Dirge of Keyblade

L'Ultimo Atto della Trilogia!

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  1. Nyxenhaal89
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    Capitolo 33 online!
    Grazie a Nemesis per la recensione (che farà u.u) a tutti quelli che hanno letto finora (5300+ visite... grazie! *W* ), sperando che la storia continui ad appassionarvi e a piacervi! Un saluto a tutti quelli che leggevano, sperando di poterli rivedere su queste pagine.
    Buona lettura!


    33: Il Burattinaio Mascherato

    Fu quindi con il cuore traboccante di nuove speranze che Roxas scese le scale che portavano giù, verso la sala d'ingresso e il salone del trono, totalmente spoglio ora che i paramenti azzurri e il tappeto che partiva dall'ingresso erano stati tolti e tagliati per farne giacigli. Al suo ritorno l'ambiente non era cambiato poi tanto: c'erano ancora i lenzuoli e le barelle che ospitavano i feriti e le Ninfe che correvano senza sosta da un bisognoso all'altro, nel tentativo di accontentare tutte le richieste. Anders, stremato, continuava comunque a fare il proprio dovere di Guaritore e anche le Streghe facevano del proprio meglio, nonostante la loro preparazione fosse più orientata sugli incantesimi offensivi. Road Kamelot girava tra le barelle e le lettighe, dispensando parole di conforto con una voce del tutto diversa dal consueto squittio petulante. Sembrava molto più adulta e non c'era un briciolo della superficiale frivolezza che l'accompagnava, sul suo viso.
    - Buone notizie, vedo - disse Cloud raggiungendolo alle spalle e passando l'indice sull'elsa di Giuramento. - Mi aspettavo una nuova forma -
    - Anch'io. Ma sembra che sia riuscito a riforgiare quelli rotti - rispose Roxas guardandosi intorno.
    - Ti sono anche tornate le forze, a quanto pare - aggiunse l'altro incoraggiante.
    - Spero saranno sufficienti -
    - Eccoti di ritorno - intervenne Road avvicinandosi con passo leggero. La sua voce era davvero molto più matura, il che stonava visibilmente con il suo corpo di bambina. - E appena in tempo -
    - Quanti uomini abbiamo? - domandò immediatamente Roxas senza esitare. Dovevano fare una sortita finché potevano. - Cloud può occuparsi di quel mostro. Possiamo affrontare Zexion -
    - No, Roxas - nel tono di Road non c'era possibilità di appello. - Ho bisogno di te e Cloud nel castello. Il Trio è stato spezzato -
    - Il Trio? - ripeté Cloud.
    - Flemeth e Theresa sono morte. Con loro eravamo il Trio che protegge l'Enclave in assenza di Andraste - spiegò la Noah.
    - Perché ti serviamo nel castello? Un manipolo di bravi maghi potrebbe mettere fuori gioco i Mangiamorte... - Roxas continuava a pensare strategie: la sua testa era percorsa da un viavai confusionario di ipotesi, tattiche, probabilità e schemi che cercava costantemente di razionalizzare e selezionare.
    - Il Trio è stato spezzato - ripeté Road con insistenza. - Theresa e Flemeth sono morte. Andraste è lontana. La via per Mordor è riaperta e questo ci rende un facilissimo bersaglio -
    - Non starai pensando di... - nella mente di Roxas si fece spazio un'amara delusione.
    - Abbandoniamo l'Enclave, Roxas. Tu e Cloud chiuderete la fila e assisterete la ritirata fino al Fosso di Helm, la fortezza nascosta di Hexter - disse con tutta l'aria di aver appena proferito un ordine tassativo.
    - Non abbiamo ancora perso, Road! - il Custode aveva gli occhi spalancati d'incredulità: come potevano volersi arrendere così? - Dopo che hai lanciato la tua barriera sono rimasti solo i Mangiamorte! Possiamo ancora combattere! -
    - E morire - precisò Road con sguardo severo. - Weisshaupt è perduta, Roxas. Zexion ci ha colti nel momento di massima debolezza ed è riuscito a contaminare il Trio rendendoci estremamente vulnerabili. Più di metà degli abitanti di questo castello sono morti e vuoi che ne mandi altri al macello? Non getterò le loro vite in pasto a Zexion per una sortita suicida - rimproverò. - L'Enclave ricade sulle mie spalle, adesso. Devo fare ciò che è meglio per i miei protetti -
    Roxas si guardò intorno, confuso e amareggiato. Tutte le strategie che aveva pensato svanirono nella nebbia indistinta della sua mente e tutto divenne vacuo e pallido all'immaginazione. Sentiva delle vibrazioni provenire dei suoi Keyblade, come se gli spiriti dei due Draghi lo incoraggiassero a fare qualcosa, ma lui non aveva idea di cosa potesse fare per sistemare la situazione. Ma non sentiva di poter davvero biasimare Road per la sua decisione: lui avrebbe sicuramente fatto lo stesso in quelle circostanze.
    - Se fuggiamo ci inseguiranno - irruppe la voce di Cloud, profonda e grave, ma non priva di una sfumatura di scherno. - Possiamo rintanarci in una nuova fortezza, giocare a fare la fazione neutrale e trovarci nuovamente un'armata addosso, magari ancora più grande di quella che abbiamo affrontato oggi. E verremo massacrati, stavolta. Tutti quanti - sottolineò con un cenno del capo.
    - Però ha ragione - dovette ammettere Roxas. - Guardali, Cloud. In qualche modo l'influsso di Zexion ci ha indeboliti tutti. E come se non bastasse siamo pieni di feriti. Se facessimo una sortita, chi si trova nel castello sarebbe indifeso. Se non la faremo... -
    - Ci fosse stato il Trio completo, ci saremmo potuti rintanare qui dentro in eterno - spiegò Road. - In nostra presenza o in quella di Andraste, Weisshaupt è impenetrabile per tutte le creature oscure. Ma sono rimasta solo io; questo rende il castello una preda facile per un mago potente come Zexion -
    - Allora non abbiamo scelta - il Custode dell'Equilibrio portò la mano a Oblio e lo sguainò; la lama luccicò sinistramente al danzare delle torce. - Non vi servono dei Custodi per una scorta -
    - Cosa pensi di fare allora? - domandò Cloud.
    - Siamo Custodi, il nostro posto è fuori da questo castello. E il posto dei nostri Keyblade è nel cuore avvizzito di quei maledetti Nessuno - rispose Roxas stringendo saldamente l'impugnatura. - Io e te dobbiamo restare qui e fare il possibile per eliminare Zexion e la sua belva da compagnia -
    - In due contro un esercito di Mangiamorte? - Road avrebbe voluto ridere.
    - Facciamo tre - disse Vanitas sbucando alle spalle dei due Custodi: lo avevano perso di vista per un bel po' di tempo e non avevano idea di fosse andato, ma sembrava stranamente soddisfatto. - O trecento, se capisci cosa intendo - aggiunse con un sorriso complice per Cloud.
    - Potrai sostenere di nuovo uno sforzo simile? - domandò lui serio.
    - Non sottovalutarmi - rispose Vanitas con saccenza. - Ho tenuto testa all'intera Organizzazione da solo, io -
    La novella guida dell'Enclave rimase per diversi istanti a osservare i tre con tutta l'aria di chi stava fissando dei pazzi o dei condannati a morte, ma qualunque fosse il suo pensiero non si preoccupò di rivelarlo. Si limitò a sospirare pesantemente per poi dirigersi verso il trono di Andraste, voltando le spalle ai Custodi. Sentì i loro passi e le loro voci allontanarsi, mentre discutevano di piani e stratagemmi da usare contro il loro nemico: non erano spensierati come avrebbe potuto pensare all'inizio, ma speranzosi. La battaglia aveva provato tutti, non solo i soldati del castello ma anche quei giovani Custodi; invece di infiacchirli e demoralizzarli, però, erano più determinati che mai a concluderla e Road sapeva che, in qualche modo, ce l'avrebbero fatta. Quella notte era sembrata lunga mesi interi, e sentiva nelle ossa che quell'alba sarebbe stata macchiata di altro sangue. C'era stata troppa morte per Weisshaupt, lo poteva percepire, poteva udire le urla di dolore di coloro che avevano combattuto per difenderla. La fortezza dell'Enclave era ormai destinata all'oblio, al ricoprirsi di crepe e rovinare su se stessa fino a divenire un cumulo informe di malta, granito e pietra in mezzo al crocevia di Nowart. Anche se storicamente era passata di mano in mano nel corso dei secoli, la sua attuale condizione l'avrebbe resa per sempre invivibile.
    E in quel momento, poteva solo immaginare la sofferenza di Andraste.


    Giaceva supina su un letto di piume, avvolta in morbide pellicce d'orso bruno e lenzuola di raso bianco, le membra abbandonate pigramente come prive di vita, i capelli dispersi in un groviglio confuso di fili finissimi e appena ondulati. La sua testa era ancora pesante, come il suo cuore, il cuore che lei aveva istintivamente toccato quando cadde in ginocchio, con l'anima sconvolta da una sensazione mai provata prima. Il dolore di cento, cento e altri cento legami spezzati l'aveva colta con violenza e sorpresa, tramortendola e mandandola in ginocchio con gli occhi schermati di lacrime. E in quel momento, Andraste capì che i suoi protetti, i suoi figli, erano in un pericolo mortale. Doveva essere notte a Weisshaupt, notte fonda mentre lì era l'alba, quando quelle sensazioni iniziarono. E ora, a mezzogiorno inoltrato, esse erano terminate. Ma erano terminate davvero, o la confusione dello svenimento aveva solo affievolito le urla e i pianti che le avevano aggredito le orecchie? Stava parlando con il principe Rasler e Rufus Shinra, anfitrione e ospite del Palazzo Reale di Minas Tirith, quando i sensi iniziarono a venirle meno. Si era congedata con tutto il garbo possibile, per poi barcollare per i corridoi in preda agli ansiti, reggendosi a muri e colonne, sola in un dolore sconosciuto, persa nei meandri di una sofferenza che non riusciva a capire.
    Aveva le sembianze di un corvo, ma sembrarono ali d'angelo quelle che divennero poi le braccia di Medivh, padre di Morrigan e compagno di Flemeth. Quelle braccia la portarono nella sua grande stanza grigia e nera coi muri ad arabeschi argentei, le cui mura, diceva Rasler, avevano ospitato la Regina Evey sua madre quando doveva partorire; poggiata sul letto si abbandonò finalmente a un sonno agitato e scosso, mentre le voci dei suoi figli ormai morti riecheggiavano nella sua mente stanca minacciando di farla cadere in un abisso di follia e dolore. Nei suoi sogni tormentati vide proprio lei, la madre di Rasler, sorriderle con tenerezza e abbracciarla, i capelli castano scuro e la veste bianca che le fluttuavano mossi da un vento invisibile. Le toccò le spalle e i seni, i fianchi e il grembo con tenerezza materna, e poi Andraste si riprese da quel riposo forzato, baciata dai tiepidi raggi solari di mezzodì. Prese lentamente controllo delle sue facoltà prima di iniziare a levarsi pesantemente dal letto, stanca e avvilita. Ravviò i capelli dietro la schiena, sentendo la veste di velluto nero orlata di pizzi d'oro della sera prima ancora indosso: Medivh era un uomo rispettoso e rigoroso, e si aspettava che non l'avrebbe spogliata né avrebbe permesso ad altri di farlo, nemmeno se ciò l'avesse fatta stare più comoda o riposare meglio.
    - Siete sveglia, mia signora - disse la voce lenta e solenne dell'anziano stregone, avviluppato nel suo malconcio mantello rosso stinto dagli spallacci piumati. Il suo viso scarno mostrava rughe profonde e una barba ispida e incolta che terminava con un acuto pizzetto castano. I suoi occhi neri traboccavano di vitalità e potenza, nonostante fosse chiaro che la sua vigilanza fosse stata ininterrotta per tutta la mattina.
    - Avete vegliato su di me - disse Andraste sorridente, sovrastando gli echi che ancora perseguitavano il suo animo. - Odio vedere i ruoli invertirsi... -
    - Siete la donna della mia vita, Andraste. Come la mia amata Flemeth e la mia Morrigan - rispose Medivh sorridendo con un certo compiacimento. - Sebbene siate più vecchia di me, siete come una figlia -
    - Ti ringrazio per il tuo amore, Medivh - disse la Signora dell'Enclave rincuorata. Tuttavia nello sguardo dello stregone leggeva molto più che preoccupazione per il suo improvviso mancamento.
    - Devo chiedervi perdono, mia signora - esordì alzandosi con gravità dalla seggiola di quercia dov'era stato seduto per ore, silenzioso e inerte come un uccello. - I miei poteri hanno avuto l'ardire di sfuggire al mio controllo in vostra presenza -
    Andraste improvvisamente fu molto meno calma. Medivh era un abile mutaforma, signore degli uccelli e maestro nell'arte di comunicare con le creature viventi, di conseguenza era anche un abile telepate. E a causa del suo legame con i componenti del suo Enclave, lei era estremamente vulnerabile a coloro in grado usare un tale potere. E in quel momento, sentendosi persa e sola, Andraste pensava solamente a una persona.
    - Tuttavia, adesso non posso tirarmi indietro dal confessarvi le mie preoccupazioni - proseguì Medivh afferrando il bastone dal pomo a forma di corvo che portava sempre con sé. - E cercare di dissuadervi dal proseguire una simile condotta con uno dei vostri Custodi -
    - Perché, Medivh? - chiese lei mantenendo la calma il più possibile, cercando di non mostrare la propria preoccupazione. - Perché sono la vostra signora? Perché non è appropriato? -
    - Perché è un Custode, mia signora. Un Custode che in questo momento sta per affrontare una prova mortale, e che forse non sopravvivrà a questa guerra. Amare un Custode non è amare una persona comune - disse lo stregone in tono pacato, ma le sue parole non trasmettevano alcun rimprovero: solo preoccupazione, costante e irrefrenabile. - Amare un Custode significa amare l'incertezza. Affidare i propri sentimenti a un salto nel vuoto. Amare un Custode è sofferenza, Andraste - l'aveva chiamata per nome, in quel modo che la faceva sempre sentire una bambina bisognosa d'affetto.
    Per un attimo fu tentata di dargli ragione. E come dargli torto? Lei lo sapeva bene, ogni volta che Artix indossava quell'armatura per andare in battaglia e usciva dalle porte di Weisshaupt, non ne avrebbe facilmente fatto ritorno. Ma non poteva smettere di amarlo. Per quanto si fosse sforzata, semplicemente stare in sua presenza animava sentimenti disperati, la faceva sentire la donna che sarebbe dovuta essere, le dava la forza di proseguire in quella lotta logorante e terribile. Artix era tutto ciò che si frapponeva tra lei e un abisso di dolore. Si alzò a sedere con incredibile lentezza, per poi darsi la spinta per mettersi debolmente in piedi. Aveva bisogno di mettersi sulle proprie gambe, di non sentirsi malata. E in quel momento continuava a vedere la regina Evey del suo sogno.
    - Il tempo dell'Enclave è giunto al termine - disse Andraste cupa. - Per cento anni abbiamo servito la causa dei Custodi, abbiamo fatto sacrifici in nome della pace. Ma ormai non dipende più da noi. Gli eventi di stanotte hanno dimostrato che questa guerra è troppo grande per noi -
    - E questo cosa significherebbe? - insistette Medivh. - Anche se l'Enclave si ritirasse, Artix Pendragon resta un Custode, e... -
    - Non chiamtelo a quel modo - lo rimproverò lei ergendosi con autorità. Lui odiava che si dicesse il suo vero cognome, che gli si mostrasse lo spettro del suo retaggio.
    - Io mi preoccupo per voi, Andraste! Non voglio vedervi soffrire! - esalò Medivh quasi esasperato, reggendosi al bastone. - Credete che io non sappia di cosa parlo? -
    Flemeth, pensò. Flemeth era morta quella notte stessa senza che lui potesse far nulla. Sarebbe potuto volare dalla sua donna e salvare l'Enclave, o almeno dargli più tempo, invece era rimasto lì al suo fianco. Per difenderla da se stessa.
    - No, Medivh. Io comprendo la vostra sofferenza più di quanto immaginiate. Le lacrime di Flemeth riecheggiano nella mia anima assieme a troppe altre - annuì Andraste conciliante. - Ma io non posso fare a meno di Artix, ormai - negò scuotendo appena il capo. - Io... -
    Le parole le morirono in gola quando si portò, inconsciamente, una mano sul grembo. Una pulsazione, un battito, uno spasimo le causò un forte ed improvviso capogiro. Le gambe le cedettero costringendola a sedere inerte, spaesata, confusa. Medivh si avvicinò prontamente, poggiandole una mano sulla fronte: mosse un polso per tirare indietro la manica della veste marrone che indossava sotto il mantello e si chinò prendendole le mani, che lei si ostinava a tenere sul grembo, ignara di starlo facendo.
    - Andraste... - pronunciò l'anziano stregone con meraviglia: i suoi occhi divennero lucidi nel sentire, attraverso di lei, un battito inconfondibile.
    - Ho fatto la mia scelta, Medivh - disse Andraste percorsa da una felicità indescrivibile, faticando a trovare le parole per descrivere il proprio stato d'animo. - Non piangete per me... rallegratevi invece. Poiché in questi tempi di dolore, c'è ancora spazio per una piccola, grande gioia -
    Dal buio e dal dolore si accendeva una fiamma, divampava una speranza. Dentro di lei, in quel battito, c'era la vita.
    Una vita che lei e Artix avevano creato insieme.


    Uno schianto risvegliò bruscamente i pensieri degli abitanti del castello, atterrendoli nuovamente proprio quando avevano iniziato a tranquillizzare gli animi: non passarono molti istanti che una Strega irruppe nella sala del trono, avvisando che l'enorme colosso di pietra aveva iniziato a colpire la barriera col suo spadone e i Mangiamorte la bersagliavano coi loro incantesimi.
    Road comprese di non avere più tempo per pensare diversamente. Diede fondo a tutte le proprie forze residue e salì in piedi sul trono, in modo che tutti potessero vederla. Batté la punta dell'ombrello tre volte sul seggio facendo scaturire un forte rumore rimbombante, che mise a tacere i brusii spaventati che erano venuti a crearsi. Nel silenzio che seguì, solo gli scoppi e i tonanti colpi che venivano da fuori erano percettibili.
    - Amici miei - esordì la Noah con gravità. Non vedeva i Custodi e l'Unversed, lì in giro. Allen assisteva Anders e Kururu, invece di riposare, usava ovunque potesse i suoi poteri di guarigione, aiutata da Vivi. - Abbiamo combattuto con valore e difeso Weisshaupt con ogni mezzo che potevamo. Tuttavia, il nemico si è dimostrato più subdolo e organizzato di quanto temessimo - e in quelle parole, il cocente e vergognoso senso di sconfitta era udibile. Lei che era del Trio non aveva capito nulla di ciò che era accaduto alle sue Compagne. E per la sua ingenuità, si era trovata da sola. - Non posso chiedervi di tornare a combattere. Non posso ordinarvi di farlo. Non abbiamo altra scelta - prese un profondo respiro, guardando negli occhi tutti i presenti: la fissavano, pendevano dalle sue labbra. Volevano la sua guida e il suo aiuto. Lei che era sempre stata la meno forte del Trio, lei che aveva sempre mantenuto un rapporto di grande confidenza con tutti invece dell'educato distacco di Theresa e Flemeth, lei che era sempre stata la più superficiale, si trovava con addosso il peso di un'Enclave in rovina. Andraste, pregava. Dammi la forza... - Abbandoniamo Weisshaupt - aveva pronunciato quelle parole già con Roxas, se le era ripetute continuamente, ma avevano ancora un effetto bruciante su di lei. Weisshaupt era sempre stata la sua casa da quando aveva abbandonato il Conte del Millennio, spinta da Andraste a fare ciò che era giusto per un bene più grande. Tutti gli uomini, le donne, i bambini che c'erano in quel castello li conosceva, li aveva visti nascere e crescere, invecchiare e morire. Tanti Custodi erano passati per quelle sale. Ogni pietra poteva raccontare una storia, una risata, una lacrima. Weisshaupt era il cozzare delle armi nel cortile d'addestramento, il profumo degli arrosti e delle prelibatezze del refettorio, il candore e la morbidezza dei suoi letti. Weisshaupt era il contegno distante e addolorato di Flemeth e Morrigan, la stramberia di Cysero, la possenza dei Cavalieri e la grazia delle Ninfe, la forza dei suoi Custodi e la saggezza di Theresa, il sorriso e la dolcezza di Andraste. Weisshaupt era casa. - Attraverso il portale ci dirigeremo a Helm, nel deserto di Hexter. Sarà un viaggio difficile, quindi che tutti i guaritori si premuniscano e chi è in grado di combattere si armi. Entro mezz'ora dovremo essere tutti fuori di qui -
    Un silenzio soffocante era calato nella sala. Il calore che la pervadeva sembrava svanito: era come se lo stesso castello stesse addolorandosi per gli eventi a venire. Road taceva nell'osservare i suoi protetti prepararsi come potevano per il viaggio verso Helm. Per ovvi motivi, il portale non conduceva direttamente nella loro fortezza segreta nel deserto: era troppo alto il rischio di essere scoperti dal nemico. Li avrebbe condotti a un giorno di cammino, in mezzo alla roccia spaccata e secca dell'arida Hexter, una strada irta di pericoli anche per maghi e guerrieri esperti. Per questo avrebbe voluto accanto a sé i Custodi, ma evidentemente i due avevano già altri piani in mente.
    Scese dal trono e fece tre passi, prima di girarsi lentamente verso l'alto scranno con l'espressione persa nei ricordi. Andraste sedeva lì pochissime volte, preferendo girare tra i membri dell'Enclave piuttosto che concedere fredde udienze come un'imperatrice. Road puntò l'ombrello davanti a sé in direzione del seggio, chiudendo gli occhi. Mormorò delle parole impercettibili anche al suo udito, ma che lei conosceva bene, al termine delle quali si sentì uno schiocco simile a uno sparo: una linea simile a una netta spaccatura comparve in mezzo alla pietra del grande trono di Andraste. Seguì il rumore di sfregamento della pietra sulla pietra, uno stridore sordo che accompagnò il movimento laterale delle due estremità del trono, che si era separato nettamente in due parti distinte. Le due parti si mossero fino ai lati opposti della sommità della piccola scalinata su cui si trovavano e si fermarono per lasciare spazio a un altro fenomeno: una minuscola scintilla di un azzurro lucente comparve proprio in mezzo a dove poco prima si trovava il trono e andò espandendosi sempre di più, vorticando su se stessa come a trarre energie dal proprio interno per ingrandirsi fino a occupare l'intera sommità, perfettamente contenuta in essa dalle estremità del trono. Road batté la punta dell'ombrello a terra, soddisfatta e rassegnata allo stesso tempo.
    - Dieci Cavalieri e cinque Streghe in grado di combattere ci precedano - ordinò puntando il portale appena creato con un dito. Non si vedeva niente al di là di esso: era solo una superficie azzurra e increspata, misteriosa e intrigante. - Poi le Ninfe e i non combattenti aiuteranno i guaritori a portare via i feriti -
    - Avremmo bisogno di diversi carri, Road - disse Anders avvicinandosi. - Portare tutti i feriti senza il loro aiuto triplicherà i tempi di viaggio -
    - Non abbiamo scelta - ripeté Road. - I carri e gli animali, se non sono stati tutti ammazzati, si trovavano fuori dal castello. Potremmo lavorare su quello che troveremo una volta dall'altra parte -
    - Capisco. Spero che non si riveli un suicidio - sospirò il capo Guaritore stringendo stancamente il bastone.
    - Ho piena fiducia in voi - si congedò la Noah addentrandosi tra gli emigranti, aiutando dove poteva le operazioni di trasporto. C'erano diverse barelle chiazzate di sangue, e i cavalieri avrebbero voluto portare anche i morti per seppellirli, ma Road non ammise scelte simili: li avrebbero non solo rallentati, ma anche esposti a malattie e infezioni che dovevano assolutamente evitare. I Guaritori non erano onnipotenti e i loro poteri erano già stati spinti oltre il limite, quella notte.
    Una Strega tornò indietro dal portale per avvisare che la loro destinazione era sicura: a quel punto tutti gli abitanti rimasti di Weisshaupt iniziarono a muoversi verso l'ignoto rifugio, consci che altri sarebbero morti nel torrido e impietoso deserto Hexteriano. Era la patria dei Qunari quella, giganti dalla pelle d'ebano e i capelli bianchi, che si tingevano con ceneri e pitture quando andavano in guerra e capaci di imboscate e agguati mortali; ma anche di creature insidiose come scorpioni giganti, Olifanti neri e i tremendi Deathclaw, predatori di branco dall'aspetto misto tra un insetto e un umano deforme, dotati di enormi artigli e una velocità e ferocia senza eguali. Sarebbe stato un viaggio lungo e pericoloso. Road si guardò attorno per l'ultima volta, apprestandosi a chiudere la fila. I muri di Weisshaupt, prima così protettivi e accoglienti, parvero come non mai freddi e privi di vita.

    - Stanno finendo di svuotare la sala - osservò Vanitas con una nota malinconica nella voce. Poteva sentire nitidamente il tramestio ai piani inferiori, nonostante la distanza e la pietra a separarli. - Spero che il tuo piano funzioni, Roxas -
    Erano saliti alla stanza dove aveva dormito Roxas, così da poter parlare tranquillamente delle strategie da adottare. La finestra della camera offriva un'ottima vista sul cortile senza il rischio di venire individuati troppo facilmente, e così poterono vedere che Zexion non si muoveva da lì. I lampi degli incantesimi dei Mangiamorte erano ancora più accecanti nel grigio chiarore del primo mattino, e il Colosso continuava a colpire la barriera. Non ci volle molto prima che essa iniziasse a riempirsi di crepe.
    - Presto ci saranno addosso - disse Cloud.
    - E questo dobbiamo impedirlo - Roxas aveva già pronunciato quel piano diverse volte in quei pochi minuti, forse più per convincere se stesso della sua riuscita che per necessità di ricordarlo. - Dovremmo uscire di qui, non penso che una volta che Road sarà andata la barriera potrà reggere -

    Si ritrovarono nella sala del trono ormai vuota, circondati da ciò che restava a testimoniare le sofferenze di quella lunga notte: lenzuola insanguinate qua e là, barelle troppo fragili per essere trasportate a Hexter disposte ordinatamente sui lati della sala con accanto boccette vuote. Un forte risucchio d'aria li costrinse a coprirsi il volto con un avambraccio, mentre i loro vestiti drappeggiavano e i fuochi si spegnevano violentemente, le finestre si spaccavano con fragore spargendo dappertutto schegge di vetro colorato e gli stendardi si strappavano. Quando la calma tornò a regnare poterono azzardarsi a riaprire gli occhi. Il trono si ricomponeva, tornando a occupare il proprio posto. Il portale si era chiuso.
    I loro occhi furono colpiti dallo spettacolo più desolante cui fossero mai stati costretti ad assistere. Raggi di luce diafana penetrarono dalle arcate vuote, mostrando il pigro volteggiare di pulviscolo e cenere: nel giro di pochi istanti la fortezza sembrò deteriorarsi a vista d'occhio, come se ogni secondo fosse un intero decennio. I muri si creparono e ingrigirono, quel che rimaneva del tessuto degli stendardi si tarlò e scolorì. La ridente e possente Weisshaupt sembrò ingobbirsi, invecchiare sempre di più fino a diventare un pericolante relitto di se stessa.
    - Dunque è questo che accade... - pensò Roxas ad alta voce, guardando il soffitto impolverato e pieno di ragnatele che sembrava sul punto di crollare loro addosso.
    - Era davvero viva - disse Vanitas. - E ora ha perso la sua ragione di vivere -
    Cloud fece per parlare, ma in quel momento uno schianto più forte dei precedenti avvertì i Custodi di ciò che avevano previsto. La barriera aveva infine ceduto, e dalle finestre potevano vedere le sue fragile consistenza sgretolarsi in un'iridescente sabbia verde smeraldo, che andò a disperdersi nel vento. Un'ultima pioggia di incantesimi si abbatté sulle stanche mura minacciando di farle cadere su di loro, ma come spinta da un residuo impeto di vita, la fortezza resistette: una folata di polvere e piccoli detriti investì gli ultimi tre abitanti del castello.
    - Vanitas! - chiamò Roxas estraendo i Keyblade.
    - Dammi tempo, maledizione! - l'Unversed corse a sedersi sul trono di Andraste. Improvvisamente, l'aria si fece pesante e cupa. - Andate - disse con voce bassa e apparentemente stanca. - E' meglio se io resto qui -
    - Resto anch'io - disse Cloud. - Non posso lasciarlo da solo. Il rischio è troppo alto -
    - D'accordo - annuì Roxas sentendosi decisamente meno sicuro. - Non affaticatevi a raccogliere i miei resti col cucchiaino - aggiunse con un certo rimprovero nella voce.
    Mentre si allontanava dalla sala del trono, Roxas poteva sentire il peso dei propri passi, che gli rimbombavano nelle orecchie. Non aveva mai fatto una cosa tanto pericolosa e che offrisse così poche possibilità di riuscita. Strinse con forza le impugnature dei suoi nuovi Keyblade, deglutendo rumorosamente man mano che il grande portone d'ingresso si avvicinava, sovrastandolo con la sua cavernosa arcata. Un fruscio inquietante sembrava passargli accanto, accompagnandolo nel suo irreversibile procedere verso il combattimento più letale che avesse mai affrontato.
    Un passo dopo l'altro, fu sulla gradinata d'ingresso al castello. Davanti a lui, nel cortile di Weisshaupt, immobile come un esercito di statue, si stagliava l'esercito di Zexion. L'enorme Colosso lo fissava coi suoi piccoli occhi stupidi, come lui avrebbe potuto guardare una formica prima di schiacciarla. La stretta sui Keyblade si fece ancora più forte. Altri quattrocento occhi nascosti nell'oscurità delle maschere d'argento lo osservavano attentamente, con le bacchette tese e pronte a decretare le sua fine. Lexaeus era dietro Zexion, le braccia incrociate mentre sovrastava il basso Nessuno con espressione truce.
    "Sora..."
    - Sei rimasto solo tu - esordì Zexion avanzando appena, disarmato. - Sono dunque fuggiti -
    - E ora? - riuscì soltando a dire, pronto a scattare.
    - E ora farò ciò per cui sono venuto - rispose il Burattinaio Mascherato facendo apparire sulla mano il suo enorme libro, il Lexicon. Pose due dita sulla parte superiore dell'oggetto, e in un sinistro bagliore esso si tramutò in una bacchetta come quella dei Mangiamorte, ma argentea e ricoperta di rune nere incise: la tenne con leggerezza tra l'indice e il medio, bilanciandola col pollice, guardando malignamente Roxas col suo occhio azzurro non coperto dal ciuffo. - Hai combattuto con valore, Roxas. Te lo concedo... - la punta della bacchetta prese a sfrigolare emettendo scintille violacee. - Ma non abbastanza. Io ero venuto qui per te, Roxas... e per quei traditori che nascondete tra queste mura decrepite. Pensate davvero che a noi dell'Organizzazione importasse qualcosa di quelle inutili città? - descrisse un arco, materializzando le immagini fumose delle città che i Nessuno avevano attaccato fino a quel momento. Midgar, Archades, Minas Tirith, Yokohama, Saint Bevelle e tante, troppe altre. - Credete davvero che se avessimo voluto schiacciare i vostri eserciti ci saremmo limitati a forze così misere? Siete sempre stati voi il nostro obiettivo. Solo voi Custodi, con le vostre Chiavi e il vostro potere. E non ci saremmo mai fermati dinanzi a nulla per avervi, vivi o morti -
    - Quindi... a cosa servivano tutte quelle battaglie? Era davvero solo per catturarci? - la voce di Roxas tremava nel dubbio. Se davvero si erano contenuti solo per catturarli, quale poteva essere la loro vera forza?
    - Certamente - annuì Zexion. - Voi Custodi siete chiamati a proteggere questo mondo dalla minaccia che noi rappresentiamo. Quale modo migliore per stanarvi, dunque? Tramite quei ridicoli assedi, mettendovi in condizione di poter rispondere all'attacco, uscivate sempre allo scoperto - sorrise placidamente, fissandolo negli occhi mentre le immagini fumose svanivano. - E se non vi trovavamo, poco importava. Ci procuravamo comunque nuove forze per le nostre armate -
    - Avete fatto male i vostri conti, però - ribatté il Custode non volendo credere a quelle parole. Ma perché Zexion avrebbe dovuto mentire? Non gli occorreva ampliare il suo già immenso svantaggio. - La vostra Organizzazione è dimezzata -
    - Sciocco ragazzino - sbuffò il Numero Vi schernendolo con false risate. - L'Organizzazione XIII è rinata! Quegli incapaci dei tuoi compagni a Ecclesia non sono stati capaci di sottrarre il Frutto dell'Eden a Xemnas. Non che sarebbe servito a qualcosa, ovviamente... l'Organizzazione era già rinata prima. Il tuo amico Unversed ne è testimone. Col potere del Frutto, coloro che avete ucciso sono tornati -
    Roxas spalancò gli occhi sgomento. Forse Vanitas gliel'aveva detto, ma in quel momento non lo ricordava. O forse una parte di lui si era semplicemente rifiutata di crederlo. Avevano fatto sacrifici immani per eliminare solo metà dell'Organizzazione e ora essa tornava forte come prima? Non poteva essere. Solo un'idea simile era terribile a immaginarsi.
    - Io non ho più un Cuore, Roxas - disse Zexion con falsa tristezza. - Perciò... vorrei sapere cosa provi in questo momento - tese leggermente la mano con la bacchetta. - I vostri sacrifici sono stati vani. Per trovarvi, noi Nessuno non ci facciamo scrupoli a trucidare coloro che giurate di proteggere - incalzò, impietoso e crudele, forte di una verità che nessuno aveva mai voluto vedere. - Anche oggi, tutte quelle persone che sono morte sono state uccise a causa vostra. Voi Custodi portate sulle vostre spalle un colossale debito di vite distrutte. La vostra stessa vita mette in pericolo tutto ciò che vi sta vicino. Le vostre armi sono il simbolo dell'ingiusta morte di creature millenarie. Che vi odino o vi amino, le persone che vi stanno intorno vanno incontro alla rovina - vedendo segni di cedimento nel giovane Custode, Zexion si placò. - Perciò dimmi, Roxas... cosa provi in questo momento? -
    Tremò. Roxas tremò visibilmente, trovando il proprio sguardo ipnotizzato dal terreno. Cercò di alzarlo, spaurito e incredulo all'indirizzo del Nessuno. Faticava a parlare, le labbra gli tremavano per sentimenti che non riusciva a focalizzare. Rabbia, odio, dolore, frustrazione: tutto, o forse niente del genere. Il suo cuore pesava. Anche quello di Ven, lo sentiva, un doppio peso su un Cuore incompleto.
    - Io non ti ascolterò - disse forse più a se stesso che al suo nemico. - Non mi ingannerai come hai fatto con Sora. Io non cadrò nei tuoi trabocchetti -
    - Non c'è nessun inganno, Roxas - negò Zexion scuotendo leggermente la testa, con tono conciliante, quasi affabile, come se gli stesse insegnando qualcosa e il Custode fosse duro di comprendonio. - E' tutto vero -
    - Adesso basta! - sbottò il Custode roteando i Keyblade e alzando la guardia, con Giuramento di traverso davanti a sé e Oblio levato in alto, pendente verso il nemico.
    - Oh, giusto. L'unico linguaggio che voi Custodi riuscite a capire - il Nessuno scosse la testa fingendo amarezza. - Non vi rendete neanche conto del terreno che vi crolla sotto i piedi. Non sapete neppure perché fate tutto questo. Sapete solo farvi trascinare dalla corrente e ubbidire agli ordini che vi vengono dati, non è così? Chissà, forse vincerete davvero la battaglia contro di noi - puntò la bacchetta appena verso il basso, mettendosi di sbieco. - Ma sarete disposti al sacrificio finale? A saldare il vostro debito? -
    - NON VOGLIO SENTIRTI OLTRE! - ruggì Roxas dando fondo alle proprie energie: fiamme argentee irrorarono i Keyblade, facendoli brillare di una pallida e minacciosa luce. - NON MORIRA' PIU' NESSUNO A CAUSA VOSTRA! -
    - Parole ardite di un bambino ingenuo - lo schernì nuovamente Zexion. - La corrente non è mai sicura da seguire, Roxas. Specialmente se non sai dove porta - l'enorme Tomahawk di Lexaeus si schiantò a terra dalla parte della lama, mentre il suo proprietario non cambiava espressione. - E visto che sei venuto ad affrontarmi da solo, mi assicurerò di massacrarti come un cane e mostrare i tuoi resti agli stolti che ti accompagnano! - il suo braccio si mosse rapido e letale come il morso di un serpente.
    Una fiammata rossa partì dalla bacchetta e Roxas mise d'istinto Giuramento come uno scudo, sperando che potesse bastare: le fiamme s'infransero sul Keyblade senza danneggiarlo, ma l'impatto lo fece arretrare pesantemente e Roxas inciampò sulle scale, battendo la schiena e perdendo la concentrazione sulle proprie forze. Vide i Mangiamorte puntare le bacchette...
    Il fruscio riprese, leggero, lambendogli le orecchie come un dolce sussurro, carezzandole con parole cariche di sostegno e comprensione. Ci mise poco a capire cosa stesse per accadere. Un sorriso di rivalsa gli si palesò sul volto.
    - Io non sono venuto da solo, Ienzo - pronunciò mentre si rialzava, seguito un attimo dopo da uno stridio acuto e terribile: il verso che prima avrebbe accompagnato i suoi terrori si tramutò in un messaggio di speranza, mentre nove scie di fumo si abbattevano impietose sui Mangiamorte: Lexaeus brandì il suo tomahawk pronto a difendere il Numero VI, mentre Roxas assisteva allibito alla carica improvvisa di due fila di creature sinuose, nere come la pece e dalla consistenza simile a catrame, dalla forma umana e armate di spade spezzate e scudi spaccati. Non ci volle molto perché comprendesse a cosa somigliassero realmente quegli esseri comparsi alle sue spalle. Emanavano un tanfo di decomposizione, come se fossero passati giorni interi da quella notte di battaglia, e il loro equipaggiamento era inconfondibile: erano i soldati e i maghi morti qualche ora prima. E se tanto gli dava tanto...
    "Vanitas..."
    Avrebbe fatto buon uso di quell'aiuto. Qualunque cosa gli fosse accaduta quella pallida e desolata mattina avrebbe portato con sé sia Zexion che Lexaeus e vendicato l'Enclave. Mentre i Mangiamorte si disperdevano lottando contro gli invincibili Nazgul e le creature oscure invocate senza dubbio da Vanitas, Roxas si lanciò alla carica con Giuramento disposta come uno scudo e Oblio puntata verso Zexion: ma l'Eroe del Silenzio si parò tra loro e menò un poderoso fendente dall'alto, costringendo Roxas a frenare la sua carica e scartare di lato poco prima che il colpo dell'enorme arma sfondasse il selciato ai loro piedi. Zexion fluttuava di lato, e puntò la bacchetta invocando delle sfere di fuoco simili a proiettili; il Custode saltò per evitarle, ma scoprì suo malgrado che esse erano in grado di inseguirlo e il suo salto l'aveva portato alla mercé di un altro micidiale fendente di Lexaeus. Roxas incrociò i Keyblade davanti al viso e cercò di evocare uno scudo da Giuramento, ma esso fu facilmente frantumato dai proiettili e il colpo del tomahawk, parato a stento, lo scaraventò dritto sotto il portico pericolante del cortile di Weisshaupt. Si rialzò di scatto e vide il gigantesco Colosso muovere lo sguardo verso di lui, ma era distratto da due Nazgul che continuavano a volargli attorno alla testa facendolo innervosire e impedendogli di colpirlo. In quel momento, in una scia di fumo e fiamme color ametista, vide Cloud intervenire uscendo da una finestra: prendeva rapidamente velocità, avvitandosi su se stesso e lasciandosi dietro scie attorcigliate di pura energia. Con potenza abnorme colpì in pieno l'addome corazzato del Colosso, quasi sfondandolo e facendolo sbalzare goffamente all'indietro, verso le mura della fortezza: non ancora sconfitto l'essere emise un possente barrito, facendo riecheggiare la sua furia per tutta la valle. Roxas non poté vedere altro però, perché notò appena in tempo le fiammate che Zexion gli lanciava addosso: il portico fu invaso da un'esplosione dietro l'altra e il Custode dovette abbandonare di corsa il fragile riparo. Sulle loro teste, Mangiamorte, creature e Nazgul combattevano ferocemente scambiandosi spadate, incantesimi e semplici pugni e calci in una confusionaria baraonda nera come la notte. Roxas evitò una lucente mezzaluna bluastra simile a una falce che andò a tagliare in due una colonna e si trovò ad abbassare repentinamente la schiena per schivare un altro colpo di Lexaeus. Comprendendo di non poter affrontare Zexion se prima non si liberava del suo silenzioso guardiano, il Custode schivò un affondo saltando oltre la spada e mirando coi Keyblade alla testa del suo avversario: con velocità sorprendente, attonito, Roxas venne colpito alla schiena con la parte posteriore della lama finendo sbalzato in aria e fece appena in tempo a parare a malapena una fiammata che lo fece volare di nuovo contro il portico, sfondandolo e perdendo anche Giuramento, che rimbalzò sui detriti finendogli lontano diversi metri.
    - Maledizione... - biascicò sovrastando l'acuto dolore alla schiena e reggendosi a una colonna incerta per riprendere l'equilibrio. Vanitas, se davvero come diceva aveva tenuto testa all'Organizzazione da solo per fuggire con Cloud, evidentemente conosceva i punti deboli dei suoi avversari: e soprattutto, aveva invocato i suoi Nazgul, che sebbene stessero nettamente vincendo non potevano aiutarlo contro di loro. Intanto Cloud continuava a colpire il Colosso in più punti, facendolo barcollare e ruggire di rabbia e dolore: Roxas fece per recuperare giuramento, ma Lexaeus giunse con la potenza di una palla di cannone e minacciò seriamente di tagliarlo in due col tomahawk. Schivò balzando all'indietro e impugnò Oblio con entrambe le mani. Ora che ci pensava, del suo vecchio Keyblade nero non aveva mai capito nulla: sapeva che quello bianco aveva facoltà di guarigione e, come aveva visto combattendo contro i due Nessuno, poteva anche proteggerlo dagli attacchi come un vero scudo. Ma quello nero? Era più affilato dell'altro e la sua lama emanava una potenza sinistra, ma non sapeva se anch'esso avesse facoltà particolari.
    - Ah! - sussultò rimproverandosi per essersi perso a rimuginare in un momento simile: Lexaeus maneggiava la sua enorme arma come se non pesasse affatto, menando possenti affondi e fendenti, dritti e rovesci, incalzandolo implacabile e obbligandolo a schivare. Era impensabile anche solo mantenere una guardia: Altair l'aveva fatto, ma non poteva certo paragonarsi a un veterano come lui.
    Fece un lungo balzo per sfuggire alla gittata di Lexaeus e notò che Zexion cercava di mirare a Cloud per impedirgli di distruggere il Colosso. Il suo comportamento lo incuriosì, ma soprattutto si accorse che quella distrazione gli si presentava su un vassoio d'argento. Avrebbe potuto colpirlo alle spalle col Keyblade...
    E poi il Colosso ruggì, trafitto dall'alto della testa fino alla zona lombare della sua grottesca schiena dalla Buster Sword fiammeggiante di Cloud.
    E Lexaeus urlò a sua volta, cadendo in ginocchio.
    Roxas comprese al volo ciò che stava accadendo: il Numero V era legato a quell'abominio in qualche modo e la sua distruzione lo aveva pesantemente indebolito. In un'esplosione di filamenti neri, il Colosso emise un ultimo sofferente barrito prima di sgretolarsi come argilla, tendendo una mano verso Lexaeus. Pochi istanti dopo, di lui rimasero solo i frammenti di roccia che lo componevano, che caddero entro e fuori le mura come una pioggia di meteore. Quella confusione diede a Roxas la possibilità di colpire: caricò Zexion con il Keyblade che gli restava, pronto ad affondarlo nella sua schiena. I suoi muscoli erano già tesi per quell'azione, mentre sentiva Lexaeus che cercava di riprendere il controllo di se stesso. Vide il Burattinaio Mascherato che si voltava, all'ultimo istante. Sapeva che non poteva evitarlo, il colpo sarebbe andato a segno di sicuro, ormai era troppo vicino...
    Poi, il suo mondo cambiò.
    Non riusciva più a respirare.
    Oblio gli cadde di mano mentre le portava entrambe alla gola, annaspando e gorgogliando per trovare aria: i suoi polmoni sembravano aver smesso di funzionare, di trarre ossigeno. Non sentiva più alcun odore se non quello insopportabile della paura più nera. Aveva gli occhi spalancati, come la bocca, mentre continuava a tentare di respirare, di vivere. Sentiva la propria vita allontarsi da lui. La vista gli si annebbiava mentre il torace sembrava sul punto di esplodere alla ricerca di quell'aria di cui mai come prima aveva avuto bisogno. Vedeva Zexion. Udiva le sue parole. Sapeva che era lui a causargli tutto ciò, in qualche modo, sapeva che doveva ucciderlo. Ma il solo sforzo di alzare Oblio per colpirlo era impossibile.
    - Quanta arroganza - Zexion teneva la bacchetta puntata su di lui, un ghigno perverso che traeva soddisfazione dalla sua sofferenza. - Ora ti farò provare qualcosa di familiare... - sorrise e roteò appena la punta del suo strumento.
    Acqua.
    Roxas poté sentire l'acqua invadergli i polmoni, come sotto il ponte di Twilight Town: una sensazione terribile, fredda, simile a migliaia di spilli che gli si conficcavano nei polmoni. Cadde in ginocchio, tenendosi la gola con una mano. Si sentiva morire, sapeva che sarebbe morto non appena Zexion si fosse stancato. Avrebbe voluto che qualcuno lo aiutasse... dov'era Cloud? E Vanitas, e i Nazgul?
    Sentiva la voce di Cloud, lontana. Troppo lontana... non poteva più udirlo ormai. Tutto diventava buio, e nero. Aveva paura. Tutto come quella notte, ma sentiva il terreno arido sotto di sé, sapeva di essere a Weisshaupt. E sapeva di stare morendo.
    E' solo la tua immaginazione.
    La voce di Ventus riuscì a malapena a perforare il velo di terrore che lo aveva avvolto e che si stringeva su di lui in quella morsa micidiale, però riuscì ad aprirgli uno spiraglio di luce. Vedeva tutto buio ormai, completamente, e lì poteva vedere Ventus, serio, tendergli la mano.
    Non sono sensazioni reali. Non le stai provando davvero. Combattile.
    Voleva farlo, davvero: voleva smettere di soffocare, ormai cianotico com'era, ma dubitava di poterci riuscire. Tuttavia, concentrarsi sulle parole di Ventus gli aveva dato un barlume di speranza. Sentì l'altra mano poggiarsi a terra e i suoi rantolii iniziare ad avere successo. Cercò di concentrarsi sulle parole di Ventus, su quello che doveva fare, su Sora, su Riku, Kairi, Naminè, Xion, Cloud, Vanitas e il viaggio che avevano davanti, in una rapida sequenza di immagini.
    "Sora... Riku... Kairi... " ripeteva nella propria mente, cercando di schiarire le tenebre. "Naminè... Xion...Cloud...Vanitas... " respira.
    Respira.
    Combatti.
    "La nostra missione..."
    Respira...
    Respira.
    "Oblio... Giuramento... Yiazmat... Alduin..."
    Vide il terreno. Vide Zexion. Sentì Oblio accanto a sé.
    - Finiscilo, Lexaeus. Dobbiamo occuparci dell'altro - sentì dire il Burattinaio Mascherato, impegnato già a concentrarsi su Cloud. Quanto tempo doveva essere passato? Evidentemente pochi secondi, forse qualche minuto. Non vedeva più il Custode del Caos, e questo lo inquietava. Il combattimento contro i Mangiamorte sembrava sul punto di terminare. Da quel poco che riusciva a carpire recuperando la vista, molte delle creature di Vanitas erano cadute in quella battaglia. Un formicolio alla nuca lo avvertì che Lexaeus incombeva su di lui, con il tomahawk pronto a smembrarlo e porre fine alla sua esistenza.
    Strinse l'elsa di Oblio, e stupidamente, ingenuamente invocò a sé Giuramento, così lontana, così inutile abbandonata in mezzo ai detriti del portico. Ma ne aveva un disperato bisogno...
    Sentì un clangore metallico vicino a lui: Spazzaterra, l'arma dell'Eroe del Silenzio, volò via dal suo braccio ferito mentre Giuramento roteava, colpendo Zexion al torace e sbalzandolo un paio di metri più in la, fino a conficcarsi a terra accanto al suo padrone. Per un attimo gli parve di vedere Yiazmat sorridergli e tendergli la mano, con la sua consueta espressione incoraggiante e spavalda. Inconsciamente, Roxas annuì e si resse all'impugnatura del suo Keyblade bianco, per poi scartare rapidamente e fare diverse giravolte per sfuggire agli incantesimi di Zexion e a un fendente irato di Lexaeus. Roteò i suoi Keyblade e si mise nuovamente in posizione, pronto al combattimento con i due Nessuno.
    - Spiegami cosa vorresti fare, se non sei neanche in grado di colpirci - disse Zexion giocherellando con la sua bacchetta. - Non è così facile prenderci per stanchezza -
    Roxas non aveva dimenticato il piano: fare sì che Vanitas distraesse Lexaeus mentre lui e Cloud si occupavano di Zexion. Non era una battaglia che potevano affrontare singolarmente, e l'Unversed avrebbe avuto i suoi Nazgul a sostenerlo: quanto a lui e Cloud, sperava che la loro potenza combinata potesse bastare contro un osso duro come Zexion. Tuttavia, se Cloud non usciva fuori e Vanitas non si presentava, il piano non sarebbe riuscito per niente.
    - Non importa - disse Roxas ansante. - Non uscirete vivi da qui, ve lo giuro - percepì di essere sporco di terra e fuliggine, e fradicio di sudore. Era stata una notte troppo lunga, e non sapeva quanto a lungo avrebbe potuto resistere a un combattimento simile. "Avanti, Cloud..." Ma Zexion aveva tutt'altro piano per la testa.
    - Quelle creature irritanti hanno sicuramente una fonte - disse guardando verso l'interno del castello. Roxas seguì il suo sguardo e vide per la prima volta Vanitas, circondato da un inquietante alone oscuro, gli occhi gialli che lampeggiavano come fanali anche da quella distanza. - Lexaeus, occupatene - ordinò. - Per lui e quel traditore io sono sufficiente -
    Lexaeus emise un grugnito e afferrò l'impugnatura dello Spazzaterra, per poi mettersi l'arma sulla spalla e dirigersi verso l'interno del castello: Roxas corse per fermarlo, ma una serie di esplosioni e fiammate provocate da Zexion lo fecero indietreggiare. Questo, in un certo senso, rispettava il piano, ma Vanitas sarebbe stato in grado di combattere o sarebbe stato immediatamente sconfitto? Nemmeno a quella domanda poté trovare il tempo di rispondere.
    Un enorme placca di pietra, probabilmente un pezzo dell'armatura del Colosso, si lanciò dritta verso Lexaeus: l'Eroe del Silenzio la spaccò con un colpo dello Spazzaterra, e successivamente Roxas vide sbiancando Cloud, malconcio e sanguinante da un braccio, lanciarglisi addosso. I due combatterono con le loro enormi spade fino a svanire dentro il castello.
    Cloud stava difendendo Vanitas.
    - I Cuori... - disse Zexion con un sorriso sarcastico, scattando imprevedibilmente su Roxas: il Custode si preparò ad intercettarlo, ma il Nessuno frenò di scatto e lanciò un'altra falciata d'aria. Roxas saltò in alto evitandola e roteando in avanti per infliggere forza a un colpo con entrambi i Keyblade, ma Zexion scattò all'indietro continuando a fluttuare a mezz'aria e menò delle sferzate con la bacchetta fino a creare uno sbarramento continuo di proiettili di fuoco: Giuramento eresse uno scudo più forte stavolta, ma anche questo cedette all'ultimo facendo caracollare Roxas all'indietro senza equilibrio. Recuperatolo, il Custode cercò di nuovo di scattargli contro, ma stavolta un vento violentissimo lo respinse di netto, facendolo cadere a terra. Un attimo dopo un'enorme lancia di roccia uscì dal terreno pronta ad abbatterglisi contro e Roxas dovette rotolare di lato per evitarla, rialzandosi velocemente per poi costringersi ad evitare una serie di incantesimi esplosivi che Zexion continuava a lanciargli, impedendogli di trovare riparo.
    - Non dovevi uccidermi, Roxas? - disse il Nessuno annoiato, lanciando incantesimi senza sosta.
    Roxas stava esaurendo le opzioni. Non poteva continuare a schivare a quel modo, non sarebbe riuscito di certo a farlo stancare. Le forze di Zexion parevano inesauribili e riuscivano persino a spegnere i suoi tentativi di attingere al potere dell'Equilibrio: gli sforzi che faceva per concentrarsi venivano vanificati dalle continue distrazioni causate dagli attacchi repentini del Numero VI. Come faceva a ucciderlo se non poteva neanche avvicinarglisi?
    Sentiva nel castello il fragore del combattimento tra Lexaeus e Cloud, mentre i Nazgul sembravano ormai in netto vantaggio sui Mangiamorte. Nell'arco di quei lunghi minuti, probabilmente dovevano averne eliminati ormai la maggior parte.
    La distrazione per guardarsi intorno gli fu fatale: riuscì solo a parare a stento una bruciante frustata violacea, che lo avvolse e lo scaraventò contro il muro della fortezza: cercò di dimenarsi, ma Zexion aveva già preparato un nuovo incantesimo non appena la frusta si dissolse.
    - Basta così - ghignò con espressione follemente divertita, benché falsa: una luce nera scaturì dalla bacchetta e un raggio dello stesso colore partì verso di lui. Roxas cercò di muoversi, ma sentiva delle mani invisibili trattenerlo sul posto. Strinse i Keyblade, cercando di evocare uno scudo, ma aveva troppa paura anche per fare quello: era come trovarsi in una stanza chiusa. Non poteva fuggire, non poteva muoversi. Sentiva il respiro mancargli, come a Salika, e non per colpa di Zexion. La sua claustrofobia, forse evocata dal Burattinaio tramite qualche sotterfugio o stimolata da quella situazione e dalla sua stanchezza psicologica, era affiorata nel momento sbagliato.
    "No..."
    Usa la tua paura.
    Non era Ventus a parlare. E nemmeno Yiazmat. Era una voce più profonda, più dura. Era come se Oblio gli stesse parlando... e allora capì di chi si trattasse.
    "Alduin?"
    Non trattenere la tua paura. Usala a tuo vantaggio. Scatenala contro i tuoi avversari.
    Il suo braccio si mosse da solo. Dal Keyblade nero partì un raggio pallido partì a intercettare quello di Zexion, lo contrastò, si contorse come a farsi forza per respingerlo: e nonostante fosse stato rapidamente sopraffatto, quell'attimo diede a Roxas il tempo di fuggire proprio quando l'incantesimo di Zexion si schiantava sul muro, esplodendo e sparando in ogni direzione mattoni e calcinaccio.
    Cos'era stato? Una specie di magia come quelle lanciate dal suo avversario? Magari quel potere era stato risvegliato grazie alla nuova forgiatura. Non sapeva di cosa essere davvero certo, tranne del fatto di avere un'arma in più per affrontare il Burattinaio Mascherato. La sua gioia durò poco però, dal momento che Zexion lanciò un nuovo incantesimo sollevando un'immensa nube di fumo; Roxas si coprì gli occhi confuso, cercando di riaprirli per vederlo, ma riuscì solo a sentirsi sollevato da qualcosa e poi scaraventato contro una delle finestre ancora parzialmente integre del castello. Rotolò sul pavimento per diversi metri prima di venire bloccato da un muro. Si rialzò di scatto e tese i Keyblade, ma si trovò nuovamente colpito da un'inconfondibile scia di fumo nero che lo fece volare sul corridoio. Dovevano essere al terzo piano, in mezzo alle varie camere da letto. A quel punto, Roxas acuì il più possibile i sensi per impedire a Zexion di prenderlo ancora di sorpresa, ma il Nessuno aveva già compreso che il trucco non avrebbe funzionato di nuovo e si materializzò in fondo al corridoio lanciandogli un altro incantesimo esplosivo. Roxas rotolò dentro una stanza per evitarlo, ma si trovò Zexion davanti e riuscì solo a evitare di venire smembrato da un'altra esplosione che gli fece sfondare il muro dietro di sé, per poi rovinare sulla pietra di un'altra stanza, circondato da mattoni e polvere che gli ingrigì i capelli e le vesti.
    - Hai resistito molto - complimentò Zexion freddamente, prendendo forma dietro il buco che aveva causato tra le due stanze. - Ti fa onore. Solitamente i Custodi non resistono a lungo alle mie infiltrazioni, sai - spiegò quasi a lamentarsi di non aver mai avuto un avversario particolarmente valido. - Dev'essere stato per la loro età. Raramente ci capitava di affrontare Custodi della vostra età, in genere erano tutti bambini. Piccoli, ingenui e deboli -
    - Non posso credere che vi siate messi a massacrare bambini parlando di giustizia... - replicò Roxas col fiato mozzo. Si sentiva pieno di energie e stanco al tempo stesso, come se la mera presenza di Zexion rendesse tutto fiacco e pesante.
    - La Storia la fanno i vincitori - si limitò a dire il Nessuno prima di puntargli di nuovo la bacchetta contro. Roxas gli corse addosso nel tentativo di atterrarlo, ma Zexion si limitò a muovere la bacchetta con fastidio per gettargli tutti i mattoni del muro rotto addosso, che lo colpirono alle braccia e al ginocchio destro facendolo cadere a terra. Mentre tentava di rialzarsi, una nuova mano invisibile lo afferrò per poi sbatterlo con violenza contro tutte le pareti della stanza, crepandole e incrinandole. Gemette ad ogni scontro, cercando di dimenarsi, ma i Keyblade gli erano caduti: Zexion incombeva su di lui con la bacchetta puntata al suo cuore. La mano invisibile lo prese per i vestiti e lo scagliò crudelmente contro il muro, facendoglielo sfondare in parte e lasciandolo bloccato lì. Roxas era tramortito, esanime. I continui urti alla schiena e alla testa gli avevano causato dolori indicibili, e vedeva e sentiva a malapena. Le orecchie gli fischiavano. Il suo corpo sembrava aver perso ogni mobilità. Non aveva più i Keyblade, abbandonati probabilmente in qualche angolo della stanza. Riuscì a trovare Oblio, inerte accanto al buco nel muro. Cercò di chiamarlo, ma Zexion lo distrasse.
    - C'è una cosa che devo dirti - disse Zexion riponendo la bacchetta nella manica della sua veste nera. Si chinò a terra, sorridendo falsamente allegro al suo indirizzo. Stupefatto, Roxas spalancò gli occhi sentendosi mancare. Era impietrito, incapace di muoversi. La sua mente era invasa dall'incredulità. Non poteva crederci. Si rifiutava di crederci. L'aveva preso. - I Primi furono sei, non cinque -
    Zexion teneva in mano il suo Keyblade.
    - I Keyblade non possono uccidere altri esseri umani. Ma possono uccidere altri Custodi -
    Oblio era nella sua mano, senza che lui l'avesse permesso. Lo maneggiava con totale disinvoltura, come se fosse sempre stato suo.
    - Devo rimpiazzarti, Roxas. Il Kingdom Hearts deve essere aperto -
    Un freddo, lancinante dolore sfondò il suo cuore con una potenza sconosciuta. Per un attimo il mondo divenne un abisso infinito di disperazione. Forse aveva gridato. Poi fu tutto buio.


    Roxas si svegliò di soprassalto.
     
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