Devo fare ciò che è meglio per i miei protetti -
    Roxas si guardò intorno, confuso e amareggiato. Tutte le strategie che aveva pensato svanirono nella nebbia indistinta della sua mente e tutto divenne vacuo e pallido all'immaginazione. Sentiva delle vibrazioni provenire dei suoi Keyblade, come se gli spiriti dei due Draghi lo incoraggiassero a fare qualcosa, ma lui non aveva idea di cosa potesse fare per sistemare la situazione. Ma non sentiva di poter davvero biasimare Road per la sua decisione: lui avrebbe sicuramente fatto lo stesso in quelle circostanze.
    - Se fuggiamo ci inseguiranno - irruppe la voce di Cloud, profonda e grave, ma non priva di una sfumatura di scherno. - Possiamo rintanarci in una nuova fortezza, giocare a fare la fazione neutrale e trovarci nuovamente un'armata addosso, magari ancora più grande di quella che abbiamo affrontato oggi. E verremo massacrati, stavolta. Tutti quanti - sottolineò con un cenno del capo.
    - Però ha ragione - dovette ammettere Roxas. - Guardali, Cloud. In qualche modo l'influsso di Zexion ci ha indeboliti tutti. E come se non bastasse siamo pieni di feriti. Se facessimo una sortita, chi si trova nel castello sarebbe indifeso. Se non la faremo... -
    - Ci fosse stato il Trio completo, ci saremmo potuti rintanare qui dentro in eterno - spiegò Road. - In nostra presenza o in quella di Andraste, Weisshaupt è impenetrabile per tutte le creature oscure. Ma sono rimasta solo io; questo rende il castello una preda facile per un mago potente come Zexion -
    - Allora non abbiamo scelta - il Custode dell'Equilibrio portò la mano a Oblio e lo sguainò; la lama luccicò sinistramente al danzare delle torce. - Non vi servono dei Custodi per una scorta -
    - Cosa pensi di fare allora? - domandò Cloud.
    - Siamo Custodi, il nostro posto è fuori da questo castello. E il posto dei nostri Keyblade è nel cuore avvizzito di quei maledetti Nessuno - rispose Roxas stringendo saldamente l'impugnatura. - Io e te dobbiamo restare qui e fare il possibile per eliminare Zexion e la sua belva da compagnia -
    - In due contro un esercito di Mangiamorte? - Road avrebbe voluto ridere.
    - Facciamo tre - disse Vanitas sbucando alle spalle dei due Custodi: lo avevano perso di vista per un bel po' di tempo e non avevano idea di fosse andato, ma sembrava stranamente soddisfatto. - O trecento, se capisci cosa intendo - aggiunse con un sorriso complice per Cloud.
    - Potrai sostenere di nuovo uno sforzo simile? - domandò lui serio.
    - Non sottovalutarmi - rispose Vanitas con saccenza. - Ho tenuto testa all'intera Organizzazione da solo, io -
    La novella guida dell'Enclave rimase per diversi istanti a osservare i tre con tutta l'aria di chi stava fissando dei pazzi o dei condannati a morte, ma qualunque fosse il suo pensiero non si preoccupò di rivelarlo. Si limitò a sospirare pesantemente per poi dirigersi verso il trono di Andraste, voltando le spalle ai Custodi. Sentì i loro passi e le loro voci allontanarsi, mentre discutevano di piani e stratagemmi da usare contro il loro nemico: non erano spensierati come avrebbe potuto pensare all'inizio, ma speranzosi. La battaglia aveva provato tutti, non solo i soldati del castello ma anche quei giovani Custodi; invece di infiacchirli e demoralizzarli, però, erano più determinati che mai a concluderla e Road sapeva che, in qualche modo, ce l'avrebbero fatta. Quella notte era sembrata lunga mesi interi, e sentiva nelle ossa che quell'alba sarebbe stata macchiata di altro sangue. C'era stata troppa morte per Weisshaupt, lo poteva percepire, poteva udire le urla di dolore di coloro che avevano combattuto per difenderla. La fortezza dell'Enclave era ormai destinata all'oblio, al ricoprirsi di crepe e rovinare su se stessa fino a divenire un cumulo informe di malta, granito e pietra in mezzo al crocevia di Nowart. Anche se storicamente era passata di mano in mano nel corso dei secoli, la sua attuale condizione l'avrebbe resa per sempre invivibile.
    E in quel momento, poteva solo immaginare la sofferenza di Andraste.


    Giaceva supina su un letto di piume, avvolta in morbide pellicce d'orso bruno e lenzuola di raso bianco, le membra abbandonate pigramente come prive di vita, i capelli dispersi in un groviglio confuso di fili finissimi e appena ondulati. La sua testa era ancora pesante, come il suo cuore, il cuore che lei aveva istintivamente toccato quando cadde in ginocchio, con l'anima sconvolta da una sensazione mai provata prima. Il dolore di cento, cento e altri cento legami spezzati l'aveva colta con violenza e sorpresa, tramortendola e mandandola in ginocchio con gli occhi schermati di lacrime. E in quel momento, Andraste capì che i suoi protetti, i suoi figli, erano in un pericolo mortale. Doveva essere notte a Weisshaupt, notte fonda mentre lì era l'alba, quando quelle sensazioni iniziarono. E ora, a mezzogiorno inoltrato, esse erano terminate. Ma erano terminate davvero, o la confusione dello svenimento aveva solo affievolito le urla e i pianti che le avevano aggredito le orecchie? Stava parlando con il principe Rasler e Rufus Shinra, anfitrione e ospite del Palazzo Reale di Minas Tirith, quando i sensi iniziarono a venirle meno. Si era congedata con tutto il garbo possibile, per poi barcollare per i corridoi in preda agli ansiti, reggendosi a muri e colonne, sola in un dolore sconosciuto, persa nei meandri di una sofferenza che non riusciva a capire.
    Aveva le sembianze di un corvo, ma sembrarono ali d'angelo quelle che divennero poi le braccia di Medivh, padre di Morrigan e compagno di Flemeth. Quelle braccia la portarono nella sua grande stanza grigia e nera coi muri ad arabeschi argentei, le cui mura, diceva Rasler, avevano ospitato la Regina Evey sua madre quando doveva partorire; poggiata sul letto si abbandonò finalmente a un sonno agitato e scosso, mentre le voci dei suoi figli ormai morti riecheggiavano nella sua mente stanca minacciando di farla cadere in un abisso di follia e dolore. Nei suoi sogni tormentati vide proprio lei, la madre di Rasler, sorriderle con tenerezza e abbracciarla, i capelli castano scuro e la veste bianca che le fluttuavano mossi da un vento invisibile. Le toccò le spalle e i seni, i fianchi e il grembo con tenerezza materna, e poi Andraste si riprese da quel riposo forzato, baciata dai tiepidi raggi solari di mezzodì. Prese lentamente controllo delle sue facoltà prima di iniziare a levarsi pesantemente dal letto, stanca e avvilita. Ravviò i capelli dietro la schiena, sentendo la veste di velluto nero orlata di pizzi d'oro della sera prima ancora indosso: Medivh era un uomo rispettoso e rigoroso, e si aspettava che non l'avrebbe spogliata né avrebbe permesso ad altri di farlo, nemmeno se ciò l'avesse fatta stare più comoda o riposare meglio.
    - Siete sveglia, mia signora - disse la voce lenta e solenne dell'anziano stregone, avviluppato nel suo malconcio mantello rosso stinto dagli spallacci piumati. Il suo viso scarno mostrava rughe profonde e una barba ispida e incolta che terminava con un acuto pizzetto castano. I suoi occhi neri traboccavano di vitalità e potenza, nonostante fosse chiaro che la sua vigilanza fosse stata ininterrotta per tutta la mattina.
    - Avete vegliato su di me - disse Andraste sorridente, sovrastando gli echi che ancora perseguitavano il suo animo. - Odio vedere i ruoli invertirsi... -
    - Siete la donna della mia vita, Andraste. Come la mia amata Flemeth e la mia Morrigan - rispose Medivh sorridendo con un certo compiacimento. - Sebbene siate più vecchia di me, siete come una figlia -
    - Ti ringrazio per il tuo amore, Medivh - disse la Signora dell'Enclave rincuorata. Tuttavia nello sguardo dello stregone leggeva molto più che preoccupazione per il suo improvviso mancamento.
    - Devo chiedervi perdono, mia signora - esordì alzandosi con gravità dalla seggiola di quercia dov'era stato seduto per ore, silenzioso e inerte come un uccello. - I miei poteri hanno avuto l'ardire di sfuggire al mio controllo in vostra presenza -
    Andraste improvvisamente fu molto meno calma. Medivh era un abile mutaforma, signore degli uccelli e maestro nell'arte di comunicare con le creature viventi, di conseguenza era anche un abile telepate. E a causa del suo legame con i componenti del suo Enclave, lei era estremamente vulnerabile a coloro in grado usare un tale potere. E in quel momento, sentendosi persa e sola, Andraste pensava solamente a una persona.
    - Tuttavia, adesso non posso tirarmi indietro dal confessarvi le mie preoccupazioni - proseguì Medivh afferrando il bastone dal pomo a forma di corvo che portava sempre con sé. - E cercare di dissuadervi dal proseguire una simile condotta con uno dei vostri Custodi -
    - Perché, Medivh? - chiese lei mantenendo la calma il più possibile, cercando di non mostrare la propria preoccupazione. - Perché sono la vostra signora? Perché non è appropriato? -
    - Perché è un Custode, mia signora. Un Custode che in questo momento sta per affrontare una prova mortale, e che forse non sopravvivrà a questa guerra. Amare un Custode non è amare una persona comune - disse lo stregone in tono pacato, ma le sue parole non trasmettevano alcun rimprovero: solo preoccupazione, costante e irrefrenabile. - Amare un Custode significa amare l'incertezza. Affidare i propri sentimenti a un salto nel vuoto. Amare un Custode è sofferenza, Andraste - l'aveva chiamata per nome, in quel modo che la faceva sempre sentire una bambina bisognosa d'affetto.
    Per un attimo fu tentata di dargli ragione. E come dargli torto? Lei lo sapeva bene, ogni volta che Artix indossava quell'armatura per andare in battaglia e usciva dalle porte di Weisshaupt, non ne avrebbe facilmente fatto ritorno. Ma non poteva smettere di amarlo. Per quanto si fosse sforzata, semplicemente stare in sua presenza animava sentimenti disperati, la faceva sentire la donna che sarebbe dovuta essere, le dava la forza di proseguire in quella lotta logorante e terribile. Artix era tutto ciò che si frapponeva tra lei e un abisso di dolore. Si alzò a sedere con incredibile lentezza, per poi darsi la spinta per mettersi debolmente in piedi. Aveva bisogno di mettersi sulle proprie gambe, di non sentirsi malata. E in quel momento continuava a vedere la regina Evey del suo sogno.
    - Il tempo dell'Enclave è giunto al termine - disse Andraste cupa. - Per cento anni abbiamo servito la causa dei Custodi, abbiamo fatto sacrifici in nome della pace. Ma ormai non dipende più da noi. Gli eventi di stanotte hanno dimostrato che questa guerra è troppo grande per noi -
    - E questo cosa significherebbe? - insistette Medivh. - Anche se l'Enclave si ritirasse, Artix Pendragon resta un Custode, e... -
    - Non chiamtelo a quel modo - lo rimproverò lei ergendosi con autorità. Lui odiava che si dicesse il suo vero cognome, che gli si mostrasse lo spettro del suo retaggio.
    - Io mi preoccupo per voi, Andraste! Non voglio vedervi soffrire! - esalò Medivh quasi esasperato, reggendosi al bastone. - Credete che io non sappia di cosa parlo? -
    Flemeth, pensò. Flemeth era morta quella notte stessa senza che lui potesse far nulla. Sarebbe potuto volare dalla sua donna e salvare l'Enclave, o almeno dargli più tempo, invece era rimasto lì al suo fianco. Per difenderla da se stessa.
    - No, Medivh. Io comprendo la vostra sofferenza più di quanto immaginiate. Le lacrime di Flemeth riecheggiano nella mia anima assieme a troppe altre - annuì Andraste conciliante. - Ma io non posso fare a meno di Artix, ormai - negò scuotendo appena il capo. - Io... -
    Le parole le morirono in gola quando si portò, inconsciamente, una mano sul grembo. Una pulsazione, un battito, uno spasimo le causò un forte ed improvviso capogiro. Le gambe le cedettero costringendola a sedere inerte, spaesata, confusa. Medivh si avvicinò prontamente, poggiandole una mano sulla fronte: mosse un polso per tirare indietro la manica della veste marrone che indossava sotto il mantello e si chinò prendendole le mani, che lei si ostinava a tenere sul grembo, ignara di starlo facendo.
    - Andraste... - pronunciò l'anziano stregone con meraviglia: i suoi occhi divennero lucidi nel sentire, attraverso di lei, un battito inconfondibile.
    - Ho fatto la mia scelta, Medivh - disse Andraste percorsa da una felicità indescrivibile, faticando a trovare le parole per descrivere il proprio stato d'animo. - Non piangete per me... rallegratevi invece. Poiché in questi tempi di dolore, c'è ancora spazio per una piccola, grande gioia -
    Dal buio e dal dolore si accendeva una fiamma, divampava una speranza. Dentro di lei, in quel battito, c'era la vita.
    Una vita che lei e Artix avevano creato insieme.


    Uno schianto risvegliò bruscamente i pensieri degli abitanti del castello, atterrendoli nuovamente proprio quando avevano iniziato a tranquillizzare gli animi: non passarono molti istanti che una Strega irruppe nella sala del trono, avvisando che l'enorme colosso di pietra aveva iniziato a colpire la barriera col suo spadone e i Mangiamorte la bersagliavano coi loro incantesimi.
    Road comprese di non avere più tempo per pensare diversamente. Diede fondo a tutte le proprie forze residue e salì in piedi sul trono, in modo che tutti potessero vederla. Batté la punta dell'ombrello tre volte sul seggio facendo scaturire un forte rumore rimbombante, che mise a tacere i brusii spaventati che erano venuti a crearsi. Nel silenzio che seguì, solo gli scoppi e i tonanti colpi che venivano da fuori erano percettibili.
    - Amici miei - esordì la Noah con gravità. Non vedeva i Custodi e l'Unversed, lì in giro. Allen assisteva Anders e Kururu, invece di riposare, usava ovunque potesse i suoi poteri di guarigione, aiutata da Vivi. - Abbiamo combattuto con valore e difeso Weisshaupt con ogni mezzo che potevamo. Tuttavia, il nemico si è dimostrato più subdolo e organizzato di quanto temessimo - e in quelle parole, il cocente e vergognoso senso di sconfitta era udibile. Lei che era del Trio non aveva capito nulla di ciò che era accaduto alle sue Compagne. E per la sua ingenuità, si era trovata da sola. - Non posso chiedervi di tornare a combattere. Non posso ordinarvi di farlo. Non abbiamo altra scelta - prese un profondo respiro, guardando negli occhi tutti i presenti: la fissavano, pendevano dalle sue labbra. Volevano la sua guida e il suo aiuto. Lei che era sempre stata la meno forte del Trio, lei che aveva sempre mantenuto un rapporto di grande confidenza con tutti invece dell'educato distacco di Theresa e Flemeth, lei che era sempre stata la più superficiale, si trovava con addosso il peso di un'Enclave in rovina. Andraste, pregava. Dammi la forza... - Abbandoniamo Weisshaupt - aveva pronunciato quelle parole già con Roxas, se le era ripetute continuamente, ma avevano ancora un effetto bruciante su di lei. Weisshaupt era sempre stata la sua casa da quando aveva abbandonato il Conte del Millennio, spinta da Andraste a fare ciò che era giusto per un bene più grande. Tutti gli uomini, le donne, i bambini che c'erano in quel castello li conosceva, li aveva visti nascere e crescere, invecchiare e morire. Tanti Custodi erano passati per quelle sale. Ogni pietra poteva raccontare una storia, una risata, una lacrima. Weisshaupt era il cozzare delle armi nel cortile d'addestramento, il profumo degli arrosti e delle prelibatezze del refettorio, il candore e la morbidezza dei suoi letti. Weisshaupt era il contegno distante e addolorato di Flemeth e Morrigan, la stramberia di Cysero, la possenza dei Cavalieri e la grazia delle Ninfe, la forza dei suoi Custodi e la saggezza di Theresa, il sorriso e la dolcezza di Andraste. Weisshaupt era casa. - Attraverso il portale ci dirigeremo a Helm, nel deserto di Hexter. Sarà un viaggio difficile, quindi che tutti i guaritori si premuniscano e chi è in grado di combattere si armi. Entro mezz'ora dovremo essere tutti fuori di qui -
    Un silenzio soffocante era calato nella sala. Il calore che la pervadeva sembrava svanito: era come se lo stesso castello stesse addolorandosi per gli eventi a venire. Road taceva nell'osservare i suoi protetti prepararsi come potevano per il viaggio verso Helm. Per ovvi motivi, il portale non conduceva direttamente nella loro fortezza segreta nel deserto: era troppo alto il rischio di essere scoperti dal nemico. Li avrebbe condotti a un giorno di cammino, in mezzo alla roccia spaccata e secca dell'arida Hexter, una strada irta di pericoli anche per maghi e guerrieri esperti. Per questo avrebbe voluto accanto a sé i Custodi, ma evidentemente i due avevano già altri piani in mente.
    Scese dal trono e fece tre passi, prima di girarsi lentamente verso l'alto scranno con l'espressione persa nei ricordi. Andraste sedeva lì pochissime volte, preferendo girare tra i membri dell'Enclave piuttosto che concedere fredde udienze come un'imperatrice. Road puntò l'ombrello davanti a sé in direzione del seggio, chiudendo gli occhi. Mormorò delle parole impercettibili anche al suo udito, ma che lei conosceva bene, al termine delle quali si sentì uno schiocco simile a uno sparo: una linea simile a una netta spaccatura comparve in mezzo alla pietra del grande trono di Andraste. Seguì il rumore di sfregamento della pietra sulla pietra, uno stridore sordo che accompagnò il movimento laterale delle due estremità del trono, che si era separato nettamente in due parti distinte. Le due parti si mossero fino ai lati opposti della sommità della piccola scalinata su cui si trovavano e si fermarono per lasciare spazio a un altro fenomeno: una minuscola scintilla di un azzurro lucente comparve proprio in mezzo a dove poco prima si trovava il trono e andò espandendosi sempre di più, vorticando su se stessa come a trarre energie dal proprio interno per ingrandirsi fino a occupare l'intera sommità, perfettamente contenuta in essa dalle estremità del trono. Road batté la punta dell'ombrello a terra, soddisfatta e rassegnata allo stesso tempo.
    - Dieci Cavalieri e cinque Streghe in grado di combattere ci precedano - ordinò puntando il portale appena creato con un dito. Non si vedeva niente al di là di esso: era solo una superficie azzurra e increspata, misteriosa e intrigante. - Poi le Ninfe e i non combattenti aiuteranno i guaritori a portare via i feriti -
    - Avremmo bisogno di diversi carri, Road - disse Anders avvicinandosi. - Portare tutti i feriti senza il loro aiuto triplicherà i tempi di viaggio -
    - Non abbiamo scelta - ripeté Road. - I carri e gli animali, se non sono stati tutti ammazzati, si trovavano fuori dal castello. Potremmo lavorare su quello che troveremo una volta dall'altra parte -
    - Capisco. Spero che non si riveli un suicidio - sospirò il capo Guaritore stringendo stancamente il bastone.
    - Ho piena fiducia in voi - si congedò la Noah addentrandosi tra gli emigranti, aiutando dove poteva le operazioni di trasporto. C'erano diverse barelle chiazzate di sangue, e i cavalieri avrebbero voluto portare anche i morti per seppellirli, ma Road non ammise scelte simili: li avrebbero non solo rallentati, ma anche esposti a malattie e infezioni che dovevano assolutamente evitare. I Guaritori non erano onnipotenti e i loro poteri erano già stati spinti oltre il limite, quella notte.
    Una Strega tornò indietro dal portale per avvisare che la loro destinazione era sicura: a quel punto tutti gli abitanti rimasti di Weisshaupt iniziarono a muoversi verso l'ignoto rifugio, consci che altri sarebbero morti nel torrido e impietoso deserto Hexteriano. Era la patria dei Qunari quella, giganti dalla pelle d'ebano e i capelli bianchi, che si tingevano con ceneri e pitture quando andavano in guerra e capaci di imboscate e agguati mortali; ma anche di creature insidiose come scorpioni giganti, Olifanti neri e i tremendi Deathclaw, predatori di branco dall'aspetto misto tra un insetto e un umano deforme, dotati di enormi artigli e una velocità e ferocia senza eguali. Sarebbe stato un viaggio lungo e pericoloso. Road si guardò attorno per l'ultima volta, apprestandosi a chiudere la fila. I muri di Weisshaupt, prima così protettivi e accoglienti, parvero come non mai freddi e privi di vita.

    - Stanno finendo di svuotare la sala - osservò Vanitas con una nota malinconica nella voce. Poteva sentire nitidamente il tramestio ai piani inferiori, nonostante la distanza e la pietra a separarli. - Spero che il tuo piano funzioni, Roxas -
    Erano saliti alla stanza dove aveva dormito Roxas, così da poter parlare tranquillamente delle strategie da adottare. La finestra della camera offriva un'ottima vista sul cortile senza il rischio di venire individuati troppo facilmente, e così poterono vedere che Zexion non si muoveva da lì. I lampi degli incantesimi dei Mangiamorte erano ancora più accecanti nel grigio chiarore del primo mattino, e il Colosso continuava a colpire la barriera. Non ci volle molto prima che essa iniziasse a riempirsi di crepe.
    - Presto ci saranno addosso - disse Cloud.
    - E questo dobbiamo impedirlo - Roxas aveva già pronunciato quel piano diverse volte in quei pochi minuti, forse più per convincere se stesso della sua riuscita che per necessità di ricordarlo. - Dovremmo uscire di qui, non penso che una volta che Road sarà andata la barriera potrà reggere -

    Si ritrovarono nella sala del trono ormai vuota, circondati da ciò che restava a testimoniare le sofferenze di quella lunga notte: lenzuola insanguinate qua e là, barelle troppo fragili per essere trasportate a Hexter disposte ordinatamente sui lati della sala con accanto boccette vuote. Un forte risucchio d'aria li costrinse a coprirsi il volto con un avambraccio, mentre i loro vestiti drappeggiavano e i fuochi si spegnevano violentemente, le finestre si spaccavano con fragore spargendo dappertutto schegge di vetro colorato e gli stendardi si strappavano. Quando la calma tornò a regnare poterono azzardarsi a riaprire gli occhi. Il trono si ricomponeva, tornando a occupare il proprio posto. Il portale si era chiuso.
    I loro occhi furono colpiti dallo spettacolo più desolante cui fossero mai stati costretti ad assistere. Raggi di luce diafana penetrarono dalle arcate vuote, mostrando il pigro volteggiare di pulviscolo e cenere: nel giro di pochi istanti la fortezza sembrò deteriorarsi a vista d'occhio, come se ogni secondo fosse un intero decennio. I muri si creparono e ingrigirono, quel che rimaneva del tessuto degli stendardi si tarlò e scolorì. La ridente e possente Weisshaupt sembrò ingobbirsi, invecchiare sempre di più fino a diventare un pericolante relitto di se stessa.
    - Dunque è questo che accade... - pensò Roxas ad alta voce, guardando il soffitto impolverato e pieno di ragnatele che sembrava sul punto di crollare loro addosso.
    - Era davvero viva - disse Vanitas. - E ora ha perso la sua ragione di vivere -
    Cloud fece per parlare, ma in quel momento uno schianto più forte dei precedenti avvertì i Custodi di ciò che avevano previsto. La barriera aveva infine ceduto, e dalle finestre potevano vedere le sue fragile consistenza sgretolarsi in un'iridescente sabbia verde smeraldo, che andò a disperdersi nel vento. Un'ultima pioggia di incantesimi si abbatté sulle stanche mura minacciando di farle cadere su di loro, ma come spinta da un residuo impeto di vita, la fortezza resistette: una folata di polvere e piccoli detriti investì gli ultimi tre abitanti del castello.
    - Vanitas! - chiamò Roxas estraendo i Keyblade.
    - Dammi tempo, maledizione! - l'Unversed corse a sedersi sul trono di Andraste. Improvvisamente, l'aria si fece pesante e cupa. - Andate - disse con voce bassa e apparentemente stanca. - E' meglio se io resto qui -
    - Resto anch'io - disse Cloud. - Non posso lasciarlo da solo. Il rischio è troppo alto -
    - D'accordo - annuì Roxas sentendosi decisamente meno sicuro. - Non affaticatevi a raccogliere i miei resti col cucchiaino - aggiunse con un certo rimprovero nella voce.
    Mentre si allontanava dalla sala del trono, Roxas poteva sentire il peso dei propri passi, che gli rimbombavano nelle orecchie. Non aveva mai fatto una cosa tanto pericolosa e che offrisse così poche possibilità di riuscita. Strinse con forza le impugnature dei suoi nuovi Keyblade, deglutendo rumorosamente man mano che il grande portone d'ingresso si avvicinava, sovrastandolo con la sua cavernosa arcata. Un fruscio inquietante sembrava passargli accanto, accompagnandolo nel suo irreversibile procedere verso il combattimento più letale che avesse mai affrontato.
    Un passo dopo l'altro, fu sulla gradinata d'ingresso al castello. Davanti a lui, nel cortile di Weisshaupt, immobile come un esercito di statue, si stagliava l'esercito di Zexion. L'enorme Colosso lo fissava coi suoi piccoli occhi stupidi, come lui avrebbe potuto guardare una formica prima di schiacciarla. La stretta sui Keyblade si fece ancora più forte. Altri quattrocento occhi nascosti nell'oscurità delle maschere d'argento lo osservavano attentamente, con le bacchette tese e pronte a decretare le sua fine. Lexaeus era dietro Zexion, le braccia incrociate mentre sovrastava il basso Nessuno con espressione truce.
    "Sora..."
    - Sei rimasto solo tu - esordì Zexion avanzando appena, disarmato. - Sono dunque fuggiti -
    - E ora? - riuscì soltando a dire, pronto a scattare.
    - E ora farò ciò per cui sono venuto - rispose il Burattinaio Mascherato facendo apparire sulla mano il suo enorme libro, il Lexicon. Pose due dita sulla parte superiore dell'oggetto, e in un sinistro bagliore esso si tramutò in una bacchetta come quella dei Mangiamorte, ma argentea e ricoperta di rune nere incise: la tenne con leggerezza tra l'indice e il medio, bilanciandola col pollice, guardando malignamente Roxas col suo occhio azzurro non coperto dal ciuffo. - Hai combattuto con valore, Roxas. Te lo concedo... - la punta della bacchetta prese a sfrigolare emettendo scintille violacee. - Ma non abbastanza. Io ero venuto qui per te, Roxas... e per quei traditori che nascondete tra queste mura decrepite. Pensate davvero che a noi dell'Organizzazione importasse qualcosa di quelle inutili città? - descrisse un arco, materializzando le immagini fumose delle città che i Nessuno avevano attaccato fino a quel momento. Midgar, Archades, Minas Tirith, Yokohama, Saint Bevelle e tante, troppe altre. - Credete davvero che se avessimo voluto schiacciare i vostri eserciti ci saremmo limitati a forze così misere? Siete sempre stati voi il nostro obiettivo. Solo voi Custodi, con le vostre Chiavi e il vostro potere. E non ci saremmo mai fermati dinanzi a nulla per avervi, vivi o morti -
    - Quindi... a cosa servivano tutte quelle battaglie? Era davvero solo per catturarci? - la voce di Roxas tremava nel dubbio. Se davvero si erano contenuti solo per catturarli, quale poteva essere la loro vera forza?
    - Certamente - annuì Zexion. - Voi Custodi siete chiamati a proteggere questo mondo dalla minaccia che noi rappresentiamo. Quale modo migliore per stanarvi, dunque? Tramite quei ridicoli assedi, mettendovi in condizione di poter rispondere all'attacco, uscivate sempre allo scoperto - sorrise placidamente, fissandolo negli occhi mentre le immagini fumose svanivano. - E se non vi trovavamo, poco importava. Ci procuravamo comunque nuove forze per le nostre armate -
    - Avete fatto male i vostri conti, però - ribatté il Custode non volendo credere a quelle parole. Ma perché Zexion avrebbe dovuto mentire? Non gli occorreva ampliare il suo già immenso svantaggio. - La vostra Organizzazione è dimezzata -
    - Sciocco ragazzino - sbuffò il Numero Vi schernendolo con false risate. - L'Organizzazione XIII è rinata! Quegli incapaci dei tuoi compagni a Ecclesia non sono stati capaci di sottrarre il Frutto dell'Eden a Xemnas. Non che sarebbe servito a qualcosa, ovviamente... l'Organizzazione era già rinata prima. Il tuo amico Unversed ne è testimone. Col potere del Frutto, coloro che avete ucciso sono tornati -
    Roxas spalancò gli occhi sgomento. Forse Vanitas gliel'aveva detto, ma in quel momento non lo ricordava. O forse una parte di lui si era semplicemente rifiutata di crederlo. Avevano fatto sacrifici immani per eliminare solo metà dell'Organizzazione e ora essa tornava forte come prima? Non poteva essere. Solo un'idea simile era terribile a immaginarsi.
    - Io non ho più un Cuore, Roxas - disse Zexion con falsa tristezza. - Perciò... vorrei sapere cosa provi in questo momento - tese leggermente la mano con la bacchetta. - I vostri sacrifici sono stati vani. Per trovarvi, noi Nessuno non ci facciamo scrupoli a trucidare coloro che giurate di proteggere - incalzò, impietoso e crudele, forte di una verità che nessuno aveva mai voluto vedere. - Anche oggi, tutte quelle persone che sono morte sono state uccise a causa vostra. Voi Custodi portate sulle vostre spalle un colossale debito di vite distrutte. La vostra stessa vita mette in pericolo tutto ciò che vi sta vicino. Le vostre armi sono il simbolo dell'ingiusta morte di creature millenarie. Che vi odino o vi amino, le persone che vi stanno intorno vanno incontro alla rovina - vedendo segni di cedimento nel giovane Custode, Zexion si placò. - Perciò dimmi, Roxas... cosa provi in questo momento? -
    Tremò. Roxas tremò visibilmente, trovando il proprio sguardo ipnotizzato dal terreno. Cercò di alzarlo, spaurito e incredulo all'indirizzo del Nessuno. Faticava a parlare, le labbra gli tremavano per sentimenti che non riusciva a focalizzare. Rabbia, odio, dolore, frustrazione: tutto, o forse niente del genere. Il suo cuore pesava. Anche quello di Ven, lo sentiva, un doppio peso su un Cuore incompleto.
    - Io non ti ascolterò - disse forse più a se stesso che al suo nemico. - Non mi ingannerai come hai fatto con Sora. Io non cadrò nei tuoi trabocchetti -
    - Non c'è nessun inganno, Roxas - negò Zexion scuotendo leggermente la testa, con tono conciliante, quasi affabile, come se gli stesse insegnando qualcosa e il Custode fosse duro di comprendonio. - E' tutto vero -
    - Adesso basta! - sbottò il Custode roteando i Keyblade e alzando la guardia, con Giuramento di traverso davanti a sé e Oblio levato in alto, pendente verso il nemico.
    - Oh, giusto. L'unico linguaggio che voi Custodi riuscite a capire - il Nessuno scosse la testa fingendo amarezza. - Non vi rendete neanche conto del terreno che vi crolla sotto i piedi. Non sapete neppure perché fate tutto questo. Sapete solo farvi trascinare dalla corrente e ubbidire agli ordini che vi vengono dati, non è così? Chissà, forse vincerete davvero la battaglia contro di noi - puntò la bacchetta appena verso il basso, mettendosi di sbieco. - Ma sarete disposti al sacrificio finale? A saldare il vostro debito? -
    - NON VOGLIO SENTIRTI OLTRE! - ruggì Roxas dando fondo alle proprie energie: fiamme argentee irrorarono i Keyblade, facendoli brillare di una pallida e minacciosa luce. - NON MORIRA' PIU' NESSUNO A CAUSA VOSTRA! -
    - Parole ardite di un bambino ingenuo - lo schernì nuovamente Zexion. - La corrente non è mai sicura da seguire, Roxas. Specialmente se non sai dove porta - l'enorme Tomahawk di Lexaeus si schiantò a terra dalla parte della lama, mentre il suo proprietario non cambiava espressione. - E visto che sei venuto ad affrontarmi da solo, mi assicurerò di massacrarti come un cane e mostrare i tuoi resti agli stolti che ti accompagnano! - il suo braccio si mosse rapido e letale come il morso di un serpente.
    Una fiammata rossa partì dalla bacchetta e Roxas mise d'istinto Giuramento come uno scudo, sperando che potesse bastare: le fiamme s'infransero sul Keyblade senza danneggiarlo, ma l'impatto lo fece arretrare pesantemente e Roxas inciampò sulle scale, battendo la schiena e perdendo la concentrazione sulle proprie forze. Vide i Mangiamorte puntare le bacchette...
    Il fruscio riprese, leggero, lambendogli le orecchie come un dolce sussurro, carezzandole con parole cariche di sostegno e comprensione. Ci mise poco a capire cosa stesse per accadere. Un sorriso di rivalsa gli si palesò sul volto.
    - Io non sono venuto da solo, Ienzo - pronunciò mentre si rialzava, seguito un attimo dopo da uno stridio acuto e terribile: il verso che prima avrebbe accompagnato i suoi terrori si tramutò in un messaggio di speranza, mentre nove scie di fumo si abbattevano impietose sui Mangiamorte: Lexaeus brandì il suo tomahawk pronto a difendere il Numero VI, mentre Roxas assisteva allibito alla carica improvvisa di due fila di creature sinuose, nere come la pece e dalla consistenza simile a catrame, dalla forma umana e armate di spade spezzate e scudi spaccati. Non ci volle molto perché comprendesse a cosa somigliassero realmente quegli esseri comparsi alle sue spalle. Emanavano un tanfo di decomposizione, come se fossero passati giorni interi da quella notte di battaglia, e il loro equipaggiamento era inconfondibile: erano i soldati e i maghi morti qualche ora prima. E se tanto gli dava tanto...
    "Vanitas..."
    Avrebbe fatto buon uso di quell'aiuto. Qualunque cosa gli fosse accaduta quella pallida e desolata mattina avrebbe portato con sé sia Zexion che Lexaeus e vendicato l'Enclave. Mentre i Mangiamorte si disperdevano lottando contro gli invincibili Nazgul e le creature oscure invocate senza dubbio da Vanitas, Roxas si lanciò alla carica con Giuramento disposta come uno scudo e Oblio puntata verso Zexion: ma l'Eroe del Silenzio si parò tra loro e menò un poderoso fendente dall'alto, costringendo Roxas a frenare la sua carica e scartare di lato poco prima che il colpo dell'enorme arma sfondasse il selciato ai loro piedi. Zexion fluttuava di lato, e puntò la bacchetta invocando delle sfere di fuoco simili a proiettili; il Custode saltò per evitarle, ma scoprì suo malgrado che esse erano in grado di inseguirlo e il suo salto l'aveva portato alla mercé di un altro micidiale fendente di Lexaeus. Roxas incrociò i Keyblade davanti al viso e cercò di evocare uno scudo da Giuramento, ma esso fu facilmente frantumato dai proiettili e il colpo del tomahawk, parato a stento, lo scaraventò dritto sotto il portico pericolante del cortile di Weisshaupt. Si rialzò di scatto e vide il gigantesco Colosso muovere lo sguardo verso di lui, ma era distratto da due Nazgul che continuavano a volargli attorno alla testa facendolo innervosire e impedendogli di colpirlo. In quel momento, in una scia di fumo e fiamme color ametista, vide Cloud intervenire uscendo da una finestra: prendeva rapidamente velocità, avvitandosi su se stesso e lasciandosi dietro scie attorcigliate di pura energia. Con potenza abnorme colpì in pieno l'addome corazzato del Colosso, quasi sfondandolo e facendolo sbalzare goffamente all'indietro, verso le mura della fortezza: non ancora sconfitto l'essere emise un possente barrito, facendo riecheggiare la sua furia per tutta la valle. Roxas non poté vedere altro però, perché notò appena in tempo le fiammate che Zexion gli lanciava addosso: il portico fu invaso da un'esplosione dietro l'altra e il Custode dovette abbandonare di corsa il fragile riparo. Sulle loro teste, Mangiamorte, creature e Nazgul combattevano ferocemente scambiandosi spadate, incantesimi e semplici pugni e calci in una confusionaria baraonda nera come la notte. Roxas evitò una lucente mezzaluna bluastra simile a una falce che andò a tagliare in due una colonna e si trovò ad abbassare repentinamente la schiena per schivare un altro colpo di Lexaeus. Comprendendo di non poter affrontare Zexion se prima non si liberava del suo silenzioso guardiano, il Custode schivò un affondo saltando oltre la spada e mirando coi Keyblade alla testa del suo avversario: con velocità sorprendente, attonito, Roxas venne colpito alla schiena con la parte posteriore della lama finendo sbalzato in aria e fece appena in tempo a parare a malapena una fiammata che lo fece volare di nuovo contro il portico, sfondandolo e perdendo anche Giuramento, che rimbalzò sui detriti finendogli lontano diversi metri.
    - Maledizione... - biascicò sovrastando l'acuto dolore alla schiena e reggendosi a una colonna incerta per riprendere l'equilibrio. Vanitas, se davvero come diceva aveva tenuto testa all'Organizzazione da solo per fuggire con Cloud, evidentemente conosceva i punti deboli dei suoi avversari: e soprattutto, aveva invocato i suoi Nazgul, che sebbene stessero nettamente vincendo non potevano aiutarlo contro di loro. Intanto Cloud continuava a colpire il Colosso in più punti, facendolo barcollare e ruggire di rabbia e dolore: Roxas fece per recuperare giuramento, ma Lexaeus giunse con la potenza di una palla di cannone e minacciò seriamente di tagliarlo in due col tomahawk. Schivò balzando all'indietro e impugnò Oblio con entrambe le mani. Ora che ci pensava, del suo vecchio Keyblade nero non aveva mai capito nulla: sapeva che quello bianco aveva facoltà di guarigione e, come aveva visto combattendo contro i due Nessuno, poteva anche proteggerlo dagli attacchi come un vero scudo. Ma quello nero? Era più affilato dell'altro e la sua lama emanava una potenza sinistra, ma non sapeva se anch'esso avesse facoltà particolari.
    - Ah! - sussultò rimproverandosi per essersi perso a rimuginare in un momento simile: Lexaeus maneggiava la sua enorme arma come se non pesasse affatto, menando possenti affondi e fendenti, dritti e rovesci, incalzandolo implacabile e obbligandolo a schivare. Era impensabile anche solo mantenere una guardia: Altair l'aveva fatto, ma non poteva certo paragonarsi a un veterano come lui.
    Fece un lungo balzo per sfuggire alla gittata di Lexaeus e notò che Zexion cercava di mirare a Cloud per impedirgli di distruggere il Colosso. Il suo comportamento lo incuriosì, ma soprattutto si accorse che quella distrazione gli si presentava su un vassoio d'argento. Avrebbe potuto colpirlo alle spalle col Keyblade...
    E poi il Colosso ruggì, trafitto dall'alto della testa fino alla zona lombare della sua grottesca schiena dalla Buster Sword fiammeggiante di Cloud.
    E Lexaeus urlò a sua volta, cadendo in ginocchio.
    Roxas comprese al volo ciò che stava accadendo: il Numero V era legato a quell'abominio in qualche modo e la sua distruzione lo aveva pesantemente indebolito. In un'esplosione di filamenti neri, il Colosso emise un ultimo sofferente barrito prima di sgretolarsi come argilla, tendendo una mano verso Lexaeus. Pochi istanti dopo, di lui rimasero solo i frammenti di roccia che lo componevano, che caddero entro e fuori le mura come una pioggia di meteore. Quella confusione diede a Roxas la possibilità di colpire: caricò Zexion con il Keyblade che gli restava, pronto ad affondarlo nella sua schiena. I suoi muscoli erano già tesi per quell'azione, mentre sentiva Lexaeus che cercava di riprendere il controllo di se stesso. Vide il Burattinaio Mascherato che si voltava, all'ultimo istante. Sapeva che non poteva evitarlo, il colpo sarebbe andato a segno di sicuro, ormai era troppo vicino...
    Poi, il suo mondo cambiò.
    Non riusciva più a respirare.
    Oblio gli cadde di mano mentre le portava entrambe alla gola, annaspando e gorgogliando per trovare aria: i suoi polmoni sembravano aver smesso di funzionare, di trarre ossigeno. Non sentiva più alcun odore se non quello insopportabile della paura più nera. Aveva gli occhi spalancati, come la bocca, mentre continuava a tentare di respirare, di vivere. Sentiva la propria vita allontarsi da lui. La vista gli si annebbiava mentre il torace sembrava sul punto di esplodere alla ricerca di quell'aria di cui mai come prima aveva avuto bisogno. Vedeva Zexion. Udiva le sue parole. Sapeva che era lui a causargli tutto ciò, in qualche modo, sapeva che doveva ucciderlo. Ma il solo sforzo di alzare Oblio per colpirlo era impossibile.
    - Quanta arroganza - Zexion teneva la bacchetta puntata su di lui, un ghigno perverso che traeva soddisfazione dalla sua sofferenza. - Ora ti farò provare qualcosa di familiare... - sorrise e roteò appena la punta del suo strumento.
    Acqua.
    Roxas poté sentire l'acqua invadergli i polmoni, come sotto il ponte di Twilight Town: una sensazione terribile, fredda, simile a migliaia di spilli che gli si conficcavano nei polmoni. Cadde in ginocchio, tenendosi la gola con una mano. Si sentiva morire, sapeva che sarebbe morto non appena Zexion si fosse stancato. Avrebbe voluto che qualcuno lo aiutasse... dov'era Cloud? E Vanitas, e i Nazgul?
    Sentiva la voce di Cloud, lontana. Troppo lontana... non poteva più udirlo ormai. Tutto diventava buio, e nero. Aveva paura. Tutto come quella notte, ma sentiva il terreno arido sotto di sé, sapeva di essere a Weisshaupt. E sapeva di stare morendo.
    E' solo la tua immaginazione.
    La voce di Ventus riuscì a malapena a perforare il velo di terrore che lo aveva avvolto e che si stringeva su di lui in quella morsa micidiale, però riuscì ad aprirgli uno spiraglio di luce. Vedeva tutto buio ormai, completamente, e lì poteva vedere Ventus, serio, tendergli la mano.
    Non sono sensazioni reali. Non le stai provando davvero. Combattile.
    Voleva farlo, davvero: voleva smettere di soffocare, ormai cianotico com'era, ma dubitava di poterci riuscire. Tuttavia, concentrarsi sulle parole di Ventus gli aveva dato un barlume di speranza. Sentì l'altra mano poggiarsi a terra e i suoi rantolii iniziare ad avere successo. Cercò di concentrarsi sulle parole di Ventus, su quello che doveva fare, su Sora, su Riku, Kairi, Naminè, Xion, Cloud, Vanitas e il viaggio che avevano davanti, in una rapida sequenza di immagini.
    "Sora... Riku... Kairi... " ripeteva nella propria mente, cercando di schiarire le tenebre. "Naminè... Xion...Cloud...Vanitas... " respira.
    Respira.
    Combatti.
    "La nostra missione..."
    Respira...
    Respira.
    "Oblio... Giuramento... Yiazmat... Alduin..."
    Vide il terreno. Vide Zexion. Sentì Oblio accanto a sé.
    - Finiscilo, Lexaeus. Dobbiamo occuparci dell'altro - sentì dire il Burattinaio Mascherato, impegnato già a concentrarsi su Cloud. Quanto tempo doveva essere passato? Evidentemente pochi secondi, forse qualche minuto. Non vedeva più il Custode del Caos, e questo lo inquietava. Il combattimento contro i Mangiamorte sembrava sul punto di terminare. Da quel poco che riusciva a carpire recuperando la vista, molte delle creature di Vanitas erano cadute in quella battaglia. Un formicolio alla nuca lo avvertì che Lexaeus incombeva su di lui, con il tomahawk pronto a smembrarlo e porre fine alla sua esistenza.
    Strinse l'elsa di Oblio, e stupidamente, ingenuamente invocò a sé Giuramento, così lontana, così inutile abbandonata in mezzo ai detriti del portico. Ma ne aveva un disperato bisogno...
    Sentì un clangore metallico vicino a lui: Spazzaterra, l'arma dell'Eroe del Silenzio, volò via dal suo braccio ferito mentre Giuramento roteava, colpendo Zexion al torace e sbalzandolo un paio di metri più in la, fino a conficcarsi a terra accanto al suo padrone. Per un attimo gli parve di vedere Yiazmat sorridergli e tendergli la mano, con la sua consueta espressione incoraggiante e spavalda. Inconsciamente, Roxas annuì e si resse all'impugnatura del suo Keyblade bianco, per poi scartare rapidamente e fare diverse giravolte per sfuggire agli incantesimi di Zexion e a un fendente irato di Lexaeus. Roteò i suoi Keyblade e si mise nuovamente in posizione, pronto al combattimento con i due Nessuno.
    - Spiegami cosa vorresti fare, se non sei neanche in grado di colpirci - disse Zexion giocherellando con la sua bacchetta. - Non è così facile prenderci per stanchezza -
    Roxas non aveva dimenticato il piano: fare sì che Vanitas distraesse Lexaeus mentre lui e Cloud si occupavano di Zexion. Non era una battaglia che potevano affrontare singolarmente, e l'Unversed avrebbe avuto i suoi Nazgul a sostenerlo: quanto a lui e Cloud, sperava che la loro potenza combinata potesse bastare contro un osso duro come Zexion. Tuttavia, se Cloud non usciva fuori e Vanitas non si presentava, il piano non sarebbe riuscito per niente.
    - Non importa - disse Roxas ansante. - Non uscirete vivi da qui, ve lo giuro - percepì di essere sporco di terra e fuliggine, e fradicio di sudore. Era stata una notte troppo lunga, e non sapeva quanto a lungo avrebbe potuto resistere a un combattimento simile. "Avanti, Cloud..." Ma Zexion aveva tutt'altro piano per la testa.
    - Quelle creature irritanti hanno sicuramente una fonte - disse guardando verso l'interno del castello. Roxas seguì il suo sguardo e vide per la prima volta Vanitas, circondato da un inquietante alone oscuro, gli occhi gialli che lampeggiavano come fanali anche da quella distanza. - Lexaeus, occupatene - ordinò. - Per lui e quel traditore io sono sufficiente -
    Lexaeus emise un grugnito e afferrò l'impugnatura dello Spazzaterra, per poi mettersi l'arma sulla spalla e dirigersi verso l'interno del castello: Roxas corse per fermarlo, ma una serie di esplosioni e fiammate provocate da Zexion lo fecero indietreggiare. Questo, in un certo senso, rispettava il piano, ma Vanitas sarebbe stato in grado di combattere o sarebbe stato immediatamente sconfitto? Nemmeno a quella domanda poté trovare il tempo di rispondere.
    Un enorme placca di pietra, probabilmente un pezzo dell'armatura del Colosso, si lanciò dritta verso Lexaeus: l'Eroe del Silenzio la spaccò con un colpo dello Spazzaterra, e successivamente Roxas vide sbiancando Cloud, malconcio e sanguinante da un braccio, lanciarglisi addosso. I due combatterono con le loro enormi spade fino a svanire dentro il castello.
    Cloud stava difendendo Vanitas.
    - I Cuori... - disse Zexion con un sorriso sarcastico, scattando imprevedibilmente su Roxas: il Custode si preparò ad intercettarlo, ma il Nessuno frenò di scatto e lanciò un'altra falciata d'aria. Roxas saltò in alto evitandola e roteando in avanti per infliggere forza a un colpo con entrambi i Keyblade, ma Zexion scattò all'indietro continuando a fluttuare a mezz'aria e menò delle sferzate con la bacchetta fino a creare uno sbarramento continuo di proiettili di fuoco: Giuramento eresse uno scudo più forte stavolta, ma anche questo cedette all'ultimo facendo caracollare Roxas all'indietro senza equilibrio. Recuperatolo, il Custode cercò di nuovo di scattargli contro, ma stavolta un vento violentissimo lo respinse di netto, facendolo cadere a terra. Un attimo dopo un'enorme lancia di roccia uscì dal terreno pronta ad abbatterglisi contro e Roxas dovette rotolare di lato per evitarla, rialzandosi velocemente per poi costringersi ad evitare una serie di incantesimi esplosivi che Zexion continuava a lanciargli, impedendogli di trovare riparo.
    - Non dovevi uccidermi, Roxas? - disse il Nessuno annoiato, lanciando incantesimi senza sosta.
    Roxas stava esaurendo le opzioni. Non poteva continuare a schivare a quel modo, non sarebbe riuscito di certo a farlo stancare. Le forze di Zexion parevano inesauribili e riuscivano persino a spegnere i suoi tentativi di attingere al potere dell'Equilibrio: gli sforzi che faceva per concentrarsi venivano vanificati dalle continue distrazioni causate dagli attacchi repentini del Numero VI. Come faceva a ucciderlo se non poteva neanche avvicinarglisi?
    Sentiva nel castello il fragore del combattimento tra Lexaeus e Cloud, mentre i Nazgul sembravano ormai in netto vantaggio sui Mangiamorte. Nell'arco di quei lunghi minuti, probabilmente dovevano averne eliminati ormai la maggior parte.
    La distrazione per guardarsi intorno gli fu fatale: riuscì solo a parare a stento una bruciante frustata violacea, che lo avvolse e lo scaraventò contro il muro della fortezza: cercò di dimenarsi, ma Zexion aveva già preparato un nuovo incantesimo non appena la frusta si dissolse.
    - Basta così - ghignò con espressione follemente divertita, benché falsa: una luce nera scaturì dalla bacchetta e un raggio dello stesso colore partì verso di lui. Roxas cercò di muoversi, ma sentiva delle mani invisibili trattenerlo sul posto. Strinse i Keyblade, cercando di evocare uno scudo, ma aveva troppa paura anche per fare quello: era come trovarsi in una stanza chiusa. Non poteva fuggire, non poteva muoversi. Sentiva il respiro mancargli, come a Salika, e non per colpa di Zexion. La sua claustrofobia, forse evocata dal Burattinaio tramite qualche sotterfugio o stimolata da quella situazione e dalla sua stanchezza psicologica, era affiorata nel momento sbagliato.
    "No..."
    Usa la tua paura.
    Non era Ventus a parlare. E nemmeno Yiazmat. Era una voce più profonda, più dura. Era come se Oblio gli stesse parlando... e allora capì di chi si trattasse.
    "Alduin?"
    Non trattenere la tua paura. Usala a tuo vantaggio. Scatenala contro i tuoi avversari.
    Il suo braccio si mosse da solo. Dal Keyblade nero partì un raggio pallido partì a intercettare quello di Zexion, lo contrastò, si contorse come a farsi forza per respingerlo: e nonostante fosse stato rapidamente sopraffatto, quell'attimo diede a Roxas il tempo di fuggire proprio quando l'incantesimo di Zexion si schiantava sul muro, esplodendo e sparando in ogni direzione mattoni e calcinaccio.
    Cos'era stato? Una specie di magia come quelle lanciate dal suo avversario? Magari quel potere era stato risvegliato grazie alla nuova forgiatura. Non sapeva di cosa essere davvero certo, tranne del fatto di avere un'arma in più per affrontare il Burattinaio Mascherato. La sua gioia durò poco però, dal momento che Zexion lanciò un nuovo incantesimo sollevando un'immensa nube di fumo; Roxas si coprì gli occhi confuso, cercando di riaprirli per vederlo, ma riuscì solo a sentirsi sollevato da qualcosa e poi scaraventato contro una delle finestre ancora parzialmente integre del castello. Rotolò sul pavimento per diversi metri prima di venire bloccato da un muro. Si rialzò di scatto e tese i Keyblade, ma si trovò nuovamente colpito da un'inconfondibile scia di fumo nero che lo fece volare sul corridoio. Dovevano essere al terzo piano, in mezzo alle varie camere da letto. A quel punto, Roxas acuì il più possibile i sensi per impedire a Zexion di prenderlo ancora di sorpresa, ma il Nessuno aveva già compreso che il trucco non avrebbe funzionato di nuovo e si materializzò in fondo al corridoio lanciandogli un altro incantesimo esplosivo. Roxas rotolò dentro una stanza per evitarlo, ma si trovò Zexion davanti e riuscì solo a evitare di venire smembrato da un'altra esplosione che gli fece sfondare il muro dietro di sé, per poi rovinare sulla pietra di un'altra stanza, circondato da mattoni e polvere che gli ingrigì i capelli e le vesti.
    - Hai resistito molto - complimentò Zexion freddamente, prendendo forma dietro il buco che aveva causato tra le due stanze. - Ti fa onore. Solitamente i Custodi non resistono a lungo alle mie infiltrazioni, sai - spiegò quasi a lamentarsi di non aver mai avuto un avversario particolarmente valido. - Dev'essere stato per la loro età. Raramente ci capitava di affrontare Custodi della vostra età, in genere erano tutti bambini. Piccoli, ingenui e deboli -
    - Non posso credere che vi siate messi a massacrare bambini parlando di giustizia... - replicò Roxas col fiato mozzo. Si sentiva pieno di energie e stanco al tempo stesso, come se la mera presenza di Zexion rendesse tutto fiacco e pesante.
    - La Storia la fanno i vincitori - si limitò a dire il Nessuno prima di puntargli di nuovo la bacchetta contro. Roxas gli corse addosso nel tentativo di atterrarlo, ma Zexion si limitò a muovere la bacchetta con fastidio per gettargli tutti i mattoni del muro rotto addosso, che lo colpirono alle braccia e al ginocchio destro facendolo cadere a terra. Mentre tentava di rialzarsi, una nuova mano invisibile lo afferrò per poi sbatterlo con violenza contro tutte le pareti della stanza, crepandole e incrinandole. Gemette ad ogni scontro, cercando di dimenarsi, ma i Keyblade gli erano caduti: Zexion incombeva su di lui con la bacchetta puntata al suo cuore. La mano invisibile lo prese per i vestiti e lo scagliò crudelmente contro il muro, facendoglielo sfondare in parte e lasciandolo bloccato lì. Roxas era tramortito, esanime. I continui urti alla schiena e alla testa gli avevano causato dolori indicibili, e vedeva e sentiva a malapena. Le orecchie gli fischiavano. Il suo corpo sembrava aver perso ogni mobilità. Non aveva più i Keyblade, abbandonati probabilmente in qualche angolo della stanza. Riuscì a trovare Oblio, inerte accanto al buco nel muro. Cercò di chiamarlo, ma Zexion lo distrasse.
    - C'è una cosa che devo dirti - disse Zexion riponendo la bacchetta nella manica della sua veste nera. Si chinò a terra, sorridendo falsamente allegro al suo indirizzo. Stupefatto, Roxas spalancò gli occhi sentendosi mancare. Era impietrito, incapace di muoversi. La sua mente era invasa dall'incredulità. Non poteva crederci. Si rifiutava di crederci. L'aveva preso. - I Primi furono sei, non cinque -
    Zexion teneva in mano il suo Keyblade.
    - I Keyblade non possono uccidere altri esseri umani. Ma possono uccidere altri Custodi -
    Oblio era nella sua mano, senza che lui l'avesse permesso. Lo maneggiava con totale disinvoltura, come se fosse sempre stato suo.
    - Devo rimpiazzarti, Roxas. Il Kingdom Hearts deve essere aperto -
    Un freddo, lancinante dolore sfondò il suo cuore con una potenza sconosciuta. Per un attimo il mondo divenne un abisso infinito di disperazione. Forse aveva gridato. Poi fu tutto buio.


    Roxas si svegliò di soprassalto.
     
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  7. MrKratos9
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    Ciao Nyx! Sono il vecchio Kratos, ma con un account nuovo dato che non mi trovava il vecchio! Alloooora:
    La battaglia di Wheissaupht o come cazzo si scriva è stata letteralmente emozionante, soprattutto nella parte dei Revenant, in cui hai enfatizzato molto sti combattenti invincibili tipo marionette di Sasori LOL! Ora sta scelta suicida di andare ad Helm mi intrippa un botto, ma non ho capito una cosa... Roxas si svegliò di soprassalto... mi sono perso il momento in cui ha cominciato a sognare. E poi è vero che Zexion era un Custode? O è frutto dell'immaginazione del biondo?
     
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    ECCOMI QUI!
    Ma andiamo in ordine, passiamo con il capitolo che non ho potuto recensire causa poco tempo; allora, che dire.. l'inizio mi ha un po' colpito, povera la signora Valentine che si ritrova diciamo una vedova, anche se non ha perso nessuno xD
    Chissà se gli piacerebbe avere in casa Denzel ora come ora, o dovrei chiamarlo Denzel Noahshington? (ok era pessima).

    La battaglia di Weisshaupt è veramente fantastica, sin da subito (me l'avevi detto che sarebbe durata) fai percepire veramente il senso di tutto quello che accade al lettore, seriamente, non scherzo!
    Mi dispiace per Meredith (SCHERZO BUAHAH), ma più di tutto ancora non mi capacito della morte di Theresa e Flemeth.. ma per me non sono morte. STAI DIVENTANDO TROPPO GEORGE MARTIN TU! é_é

    L'unione fa la forza, ma ti giuro, Vanitas che va a consolare Cloud è stato veramente bello, non me lo immaginavo così -nonmivieneilverbo- Cloud, è sempre stato così puuutente.. Rixfern, ancora mi ricordo quando mi chiedevo chi minghia fosse, non chiedendomi mai però che nella tua fic non era mai comparso Cloud!! mi sento stupido.

    Il capitolo seguente è stato magnifico. Road alla Theoden ordina la ritirata verso il Fosso di Helm (hanno aperto una breccia nel trombatorrione!) ma Roxas, Vanitas e Cloud non ci stanno.. i Nazgul di Vanitas saranno utili, soprattutto Nazsasuke :mk:

    Zexion perfetto; intrigante, provocatorio, semplicemente Ienzo.. mi è piaciuto molto il combattimento, scritto fluido (non mi sono mai fermato, come sempre *ç*), ma se posso dire la verità..
    FINALE MOZZAFIATO!
    Non me l'aspettavo che Zexion potesse maneggiare il Keyblade, e addirittura colpire al cuore Roxas per aprire il Kingdom Hearts! Dove si trova mo?

    SCRIVISCRIVISCRIVI.
     
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  9. Nyxenhaal89
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    Ed eccoci alla fine di questa lunga epopea...
    L'ultimo capitolo della KoLS è qui.
    Grazie a Nemesis e Kratos9 per i commenti, e a Holy per il betaggio!
    Sono riuscito a farvi questo regalo per Natale, e be'... spero che vi piaccia, come sempre. Grazie per essere sempre stati con me in questa lunga avventura!
    Buon Natale!
    Buona lettura!


    34: L'Epilogo


    Fuori dalla finestra regnava una quiete inusuale. Le luci che accompagnavano le notti trasformando la tranquilla città in un riflesso della volta stellata brillavano coi loro colori accesi, giallo e blu, bianco e rosso. L'insegna dell'ostello universitario che si trovava accanto a casa loro lampeggiava a intermittenza, ronzando come una mosca intrappolata nella tela. Ogni tanto qualche clacson ricordava la presenza della civiltà in quel distretto, uno dei più tranquilli della città. Nonostante avesse palazzi di quindici e più piani, infatti, a causa della mancanza di edifici di una certa importanza il traffico automobilistico era relativamente poco. La luna si intravedeva appena nella cappa di nubi notturne, che unite all'inquinamento luminoso impedivano la visione della gran parte delle stelle escluse quelle più fulgide, che nonostante la loro magnificenza non apparivano più brillanti di quelle appena visibili in condizioni normali.
    Era abituato a guardare dalla finestra quando si svegliava nel bel mezzo della notte. Ed era anche abituato a quei risvegli improvvisi: solitamente erano opera del suo vicino di letto, o dell'insonnia o di chissà cos'altro, magari un rumore improvviso che turbava il suo sonno leggero. Un buio relativo regnava nella camera, disturbato dalle luci provenienti dalla città. come faceva spesso, controllò che tutto fosse come l'aveva lasciato. E infatti ogni cosa era al suo posto. I libri sulla scrivania, il portatile lasciato aperto per la stanchezza della sera prima, le cartacce del take-away cinese abbandonate ai piedi del letto a due piazze, i comodini disordinati ai lati dello stesso. Ma soprattutto, era contento di vedere che l'altro abitante del letto fosse ancora al suo posto. Gli carezzò la guancia con un sorriso dolce, assicurandosi di non disturbarlo più del dovuto. A quel tocco, lui strinse appena la mano sul suo petto, come una sorta di riflesso condizionato. Le monocrome lenzuola azzurre coprivano e carezzavano le loro stanche nudità, cullandole in un abbraccio di piume e cotone. Spostando gli occhi sulla spalla del suo compagno, vide rosso e nitido uno degli evidenti segni della loro passione della scorsa notte.
    Avevano passato buona parte della serata a giocare al nuovo videogioco che avevano preso. Non molto lungo in verità, e nemmeno particolarmente entusiasmante all'inizio, ma si accorse di esserne stato tremendamente preso nel giro di poco. Era andato a pubblicare sull'abituale social network le sue opinioni al riguardo, ma a quel punto mani ben note l'avevano trascinato suo malgrado (ma neanche tanto) in un impeto di sfrenata passione che lo tenne sveglio fino alle due di notte. Guardando gli squadrati numeri verdi della sveglia sul comodino del compagno, si accorse di aver dormito appena due ore. Eppure non aveva per niente sonno. Sentiva un'urgenza di andare al bagno, ma non gli andava di svegliarlo. Spostò una mano in modo da accarezzargli la testa irta di capelli castani morbidi e setosi, sperando che come accadeva spesso quel gesto lo cullasse verso il sonno.
    Tuttavia, il bisogno era più impellente e dovette suo malgrado alzarsi dal letto e andare in bagno, per poi tornare dopo essersi anche dato una rinfrescata. Eppure, lui non si era svegliato... doveva essere parecchio stanco. Un brivido di orgoglio maschile gli attraversò la schiena fino alle labbra, che si incurvarono in un sorrisetto quasi compiaciuto. Cercò in giro per la stanza i suoi indumenti intimi, ma non sapeva neppure se fossero davvero lì o da qualche altra parte. Guardava attentamente dove metteva i piedi, onde evitare di fare baccano con qualche oggetto per terra. Tirò fuori dei boxer puliti dall'armadio, infilandoli e andando alla finestra. In città, notava, faceva sempre caldo. Solo nei tre mesi invernali la temperatura si abbassava a sufficienza da fargli indossare un pigiama. Si sporse sul davanzale a guardare la strada, col flusso ininterrotto delle poche auto che persino a quell'orario dovevano muoversi. C'era chi andava a lavorare, chi invece tornava a casa, e ovviamente qualche uccelletto che aveva passato la notte in bagordi e ora tornava al nido dalla famiglia con le tasche vuote e pochi sensi di colpa. Una leggera brezza autunnale gli carezzava le braccia muscolose e i capelli scompigliati, rinfrancandolo. A lui il freddo piaceva. Ricordava quel breve periodo passato a Nibelheim, dov'era nato, e i giorni d'estate che andava a trascorrervi. Le basse temperature erano per lui quasi un sollievo.
    I suoi occhi si spostarono a osservare le finestre davanti al loro palazzo. Nell'ostello, due ragazzi stavano fumando, da un'altra parte sembrava esserci una sorta di festa. Nella palazzina di fronte, invece, una coppia sposata stava litigando incurante del figlio che piangeva. A un certo punto, la madre prese il figlio in braccio e spintonò via il marito, che l'abbracciò comunque subito dopo. Gli scappò un sorriso nel vederli.
    Le quattro e venti. Forse sarebbe dovuto davvero tornare a letto.

    - Roxas? - chiamò dolcemente una voce familiare dal buio del suo dormiveglia. Aprì debolmente gli occhi azzurri, incontrando quelli blu di Sora. - Su, svegliati - era completamente vestito, con una felpa bianca e jeans scuri. Doveva ancora mettere le scarpe.
    - Un attimo... - sbadigliò Roxas alzandosi a sedere sul letto e flettendo le gambe. Gli sembrava di aver dormito per cinque minuti, invece erano già le nove passate. - Ma dove dobbiamo andare oggi? - si alzò grattandosi i capelli, barcollando.
    - Dovevamo vedere gli altri al parco, ricordi? - rispose Sora sorridendo. - Mi sa che hai giocato troppo, ieri sera - aggiunse con una lieve risata.
    - Abbiamo - precisò Roxas sorridendogli di rimando. Prese dei pantaloni neri infilandoli velocemente, finendo per saltellare su un piede in precario equilibrio. Sora lo sostenne prontamente permettendogli di indossarli in tutta sicurezza. Dopo aver messo anche una maglia bianca e una felpa grigia, Roxas si ritenne pronto per uscire.
    - Spero che Riku e Kairi lo abbiano trattato bene - disse Sora uscendo dalla camera da letto, seguito dal compagno. Erano entrambi in soggiorno, ora: era la stanza più ampia della casa, con un bel divano angolare blu a circondare un tavolino di vetro su un tappeto variopinto, e di fronte ad esso un ampio mobile da parete con al cent ro la tv a schermo piatto, le loro console da gioco e numerose custodie di videogiochi e film ad occupare gran parte delle scaffalature quadrate. Sulle parti più alte c'erano anche soprammobili di vario genere, quasi tutti regali dei loro amici. Il mobile poggiava su alcuni sportelli, quasi tutti pieni.
    - Io spero solo che non abbiano fumato davanti a lui - sospirò Roxas allungandosi verso gli appendini all'ingresso per prendere le loro giacche a vento. - E' una cosa che odio e lo sanno -
    Con le mani occupate dalle giacche Roxas non fece in tempo ad accorgersi delle mani di Sora, che lo spinsero con forza contro il muro. Il castano si alzò sulle punte e lo baciò con incredibile delicatezza, presto ricambiato con una certa sorpresa. I due si trovarono ben presto a giocare maliziosamente facendo scontrare le proprie lingue nelle loro bocche, finché Sora non si separò con un gemito e un sorrisetto imbarazzato.
    - Su... buono ora - farfugliò per placarlo, il fiato mozzo.
    - Lo sai come reagisco a questi attacchi a sorpresa - replicò Roxas con aria divertita. Mise la giacca pesante bianca e aspettò che il compagno mettesse la sua, per poi aprire la porta di casa. Notò solo in quel momento, mentre uscivano, la custodia del gioco che avevano comprato due giorni prima: il terzo e ultimo capitolo della saga Key of Life. A vederlo, il biondo sbuffò seccato: si era trovato a incarognirsi contro lo schermo a causa di un boss, Zexion, che aveva sconfitto i loro personaggi pressoché continuamente.
    - Lo sconfiggerai prima o poi - lo provocò Sora facendo capolino dal corridoio del condominio. Lui la prendeva con estrema calma, più che altro perché lo divertiva parecchio vedere Roxas infuriarsi a quel modo. Certo, quando lanciava il controller contro il mobile si divertiva decisamente meno, ma aveva imparato a sopportare anche quei suoi scatti d'ira. Sapeva, dopotutto, che quella rabbia non era certo rivolta a lui. - Ma intanto dobbiamo pensare a cose più importanti -
    - Non avevo nemmeno salvato - borbottò Roxas frustrato. - Tutto l'assedio di Weisshaupt da capo... mi sento male - continuò quasi piagnucolando, poggiandosi pesantemente alla parete dell'ascensore.
    - Be', non è che io me la stessi cavando egregiamente contro Lexaeus, sai - rispose Sora poggiandosi alla sua spalla. L'ascensore del loro condominio di trentadue piani aveva la pecca di essere tremendamente lento, fino ad impiegare quasi cinque minuti per arrivare dal primo all'ultimo piano. Loro stavano al quindicesimo, ma il tempo di attesa era comunque parecchio.
    - Non importa - negò Roxas circondandogli le spalle con un braccio. - Il tuo personaggio almeno non fa costantemente la figura del coglione - Sora rise animatamente, mentre il campanello dell'ascensore segnalava finalmente il suo arrivo.
    - E' il protagonista - sghignazzò aprendo la porta e dandogli un ultimo bacio.
    - Al diavolo - borbottò uscendo con lui dalla cabina. Nel lasciare il condominio salutarono il portiere e quindi si diressero all'auto, un'utilitaria bianca. Si trovava nelle piccole rimesse situate nel cortile del palazzo, anche se tenerla lì costava un extra sull'affitto.
    Il viaggio in macchina fu piuttosto tranquillo, come sempre. Stavolta Roxas lasciò che a guidare fosse Sora, un po' perché era parecchio che non lo faceva e un po' perché a differenza sua, lui aveva dormito decisamente di più. Si poggiò al finestrino, guardando la strada. Quel giorno non avrebbero dovuto lavorare, e per questo avevano pensato di chiamare Riku e Kairi e dirgli che se avessero voluto tenere Cloud per un altro giorno non ci sarebbero stati problemi, tuttavia entrambi avevano convenuto che passare una giornata in pace con lui sarebbe stata un'idea decisamente migliore. A dire il vero, non capivano molto perché i loro amici tenessero tanto a tenerlo, in molte occasioni, in casa con loro per alcuni giorni. Non che a Cloud dispiacesse, ovviamente: era sempre lui infatti ad accettare e in molti casi a proporre di andare da loro. Per lui erano come degli altri zii.
    - Dove potremmo andare? - domandò Sora mentre si avvicinavano al parco.
    - Al wutai - rispose subito Roxas svegliandosi dal torpore. - Cloud adora mangiare wutai. E poi sono tre mesi che non ci andiamo -
    - Potremmo portarci anche la figlia di Riku e Kairi - propose Sora cercando un parcheggio con gli occhi. Erano settimane che non guidava, ma non aveva affatto perso la tecnica.
    - Preferirei evitare - disse Roxas. - Vorrei stare un giorno con nostro figlio, in pace. Non ho nulla contro gli altri, ma è troppo tempo che non abbiamo modo di stare decentemente con Cloud -
    - E' vero - sospirò Sora facendo manovra. - Su, papà - lo incitò voltandosi indietro per controllare la distanza da un'altra macchina. - Non puoi presentarti con quella faccia afflitta -
    - Quale faccia afflitta? - Roxas lo guardò male. - Su, andiamo - sorrise, aprendo lo sportello quando la macchina si fermò.
    Non ci misero molto a trovarli. Riku, alto e statuario, indossava un cappottone nero, jeans chiari e scarponi scuri, e Kairi una giacca imbottita rosa con pantaloni larghi color fumo e stivali alti. La loro figlia, Kira, del tutto identica alla madre da piccola, giocava con Cloud rincorrendosi tra gli alberi.
    Sora, ovviamente, non era in nessun modo imparentato con lui, almeno non per via genetica. Avevano deciso di avere un bambino tramite utero in affitto ed erano anche disposti a far vedere il bambino alla vera madre ogni tanto, ma lei rifiutò totalmente e fece emanare addirittura una diffida per impedire loro il semplice avvicinarsi alla sua abitazione. Per loro fortuna, Cloud non si faceva mai domande, e soprattutto non somigliava per niente alla madre: in tutto e per tutto era identico a Roxas da bambino, e ciò rendeva molto più facile accettarne la presenza. Ormai aveva quattro anni, era sano e forte, pieno di vita. Nonostante tutto Sora si sentiva pienamente suo genitore, anche se mai al livello di Roxas. Cloud stava molto più spesso con lui che con il "vero" padre, soprattutto perché questi insegnava mattina e pomeriggio per arrotondare lo stipendio. Sora aveva uno studio psicologico in casa e non era raro che i clienti vedessero Cloud gironzolare. La sua presenza non li infastidiva, anzi li rassicurava.
    - Papà! - una familiare esclamazione infantile li accolse, seguita da una corsa veloce verso di loro. Roxas prese prontamente il bambino tra le braccia stringendolo forte: era in quei momenti che Sora notava quanto gli volesse bene. Ogni gesto d'affetto che gli rivolgeva era talmente spontaneo e sincero che a volte, seppure a torto, sentiva un pizzico di gelosia; Roxas comunque non gli faceva mai mancare l'amore di cui necessitava, e non era neanche sicuro di provare davvero "gelosia". Forse era solo un desiderio di condividere lo stesso legame biologico che legava padre e figlio. Buffo come lui fosse uno psicologo e non riuscisse a capirsi.
    - Ehi! - esclamò Roxas sollevandolo con facilità e dandogli un bacio sulla fronte. - Allora? Ti sei divertito con Riku e Kairi? -
    - Sì papà - annuì Cloud allegro. Sora sapeva che quando Cloud li chiamava, per non fare confusione chiamava Roxas "papà" e lui "papà Sora" - Riku mi ha fatto guidare la sua moto! -
    - Prima che tu mi incenerisca - intervenne Riku mentre Kairi sghignazzava sotto i baffi - posso assicurarti che avevo tutti i comandi sotto controllo -
    - Ti crederò - rispose Roxas minaccioso.
    - Oh, ecco che parla - disse Kairi indicando un megaschermo che giganteggiava sul parco, adeso al muro di un supermercato lì di fronte.
    Sulla sua superficie si materializzò nitida e senza interferenze l'immagine dell'uomo più potente dell'intero Ivalice. Il mezzobusto presentava il consueto ed elegantissimo completo bianco che portava sempre quando faceva le sue videoconferenze. Sotto il completo portava una camicia nera ben abbottonata e una cravatta color crema. Il suo viso era di carnagione scura, ossuto e con un mento affilato; gli occhi erano di un oro scintillante, mentre i capelli erano color argento scuro, lisci, e scendevano ordinati dietro la teste e sulle spalle. Si chiamava Xemnas, ed era il Custode di Ivalice. Girava voce che avesse trovato il segreto della vita eterna, anche se molti teorizzavano invece che si trattasse di una sofisticatissima Intelligenza Artificiale in grado di formulare intensi discorsi e provare emozioni. La natura del Custode era da almeno trent'anni oggetto di dibattito e la sua figura era genericamente simbolo di fiducia e rispetto, quasi di culto. C'era chi pensava che l'IA fosse basata sull'impronta caratteriale del vero Custode, morto chissà quanti anni prima, o che in realtà fossero dei cloni o dei sosia. Misteri a parte, era una personalità che solitamente restava nell'ombra, ma era in contatto con tutte le più alte personalità ed era in grado di influenzarle con il proprio giudizio, sempre neutrale e rivolto alla pace sopra ogni cosa. Nessuno aveva una minima idea di dove si trovasse, ma sembrava essere ovunque e a conoscenza di tutto.
    - Miei compatrioti, cittadini del mondo - esordì Xemnas con voce calda e profonda, appena distorta dagli altoparlanti del megaschermo. - Un altro anno è passato. Ho parlato con il Presidente Shinra ieri, riguardo al suo tentativo di muovere guerra contro i Wutai. Sono felice di dirvi che ogni minaccia è stata scongiurata e il vostro leader è in viaggio verso l'isola per discutere di nuove trattative commerciali. Io stesso vigilerò pazientemente sull'incontro per accertarmi che nulla vada diversamente dalle nostre aspettative -
    - Negli ultimi cinque anni ha scongiurato quarantadue guerre - disse Roxas tenendo saldamente in braccio Cloud. - Mi chiedo se quell'uomo abbia riposo -
    - Ovviamente no - rispose Riku. - E' sicuramente una dannata macchina. Ci spia in continuazione e interviene a rompere le scatole -
    - Però è anche vero che senza di lui non oso immaginare in che stato ci troveremmo - disse Sora. - La natura umana è così facilmente pronta al litigio e alla guerra che mi meraviglio abbia tutta la pazienza di intervenire ogni volta, IA o meno -
    - Papà, mettimi giù - si lamentò Cloud dimenandosi.
    - Va bene, va bene - sospirò Roxas. - Però vedi di non sporcarti, oggi mangiamo fuori -
    - Noi tre? - domandò il bambino illuminandosi. All'annuire del padre, scappò verso Kairi per prendere la giacca imbottita arancione e metterla in tutta fretta. Sora sapeva che Cloud desiderava passare molto più tempo coi genitori, e gli dispiaceva potergliene dare così poco. Gli anni dell'infanzia erano i più importanti e dovevano essere accompagnati adeguatamente dalla famiglia.
    - Allora andiamo pure noi - disse Kairi prendendo Kira per mano. - E' ora di fare visita ai nonni -
    Kira cercò di protestare, ma alla fine dovette arrendersi. Riku si aggiunse ai saluti, quindi le due famiglie si allontanarono ognuna verso le proprie vetture.

    La giornata era passata benissimo. Cloud era felice di aver mangiato nel suo ristorante preferito, di aver passato metà del pomeriggio a giocare nel campo da calcio con gli altri bambini incitato dai suoi due papà e dagli altri amici. E poi a casa, con le console, arrabbiandosi perché Roxas lo batteva sempre.
    Quella notte, dopo una giornata così piacevole, fare l'amore con Sora era ancora più bello del solito. Il loro bambino era felice, loro erano rilassati e l'indomani avrebbero lavorato con la testa libera dai pensieri. E in quelle condizioni si poteva concentrare facilmente sull'unione dei loro corpi, sulla pelle morbida di Sora, sul calore che sentiva possedendolo con la consueta, decisa dolcezza che caratterizzava le loro notti d'amore. Non volevano assolutamente che Cloud li sentisse, anche a costo di doversi mettere un cuscino sulla faccia per soffocare i suoni. Quando però erano soli erano liberi di lasciarsi andare.
    - Roxas... - mormorò Sora con le guance roventi per il rossore. - Temo.. -
    Toc toc.
    Roxas si bloccò di colpo, sentendo un brivido lungo la schiena. Non era per niente una novità, anzi era già capitato diverse volte, ma ognuna era come ricevere una frustata dritto dove si sentiva meglio.
    - Dai, vestiti - disse Sora cercando di sdrammatizzare. Il biondo si separò a malincuore da lui, rimettendo i boxer e il pigiama bianco il più in fretta possibile.
    - Papà? Papà Sora? - disse timidamente la voce di Cloud dietro la porta chiusa.
    - Un attimo - disse il castano alzandosi dal letto vestito e sistemato, dandosi una riordinata. Andò ad aprire trovandosi davanti il figlio con l'aria spaventata e infreddolita. - Che succede? Un altro brutto sogno? - lui annuì imbarazzato. - Non hai bagnato il letto, vero? - aggiunse incrociando le braccia. Cloud negò con decisione.
    - Smetti di chiederglielo, lo metti in imbarazzo - disse Roxas come pacato rimprovero. - Non lo fa più da quando aveva due anni, eh? -
    - Scusa - disse Sora al bambino. - So che ormai non fai più queste cose -
    - C'era un mostro enorme - farfugliò Cloud a voce bassa, con un pugno premuto sulla bocca. - Gli ho detto che non esiste e deve lasciarmi in pace, ma lui mi seguiva lo stesso... -
    - Accidenti - rispose Roxas assumendo un'espressione strabiliata. - Questi mostri si sono fatti davvero insistenti! -
    - Posso... posso dormire qui? - domandò il bambino guardandoli entrambi con espressione triste e preoccupata. - Solo per stanotte... -
    I due genitori si scambiarono un rapido sguardo d'intesa. Fortunatamente il letto era praticamente immacolato: lui e Sora erano ormai abituati a quelle incursioni notturne, e anche per il loro bene, detestavano avere un letto malmesso.
    - Però sbrigati, o il mostro che t'inseguirà domani sarà la tua maestra - annuì Sora dandogli una pacca sulla schiena. Cloud trotterellò sul letto e si accoccolò immediatamente al padre, che ricambiò carezzandogli la testolina bionda. Sora si intrufolò tra le lenzuola e rimase un po' a fissarlo, dandogli un bacio sulla guancia.
    - Buonanotte - mugolò Cloud già assonnato.
    - Buonanotte - risposero i due.
    Non ci volle molto perché si addormentasse, accucciato accanto a Roxas come un cucciolo, un sorriso beato sulle labbra. Tuttavia il padre osservava il compagno con attenzione.
    - Lo sai che è molto stupido da parte tua, vero? - scherzò allungando il braccio libero e scompigliandogli i corti capelli castani.
    - Sì - ammise Sora sentendosi in colpa.
    - Cloud ama tanto me quanto te. Non hai motivo di preoccuparti di questo - disse rassicurante, guardando entrambi con dolcezza. - E non lo conosci bene - aggiunse.
    Dopo qualche secondo, Cloud si girò completamente verso Sora rimettendosi nella stessa posizione, cercando il padre acquisito con la sua manina, nonostante stesse dormendo. Per tutta risposta, lui lo accucciò delicatamente a sé, mettendosi più comodo sul cuscino.
    - Buonanotte - si mormorarono entrambi, cadendo in un sonno profondo e sereno.

    Roxas.

    Ancora una volta si trovò a svegliarsi all'improvviso, ma stavolta aveva la testa che gli pulsava come se dovesse esplodergli. Così, di punto in bianco, senza un motivo apparente. Facendo attenzione a non svegliare Cloud e Sora si allontanò appena da loro, per poi sgusciare fuori dal letto. Alzandosi si sentì barcollare, mentre la testa pulsava più forte.

    Torna a letto.

    - Le pastiglie... - mormorò sofferente con una mano sulla fronte, massaggiandosi le tempie con il pollice e l'indice nel tentativo di calmare il dolore. Uscì e si diresse verso il bagno, accanto alla camera da letto. Entrando si trovò a incespicare fino al lavandino, con un rumore che rimbombò per tutte le pareti di ceramica verde acqua. Si guardò allo specchio e trasalì. A restituirgli lo sguardo c'era un ragazzo dalle sue sembianze, ma almeno dieci anni più giovane, che lo fissava severamente. Le mani gli tremarono.
    - Che cosa stai facendo, Roxas?! - disse il ragazzo nello specchio.

    Ignoralo. Prendi le pastiglie e torna a letto. La tua famiglia ti aspetta.

    - Sora... - gemette cadendo in ginocchio, faticando persino a reggersi in piedi. - Cloud... -
    La porta si aprì rivelando proprio loro due, spaventati. Cloud corse subito ad abbracciarlo, mentre Sora aprì l'armadietto che stava sopra il lavabo, guardandolo preoccupato.
    - Cos'hai, Roxas?! - domandò il castano con la voce che gli tremava.
    - La testa... - annaspò Roxas. - Allucinazioni... voci... fa male... - sentiva le mani deboli, fredde, impossibilitate ad aggrapparsi a quel freddo lavandino, o alle fragili spalle di suo figlio. Tutto sembrava così lontano, così appannato.

    Loro non sono reali, Roxas! E' Zexion!

    - Silenzio.... SILENZIO! - ruggì cadendo a terra, tenendosi le tempie. La testa stava per scoppiargli. Non sentiva quasi le voci dei suoi familiari, come se tutto il mondo gli si stesse stringendo addosso. Soffocava. Annaspava alla ricerca d'aria. Sentiva un dolore terribile al cuore, come se fosse stato trafitto da qualcosa.
    - Papà...? - la voce infantile di Cloud sembro affondare nella sua testa come una lama. - Che ti succede? - piangeva. Gli occhioni azzurri di suo figlio erano pieni di lacrime.

    Non è tuo figlio.

    Che avesse qualche problema al cervello? No, non era niente del genere, sapeva di stare bene. Doveva essere solo stanchezza. Magari qualcosa che avevano mangiato. Ma non riusciva a muoversi, si sentiva distante e vuoto. Cloud cercava di scuoterlo, tremando per il pianto e i singhiozzi che lo sconvolgevano. Il pianto del suo bambino l'aveva sempre straziato, quando sentiva che erano lacrime sincere come quelle che piovevano sul suo viso in quel momento.
    - Papà... n-non morire... - balbettò stringendo il suo braccio e continuando a guardarlo. - Ti prego... non ci lasciare... -

    Devi lasciarlo.

    - No... - ansimò Roxas. - Non voglio... -
    - L'ambulanza sta arrivando, Roxas! - intervenne Sora entrando in bagno e inginocchiandosi accanto a lui. - Sta' tranquillo... sta' tranquillo... - mormorò prendendogli una mano tra le sue.
    Ma non poteva stare tranquillo. La testa gli pulsò ancora, con più forza di prima. Il suo corpo non aveva più peso. Come se qualcuno cercasse di tirare la sua anima a forza fuori da esso.

    CLOUD STA MORENDO, ROXAS!

    - NOOO!! - esclamò improvvisamente scattando in piedi. Il bagno sparì, anche le lacrime. Tutto divenne buio e senza vita. Come l'immaginazione, poco prima di creare qualcosa.
    E non fu più accanto alla sua famiglia.


    - Io non capisco - disse la voce atona e disgustata di Zexion. Aveva il suo Keyblade in mano.
    Ma certo, ora ricordava. Tutto tornava. Weisshaupt. L'assedio. Zexion con Oblio in pugno...
    Zexion l'aveva ucciso.
    - Non ancora - rispose il Nessuno stringendo l'impugnatura della Chiave. - Tu sei un valente Custode, Roxas. Ti sei battuto con valore... e io volevo regalarti una vita serena come hai sempre sognato -
    - Quello che ho visto... - Roxas ansimava ancora. Sentiva il peso insanguinato delle vesti da Assassino su di sé. Non c'era più la dolcezza del tocco di Sora, la tenerezza di Cloud. Era tutto nero e crudele come prima. - Era il mondo che Xemnas vuole creare? -
    - Esattamente - confermò Zexion mettendo le mani dietro la schiena. - Un mondo perfetto, senza guerre. Senza sciocche discriminazioni. L'umanità dotata di un libero arbitrio controllato, serena, in pace. Xemnas te ne aveva solo parlato, ma ora l'hai visto. Ora sai -
    - Perché mostrarmelo? - domandò il Custode tenendosi una mano sul petto. Ricordava la terribile sensazione di Oblio che gli trapassava il torace. - Perché volete a tutti i costi che io accetti la vostra visione? -
    - Non è per una particolare predilezione nei tuoi confronti - negò il Burattinaio Mascherato, guardandolo freddamente negli occhi. - Il motivo è più semplice di quanto tu creda. Siamo stanchi quanto voi -
    - Stanchi? - ripeté Roxas.
    - Di questa guerra. Di dover massacrare degli stupidi bambini - la voce di Zexion era colma di disgusto. Ma l'oggetto di tale sentimento era tutt'altro che chiaro. - Il cui unico torto verso di noi era quello di essersi affidato a un'entità egoista e vigliacca che si è rinchiusa in se stessa, delegando a fragili forme di vita la propria difesa -
    - Vuoi forse farmi capire che ti senti in colpa? - domandò il Custode incredulo. - E' questo che stai dicendo? -
    - Cosa ci avevano mai fatto quei bambini? - ribatté il Nessuno. - Noi eravamo più forti, adulti, meglio organizzati. E Altair... -
    - Altair ha sempre cercato di difendere i Custodi - lo interruppe immediatamente Roxas. Dopo lo scontro con Xemnas a Minas Tirith aveva spesso paura che l'Organizzazione cercasse di minare la fiducia che avevano nel loro mentore. - Ci ha sempre aiutato -
    - Davvero? - fu la prevedibile risposta. - Lascia che ti illumini, Roxas. Altair è intervenuto davvero a proteggere i Custodi solo quando suo figlio entrò in gioco. Prima di allora si era limitato ad addestrarli. Del fatto di mandare nient'altro che ragazzini tra le nostre fauci non gliene importava assolutamente nulla. E non sono sicuro che attualmente siano cambiate le cose -
    Roxas sbuffò con impazienza. Le parole di Zexion suonavano molto meno taglienti di quelle di Xemnas nella Città Bianca: anzi, sembrava che stesse palesemente bleffando. Stavolta non avrebbe permesso al nemico di farlo vacillare: non voleva vedere altri Draghi morire. Soprattutto perché ormai non ne restavano più.
    - Altair ci ha sempre aiutato e protetto, Ienzo - pronunciò con disprezzo. - Ha fatto l'impossibile per renderci in grado di combattervi e sconfiggervi -
    - Probabilmente perché non aveva scelta - sorrise Zexion.
    Il Custode decise di fare la domanda che lo attanagliava dall'inizio di quella discussione, ma ne aveva paura: era ancora pesantemente provato dall'aver scoperto la vera identità del Burattinaio, e l'idea di affrontare nuove rivelazioni inaspettate lo spaventava. Poteva anche succedere di tutto.
    - Tu sei davvero... - disse fissandolo con timore, ogni parola incrinata come una sottile lastra di vetro, oppressa dal peso insopportabile dell'incertezza. - Un Custode? - L'espressione di Zexion si indurì.
    - Un tempo - rispose il Nessuno con l'amarezza nella voce, distogliendo lo sguardo. - Ero come te - aggiunse guardandolo di traverso, a testa alta. - Un Custode dell'Equilibrio. Un possibile salvatore -
    - Ma tu sei un Nessuno! Come puoi usare il Keyblade se non hai un Cuore?! - scattò Roxas stringendo i pugni.
    - Rixfern non ti ha insegnato nulla? - ribatté Zexion. - Non è l'unico ad aver ingannato Xemnas. A volte i sentimenti possono essere così forti da non poter essere più percepiti. Certi Cuori possono permearsi di un'aura tanto potente da essere insondabile -
    - Cloud nutriva il bisogno di vendetta... - annuì Roxas. Ricordava bene come l'atmosfera, l'aria, quasi il mondo circostante cambiasse quando Cloud era vicino. Il suo odio inspiegabile, il suo bisogno di vendetta, le sue speranze di creare un mondo per sé e la sua Rinoa. Erano emozioni forti, intense, la cui consistenza riusciva davvero a creare una barriera impenetrabile. Nemmeno lui e Altair, nemmeno Naminè, nessuno di loro era riuscito a carpire il battito di quel Cuore sofferente. Nessuno tranne Xion. - Ma tu? -
    Zexion parve esitare per un attimo. I suoi occhi divennero lucidi, il suo sguardo più umano che mai.
    - L'amore - esalò come un sospiro liberatorio. - Ma non un amore che unisce fisicamente due persone, che porta al desiderio - negò portandosi una mano sul petto. - L'amore che si può provare per una famiglia, ecco ciò di cui parlo. Un amore che solo il mio Aeleus mi ha dato -
    - Il tuo... - ripeté Roxas sgranando gli occhi. - Aeleus? Lexaeus? -
    - Si è sempre preso cura di me, da quando finii nelle grinfie di Ansem. Se gli altri apprendisti mi maltrattavano, lui mi difendeva - disse Zexion teneramente, accarezzando quei pensieri con un tono di voce velato e affettuoso. - Ero sempre stato debole e fragile. Lui era la mia forza. Senza di lui ero perduto - impedì a Roxas di controbattere alzando una mano. - Lui era per me padre e fratello, amico e sostegno. Quando il Kingdom Hearts si manifestò sul nostro mondo con tutta la sua terrificante potenza, lui perse il suo Cuore ma difese il mio. Ero solo un bambino, Roxas. Un bambino a cui improvvisamente era stato dato il compito di fermare l'unica persona che mi avesse dato la forza di vivere - strinse Oblio nella mano come se cercasse di spezzarlo. - Non avrei mai potuto farlo. Sono dovuto crescere. Ho dovuto fare le mie scelte -
    - E la tua famiglia dov'era? - domandò prevedibilmente il Custode. - Uccisi? Dispersi? -
    - La mia famiglia d'origine era una provetta. Ansem era sterile, ma dava la colpa a sua moglie - non si preoccupava neanche di nascondere il proprio disgusto per quel nome. - Aveva bisogno di un figlio -
    - Tu... - Roxas barcollò. La figura di Ansem sembrava farsi sempre più presente. Se prima era solo uno spettro, un uomo che aveva distrutto innumerevoli vite con la propria cieca ignoranza, adesso era reale, tangibile. Una minaccia palpabile. Un uomo con una morale indecifrabile. - Sei il figlio di Ansem - disse, quasi per confermarlo a se stesso.
    - Non che mi abbia mai riconosciuto come tale - sbuffò Zexion. - Non gli piacevo. Mi ha gettato come un giocattolo rotto tra le mani di Even. Ma Aeleus mi ha salvato da una vita come cavia. Il mio Aeleus mi ha reso una persona -
    - Ienzo... - Roxas non trovava parole.
    - Compatisci il tuo nemico? - lo derise il Burattinaio. - Non occorre, Roxas. Non ho bisogno di essere compatito. Ma se vincerai tu, saranno persone come Ansem a guidare questo mondo. Quindi non posso lasciarti vivere - gli puntò il Keyblade addosso, e Roxas fremette. - Xemnas merita questo ruolo. E io glielo permetterò. Non ci saranno altri Ienzo - si voltò in un fruscio drappeggiante. - Svegliati -

    Il soffitto disastrato della camera da letto di Weisshaupt lo accolse nel suo ritorno al mondo reale. Gli occhi gli bruciavano, così come la ferita al petto. Gemette di dolore mentre tentava di rialzarsi, rendendosi conto di essere immobile e con il corpo indolenzito dal combattimento. Quanto tempo era passato? Il sole non sembrava molto alto, o forse era il grigiore del cielo a rendere tutto una distesa uniforme color cenere.
    - Sta' giù - disse una voce femminile. Solo in quel momento sentì appena il peso di due esili mani sulla parte ferita del torace. Un'energia azzurrognola si irradiava dentro di lui come fresca acqua di sorgente, irrorando la sua carne e liberandola dalla sofferenza. Il respiro di Roxas era debole e tremolante, ma si riprendeva in fretta.
    Poi, improvvisamente, la realizzazione: scattò a sedere, guardando la sua ospite negli occhi. Erano arancio e aveva una lunga chioma rosea, tutta scompigliata e tenuta a malapena da diversi fermagli sparsi qua e là.
    - Voi siete Kururu! - esclamò guardandola con gli occhi spalancati. - Non eravate andata attraverso il portale con tutti gli altri? O è solo un'altra illusione? -
    - Stai tranquillo - intervenne una voce infantile, da bambino. C'era anche Vivi. Come Kururu e Roxas aveva il viso sporco di cenere e fuliggine e gli abiti anneriti e insanguinati. - Non potevamo restare indietro - aggiunse reggendosi al bastone. - Dovevamo aiutare -
    - Tu sei indispensabile per salvare mio fratello - rispose Roxas preoccupato. - Se ti accadesse qualcosa... -
    - Non accadrà - aggiunse qualcun altro. E stavolta il Custode non ne fu sorpreso, anzi: era l'unica persona che avrebbe voluto davvero accanto a sé in quel momento, a parte Cloud e Vanitas, ovviamente.
    - Allen - sospirò con un sorriso rassegnato. - Ci sei tu dietro tutto questo, vero? -
    - Stai scherzando, spero - ridacchiò Allen. - Mi hanno trascinato loro qui, io già pregustavo un letto comodo e una bella Ninfa a coccolarmi! -
    Ne era sollevato, nonostante le sue preoccupazioni. Senza il loro intervento sarebbe morto davvero, e probabilmente in via definitiva stavolta. Tuttavia ricordava bene le parole di Ventus.
    - Cloud? Vanitas? - chiese. Se davvero Cloud era in pericolo...
    - La priorità era salvare te, ma siamo riusciti a distrarre quella belva di Lexaeus facendogli cadere un po' di pietre addosso. Quando abbiamo visto Zexion riunirsi al suo inseparabile armadio da compagnia, abbiamo capito che dovevi essere conciato male - spiegò Allen guardando fuori dalla porta della stanza. - Se hai finito di rilassarti, propongo di eliminare quei due e trovare il modo di lasciare questo dannato castello -


    Sapeva che non avrebbe dovuto farlo. Sapeva bene che il piano era diverso, che Vanitas avrebbe dovuto affrontare Lexaeus da solo mentre lui si sarebbe impegnato a uccidere Zexion quando avesse preso il controllo della mente di Roxas. Ma non ce l'aveva fatta. Il pensiero di Vanitas in pericolo aveva scatenato in lui un istinto che non provava da dieci anni, e così si gettò d'impulso contro Lexaeus; il combattimento fu feroce, spietato e brutale. Entrambi muovevano le gigantesche spade come se non avessero peso, ogni scontro tra le lame causava scintille e clangori. Cloud fu contento di non aver lasciato Vanitas da solo. Finito il combattimento contro i Mangiamorte, che erano ormai tutti morti o fuggiti, si era accasciato a terra privo di forze ai piedi del trono di Andraste, del tutto impossibilitato a reggere un altro scontro e per giunta con Lexaeus. Tuttavia, con sua immensa vergogna, nemmeno lui era riuscito a ferirlo davvero. Nonostante ce l'avesse messa tutta e fosse addirittura arrivato a disarmarlo, la pelle del Nessuno sembrava dura come la pietra e ugualmente resistente: non poteva fare a meno di chiedersi come avesse fatto a perdere una mano quando quell'Assassino, Ezio, lo affrontò nei loro primi tempi di permanenza in quel nuovo mondo.
    Un rivolo di sangue caldo gli scendeva da qualche parte della testa, fino all'occhio sinistro, gocciolandogli davanti alle palpebre e macchiandogli anche la guancia. Altro sangue gli usciva dal braccio sinistro. Aveva dappertutto lividi e contusioni, forse anche una costola rotta. In un impeto di furia animale, Lexaeus gli aveva afferrato un braccio a l'aveva sbattuto violentemente contro il muro, per poi tirargli un pugno dritto sul torace con potenza devastante. Come faceva ad essere ancora vivo?
    Fu un crollo improvviso a salvargli la vita. Decine di grossi frantumi di malta e granito caddero sul Nessuno, dando il tempo al Custode del Caos di sfuggirgli e cercare di prendere Vanitas. Ma non aveva notato Zexion, che si avvicinava con un Keyblade in mano. E non un Keyblade qualunque, bensì quello di Roxas. Non ebbe certo il tempo di meravigliarsi: con una frustata nell'aria una gigantesca voluta di fuoco si stagliò sulla sala del trono come un immenso serpente arancio-oro, arroventando l'aria circostante. L'espressione di Zexion era contratta da una rabbia incalcolabile, e quando sferzò con il Keyblade spedendo il serpente di fuoco su di loro, sembrò tagliare in due l'aria stessa.
    "CORRI!" aveva detto Vanitas, esausto e affaticato, abbarbicato alla sua schiena. Cloud incespicò e zoppicò trascinando la Buster Sword sul pavimento, con le gambe che protestavano e il sangue che si incrostava sulla sua pelle per l'aria diventata un'irrespirabile veleno fiammeggiante. Sentì il morso del serpente proprio dietro di sé e corse con tutte le forze che gli restavano, attraversando una porta laterale poco prima che l'incantesimo si infrangesse sul muro circostante: una violenta fiammata spazzò via quel che restava del legno e frantumò il muro opposto in linea retta, prima di svanire. Cloud brandì la Buster Sword, conscio di essere con le spalle al muro mentre continuava a cercare una via di fuga.
    Poi, dalla sala del trono udì un crepitare e diversi grugniti.
    "E' ancora vivo..."
    - Aeleus - disse Zexion quasi sollevato. La sua voce riecheggiava nel nulla della Weisshaupt distrutta. - Grazie al Creatore stai bene - se Lexaeus, o Aeleus, aveva risposto, lui non lo sentì. - Devo tornare a occuparmi di Roxas. A quanto pare abbiamo qualche altro ospite in questa montagna di muffa -
    Spazzaterra vibrò nell'aria, tornando presumibilmente nella mano del suo proprietario. Il che voleva dire che presto sarebbe tornato a dar loro la caccia.
    - Devo lasciarti qui, Vanitas - disse Cloud deponendo l'Unversed alla base di una scalinata. - Riesci a raggiungere la terrazza? -
    - Posso camminare - annuì Vanitas rialzandosi barcollante. - Ma tu... -
    - Ti farò guadagnare tempo - sorrise lui. - Zexion deve morire, Vanitas. Il frammento dell'anima di Roxas, assieme a quello che custodisci tu, gli permetteranno di fronteggiare Lexaeus -
    Vanitas non ebbe il tempo di meravigliarsi di come ne fosse a conoscenza. Dubitava però di averglielo detto.
    - Ma se nemmeno tu... - protestò debolmente, deglutendo.
    - Cercherò di renderlo più docile per l'arrivo di Roxas - disse Cloud rassicurante. - Tu pensa solo a raggiungerlo. Aiutalo contro Zexion, se riesci -
    - Cloud, non riuscirai a convincermi di stare andando a morire - replicò Vanitas sentendo le labbra bruciargli inspiegabilmente. - Smetti di parlare così -
    Cloud non disse altro. Lo tirò a sé per un braccio con una forza tale da fargli male, e si trovò a incontrare le sue labbra ancor prima di potersene lamentare. Strizzò gli occhi per fermare le lacrime che cercavano di uscirgli, per poi correre su per le scale, senza guardarsi indietro. Cloud non sarebbe morto.
    Cloud non sarebbe morto.


    Kururu e Vivi lasciarono da soli Allen e Roxas per andare ad aiutare Cloud e Vanitas. Roxas era abbastanza pronto per affrontare nuovamente Zexion, e adesso aveva anche qualcuno con cui poter realizzare la sua strategia: Allen era in grado di ribellarsi alle illusioni molto più facilmente grazie al suo occhio sinistro, quindi sarebbe stato un valido alleato.
    - Dove sono i miei Keyblade? - domandò incerto guardandosi intorno. - Uno ce l'ha Zexion... -
    - Zexion?! - ripeté Allen. - Ma come... -
    - Spiegherò dopo - disse Roxas tagliando corto. - Quello bianco, Giuramento, credevo fosse caduto qui -
    - Non l'abbiamo visto - rispose Allen. - E' possibile che lo abbia Zexion? -
    - No -
    I due si voltarono di scatto, orripilati.
    Zexion era nella stanza, con loro. Come avevano potuto non sentirlo arrivare?
    - Probabilmente sarà caduto da qualche parte, magari di sotto. Non riesci a chiamarlo? - proseguì con un sorriso di scherno sul viso. - Forse perché l'ho toccato io. Il Drago deve aver riconosciuto che il mio valore è superiore al tuo - Oblio fu puntata contro il suo precedente padrone. Roxas strinse i pugni e scattò d'istinto all'impugnatura di Narsil. - Arrenditi, Roxas. Fallo per te stesso - sospirò Zexion. - Continuare a combattere ti porterà solo altro dolore, e non sarà per niente facile sopportarlo -
    - Affronterò qualunque cosa, pur di impedire a Xemnas di sacrificare miliardi di vite per il suo piacere personale - ribatté il Custode sguainando Narsil battagliero. - E questo include anche te. E tutti quelli che verranno dopo -
    - Noi non siamo la vera minaccia. Ma lo imparerai troppo tardi - Zexion scosse la testa. -E non sono le armi, quelle che devi temere. Il dolore ha altri modi per colpire, e la tua anima non ha armature -
    - Allora aiutateci contro la vera minaccia! - esclamò Roxas d'impulso. - Sei un Custode, Zexion! E' con noi che devi stare! Se non vuoi affrontare Lexaeus, allora unitevi a noi entrambi! -
    - Tu non capisci - il Burattinaio sorrise, ma più che prenderlo in giro sembrava comprenderlo. - Io non sono il Custode del Kingdom Hearts. Sono il Custode di Xemnas. Il suo sogno è il mio sogno. Sono il suo ultimo baluardo contro ciò che lo insidia. E come lui ha bisogno di me, io ho bisogno di lui. Della sua guida, della sua visione! Lui è l'unico che può salvare i mondi da se stessi! -
    - Allora vai fermato, Zexion - Roxas mise Narsil in resta. Allen tirò fuori la spada della Crown Clown dalla mano, come aveva imparato a fare negli ultimi mesi.
    - No, Roxas - negò Zexion, freddo e improvvisamente atono. - Tu vai fermato -
    Scattò.
    Un'inaspettata leggiadria colse del tutto impreparati i suoi due avversari: Zexion usava Oblio come se gli fosse sempre appartenuto, con una maestria impareggiabile. Riuscì a volteggiare elegantemente tra i colpi di spada, schivando e parando senza il minimo sforzo, tirando fendenti diretti e precisi, costringendo più volte Roxas e Allen a indietraggiare e cercare altri punti d'attacco. Ma dove non giungeva la sua spada giungeva un calcio, o un pugno o un'altra schivata.
    Incontrando costantemente le due spade, Zexion riusciva a tenerli entrambi in scacco, in allerta, con attacchi imprevedibili che non gl'importava se andassero a segno o meno. La lama di Allen era troppo grande e scomoda da usare in quello spazio ristretto, e il Burattinaio immaginava bene che avessero in mente di fargli usare a tutti i costi le illusioni per ucciderlo alle spalle. Ma una cosa del genere era ben lungi dal potersi verificare: ora che aveva nuovamente un Keyblade non avrebbe avuto motivo di usare ancora le sue arti illusorie contro i nemici. Roxas era quello che riusciva a metterlo più in difficoltà: Narsil era una spada relativamente più piccola e comoda da usare in quegli spazi angusti, perfetta per quello scontro.
    Zexion piroettò a mezz'aria, dando un calcio ad Allen e facendolo cadere a terra dopo averlo fatto girare su se stesso: mentre l'Esorcista cercava di rialzarsi, Roxas ingaggiò l'avversario in un duello serrato, colpo dopo colpo, una spada leggendaria contro l'altra. Alto, basso, dritto, rovescio, Zexion le parava tutte, ma anche Roxas. Era uno stallo incredibilmente dinamico, scandito dal clangore ferroso delle due armi e dalla rabbia del Custode. I due si equivalevano in potenza e velocità, nonostante la bassa statura di Zexion lo avvantaggiasse ogni volta che mirava basso, tentando di falciargli le gambe.
    Roxas parò un fendente basso e riportò Oblio verso l'alto per tentare di infrangere la sua guardia, ma Zexion si limitò a fare un balzo indietro per ristabilirla: il corridoio sembrava non finire. Il Custode menò un forte fendente per far barcollare l'avversario, ma il Burattinaio lo incontrò a metà strada, facendo slittare entrambe le armi sul muro con un forte stridore; Roxas avvertì i brividi salirgli lungo il braccio, mentre cercava di riequilibrarsi. Parò un fendente dall'alto di Zexion e riuscì ad assestargli un calcio all'addome, spingendolo indietro barcollante; ne approfittò per tentare di trafiggerlo, ma Zexion si limitò a girarsi per poi estendere il braccio armato verso il suo volto colpendolo con l'elsa del Keyblade.
    - Ti stai sbizzarrendo, vedo - ridacchiò Zexion. - L'idea di uccidere un essere umano ti piace tanto? -
    - Nel tuo caso, posso mettere la morale da parte - rispose Roxas scattando tirandogli in pieno una testata sul naso: Zexion indietreggiò, ma non lo fece passare oltre. Batté la punta di Oblio a terra e respinse un affondo definitivo con un'onda d'urto che scaraventò il Custode contro una parete, facendogli sfondare il telaio di una finestra. Allen accorse riuscendo finalmente a trovare uno spiraglio per attaccare, ma Zexion puntò Oblio verso di lui lanciandogli un'altra onda d'urto, concentrata nelle dimensioni di un pugno: colpì l'Esorcista con forza inaudita, portandolo a schizzare dall'altra parte del corridoio, completamente opposto all'amico. Ma Zexion non aveva ancora terminato. Si rivolse nuovamente su Roxas, puntandogli Oblio contro. La sua punta sfrigolava.
    - E ora, ti farò capire quanto hai perso - sibilò. Dalle pietre uscirono legacci di roccia simili a serpenti, che lo incatenarono dove si trovava, impossibilitandolo a muoversi anche di un centimetro. Cercò di romperli, di forzarli, gemendo e annaspando nello sforzo, invano. - Cominciando dall'Esorcista. Ma sarò gentile. Non sarai costretto a vederlo morire -
    - FERMO! - latrò Roxas, furioso e spaventato al tempo stesso. Fino a poco prima era contento che Allen fosse lì a combattere al suo fianco. E adesso era stato liquidato come se nulla fosse. Zexion l'avrebbe ucciso. Per colpa sua. - TORNA QUI, ZEXION! COMBATTI! -
    - Dopo - rispose Zexion, allontanandosi verso Allen con passi lenti e inesorabili.


    Lexaeus spuntò poco dopo. Era praticamente illeso, nemmeno la roccia era riuscita a fermarlo. Cloud sollevò il suo Keyblade, pronto ad un altro duello all'ultimo sangue con il nemico più coriaceo che avesse mai affrontato. Sebbene le sue mosse fossero facilmente prevedibili, era la sua incredibile resistenza il problema. Era come se fosse avvolto da un'aura ineffabile che rendeva ogni suo colpo inutile: colpire Lexaeus era come colpire la roccia. Buster Sword slittava sulla sua pelle senza scalfirla. Eppure non ricordava l'Eroe del Silenzio così forte, nei suoi tempi di permanenza nell'Organizzazione. Cominciò a chiedersi quante cose gli avessero nascosto i Nessuno... e quanto fosse stato stupido a credere di averli ingannati.
    - E va bene - rantolò col respiro pesante, incurante del sangue rappreso sulla pelle, della stanchezza, delle ferite. Forse non sarebbe riuscito a uccidere Lexaeus, forse sarebbe morto praticamente subito, ma doveva provare. Doveva fare in modo che Vanitas e Roxas sconfiggessero Zexion. E poi sarebbe stato tutto più semplice per loro... - A chi la spunta prima, bestione! -
    Raccolse tutte le forze che gli restavano, invocando il potere del Caos, lasciando che le brillanti fiamme color ametista circondassero e pervadessero il suo corpo esausto. Poteva sentire il respiro di Nythera attraverso la lama, che vibrava di una nuova e flebile potenza. Non sarebbe durata a lungo, non in quelle condizioni, ma sarebbe riuscito quantomeno a ferirlo. Aveva funzionato con quell'enorme Colosso, perché non con il suo creatore?
    Lexaeus si preparò a scattare.
    Cloud fece altrettanto.
    Le due spade si scontrarono con tremenda potenza, spedendo il contraccolpo su per le braccia di entrambi i combattenti: con uno slancio si separarono, per poi riprendere a combattere con colpi verticali dal basso o dall'alto, dovendo concentrarsi di più sulle schivate che sugli attacchi veri e propri. Ma a un certo punto Lexaeus, spazientito, iniziò a vibrare fendenti con forza mostruosa, sfondando i muri di granito come se fossero di cartone. Cloud deglutì ad occhi spalancati, sentendo le gambe minacciare di cedergli, ma non si perse d'animo e riprese ad attaccare approfittando degli enormi spazi vuoti lasciati dallo Spazzaterra. Più e più volte i due si incrociavano in uno scontro di sopraffazione, ma finivano sempre per doversi ritrarre entrambi e riprendere a scambiarsi colpi a ritmo serrato.
    Cercò di colpire Lexaeus al fianco o alla testa, dove sperava fosse più vulnerabile, ma il tomahawk raggiungeva la sua spada ovunque si dirigesse e la faceva scivolare sulla propria gigantesca lama, respingendo ogni attacco con facilità. E per di più, il Nessuno non mostrava il minimo segno di stanchezza. Cloud urlò e caricò ancora e ancora, portando ogni colpo con tutta la forza che poteva, ma essa iniziava a mancargli. Le fiamme ametista si facevano sempre più deboli dopo nemmeno cinque minuti di scontro. Era davvero allo stremo, ormai. Le braccia gli dolevano, ma non poteva arrendersi né fuggire: portare Lexaeus là sopra sarebbe stato un errore terribile.
    Poi i suoi sensi cedettero.
    Non riuscendo a prevedere una finta, Cloud partì per parare un colpo che non sarebbe mai arrivato: al suo posto giunse l'enorme mano di Lexaeus a brancargli la faccia, afferrandolo per la testa. Cloud fu scosso da un dolore acutissimo alle spalle e al petto, mentre afferrava il polso del Nessuno cercando di divincolarsi. Sentiva la polvere di granito salirgli e scendergli per le narici, provocandogli l'istinto di tossire. Lexaeus mosse il braccio con violenza spaventosa, sbattendo Cloud contro il muro fino a imprimerlo tra i mattoni: un'altra scossa di dolore indicibile accompagno il gesto, minacciando di far svenire il Custode del Caos. Ma l'istante dopo il suo avversario chiuse la mano a pugno, e nella frazione di secondo successiva, Cloud tentò di indurirsi per attutirne l'effetto in qualunque modo. Non poteva schivare, non poteva contrattaccare. Concentrò tutte le forze che gli restavano per formare un minimo scudo...
    E poi il mondo divenne un inferno rossastro per un'apparente infinità.
    Il pugno infranse le deboli difese che aveva eretto abbattendosi inarrestabile sul suo torace; Cloud sentì le sue ossa scricchiolare dalle costole alla spina dorsale e gli organi minacciare di uscirgli dalla bocca, il sapore ferroso del sangue in gola. Il muro non resse il colpo per sua fortuna, e Cloud fu scaraventato di nuovo nella sala del trono, rotolando e urlando per il pavimento, macchiandolo del sangue che gli usciva copiosamente dalla bocca. Il suo percorso fu fermato da uno dei bracieri contro cui andò a sbattere, accompagnando l'impatto con un'altra esclamazione di puro dolore.
    Il suo corpo tremava.
    Vedeva a malapena. Lexaeus attraversò il muro con un balzo, atterrando pesantemente davanti a lui. Cloud sapeva che stavolta non avrebbe potuto fare assolutamente nulla per fermarlo. Non riusciva nemmeno a muovere un dito, figurarsi richiamare la spada.
    Non si era mai sentito così sfinito, così vulnerabile. Almeno, non da cosciente. Zexion aveva distrutto la sua mente, ma in quel momento essa funzionava benissimo, cosa che dubitava invece per il suo corpo. Probabilmente la sua spina dorsale era tutt'altro che integra, per non parlare delle costole e dei suoi organi interni. Non riusciva nemmeno a respirare come si doveva. Ogni boccata d'aria sembrava mandargli lame affilate e gelide nei polmoni, se ancora potevano definirsi tali.
    Spazzaterra tornò sibilando nell'aria, nella mano del suo proprietario, ormai pronto all'affondo finale.
    "Vanitas..." pensò. Ormai doveva essere riuscito ad arrivare da Roxas, nonostante il suo stato. Camminava con lentezza esasperante, ma dopotutto era stanco e sfinito come loro. Era passato abbastanza tempo, però. Zexion doveva essere morto. Doveva assolutamente esserlo. Aveva fatto il possibile.
    Era strano, però. Solitamente in quei momenti si ripensava inevitabilmente alla propria vita, a ciò che si era fatto. Ma dopotutto lui aveva ripensato continuamente alle sue scelte, giuste o sbagliate che fossero. La sua testa era sempre stata invasa dal risentimento e dalle ansie, dai desideri e dalle paure, fino a fargli venire il mal di testa: Rinoa, Xemnas, Vanitas, la vendetta, il mondo che voleva creare, quel cambio improvviso di eventi e lo scoprirsi del tutto vulnerabile e ingenuo, e tante, troppe altre cose che non facevano che peggiorare il suo stato d'animo. Ormai non aveva senso continuare a pensare. Era meglio rilassarsi, spegnere il cervello e lasciarsi andare all'abbraccio della morte... non poteva fare nient'altro. Però sperava: da qualche parte, in qualche mondo, un piccolo Cloud doveva sicuramente essere cresciuto felice con la sua famiglia. E ovviamente, sperava che Vanitas e Roxas potessero farcela.
    Aveva fatto il possibile.

    - Prenditela con qualcuno della tua taglia, b-bestione! -

    Era un bambino quello che aveva parlato? Avrebbe tanto voluto vedere, ma non poteva girare la testa. Sentì qualcosa di glaciale scorrergli nel corpo, alleviargli il dolore. Forse stava davvero morendo, infine. Però era così strano... lo faceva sentire meglio. Così tanto che poteva sentire nuovamente l'impulso di muoversi e di poterlo fare davvero! Le sue dita si stringevano ancora, riusciva nuovamente a sentirsi le gambe, e quel refrigerio sembrava aumentare. Sentì la pressione di mani amiche sulla schiena, mentre anche la respirazione tornava nuovamente agevole.
    - Appena in tempo...! - esalò una voce femminile, stanca, che aveva già sentito.
    - La... Ninfa..? - biascicò sentendo ancora dolore nel passaggio dell'aria. Ma dopotutto era già tanto che potesse ancora parlare.
    Sentì dei rumori simili a spari, e voltando appena la testa vide un ragazzino dai capelli neri con un largo cappotto blu che agitava un bastone, producendo quei suoni ad ogni sferzata.
    - Sta... affrontando Lexaeus... da solo? - realizzò orripilato. - E' pazzo?! -
    - Vivi è forte - assicurò Kururu continuando a dare fondo ai propri poteri. - E Lexaeus è un avversario perfetto per un mago dotato -
    E infatti ogni volta che Vivi muoveva il bastone, Lexaeus interrompeva qualunque movimento barcollando all'indietro. Il ragazzino cambiava costantemente i propri movimenti per non essere prevedibile, e Lexaeus perdeva terreno, continuando ad indietreggiare. Non riusciva a muovere un muscolo senza che Vivi gli lanciasse un altro di quegli incantesimi, probabilmente onde d'urto di sorprendente potenza.
    Il piccolo mago mosse il bastone con più enfasi e velocità, lanciando in pochi secondi diverse onde contro l'avversario: Lexaeus continuava ad arretrare, la sua pelle del tutto inutile contro i danni di quegli incantesimi semplici ma efficaci. E Vivi si muoveva come se lo stesse percuotendo corpo a corpo, creando uno schema di attacchi che faceva costantemente perdere l'equilibrio al Nessuno. Se la sua voce sembrava spaventata, il suo modo di combattere non lo dimostrava. E dopo diversi tentativi, finalmente Lexaeus perse la sua statuaria fermezza, finendo per cadere goffamente all'indietro: Vivi roteò il bastone come a caricare un colpo e scagliò un'onda d'urto più potente di tutte le altre dritta al suo addome, sparando il gigantesco nessuno attraverso il trono come un proiettile e facendolo incagliare nel muro. Quindi il ragazzino sollevò magicamente tutte le pietre che poteva tra i detriti e i rottami della fortezza, scagliandole a gran velocità contro Lexaeus, che in breve si trovò solo e disarmato contro una pioggia di granito, fino a venirne sommerso. Il ragazzino lanciò un'esclamazione di gioia.
    - Puoi alzarti? - disse Kururu. - Dubito che lo terremo a lungo -
    - Sì... credo di sì - rispose Cloud, rimettendosi faticosamente in piedi. Sentiva ancora dolore, ma molto meno. E poi poteva camminare. Tese la mano tentando di richiamare la Buster Sword, ma udiva a malapena la sua risonanza. Non poteva fare a meno di chiedersi come fossero arrivati lì... avevano forse rinunciato all'evacuazione? E come sapevano che si trovasse proprio in quella sala? Sentiva l'odore di Vanitas in quella faccenda, e non poteva che essergli immensamente grato.
    - Andiamo, Vivi! - chiamò la Ninfa, impaziente di allontanarsi il più possibile da quella bestia feroce.
    - S-sì - ubbidì il bambino, allontanandosi e facendo da retroguardia. In un vibrante sibilo, la Buster Sword raggiunse il suo padrone.
    Cloud si ritenne tremendamente fortunato.


    Allen cadde a terra, ansante. Crown Clown era lontana, inutile. Roxas era ancora bloccato, lo sentiva urlare. Non aveva fatto altro che chiamare Zexion, sfidarlo, insultarlo, provocarlo, ma niente lo smuoveva. Il Nessuno... no, non era un Nessuno. Era un Custode, aveva un Cuore. Ma Allen se ne accorse quando la sua spada, invece di ucciderlo o quantomeno ferirlo, non gli fece un graffio. Lo attraversò, come se fosse incorporeo. Come accadeva solo contro gli esseri umani.
    E il contrattacco fu presto soverchiante. Il Keyblade non poteva uccidere una persona normale, ma poteva comunque infliggere dolore, e parecchio: se ne rese presto conto quando, un fendente dietro l'altro, Zexion ebbe presto la meglio e lo ridusse in ginocchio.
    Ricevette un calcio sui denti, sentendo presto la bocca riempirsi di sangue: cadde a terra, e a quel punto un altro calcio lo raggiunse all'addome. Cercò di allontanarsi alla ricerca di un qualunque oggetto contundente, ma una mano invisibile lo sollevò, scaraventandolo contro una parete talmente fragile e debole da sgretolarsi non appena le finì addosso. E si trovò a galleggiare a mezz'aria.
    - Roxas non ti vedrà morire - assicurò Zexion, ma Allen capiva perché: il Burattinaio era tra i due, coprendo la visuale di entrambi. - Ma ti sentirà - disse alzando la voce. - E' un bel volo, da quest'altezza! - non mentiva. Un vento gelido sollevava polvere e stralci di tessuto nel corridoio, mentre l'Esorcista sentiva il terreno iniziare a mancargli sotto i piedi.
    Un improvviso crepitio cambiò la situazione: Allen non riusciva a capire a causa del rintontimento provocato dall'urto, ma a giudicare dall'espressione di Zexion, dall'altra parte stava succedendo qualcosa.
    - Tu... - Zexion spalancò gli occhi, esterrefatto. Allen faticò a trattenere un'esclamazione di gioia: intorno a Roxas bruciava una fulgida aura di fuoco bianco.

    Vanitas aveva incontrato Kururu e Vivi a metà strada, e nonostante le sue proteste, lo curarono. L'Unversed, dopo averli indirizzati immediatamente da Cloud, continuava a pensare a qualche modo per aiutare davvero Roxas, ossia restituendogli il frammento della sua anima, ma non capiva in che modo farlo. E nessuno dei due aveva risposte adeguate. Continuò a salire, sentendo la tensione montargli in petto. In quel momento non aveva la minima idea di come potesse aiutare ad affrontare Zexion, se non distraendolo in qualche modo.
    E poi vide Roxas legato al muro, urlante e furibondo, e Zexion che combatteva con Allen avendone facilmente la meglio. Si trovò paralizzato sul posto. Non sapeva come agire. L'unica cosa che avrebbe potuto fare si rifiutava completamente di farla. Forse in altre circostanze ci sarebbe riuscito, ma non dopo quell'addio così straziante ricevuto da Cloud. Non poteva tradire quel gesto così, nemmeno se facendolo avesse salvato il mondo intero. E il suo cuore sembrava esplodere. Doveva fare qualcosa, ma solo Roxas poteva uccidere il loro nemico, in quella stanza. Non aveva più nemmeno un'arma, non aveva le forze di richiamare i Nazgul, aveva solo quel frammento. Perché l'aveva accolto dentro il proprio cuore, se non poteva più farlo uscire? Perché era stato così stupido?
    - Roxas... - mormorò, richiamando appena la sua attenzione.
    - Vanitas...? E Cloud? - rispose Roxas, la sua espressione che si contraeva dalla rabbia e dall'impotenza mentre Allen pativa il dolore dello scontro.
    - Non dobbiamo pensarci - disse Vanitas deglutendo. - Io ho il frammento di Lexaeus... -
    - Tu cosa? - gliel'aveva già detto? Forse sì, forse no. Non ne aveva la minima certezza. Eppure, in quel momento, gli sembrava una notizia mai sentita. E giungeva proprio al momento giusto.
    - Ma non so come dartelo! - ammise l'Unversed muovendosi inconsciamente verso di lui. - Mi viene in mente solo un modo, ma non intendo farlo -
    - Io... forse ho un'idea - pensò velocemente Roxas facendo mente locale. - Mi basta che tu sia abbastanza vicino... Potresti rompere questi affari? - indicò i legami di pietra che lo tenevano imprigionato. Cercava di mantenete un tono calmo, ma Vanitas capiva quanto fosse impaziente e preoccupato. Ansimava ed era madido di sudore, indebolito, ma ancora intenzionato a combattere. E lui doveva pur aiutarlo, in qualche modo. Si avvicinò e pose una mano su uno dei legami, quello che conteneva il braccio destro di Roxas, concentrando in essa tutta l'Oscurità che poteva: aveva già fatto uno sforzo incredibile per dirigere i cadaveri Unversed e i Nazgul in modo che avessero un maggiore effetto contro i Mangiamorte, ma riuscì comunque a ridurre a liquame nero la pietra, facendola piovere disgustosamente a terra. Lo sforzo tuttavia lo fece barcollare.
    - Scusa Roxas - sospirò tenendosi al muro. - Ma temo che siamo tutti al limite -
    - Lo so - sorrise il Custode. - Ma non preoccuparti, un braccio mi basterà. Avvicinati -
    Vanitas si avvicinò dubbioso. Anche Roxas aveva notevoli dubbi sull'azione che stava per compiere. Sarebbe stato pericoloso quanto ucciderlo, probabilmente, ma se fosse riuscito a contenere l'assorbimento avrebbe lasciato l'Unversed solo un po' intontito, ma comunque vivo. Ricordava ora che forse Cloud gliel'aveva accennato, prima della battaglia: non ne capiva il motivo, però. Forse credeva che avrebbero combattuto per Vanitas? Non ne era davvero convinto. Ma in quel momento non aveva idea di come prendere quel frammento senza fare del male a Vanitas. Preso com'era dalla foga di salvare Allen però, la soluzione gli era giunta chiara come il sole nel giro di pochi istanti.
    - Così va bene? - domandò l'Unversed guardandolo incerto coi suoi occhi dorati.
    - Sì. Ti prego... non allontanarti - mormorò Roxas.
    Vanitas sussultò: la mano di Roxas, che da sola gli abbracciava un pettorale e la relativa spalla, scattò sulla zona del suo cuore e sembrò attaccarglisi come una ventosa. Sentì come se qualcuno stesse scavando nel suo Cuore, facendolo a pezzi lungo la strada. Le sue mani tremarono mentre istintivamente scattavano al suo polso per liberarsi da quella presa, ma cercò di non farlo. Doveva fidarsi di Roxas... poteva?
    - Ancora un po' - cercò di tranquillizzarlo. - Ci sono... - Roxas poteva sentire quella parte di sé racchiusa nel profondo del Cuore di Vanitas, e sapeva che nel raggiungerla gli stesse facendo più male di quanto volesse. Ma finalmente riuscì a raggiungerla. Una familiare sensazione si fece strada dal suo braccio fino al suo Cuore, infondendogli nuovo vigore, curandogli le ferite, liberandolo dal dolore.
    - Roxas... - annaspò Vanitas con la voce mozzata. - Non... non ce la faccio... - il suo viso faceva ben capire quanto stesse patendo, e solo il Creatore sapeva a quali energie stesse ricorrendo per non cedere.
    Le fiamme bianche dissolsero i legacci, facendo cadere entrambi. Vanitas cadde supino, quasi abbandonato, con Roxas che puntò un ginocchio a terra per non cadergli addosso, continuando ad assorbire la propria essenza dal suo petto.
    - Ho quasi finito! - assicurò. - Non mollare, Vanitas! - proprio come a Salika, di colpo si sentì praticamente come nuovo: i muscoli erano nuovamente pronti e scattanti, il corpo risanato, il suo pensiero più lucido che mai. E nel giro di pochi istanti, anche l'ultima stilla di quel frammento fu restituita al suo originario possessore. - Fatto... - disse togliendo la mano. Vanitas sospirò esausto, definitivamente incapacitato a fare qualunque altra cosa. - Stai bene? -
    - ...Allen - farfugliò l'Unversed prima di perdere i sensi.
    Roxas diede fondo a tutte le proprie energie, carico di una rabbia cosciente, una volontà irrefrenabile: le fiamme bianco-argentee lo avvolsero, sfavillanti, mentre si alzava richiamando a sé Narsil tramite la mera forza del pensiero.
    - Tu... - disse Zexion esterefatto, vedendolo. Brandì Oblio pronto allo scontro, ma quella distrazione gli fu fatale: Allen gli tirò una pietra che evitò solo all'ultimo prendendolo alla spalla. - Dannato piccolo bastardo! - esclamò cercando di colpirlo, ma in quel momento arrivò Roxas, correndo, ma senza Narsil in pugno: e Zexion capì che non aveva alcuna intenzione di affrontarlo ancora in duello. Voleva caricarlo. Il Burattinaio urlò puntando Oblio.
    Roxas urlò.
    Nell'urto, entrambi caddero dal buco causato da Allen, nel vuoto.

    Roxas tornò a volare, circondato di fiamme e fumo di un argento luminoso e vivo: Zexion invece si avviluppò nel suo fumo nero, con un ghigno malvagio in volto. Prima un pugno, poi un altro, circondati da fumi e fuochi indistinti, in uno scambio confuso di pugni e calci e parate. Combattevano continuando a tentare di aggirarsi, intrecciando le loro scie in un avvitarsi grigiastro. Le armi furono sfoderate, e presto seguitarono a menare fendenti e tagli, cercando i punti deboli dell'altro, avvalendosi di quel combattimento aereo per scattare dietro l'avversario. Ma nessuno dei due riusciva ad avere la meglio, continuando ad equivalersi. Se Zexion riusciva a mandare a segno un pugno o un calcio, Roxas lo restituiva: se uno riusciva a infrangere la guardia dell'avversario, l'altro contrattaccava e riusciva a sbilanciare ancora la sorte dello scontro. Il Keyblade e la spada secolare si scontravano con fragore, tra scintille bluastre e arancio, sibilando e vibrando tra le mani dei loro padroni. In quel momento il pensiero di Roxas andava anche ai suoi Keyblade, uno disperso e l'altro nelle mani del suo nemico, ma non poteva fare più di tanto: gli attacchi di Zexion erano implacabili e lo costringevano a rispondere con altrettanta decisione, impedendogli di pensare al cento per cento. La priorità era solo una: eliminare il suo avversario una volta per tutte. Si separarono ancora una volta, inseguendosi su per le mura del castello, scontrandosi ogni qualvolta che ne aggiravano le mura, per un breve duello aereo seguito da un'altra ritirata: finirono sulla sommità, superandola, volando e lottando in mezzo alle nubi peste e al vento gelido. Roxas poteva addirittura sentire il sudore congelarglisi sulle guance e sulla fronte, ma non avrebbe ceduto.
    Andarono avanti a scontrarsi per decine di minuti interi, senza riposo, senza sosta: dove non riuscivano a duellare con le spade, andavano di pugni e di calci, colpendosi a vicenda quasi allo stesso ritmo. Roxas aveva un labbro spaccato da un calcio e sentiva dolore un po' ovunque, e Zexion era ugualmente pesto. Ogni volta tornava e ogni volta combattevano. Nella furia della battaglia Roxas poté sottrarre la bacchetta di Zexion, dopo avergli assestato un pugno dritto al torace: gli scivolò dalla manica, ma il Burattinaio prese la cosa con noncuranza.
    - Assorbila, avanti - lo provocò quasi, rantolando per il colpo appena subito. - So che non reggerai questo combattimento a lungo, altrimenti.
    Roxas spezzò la bacchetta, percependo per la seconda volta quella familiare sensazione di rinvigorimento dovuta all'aver assorbito un altro frammento della sua anima, del suo Cuore. Evidentemente nemmeno l'Organizzazione poteva impedirlo. Nuovamente pronto all'azione, Roxas si lanciò su Zexion, subito accolto da una parata e un contrattacco con un calcio e un fendente ascendente: lo evitò, ma per riequilibrarsi fece una goffa capriola a mezz'aria. Si trovava stranamente bene a volare, sebbene padroneggiarne la tecnica non fosse sempre facile. Soprattutto a quell'altezza il vento li sbilanciava facilmente, spingendoli a maggiori sforzi per potersi scontrare senza mancarsi. Dall'inizio di quel combattimento, ormai, doveva essere passata ben più di mezz'ora.
    Finché entrambi, senza saperlo, decisero all'unisono di porre fine a quel combattimento con un ultimo attacco. Dopo essersi scontrati l'ultima volta e dopo che Roxas incassò un taglio sul braccio, si allontanarono come a prendere una potente rincorsa. Poi, quasi allo stesso istante scattarono, uno col Keyblade e l'altro con Narsil caricati di un'energia immensa, pronti a uno scontro fatale. Erano sempre più vicini, sempre più prossimi all'impatto l'uno contro l'altro, in quella mossa disperata. Erano entrambi al limite delle forze, e lo sapevano bene.

    L'urto arrivò.

    Un'esplosione bianca seguì allo scontro, generando una spaventosa folata di vento che sollevò persino i detriti del cortile: tutt'intorno l'aria sembrò seccarsi e sparire, risucchiata dal globo di energia che si era creato tutt'intorno ai due, ma durò solo una frazione di secondo. L'istante dopo una violenta forza repulsiva respinse entrambi, facendoli schizzare come proiettili verso il basso, ai lati opposti l'uno dell'altro, rotolando e strisciando sul terreno accidentato, sfiniti, stanchi, ma ancora vivi.
    Tutti e due.


    Nel cortile regnava il silenzio. Cloud, ancora pesto e zoppicante, azzardò un occhio fuori dal portone. Lexaeus sembrava morto o almeno privo di sensi sotto le macerie. Kururu e Vivi gli stavano vicino, mentre assistevano Allen e Vanitas, giunti lì sotto alla ricerca della Ninfa e delle sue cure. Allen aveva portato Vanitas in spalla nonostante le ferite, e strepitava ancora per dare una mano a Roxas. Poi entrambi li videro scontrarsi nel cielo, per poi piombare nel cortile dinanzi a loro, alle parti opposte. E ora giacevano inerti...
    Finché Zexion non si mosse.
    - Diamogli il colpo di grazia! - disse Allen alzandosi di scatto. Ma Cloud lo fermò con un braccio.
    Anche Roxas riprese a muoversi.

    Narsil giaceva in mezzo al cortile, troppo lontana per essere raggiunta: ma Roxas non ne aveva bisogno. Davanti a lui, come mandata dal cielo, c'era Giuramento. Come fosse arrivato lì, chi l'avesse mandato o se fosse stato lui a chiamarlo inconsciamente, non ne aveva idea. Ma sapeva che era l'arma di cui avesse davvero bisogno in quel momento. Strisciò, centimetro per centimetro, con lentezza incredibile fino all'arma, mentre con la coda dell'occhio vide Zexion che faceva lo stesso. Oblio era caduto accanto a lui, e non ci aveva messo molto ad avvicinarcisi per riprenderlo. Ma, senza nascondere una certa soddisfazione, vide che anche il Burattinaio Mascherato era ormai allo stremo delle forze.
    Si alzò lentamente, con Giuramento che gli oscillava tra le dita, guadagnando nuovamente un minimo di altezza e potendo sentire lo sguardo del nemico su di sé da quella distanza. Zexion puntò Oblio contro di lui, ancora una volta. Roxas spalancò gli occhi mentre, con un urlo del Numero VI, un minaccioso raggio nerastro saettava sfrigolando verso di lui.
    "Scudo!"
    Giuramento riuscì a parare il colpo, che cercava di sopraffare la barriera eretta all'ultimo secondo contorcendosi e gettando piccole strali da tutte le parti, sollevando violente folate di vento che facevano svolazzare ogni lembo dell'abito di Roxas e i suoi capelli incrostati di polvere, sudore e sangue. Le sue mani tremavano, e non sapeva quanto avrebbe potuto reggere quello scudo contro l'incantesimo di Zexion: l'aver assorbito due frammenti del proprio essere in poco tempo gli dava certamente un vantaggio, ma essendo ancora incompleto era comunque ben lontano dal poter lottare al pieno delle sue forze per lungo tempo. Se solo ci fosse stato un modo per uscire da quella situazione! E a nulla serviva pregare che Zexion esaurisse le energie. Era come indemoniato, animato da una furia che teneva nascosta chissà dove, e il suo incantesimo diventava sempre più potente invece di indebolirsi. Un ginocchio di Roxas cedette, e il Custode minacciò di non tenere più l'attacco del Burattinaio...

    Poi una lama scintillò dal nulla, in mano ad Allen.

    Zexion lanciò un urlo di dolore, mentre la mano che reggeva Oblio cadeva a terra: Zexion usò un'onda d'urto dalla mano per respingerlo, rabbioso e tremante, incapace di reggere quella sofferenza improvvisa. Ma prima di venir respinto, Allen riuscì a calciare via la mano mozzata, con Oblio tra le sue dita. L'attimo dopo però fu scaraventato contro il muro del castello, ancora vivo nonostante tutto.
    - FINISCILO, ROXAS! - gridò tenendosi una spalla.
    Il calcio di Allen riuscì nell'impresa: Roxas poté correre incespicando fino al suo Keyblade nero, spingendo via la mano mozzata senza nemmeno accorgersene, mentre poteva sentire nuovamente l'impugnatura tra le proprie dita, pervaso da una gioia indescrivibile. Finalmente li riaveva entrambi.
    Si girò verso Zexion, che lo guardava con un misto di paura e rivalsa. Non si sarebbe arreso.
    E Roxas non aveva neanche intenzione di chiederglielo.
    Un frastuono di pietre ribaltate fece piombare Cloud, Kururu e Vivi nel terrore: Lexaeus era rinvenuto, dunque? Il Custode del Caos brandì la Buster Sword pronto a un nuovo scontro, quando come temevano il gigantesco Nessuno uscì dalle macerie che Vivi gli aveva tirato addosso. Lexaeus lanciò un grido assordante, scacciando all'istante qualunque detrito gli bloccasse la strada: e nello stesso istante in cui Roxas iniziò l'ultima carica contro Zexion, anche l'Eroe del Silenzio scattò in una corsa disperata, il viso marmoreo deformato in un'espressione che poteva ricordare solamente una paura atavica e devastante. E gli incantesimi di Vivi non funzionavano più su di lui: si limitavano a spingergli indietro una spalla, o una gamba, senza sbilanciarlo.
    Ma Lexaeus non ci faceva nemmeno caso.
    Roxas andò dritto su Zexion, che mandava deboli incantesimi per fermarlo: non aveva più i suoi Mangiamorte, né le sue armi. Ogni suo attacco rimbalzava sui Keyblade, seminando esplosioni tutt'intorno a Roxas. Era solo, vulnerabile. Aveva rifiutato di unirsi a loro, preferendo essere leale a Xemnas fino alla fine. Aveva vissuto una vita miserabile e vuota. Ogni passo che Roxas faceva per corrergli contro, ricordava le sue parole. E la sua visione, che aveva realizzato con così tanta cura. Un mondo magnifico e perfetto...
    "Se vincerai tu, saranno persone come Ansem a guidare questo mondo."
    Preparò l'affondo con Oblio, facendo rimbalzare ogni incantesimo su Giuramento.
    "La mia famiglia d'origine era una provetta."
    Roxas gridò ancora, con tutta la forza che aveva. Lo sguardo di Zexion era rassegnato, privo di ogni speranza. Aveva capito. Era finita.
    "Non ci saranno altri Ienzo."
    Oblio colpì, affondando nella carne del primo Custode dell'Equilibrio.
    Il Keyblade sfondò persino il tessuto del manto dell'Organizzazione, tanta era la forza inferta nel colpo. Copiosi rivoli di sangue scesero dalla lama fino alla mano di Roxas, gocciolando ai loro piedi. La mano di Zexion si resse debolmente al Custode, ma alla fine crollò su di lui, con la testa che guardava verso destra. Roxas guardò a sua volta, trovandosi davanti Lexaeus, un'espressione indecifrabile sul volto. Tese l'enorme mano verso il morente compagno, che sorrise lievemente sovrastando il dolore.
    - Ae... leus... - biascicò, prima di perdere ogni presa sul Custode. Roxas non riuscì a trovare alcuna gioia in ciò che aveva appena fatto.
    "Il mio Aeleus..."
    - Requiescat in pace, Ienzo - pronunciò frettolosamente, sentendo la voce tremargli.

    Tirò fuori il Keyblade dal corpo senza vita di Zexion, rivolgendosi verso l'Eroe del Silenzio. I suoi occhi comunicavano una tristezza inesprimibile. Roxas avanzò, con le gambe tremanti e il corpo ancora poggiato a sé, proprio verso di lui. Non sapeva perché lo stesse facendo, ma sentiva che era la cosa giusta da fare.
    - Mi... - esordì a voce roca, faticando a tenere la presa. - Mi dispiace, Aeleus... - non riusciva a guardarlo negli occhi. Ma non sapeva per quale paura, se di venirne ucciso o di esserne giudicato. - Lui... ti voleva molto bene, e... io non avrei voluto... davvero - sentiva la vuotezza di quelle parole ancor prima di pronunciarle, ma lui stesso non capiva cosa provasse in quel momento. Zexion era morto, eppure non riusciva ad esserne felice.
    Lexaeus si avvicinò, e per un istante provò autentico terrore.
    Ma poi lo vide prendere il corpo dell'inseparabile amico e fratello tra le braccia con incredibile e disarmante delicatezza, stringendolo appena all'enorme petto. Si chiedeva, cosa provava Lexaeus? Era davvero un Nessuno, o anche lui aveva trovato il modo di ingannare Xemnas? O forse...
    Il suo Cuore era Zexion stesso?
    Qualunque fosse la risposta, Lexaeus annuì alle sue scuse. Sollevò bene il compagno, ripulendogli il viso dal fango e dalla fuliggine, avviandosi verso l'entrata principale della fortezza senza dire, come sempre, una parola...

    - Hai finito di perdere tempo, Lexaeus? -

    Roxas si voltò di scatto, a occhi spalancati.
    - VEXEN! - latrò Cloud brandendo la spada. Ma non era da solo. - E anche tu, bastardo - disse rivolto a Ike, l'Unversed dai capelli blu che l'aveva messo alle corde nella sua fuga dal Castello Bianco.
    - Siamo qui solo per raccogliere i cocci - disse Ike senza dargli troppa attenzione, con la spada in spalla. - Andiamo, Lexaeus. Il Superiore si congratula per l'ottimo lavoro -
    Ma Lexaeus non espresse per niente un apprezzamento al riguardo.
    - Lo ricreeremo - assicurò Vexen. - Per quanto io detesti sprecare il potere del Frutto per riportare in vita i falliti... bah! - sbuffò tirando uno schiaffo al viso senza vita di Zexion. Lexaeus emise un ringhio, ma non disse nulla. - Ho sempre saputo che era bravo solo a parole. Gli sta bene - schioccò le dita verso Ike. - Andiamo -
    - Ci vedremo, non preoccupatevi - ridacchiò Ike mentre svanivano in una massa informe di fumo nero, volando in direzione di Mordor e svanendo nel cielo.
    Roxas cadde in ginocchio, sfinito, vedendoli andare via. Erano tutti sfiniti, increduli per essere riusciti a fare l'impossibile, carichi di nuove speranze: ma il Custode dell'Equilibrio era anche ottenebrato da un senso di colpa che non riusciva a domare. Zexion, Ienzo, era uno di loro, era un Custode. Cosa sarebbe successo se avessero scoperto che lo scopo dei Custodi non era poi così giusto? Avrebbe anteposto i propri sentimenti a un bene superiore? Sarebbe stato in grado di scegliere, lui che cercava sempre di vedere il giusto ovunque?
    Non lo sapeva. Però, almeno poteva tirare un sospiro di sollievo. Ce l'avevano fatta.
    L'Enclave era salvo.








    .........STAVO SCHERZANDO. :guru: Ci vediamo presto col capitolo 35, buon Natale a tutti!
     
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    Twilight Player

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    fottutamente fantastico.
    Il primo pezzo è veramente favoloso, quando sono arrivato al punto in cui Ven cerca di far tornare al "mondo reale" Roxas e Zexion si impone, è veramente favoloso!
    Che poi, per me sono le solite menzogne quelle di Ienzo, sul fatto che il mondo di Xemnas sarebbe stato perfetto, come nel sogno..

    Poi Roxas si sveglia e sembrano essere cazzi per Ienzo..
    ma devo dire che è veramente favoloso. E' uno dei personaggi dell'Organizzazione che preferisco, e tu lo hai impostato veramente bene!
    "La mia famiglia d'origine è una provetta" wtf! ahahah
    E' FIGLIO DI UNA PROVETTAH!!

    Lo scontro finale ancora più bello. Davvero, capitolo favoloso.
    Leaxeuasuau o come si scrive se ne va così, e arriva l'acidella a rompere i maroni..
    NDAH!
    Roxas vincerà!

    Vivi best in the world.

    SCRIVISCRIVISCRIVI.
     
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  11. MrKratos9
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    CITAZIONE (Nyxenhaal89 @ 25/12/2012, 22:33) 
    .........STAVO SCHERZANDO. :guru: Ci vediamo presto col capitolo 35, buon Natale a tutti!

    Questo non l'avevo letto, m'era partito tipo un embolo xDD. Coooomunque, ricapitolandolo: il mondo perfetto m'è piaciuto, soprattutto quando hanno parlato di videogiochi, e Cloud bambino è puccioso, con due papà :mki: Inoltre se Zexion avesse ragione? Se i Custodi combattessero per una cattiva causa? Quoto anche Nemesis, SCRIVISCRIVISCRIVI... LOOOL
     
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280 replies since 1/9/2010, 11:01   6181 views
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