Dirge of Keyblade

L'Ultimo Atto della Trilogia!

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  1. Nyxenhaal89
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    NuoFo capitolo u.u
    A un'eternità di distanza, ma vabé.
    Grazie a Nemesisio per la recensione e a tutti i lettori!
    Spero che questo capitolo vi piaccia :3
    Buona lettura!

    32: Giuramento e Oblio


    L'arrivo di quella possente, meteorica fiamma d'ametista irruppe nella notte dei loro cuori con la potenza di un raggio di sole, quasi un'antefatto di quell'alba che sembrava non arrivare mai. Il cielo nero sovrastava il castello come una cappa soffocante, pregna d'aria viziata e stantia che aveva l'odore del sangue e della morte. Nella confusa devastazione che lo circondava, Roxas vide dei Cavalieri salvarlo dall'affondo di uno Spadaccino, altri portarlo via mentre lui continuava a ribellarsi e dimenarsi. Forse la sua bocca esalava qualche parola, ma tra le urla, gli ordini e la baraonda che imperava nel cortile nessuno lo sentiva. La sue membra esauste si rifiutavano di accogliere la sua forza di spirito, la sola idea di brandire ancora Narsil causava lungo i suoi muscoli ondate di dolore fiammeggiante e improvvise sensazioni di svenimento. Si sentiva molle, sonnolento e debole: i suoi abiti erano intrisi di sangue nero, rosso e argento. Doveva aver subito diverse ferite.
    Ma nonostante tutto, aveva ancora voglia di combattere, ne aveva bisogno. Non poteva riposare neppure un istante, non con l'Enclave in quella situazione, non con i Cavalieri decimati e i Maghi che cercavano inutilmente di contenere l'orda straripante. Non potevano essere rimaste più di un quinto delle forze di Zexion, eppure il corso degli eventi volgeva inevitabilmente a favore del Numero VI. Che avesse pianificato tutto? I Nessuno e gli Heartless, per l'Organizzazione, erano soltanto carne da macello. Ne avevano in ampie quantità, potevano procurarsene altri in qualunque momento ed erano completamente intercambiabili, dunque nessuno di loro era fondamentale. La loro forza stava nel numero, e per quanti ne avessero uccisi in quei mesi, tale numero sembrava soltanto accrescersi. Quel principio non valeva per gli esseri umani. Lo sbalzo epocale dei continenti aveva notevolmente diminuito il numero di persone nel mondo, e ogni uomo che moriva non poteva essere rimpiazzato. Tutti coloro che cadevano in quella guerra disperata erano padri, madri, figli e figlie, nonni, parenti, vuoti che non sarebbero mai più stati colmati da niente e da nessuno. Era quindi ovvio che quella tattica andasse più che bene per Zexion, il quale aveva soltanto lavorato per logorarli e infiacchirli gettandogli addosso i suoi pesci più piccoli: e ora, Weisshaupt era alla mercè dei suoi Mangiamorte e dell'enorme colosso.
    E Tidus? Dov'era Tidus? La domanda gli sorse quasi per caso, mentre si guardava intorno nel tentativo di fuggire ai soldati che tentavano di salvarlo dalla propria scelleratezza. Si voltò da tutte le parti, ma del fratello non c'era la minima traccia. Stava quasi per chiamare il suo nome, ma la parola gli morì tra le labbra. Dopotutto non si era staccato un attimo da lui... ma non poteva essere morto. La sua mente si rifiutava anche solo di pensarci. Tidus non sarebbe morto così facilmente! Doveva ricordare, doveva vedere dove fosse finito, sapeva che l'avrebbe ritrovato, magari al castello, sporco di sangue e ferito ma vivo. Era questa la sua idea, più simile ad una pallida speranza che andava affievolendosi man mano che quella notte maledetta si faceva sempre più nera.
    Udì il ruggito feroce del colosso, un verso cupo, cavernoso e terribile, che riempì le montagne di Nowart con la potenza dei corni di mille eserciti. Chiunque combattesse sotto i suoi piedi scemò, disperdendosi alla ricerca di ripari e di posti sicuri, ogni soldato dell'Enclave circondato da cinque creature dell'Organizzazione. Ma quel verso tremendo non era un motivo di preoccupazione per loro: era Cloud ad averglielo causato, con la Buster Sword in pugno ammantata di fiamme ametista. Volava veloce, una scia nera e violacea nel cielo notturno, e ad ogni suo giro colpiva duramente il mostro, dritto al volto, facendolo barcollare. E fu in quel momento che vide Sora -non era Sora, purtroppo, bensì Vanitas- poggiargli una mano sulla spalla dolorante e aiutare gli uomini a portare il loro recalcitrante e improvvisato leader in una zona più sicura.
    - Vanitas... - esalò Roxas sfinito, lasciandosi cadere a terra quando i soldati lo lasciarono. Erano dentro il castello, accanto alle porte d'ingresso. Le urla soffocate della battaglia sembravano lontane parecchie vite. - L'hai trovato - sorrise, sentendo la stanchezza impossessarsi di lui. Avrebbe voluto addormentarsi lì, magari accucciandosi a Vanitas con la convinzione che fosse Sora. Ma non avrebbe mai potuto ferire il vero Sora in quel modo.
    - Avrei voluto trovarlo prima - rispose Vanitas quasi scusandosi. Porse la mano verso una Ninfa, che gli diede una fiaschetta.
    - No... per favore... - implorò debolmente Roxas. - Non ne posso più di quella roba... - non poteva reggere ancora quell'intruglio la cui proprietà era "togliere la stanchezza". Quando il suo effetto finiva, si sentiva ancora peggio, come in quell'esatto momento.
    - La notte è ancora lunga, Roxas - disse Vanitas duramente. - E tu sei proprio l'ultima persona di cui possiamo fare a meno -
    - Voglio solo riposare un po'... - lamentò il Custode in preda ai dolori. Non c'era un singolo muscolo che non gli bruciasse. Le braccia gli sembrava di averle lasciate sul campo e di averle sostituite con due enormi macigni. - Un quarto d'ora, mezz'ora, non chiedo di più - sapeva quanto Vanitas che in mezz'ora non avrebbe recuperato un briciolo delle proprie forze, ma in quel momento si sentiva debole e indifeso, come un bambino stanco che strepita per tornare a casa.
    Hai usato troppo il potere dell'Equilibrio, Roxas...
    Il rimprovero di Ven era più una preoccupazione, ma non aveva la forza di rispondere nemmeno a quello. Era vero, nella fretta di proteggere l'Enclave aveva usato ogni stilla del suo potere senza riserve, ignorando quanto fosse pericoloso. Voltò la testa in direzione del cortile, cercando di distinguere qualcosa in quell'inferno di lampi e tramestii di spade e scudi.
    - Cloud ce la farà? - domandò guardando le gambe del colosso che continuavano a barcollare, i suoi possenti barriti che assordavano qualunque malcapitato nel reggio di centinaia di metri.
    - Ha detto di sì - rispose Vanitas guardandolo con tristezza. Standogli vicino, sentiva distintamente quella sorta di presenza dentro di sé, quel corpo estraneo che lottava per uscire e ricongiungersi a lui. Aveva pensato a mille modi per fare sì che ciò avvenisse, ma nessuno di essi lo trovava d'accordo. Avrebbe potuto baciarlo, infondendogli il suo frammento d'anima, ma non voleva farlo. Niente lo avrebbe spinto a toccarlo in quel modo, non avrebbe tradito Cloud.
    La cosa peggiore era che non vedeva altre alternative: pensava solo a un contatto fisico, come mezzo per restituirgli quel frammento. E ancora non capiva nemmeno cosa l'avesse spinto a prenderlo quando lo vide galleggiare fuori dal tomahawk distrutto di Lexaeus. Forse era quella parte di Sora che viveva dentro di lui... la stessa che, per il bene dell'Enclave, lo esortava a restituirgli quel frammento in qualunque modo.
    Ma Vanitas non cedette a sentimenti non suoi, preferendo voltargli la testa e ficcargli la fiaschetta in bocca senza troppi preamboli.
    - Bevi - disse autoritario. - C'è bisogno di te -
    Roxas sospirò stancamente, accettando non proprio di buon grado e bevendola tutta d'un fiato. La sua espressione dolente e disgustata si trasmutò presto in una più rilassata, e da questo Vanitas capì che avesse fatto effetto.
    - Come ti senti? - gli domandò prendendogli di mano il contenitore vuoto.
    - Come uno straccio lavato troppe volte - rispose il Custode alzandosi in piedi, barcollante. - Spiegami solo che diavolo potrei farci io... Non posso usare l'Equilibrio, e non sono nemmeno nelle condizioni di combattere decentemente. E non ho neanche quei maledetti Keyblade. In questo momento sono talmente inutile che sarebbe stato meglio se mi avessi avvelenato, Vanitas -
    - Per favore! - sbuffò Vanitas irritato da quell'improvviso attacco di pessimismo. - Prima ti atteggi a salvatore e quando le cose ti vanno male ti rintani in un cantuccio a piangerti addosso? Bah - sbuffò ancora, innervosito. - Ora capisco da chi ha preso - si tappò la bocca, imbarazzandosi per quello che aveva detto. Non stava forse parlando con il presunto padre di Cloud? E avevano un sacco di atteggiamenti in comune, dopotutto. - Però lui sono riuscito a farlo tornare sul campo -
    - Lui si è riposato un bel po' - rispose Roxas senza dare peso al suo piccolo sfogo. - Io non posso nuocere a nessuno, in questo momento -
    - E non pensi a tuo fratello? - ribatté Vanitas guardandolo negli occhi. - Lui è ancora là fuori, e senza offesa, combatterei meglio io senza gambe, con le braccia rotte e gli occhi bendati -
    Roxas rise d'istinto a quell'osservazione. Tidus si comportava bene in battaglia, anche se era più bravo ad attaccare che a difendersi. Era stato ferito superficialmente diverse volte, ma non dubitava del suo valore. Era però innegabile che Vanitas avesse ragione, doveva far rientrare Tidus.
    No, doveva far rientrare tutti. La pietra del Castello era solida e innaturale come quella delle mura, e il portone avrebbe garantito una buona difesa contro quel che restava delle forze di Zexion. I maghi avrebbero potuto proteggere le finestre, restringendo così il campo di battaglia a poche zone e piccoli combattimenti sparsi che avrebbero garantito ai magici massima mobilità. Ma come poteva fare?


    Il colosso barcollò e ruggì, infuriato, cercando di raggiungerlo e ucciderlo. Cloud poteva sentire la sua ira, la sua ferocia, il suo istinto omicida che trasudava da quei dischi inespressivi che aveva a decorargli la piccola e ridicola testa pelosa. Ma sapeva anche di essere troppo veloce per lui. Vanitas l'aveva incoraggiato e convinto a fare un'azione tanto pazza e scellerata come scagliarsi su quell'essere a spada tratta, e più lo combatteva meno ne aveva paura: era sì enorme, ma anche lento e stupido. Quella creatura incuteva terrore e i suoi attacchi a terra erano semplicemente devastanti, ma non poteva nulla contro un nemico aereo. Cloud per esso era solo una mosca, un fastidioso insetto che tuttavia pungeva in modo estremamente doloroso. Fino a quel momento Cloud aveva colpito il mostro tre volte, mulinando la possente Buster Sword con impeto e turbinanti fiamme violacee. Il primo attacco fece ondeggiare pericolosamente la creatura, che usò l'immensa spada per evitare di cadere e diede la schiena al suo aggressore, che calò su di lui un secondo, tremendo colpo sulla zona più debole della corazza di pietra, facendolo barrire di rabbia e dolore. L'essere si riprese e tirò un fendente che avrebbe potuto decapitare una montagna, ma andò a colpire il muro del castello: la pietra millenaria di Weisshaupt emise un bagliore sinistro e inquietante e scaturì un lancinante e chiassoso rumore, una lunga nota cupa simile a quella di un gong che frastornò tutti i presenti e riecheggiò per le montagne. La creatura tremò da capo a piedi, la corazza del braccio che prese a crepitare e scricchiolare come roccia franante, e in uno schiocco assordante i frammenti del suo bracciale si spararono in più direzioni scoprendo il braccio molle e coperto di peluria innaturale. Quindi il terzo colpo, dritto alla faccia del mostro, che ruggì causando uno spostamento d'aria che per poco non spedì Cloud dentro il castello.
    - Non ne hai ancora abbastanza? - lo provocò Cloud sentendo nel cervello l'ebbrezza del combattimento, l'adrenalina che lo sovreccitava senza tuttavia offuscargli i sensi. Solo una volta aveva sentito Zexion parlare dei colossi di Lexaeus, enormi creature che poteva evocare dalla terra stessa. Esse prendevano vita dall'oscurità del mondo e si univano alla roccia, formando un orribile essere vivente dotato di una debole intelligenza e totalmente succube del proprio evocatore. Il lato positivo era che Lexaeus poteva evocarne solo uno per volta e solo con larghi margini di tempo l'uno dall'altro: in altre parole, eliminato quello non se ne sarebbero trovati un altro davanti nell'immediato futuro.
    La cosa più importante da ricordare era che i colossi portavano un marchio che testimoniava la loro totale obbedienza all'evocatore e li manteneva in forma fisica sulla terra, ed era quello che Cloud voleva cercare e colpire. Aveva visto una sorta di mappa del colosso che Lexaeus amava evocare maggiormente, l'enorme gigante di roccia che stava affrontando, e che rispondeva al nome di "Gaius", o almeno così l'aveva chiamato l'Eroe del Silenzio. Un essere ciclopico e dall'apparenza tremenda, un po' come il suo stesso evocatore in fondo. Il marchio era situato da qualche parte dietro il corpo del mostro, ma non ricordava bene dove: la schiena, forse? Se sì, il colpo che aveva sferrato prima avrebbe dovuto ucciderlo all'istante. Invece il bestione era ancora vivo, vegeto e furioso oltre misura: la sua corazza cadeva a pezzi in più punti e fiamme color ametista divoravano la disgustosa peluria di colore indefinibile che albergava sotto la pietra. Cloud evitò con una piroetta a mezz'aria un altro goffo fendente della creatura, che ricadde pesantemente sul muro ovest della fortezza e fece rimbalzare la spada all'indietro, facendo barcollare ancora il colosso con passi impacciati e incerti a causa delle enormi gambe.
    Cloud atterrò silenziosamente sul tetto del castello, studiando il suo nemico. L'aveva indebolito e fatto infuriare, ma era ancora una seria minaccia per tutti gli abitanti di Weisshaupt e per le sorti della battaglia. Poteva anche non essere in grado di perforare la pietra della struttura, ma la sua presenza bastava a dissuadere chiunque dall'uscire e i Mangiamorte di Zexion avrebbero presto fatto irruzione per uccidere qualunque cosa si muovesse dentro le mura interne. Una difesa a oltranza non avrebbe retto all'infinito, a meno che non trovassero qualcosa di definitivo per spezzare quell'assalto. In ogni caso, Gaius doveva sparire da quel cortile.
    - Si è già disinteressato a me - notò vedendo che Gaius cercava di colpire gli uomini a terra schiacciandoli come scarafaggi. Per fortuna la maggior parte aveva l'accortezza di saltare di lato, anche se il costante attacco da parte dei Nessuno e degli Heartless li costringeva a stare costantemente sulla difensiva. Cloud sollevò lo sguardo dal campo di battaglia, verso il cielo, cercando tracce dei Mangiamorte. Avevano smesso di lanciare i loro attacchi da tempo, permettendo ai Nessuno di combattere con lo sfinito esercito dell'Enclave dopo avergli infiacchito a dovere il morale. E ce l'avevano fatta: cosa potevano nemmeno un paio di centinaia di uomini contro una simile potenza magica e fisica? E Gaius ovviamente complicava ulteriormente le cose. Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse fare prima di vedersela con il colosso una volta per tutte, intenzionato a fare la sua parte nella battaglia, ma dappertutto vedeva solo cose da fare. Non poteva essere ovunque allo stesso tempo, come faceva Roxas ad anche solo immaginare una simile responsabilità? Avrebbe fatto meglio a occuparsi solo di Gaius, ma qualcosa bloccò le sue gambe mentre stava per prendere di nuovo il volo tramite il potere del Caos.
    - Chiedo scusa per il disturbo, Custode... - era una Ninfa, dai tratti delicati e il corpo esile. Era sporca di fuliggini e macchiata da bruciature sulle braccia, e solo in quel momento Cloud si rese conto che alcuni Heartless erano riusciti a scalare il castello dandosi battaglia con un manipolo di armature semoventi e alcuni maghi. Le spde di Noctis e gli spari di Lightning spiccavano su tutto. Le fiamme avevano i gazebi e le delicate vie verdi che dividevano la terrazza superiore, avvolgendo tutto nel rosso e arancio della morte.
    - Che succede? - domandò Cloud toccandole una spalla. - Perché non è stato avvisato nessuno? -
    - Non occorreva - assicurò la Ninfa. - Quassù non ci sono state vittime -
    Il pensiero rincuorò il Custode, che poté così concentrarsi nuovamente sulla sua visitatrice.
    - Allora come mai sei venuta a chiamarmi? -
    - Sono stata mandata da Mastro Cysero - disse lei.
    Cloud capì, e non poté fermare il sorriso che gli nacque spontaneamente sulle labbra.


    Fuoco.
    Ovunque si voltasse era circondato dal fuoco, che divorava ogni cosa come un mostro famelico. Non dava tregua, illuminava ogni cosa col suo bagliore mortifero per poi spostarsi a distruggere qualcos'altro, un'irrefrenabile ondata di piena che avvolgeva i portici accanto alle mura e le mura stesse: benché queste non potessero essere distrutte, ne venivano comunque avvolte, lambite e imprigionate. E non c'era solo il fuoco, ma anche le macerie, pezzi di pietra che cadevano da ogni dove, macigni che cedevano dalle pareti inviolabili di Weisshaupt abbattendosi nell'immediato terreno sottostante. Il tremore causato dal gigante di roccia che era comparso dal nulla, gli attacchi magici dei Mangiamorte, il fuoco, ogni cosa stava seriamente provando la difesa della fortezza: si ricordò di aver chiesto per quale motivo non avessero sigillato anche la porta frontale con la magia come le altre, e gli risposero che così facendo sarebbero morti ancor prima, o almeno così aveva detto Theresa. Cos'era cambiato da allora?
    Stavano morendo comunque. Si era separato da Roxas, unendosi ad un manipolo di Cavalieri che miravano a salvare le Ninfe della Promessa assediate: avevano combattuto per le mura come se non ci fosse un domani, ricevendo e infliggendo perdite, esausti ma ancora sospinti da un disperato spirito combattivo: gruppi di Streghe, in piccoli stormi da cinque o sei, saettavano nel cielo lanciando frecce e incantesimi contro i Nessuno, i maghi a terra cercavano di dar manforte ai Cavalieri guarendoli e lanciando magie, e per qualche istante la situazione tornò in un tenue equilibrio.
    Ma poi arrivarono i Mangiamorte e il cortile piombò nuovamente nel caos. Scie nere sfrecciarono nel cielo, intercettarono le Streghe obbligandole a combattere in aria; alcuni atterrarono attaccando di sorpresa maghi e Cavalieri, causando almeno trenta morti in un battito di ciglia. Tidus non riusciva più a escludere dal proprio udito le urla e le esplosioni che avevano pervaso Weisshaupt, ma lui non poteva sopportarle, non voleva sentirle. Il suo cuore sembrava stretto in una morsa di paura, muovere ogni passo era peggio che camminare nella neve alta e dura di Nibelheim, in quegli inverni che gelavano persino il fiato in gola. Ma qualcosa dentro di lui continuava a battere, continuava a ordinargli di combattere. Battiti o muori, gli diceva quella voce nascosta da qualche parte, incitandolo, dando forza alle sue braccia esauste. Tidus Highwind non era dotato del talento strategico del fratello, non aveva la forza di Cloud, non era nemmeno più forte di quei Cavalieri che seguiva, ma sarebbe stato tenace. Avrebbe venduto cara la pelle, portandosi dappresso qualunque nemico fosse riuscito a sconfiggere con la sua lunga spada rossa. Non poteva morire lì, lo sapeva bene: doveva salvare Denzel, riportarlo a casa. Stavolta doveva essere lui a gettarsi tra le fiamme per portarlo fuori sano e salvo, anche a costo di ustionarsi gravemente come aveva fatto Roxas quattro anni prima, da solo e privo di qualunque protezione, spinto unicamente dal proprio istinto.
    Gridò, e un altro Spadaccino cadde a terra morto. E poi un altro, e un altro ancora: la porta che i Nessuno stavano martoriando fu presto liberata dai Cavalieri del Tempio, che si riunirono ai compagni assediati. Al suo interno stava la Ninfa Kururu, la più potente delle sue Sorelle: un altro manipolo di Cavalieri veniva con un'altra, dal corpo esile coperto da una veste verde fluente piena di strappi e bruciature sugli orli: si presento come Vanille, e i suoi occhi erano colmi di terrore.
    - Un altro gruppo ha già messo al sicuro le ultime due, Filia - disse Echtra reggendo a malapena lo scudo. - Bisogna portare in salvo solo queste -
    - Bene - ringhiò Filia. - Tu, ragazzo! - indicò Tidus, che strabuzzò gli occhi. - Vi copriremo la ritirata. Prendi queste due Ninfe e portale sane e salve al castello, mi hai capito? Non voglio che gli succeda qualcosa! -
    - F...farò del mio meglio, signore! - disse d'istinto il maggiore degli Highwind, impettendosi.
    - Lo vedremo. Andate con lui, cercheremo di formare un cordone sicuro. Addio, giovane! - disse il nerboruto Filia, i cui occhi visibili dalla celata avevano l'inconfondibile espressione di chi va a gettarsi serenamente tra le braccia della morte.
    Non dissero altro. I Cavalieri li tennero in mezzo ai ranghi prima di disperdersi nel cortile, parando talvolta gli incantesimi dei Mangiamorte con gli scudi, altri venendone investiti. Erano circa una ventina e presto tutti si ritrovarono in combattimento con Spadaccini ed Heartless Cavaliere, mantenendo la loro promessa: i tre si trovarono al sicuro sotto ciò che restava del portico, senza che qualche creatura venisse ad attaccarli. E corsero. Correvano senza voltarsi indietro, spaventati e atterriti: Tidus eliminò uno Spadaccino sbandato che tentava di colpirli, e nel farlo fu obbligato a vedere il campo di battaglia devastato. Il gigante di roccia colpiva e investiva ogni cosa che si muoveva, ruggendo e ridendo, ma era poco quello che riusciva a fare davvero. Tidus volle voltarsi, ma non poté distogliere lo sguardo dalla visione di Filia che veniva infilzato da sette Heartless contemporaneamente: il prode Cavaliere ne uccise comunque quattro prima di cadere a terra morto, e tutto il resto divenne una nebbia acquosa e confusa.
    Tidus si asciugò gli occhi e continuò a correre seguito dalle due Ninfe, dispensando colpi con la spada dove poteva, vedendo il portone sempre più vicino a loro. Ancora pochi passi, pensava. Ancora poco e saremo al sicuro. Per quanto, non lo sapeva, ma perlomeno aveva qualcosa di chiaro nell'oceano di pensieri che gli facevano esplodere la testa.
    Non durò a lungo. Nello stesso momento in cui lo pensava lo sguardo dell'enorme colosso si posò su di loro e s'illuminò, forse attratto dal potere delle Ninfe, forse direzionato da Lexaeus: la sua gigantesca spada calò rovinosamente su di loro, abbattendosi con violenza inaudita sul muro di cinta. Con un sonoro gong il portico si sgretolò, cadendo addosso al gruppo che dovette dividersi in più punti per evitarlo. Tidus spinse via Kururu e Vanille e si buttò di lato, venendo solo ferito al fianco da una grossa pietra. Il mostro ruggì furibondo per aver fallito nuovamente l'attacco, mentre Tidus si rialzava trattenendo il dolore al fianco.
    - State... state bene? - annaspò alzandosi tra le macerie, afferrando nuovamente la spada.
    - Sì... credo di sì - rispose Kururu afferrando Vanille per un braccio. - Andiamo -
    - Sì - annuì Tidus voltandosi, ma un tonfo seguito dal ciottolio della pietra lo avvertì che una delle due era caduta. - Che succede?! - disse voltandosi di scatto, preoccupato.
    - Non riesco a muovermi... - rispose Vanille mortificata. Le sue gambe erano coperte di ferite sanguinanti e in viso era pallida come un cencio. - Porta via Kururu. Helm non ha bisogno di tutte noi per funzionare. Io posso restare indietro -
    - Nessuno resta indietro! - intervenne una voce dietro di loro. Aveva perso il cappello, una manica del suo cappotto azzurro sbrindellato e ingrigito era stata disintegrata e i buffi pantaloni a righe che portava erano anneriti dalla terra e dagli incantesimi fiammeggianti, ma era più vitale che mai. Vivi, il bambino che gli avevano presentato come "catalizzatore" per il rituale necessario a salvare Denzel, era lì in piedi davanti a loro. Poggiò la punta del bastone di quercia sulle gambe di Vanille, guarendogliele e aiutandola a rialzarsi. - Nessuno resta indietro - ripeté con un sorriso debole.
    - Grazie, Vivi... - disse Kururu colpevole. Purtroppo le Ninfe della Promessa non erano in grado di usare i propri poteri curativi subito dopo aver evocato la barriera di Weisshaupt, e questo era un forte impedimento in una battaglia così cruciale. Intorno a loro gli incantesimi brillavano e baluginavano con sferzanti rumori simili a spari, la battaglia aveva ormai raggiunto un punto in cui nessun rumore era più definibile. Urla e fendenti si mischiavano a esplosioni e ruggiti, grida di dolore e d'incitamento.
    I quattro compagni improvvisati si rimisero a correre nella loro disperata fuga verso il portone, con Vivi alle spalle che respingeva i nemici lanciando onde d'urto: un paio di volte furono costretti a nascondersi dietro le colonne per evitare gli incantesimi, a cui il giovanissimo mago rispondeva per le rime con incredibile rapidità.
    - NO! NOOO! - strillò improvvisamente Kururu: i tre si voltarono e anche Vanille iniziò a piangere disperata, vedendo una Ninfa della Promessa come loro giacere a terra sulla strada che stavano percorrendo, circondata dai cadaveri dei Cavalieri del Tempio che la difendevano. Era Sakura, che aveva aiutato a guarire gli abitanti di Kilika quando Kakuzu e Hidan si scontrarono con Xaldin. Denzel stesso, in fin di vita, fu curato da lei, ma nessuno fu in grado di salvarla da quella battaglia. Giaceva con gli occhi spalancati, rannicchiata in posizione fetale, la veste verde squarciata con sangue e carne sparsi orribilmente attorno a quello che restava del suo corpo pallido.
    - Non c'è più niente da fare, Kururu! - esclamò Tidus trattenendo il proprio sconfortato e rabbioso scoramento e afferrandola dalle spalle, cingendole l'esile addome. - Non possiamo fare più nulla per lei, dobbiamo andare! - la incitava, mentre lei piangeva e strillava, affondandosi le unghie nel viso. - Vanille, aiutami! -
    Lei ubbidì, sovrastando la propria tristezza e afferrando saldamente Kururu, portandola via. Ormai erano alla porta, dovevano farcela. Vedeva le luci della sala, i maghi che difendevano l'entrata, Morrigan che lanciava fulmini e dardi di ghiaccio sbraitando ordini con la voce rotta. Uscirono da sotto il portico, avanzando nella zona poco dinanzi al portone, pericolosamente accanto alla gamba del colosso: e in quel momento più di due dozzine di Nessuno la scavalcarono, le spade sguainate, pronti ad affondarle nelle loro carni. Tidus sapeva che con uno scatto avrebbero potuto ucciderli ben prima che loro raggiungessero il portone, e che nemmeno i maghi sarebbero riusciti a salvarli.
    Restava solo una cosa che poteva fare.
    - Vivi, coprile mentre entrano nel castello! - esclamò puntando la spada. - Cercherò di impegnarli! - gli occhi dorati del ragazzino si spalancarono per la meraviglia, ma non si mosse di lì. - Le uccideranno! -
    - Come no! - disse una voce spavalda.
    Nove spade si conficcarono nel corpo dei Nessuno scaraventandoli all'indietro, cinque spari ne uccisero altrettanti: così ridotti i Nessuno furono massacrati dai maghi, salvando Tidus dalla propria avventatezza.
    E l'attimo dopo, Road Kamelot puntò l'ombrello annerito come una bacchetta, e da esso scaturì una luce immensa e abbacinante che si allargò, dilagò, s'ingigantì fino a formare un'enorme cupola azzurra che andava ingrandendosi sempre di più, escludendo qualunque essere che lei non volesse dal proprio interno: i Nessuno e gli Heartless più deboli ne erano direttamente inceneriti in un luccichio bianco, mentre i Mangiamorte venivano scacciati; il colosso tentò di trattenerla e venne sbalzato all'indietro con veemenza, incapace di contenere una magia più potente di lui...
    E lo videro.
    Avvolto in un manto nero, le mani inguantate, i lunghi capelli blu-violacei che si inondavano sinistramente della luce della cupola, l'occhio azzurro lasciato libero dal lungo ciuffo che brillava di malvagio godimento. Gli bastò puntare una mano davanti a sé e la cupola arrestò la sua corsa, incurvandosi verso di lui come se volesse stritolarlo, ma non riuscì a fare neanche questo: si ritirò formando un ovale apparentemente impenetrabile, mentre Zexion stazionava lì dov'era comparso, una presenza piccola e gigantesca allo stesso tempo, minaccioso più dell'enorme colosso che lo sovrastava.
    I suoi Mangiamorte si unirono presto a lui, avvolti in cappe nere e maschere d'argento, in numero dimezzato, calpestando i cadaveri che trovavano sotto i loro piedi. Lexaeus si mosse vicino al Numero VI, un guardiano silente e inquietante quanto il mostro che aveva evocato. Alle sue spalle, il cielo della notte più buia mai affrontata dalla fortezza dell'Enclave iniziava a schiarirsi. L'alba era giunta.


    Quello che accadde dopo nel castello fu inevitabile: nel giro di pochi istanti, le Ninfe furono oberate di lavoro per assistere le decine di feriti che si erano riversati nella sala d'ingresso. Noctis e Lightning chiusero le grandi porte di legno e ferro e Road stessa le sigillò in modo che durassero il più a lungo possibile. Si sentiva una stupida ragazzina ingenua, nonostate la sua secolare età. Non era riuscita a capire che le illusioni di Zexion, in qualche modo, fossero riuscite ad infiacchire i Cavalieri del Tempio senza nemmeno sfiorare la barriera. Quando l'inganno fu svelato, il morale piombò inspiegabilmente a terra, ben più del normale. E gli arcieri? Uomini addestrati che sì, avevano combattuto ben poche battaglie rispetto a Tyki e i suoi Custodi, ma che vantavano una ferrea disciplina e una solida resistenza che permetteva loro di combattere per ore senza accusare particolare fatica. Come poteva essere stata così stupida?
    - Perché non tiravi fuori quel trucchetto qualche morto fa, ragazzina? - sferzò Cloud con la Buster Sword in spalla, sbucando in mezzo ai feriti.
    - Prova a immaginare perché si possa usare una volta sola, idiota - rispose Road senza degnarlo di uno sguardo. - Siete ferite? - domandò poi a Kururu e Vanille, osservandole con apprensione. Le due Ninfe erano in ginocchio accanto al portone chiuso, le vesti verdi ridotte a brandelli bruciacchiati, gli occhi gonfi di lacrime.
    - Sakura... - singhiozzò Kururu prima di tornare a piangere.
    - Capisco - rispose Road rabbuiata. Si allontanò da loro e riprese a girare tra i feriti.
    Intanto, Roxas si era un po' ripreso, grazie alla pozione che gli aveva dato Vanitas e alla propria residua forza di volontà. Stava in piedi e si guardava attorno, cercando di assistere le Ninfe come poteva affiancato dall'Unversed. Vanitas si era dimostrato più solerte e premuroso di quanto si aspettasse: una sorpresa insolita e gradita, ma che di certo non lo allontanava dai suoi propositi. Fino a quel momento non aveva avuto più possibilità di pensarci, ma non aveva dimenticato le parole di Morrigan: a Esthar avrebbe trovato un modo di ridare la vista a Sora. Ma forse era stato lui a intendere male. Più probabilmente la Strega si riferiva alla riparazione dei suoi Keyblade, molto più importante della cecità del suo compagno. C'era un modo, allora, per ridargli la vista? Oppure aveva solo preso un colossale abbaglio? Avrebbe voluto chiederlo a Morrigan, ma le Streghe erano tutte impegnatissime a sostenere la provvisoria barriera o ad aiutare le Ninfe con le loro conoscenze magiche, mentre Anders andava in giro lamentandosi di aver finito le scorte di erbe medicinali e rimproverava mezza Enclave di non averlo assistito nella raccolta, dispensando incantesimi di guarigione ovunque potesse e obbligando chiunque avesse nozioni di magia taumaturgica di fare altrettanto.
    La conta dei morti era esorbitante. Weisshaupt non contava più di cinquecento tra Cavalieri del Tempio, Magici, semplici abitanti e Ninfe. I primi erano circa duecento o poco più, e di essi erano rimasti ancora in vita appena una trentina e più della metà si erano salvati disertando la battaglia e rifugiandosi nel castello. C'erano quaranta soldati feriti mortalmente e nemmeno i poteri di Anders furono in grado di fermare la loro fine prematura. Gli altri erano tutti morti, e tutti erano rimasti all'esterno del castello, maciullati dai Nessuno e dagli Heartless inferociti dalla propria imminente vittoria. I Maghi subirono poche perdite, mentre le Ninfe erano state dimezzate; in totale, a Weisshaupt rimanevano circa duecento persone, appena un centinaio in grado di combattere e tutti troppo provati per andare avanti. La battaglia si era protratta per tutta la notte e non rimaneva più niente dei diecimila soldati di Zexion, ma aveva ancora quasi quattrocento Mangiamorte, quell'enorme abominio di pietra e Lexaeus, che era immune a gran parte degli incantesimi distruttivi che gli si lanciavano addosso. Roxas ricordò che persino le bombe di Deidara non l'avevano scalfito: come potevano combattere un mostro del genere?
    - C'è qualcosa che posso fare? - domandò ad Anders per distogliersi da quei pensieri cupi. L'unico che era stato in grado di competere con Lexaeus in un corpo a corpo era Kakuzu, ovviamente escludendo Altair. Quanto a Zexion, Riku era riuscito a scaraventarlo giù dal Vegnagun, a Saint Bevelle, ma solo grazie alla collaborazione di Itachi che era riuscito a bloccare i suoi incantesimi con le arti illusorie.
    - No, lascia stare - rispose Anders asciugandosi il sudore dalla fronte. - Se avessi il tuo Keyblade bianco potresti aiutarmi... ma non ce l'hai - Roxas era troppo provato per raccogliere l'offesa e si ritirò verso la scalinata di destra, dove trovò Tidus che lo accolse con un abbraccio stretto e pieno di sollievo.
    - Per il Creatore... - disse con voce tremante. - Come diavolo ci riesci? -
    - Vorrei tanto saperlo - rispose Roxas ricambiando l'abbraccio. - Stai bene? -
    - Quando tutto questo sarà finito, starò decisamente meglio - disse Tidus funereo. - Ma non t'invidio per niente, fratellino... affrontare queste cose tutti i giorni... -
    - Vorrei non doverlo fare, a volte - sospirò il Custode, poggiandosi alla balaustra. - Mi mancano i tempi in cui dormivo fino a mezzogiorno inoltrato con l'unica preoccupazione di portare un bel voto a casa - Tidus scoppiò a ridere.
    - Sembrano passati secoli da allora! - aggiunse il fratello maggiore continuando a ridere, per poi calmarsi di colpo. - Certo che è brutto... pensare di aver vissuto sempre così, in mezzo a questo inferno -
    - Prima o poi prenderemo Xemnas, Tidus - assicurò Roxas. - E allora, questi tempi sembreranno solo un brutto ricordo - Diede una pacca sulla spalla al fratello e si allontanò, un po' sollevato da quel dialogo. Senza Tidus e senza Allen, la sua permanenza nell'Enclave di Weisshaupt sarebbe stata flagellata da un'infinità di dubbi e paure, e probabilmente sarebbe anche morto prima.
    - Finalmente ti trovo - Cloud lo spinse a voltarsi. Aveva un'espressione tranquilla e quasi strafottente, come se quella persona che un'oretta prima si era rintanata nelle cucine a piangere e tremare non fosse lui. - Sarai anche alto e grosso e vestito in modo parecchio vistoso, ma è stata un'impresa comunque -
    - Cosa succede? - domandò Roxas alzandosi in piedi e portando istintivamente la mano all'elsa di Narsil. - Nemici dentro la barriera? -
    - No, no, rilassati - lo tranquillizzò Cloud con qualche gesto pigro della mano. - Ti manda a chiamare quello zuccone della Forgia Celeste -
    - Zuccone? - ripeté Roxas alzando un sopracciglio. - Intendi Cysero? -
    - Sì, lui. Non mi hanno detto perché, ma spero che sia per i tuoi maledetti Keyblade - disse il Custode del Caos con impazienza. - Se ci fa aspettare ancora, potrà metterli sulla tua tomba -
    - Allora vado subito, e speriamo bene - disse l'altro con trepidazione.

    Percorse i gradini che portavano verso la terrazza saltandoli tre a tre, tanta era l'eccitazione che lo pervadeva mentre pregustava già il momento in cui avrebbe finalmente riutilizzato le Chiavi. Una rampa di scale dopo l'altra, il suo cuore batteva sempre più forte e con maggiore emozione, Narsil sembrava così pesante, così inutile al confronto. L'aveva servito bene, quel dono di Rasler: ma Narsil non era la sua spada, sebbene avesse sangue Heios nelle vene. Era la lama che difendeva Nabradia dalla sua fondazione, tramandata di padre in figlio in modo che il formidabile acciaio continuasse a proteggere la nazione. Ma non era solo una questione ideologica che gli dava il bisogno di far tornare Narsil nelle mani del legittimo proprietario. I Keyblade non avevano praticamente peso, nonostante il loro metallo fosse più forte di qualsiasi altro, ed era abituato a maneggiarli con disinvoltura. La spada nabradiana, invece, portava tutto il peso dei suoi materiali e sebbene Roxas avesse la muscolatura atta a padroneggiarne l'uso, il suo braccio non resisteva per più di qualche ora di battaglia serrata. Fu dunque con questi pensieri che attraversò la porta che dava sulla terrazza, trovandosi davanti uno scenario completamente diverso da quello che ricordava.
    Il giorno prima il tetto del castello era un trionfo di colori: fiori di tante specie, erba verde coperta di un sottile strato di nevischio, piante magiche di consistenza cristallina e alberi alti e sottili dalle forme aggraziate carichi di frutta. Il giardino era composto da un ordinato labirinto di sentieri lastricati di pietra e argini che impedivano di camminare negli spazi verdi per errore. Panche di legno bianco lavorate con motivi eleganti e sinuosi costeggiavano le aiuole in diversi punti e lì si sedevano maghi e streghe per discutere delle loro faccende... ma quello che aveva davanti adesso era una versione distorta e grigia di quel tripudio. Il chiarore grigiastro della prima alba montana mostrava gran parte delle ordinate aiuole verdi ridotte a grovigli carbonizzati, alcuni alberi erano caduti, i fiori di cristallo trasformati in cumuli deformi di schegge. Molte panche erano state distrutte e tutt'intorno c'erano segni di battaglia. Nessuno Spadaccini e Mangiamorte macchiavano il percorso un po' dappetutto, ma fu sollevato dall'assenza di cadaveri appartenenti all'Enclave. Mentre proseguiva, vide che davanti all'ingresso della Forgia Celeste alcuni maghi avevano approntato una barricata e lo osservavano guardinghi.
    - Mi ha mandato a chiamare il Fabbro Celeste - disse d'istinto mentre si avvicinava, alzando le mani.
    - Non preoccuparti, Custode - disse la Strega che aveva visto poco prima della battaglia, con un sorriso conciliante. - Nessun abominio di Xemnas può sostare sotto questa barriera - indicò le porte, mentre una decina di maghi si faceva da parte per allargare la barricata. - Mastro Cysero aveva urgenza di parlarti -
    - Anch'io - disse Roxas.
    La porta di pietra della Forgia si aprì al suo tocco, scorrendo con il tipico rumore di roccia contro roccia all'interno della montagna: in breve Roxas, attraversandola, si trovò di fronte alla familiare aquila che sovrastava l'enorme braciere fiammeggiante. Si guardò intorno ma non vide traccia dei Keyblade: una punta di sconforto si fece largo nelle sue speranze, costringendolo a ridimensionare le proprie aspettative. Forse Cysero lo aveva chiamato per dirgli che non era riuscito a forgiarli?
    - Come va la battaglia? - chiese il Fabbro Celeste.
    Roxas si voltò e riuscì a vederlo: era poggiato a una lunga penisola in pietra, oltre la quale notò la presenza di un letto che nella sua prima visita non aveva notato. Perplesso, si girò completamente verso di lui con un'espressione incerta. Gli occhi dell'uomo erano coperti dalla sua zazzera di capelli castani ed era impossibile capire cosa stesse pensando in quel momento. Il Custode non poté fare a mano di sentirsi preso in giro, ma forse era stato lui stesso, con le sue illusioni, a farlo.
    - Male - disse Roxas senza mezzi termini, evitando l'argomento Keyblade. - Ma penso che se ne sia accorto da solo -
    - Qui abbiamo affrontato solo un paio di Mangiamorte sbandati e qualche Spadaccino temerario, niente di che - assicurò Cysero con un dubbio sorrisetto. - Lì sotto com'è andata? -
    - Zexion ci ha schiacciati. Abbiamo solo un centinaio di combattenti spaventati a competere con i suoi Mangiamorte, Lexaeus, lui stesso e quel maledetto colosso di pietra - Roxas non poté fare a meno di sputargli addosso tutta la sua frustrazione. Possibile che l'avesse chiamato solo per quello? Per sapere com'era andata la battaglia? Poteva affacciarsi da quella sua maledetta forgia e vederlo da solo! - E' finita - disse cupo.
    - Ho sentito che la Cupola ha ceduto - disse il fabbro andando ad armeggiare con la sua fucina.
    - Non ne conosco le cause - negò Roxas.
    - Theresa è morta, non c'è altra spiegazione - nella sua voce sembrava esserci del dispiacere, ma se lo provava, non lo dava a vedere. Per contro, Roxas sentì mancargli il terreno sotto i piedi. Se Theresa era morta... certo, ora si capiva perché la barriera aveva ceduto, perché Zexion avesse un tale potere su di loro, perché i Revenant fossero scomparsi! - Lo aveva sempre saputo, che questo giorno sarebbe arrivato -
    - Se lo sapeva, perché non ha fatto niente per evitarlo? Com'è potuto succedere? - il giovane Highwind era nella disperazione più nera. Aveva sperato che Theresa fosse ancora viva, lei di sicuro avrebbe saputo cosa fare, magari sarebbe uscita lei stessa ad aiutarli contro Zexion. Ma aveva senso, dopotutto. Non si era più fatta vedere, e nemmeno Flemeth.
    - Flemeth deve averla uccisa. Erano sole nell'Osservatorio - spiegò Cysero con amarezza. - Povera donna, Flemeth -
    - Come sarebbe a dire?! - Roxas era sconvolto: tra le rivelazioni e le stupide parole del fabbro, non sapeva per cosa inorridirsi di più. - Come può essere una "povera donna", se è stata lei a condannarci tutti? -
    - Chiediti perché Morrigan sia ancora viva nonostante la sua avventatezza - rispose l'altro in tono calmo. - E poi fai un paio di conti -
    - Ha... protetto Morrigan in qualche modo? - non aveva senso. Non ce l'aveva per niente.
    - Flemeth mi raccontò di aver duellato con Zexion, dieci anni fa. Morrigan aveva appena quindici anni, ma era già testarda e arrogante come adesso. Lei lo affrontò, ne fu sconfitta e Flemeth dovette intervenire per difenderla - disse Cysero continuando a muoversi qua e là per la stanza a passo lento, maneggiando questo o quello strumento e prendendoli tra le grosse mani nodose. - Ovviamente Zexion era troppo potente anche per lei: solo un Custode potrebbe davvero batterlo. Flemeth riuscì a salvare Morrigan traslandola all'Enclave, ma lei fu irretita. Zexion le disse che un giorno avrebbe avuto bisogno di lei... e che Morrigan sarebbe morta se non l'avesse accontentato. E Flemeth dovette acconsentire, in segreto, prendendosi la nomea di codarda, di madre degenere e guadagnandosi il disprezzo dei molti nonché, soprattutto, l'odio della sua unica figlia - finendo di parlare, mise gli oggetti in una grossa cassa e la chiuse con indifferenza.
    Roxas cadde seduto su una panca di pietra, spuntata misteriosamente dalla roccia. Se ne sarebbe meravigliato se avesse potuto, ma quella storia l'aveva tramortito. Da quel punto di vista, non poteva giudicare Flemeth. E se davvero solo un Custode avrebbe potuto sconfiggere Zexion, lei era stata condannata a quella maledizione fino a qualche ora prima e tutto perché l'Organizzazione era sempre stata troppo forte per chiunque l'avesse affrontata. Si sentì male. Aveva avuto Zexion a portata di spada per tante volte, e non era mai stato in grado di puntare a lui! Una volta a Spira, mentre Sora cadeva vittima delle sue illusioni... avrebbe potuto colpirlo allora. Oppure a Saint Bevelle. O sarebbe potuto volare tra le montagne durante quella battaglia, stanarlo in mezzo ai suoi Mangiamorte e ucciderlo, liberando Flemeth da quella tortura e lasciandola libera di riaggiudicarsi l'amore della figlia. Ebbe la tentazione di piangere.
    - E ora Flemeth dov'è? - domandò, temendo la risposta.
    - Non credo che serva dirlo - era morta, quindi. Proprio come aveva intuito.
    - Perché mi ha raccontato questa storia? -
    - Perché tu conoscessi la verità. Non è questo che cercate voi Assassini? - domandò Cysero ironico.
    Era vero. Lui era anche un Assassino... anche se a volte, trascinato com'era da un evento all'altro, lo dimenticava. Non avevano mai avuto una vera rotta finora, si limitavano a seguire la corrente sperando di raggiungere il loro scopo. Ma questo doveva cambiare. Una volta ricongiuntosi ai suoi compagni, avrebbero deciso un corso ben diverso e razionale. Si sarebbero fatti forti e non si sarebbero più separati, se necessario avrebbe costretto anche Cloud e Vanitas a collaborare con loro. Ogni Keyblade disponibile doveva essere impiegato per eliminare una volta per tutte l'Organizzazione e restituire il Frutto dell'Eden al Kingdom Hearts, risanando l'Armonia. Ma prima di tutto, andava sconfitto Zexion.
    - Hai un piano contro Zexion? - domandò Cysero cogliendolo di sorpresa. Aveva una voce piuttosto seria, in quel momento, e un piglio decisamente più ricettivo del solito.
    - Sì, credo di sì - ci aveva pensato mentre parlava con Vanitas. L'Unversed gli aveva raccontato del motivo per cui Cloud temesse tanto il Numero VI dell'Organizzazione, e aveva anche accennato ai possibili modi per contrastarlo. - Zexion è forte delle sue illusioni e degli incantesimi, ma a corta distanza è vulnerabile -
    - C'è Lexaeus a difenderlo - ricordò il fabbro in tono d'avvertimento.
    - Vanitas gli ha già tenuto testa una volta - disse Roxas. - E mentre lui si occuperà di separare quel bestione da Zexion, io farò da esca -
    - Hai intenzione di farti attaccare? - il tono meravigliato di Cysero lo fece vacillare.
    - Cercherò di costringerlo a usare le sue illusioni su di me, per uccidermi - annuì il Custode stringendo d'istinto l'elsa di Narsil. - Cloud si terrà a distanza e quando Zexion sarà concentrato su di me, lo colpirà alle spalle -
    - E Lexaeus? - ricordò Cysero ancora una volta, andando dietro la penisola.
    - Se Vanitas l'avrà tenuto a bada fino a quel momento, cosa di cui sono sicuro, io e Cloud interverremo. Non siamo più deboli com'eravamo a Kalm; questa volta avrà la peggio - disse Roxas sicuro.
    - Fai molto affidamento su di loro... - affermò Cysero con una nota ambigua nella voce.
    - Io... ho bisogno di loro - ammise Roxas. - E so di potermi fidare -
    - Anche di Vanitas? - la sua domanda lo lasciò stranito. - Ricorda da cos'è nato -
    - Per quanto io lo detesti - confessò - non mi faccio ingannare dal suo aspetto. Lui non è Sora, lo so. Ma c'è molto di Sora in lui. Per questo avremo successo -
    - Potresti occuparti di Zexion anche da solo, volendo - disse Cysero meditabondo. - Sei un Custode, puoi spezzare da solo le sue illusioni. Cloud non ha potuto farlo perché colto di sorpresa, ma tu verresti irretito con un preavviso che ti avvantaggia -
    - Sì, potrebbe essere - annuì Roxas. - Ma non potrei comunque ucciderlo. Non definitivamente, almeno. Per questo ho bisogno di Cloud e della sua Buster Sword -
    Cysero, inaspettatamente, sorrise.
    - Puoi farlo tu - disse con l'orgoglio nella voce. - Coi tuoi Keyblade -
    Gli occhi di Roxas si spalancarono d'incredulità: da dietro la penisola di pietra, stretto nelle mani robuste del Fabbro Celeste emerse un involto di pesante stoffa marrone, lungo più di un metro. Cysero lo mostrò per tutta la sua estensione e sorrise ancora più ampiamente, per poi porgerglielo. Nel movimento l'involto si aprì appena rivelando, in tutto il loro splendore, le armi tanto agognate in quella dura battaglia.
    - Giuramento e Oblio, forgiati dai frantumi di Portafortuna e Lontano Ricordo - disse fiero, guardandolo. Roxas si sentì trapassato dal suo sguardo. Cysero lasciò che prendesse l'involto tra le mani, con una cura quasi paterna. Strabiliato, Roxas svolse completamente la stoffa e afferrò Giuramento, il Keyblade bianco, separandolo dall'altro e brandendolo; fece scivolare Oblio, quello nero, sulla propria mano destra fino a prenderne l'impugnatura e li roteò assieme. Produssero un sibilo acuto, quasi musicale, luccicando allegramente al danzare delle fiamme della fucina: nelle sue mani i Keyblade parevano sfolgorare e saettare, mentre sentiva il cuore battergli fortissimo, come se le Chiavi e il Custode stessero festeggiando la loro riunione con balli e risate. Roxas sentì gli occhi lucidi e per qualche istante gli parve di sentire il possente ruggito di Yiazmat inondargli le orecchie. I Keyblade erano sostanzialmente identici a prima, ma le lame erano ricche di incisioni che andavano dall'elsa alla punta e in qualche modo sembravano poco più lunghi e inspiegabilmente più decorati. Ma forse era solo la gioia di poterli nuovamente impugnare, che gli faceva sembrare tutto infinitamente più bello.
    - Io... - riuscì solo a dire. - Grazie -
    - Senza troppa arroganza posso dirti che si tratta del mio lavoro migliore - disse Cysero scorrendo la lama di Giuramento con l'indice. - Queste rune sono state incise dal Cuore di Yiazmat. Non ne so il significato, ma credo si tratti di una benedizione in Draconico. Ho pensato, dal momento che si tratta di doppi Keyblade creati da due Draghi giovani e potenti, di non gettare i frantumi e usare il potere di Yiazmat per riforgiarli - accorgendosi di star parlando troppo, Cysero si bloccò e si voltò a fissarlo. - In altre parole, adesso brandisci il potere di due Draghi dell'Equilibrio. Yiazmat e Alduin -
    - Quindi era vero? Yiazmat... vive? Nei miei Keyblade? - domandò incerto.
    - Diciamo di sì - confermò il fabbro. - Il vero Yiazmat riposa a Sovngarde, ma un frammento del suo Cuore è qui, in queste spade. Ma devo avvisarti su Alduin, Roxas. C'è molta rabbia nel suo Cuore. Solitamente un Keyblade spezzato viene gettato via perché il Drago che l'ha creato è deluso e amareggiato dall'incapacità del suo Custode, e non intende dare altre possibilità; tuttavia, Alduin è rimasto saldamente attaccato a questi frantumi e ha agevolato il processo di riforgiatura...non so perché. Non nutro false speranze. Alduin era grande e orgoglioso, poco incline al perdono - parlava veloce, in tono pratico, come se stesse parlando a un esperto fabbro. Roxas cercò di seguire quanto possibile. - Sta' attento e tratta bene i tuoi Keyblade, Roxas. Collaborare con due Draghi potrebbe esserti fatale. Se il tuo cuore tentenna, Yiazmat potrebbe non riuscire a contenere la furia di Alduin. I Keyblade potrebbero disintegrartisi tra le mani e tu stesso potresti non sopravvivere -
    - So che non voleva mettermi pressione - commentò Roxas con un certo sarcasmo. - Non c'è pericolo, tratterò questi Keyblade come si deve -
    - Vorrei poterlo credere - adesso Cysero aveva ripreso a mettere le cose in altri bauli che spuntavano dal nulla: schioccò le dita e le fiamme della fucina si spensero all'istante. La stanza stessa sembrava diventare sempre più piccola. - Purtroppo, ragazzo mio, avrai ancora molti momenti difficili davanti a te. La parola "fine" per questa storia è ancora lontana... e non so quanti sacrifici si porterà dietro -
    - Pensiamo al presente, per adesso - disse Roxas roteando ancora i Keyblade, sentendo una nuova forza scorrergli nelle vene. - E' il momento di liberare l'Enclave dall'assedio -

     
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