Dirge of Keyblade

L'Ultimo Atto della Trilogia!

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  1. Nyxenhaal89
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    Eccomi qua col nuovo capitolo u.u
    Grazie nemesisio per il commento e a tutti i lettori *D*
    Eccoci alla seconda parte della battaglia. Ci ho messo un po' a causa del mio recente trasferimento da holyucciopuccio, ma ora sono di nuovo abbastanza operativo :3
    Spero che vi piaccia!
    Buona lettura!



    31: La Battaglia di Weisshaupt

    Mentre recuperava le forze, sorseggiando un forte liquore portatogli dalle Ninfe, Roxas assisteva sconvolto alla potenza immortale dei Revenant. La loro condizione di morti tornati alla vita li rendeva invincibili, immuni al dolore e alla fatica e dotati di una disciplina solida come il più duro dei metalli. Erano delle marionette probabilmente, come marionette erano i soldati di Zexion, ma non erano per nulla svantaggiati dalla propria inferiorità numerica. Ciò che restava dei Cavalieri del Tempio riesumati era una schiera feroce e implacabile nella sua fredda precisione. Non emettevano un gemito, un suono che non fosse il clangore dei loro scudi o il sibilo delle loro spade. Il Custode assisteva con agghiacciata fascinazione alla loro flessuosa e irrefrenabile dimostrazione di potenza: formavano un muro di scudi e lance impossibile da oltrepassare, e alcuni di loro si erano mossi in avanti per contrastare attivamente i nemici. Erano veloci e agili, capaci di piroettare attorno al nemico e colpirli con affondi a sorpresa. Riuscì a vederne uno che veniva trafitto da quattro spade contemporaneamente senza la minima reazione. Il Revenant colpito si limitò a sollevare la spada e squartare quattro crani di spadaccino con un unico violentissimo fendente. Erano creature nate dalla magia e solo la magia poteva fermarli: per questo stavano all'interno della barriera, mentre le orde di Zexion continuavano a infrangersi contro la loro impenetrabile difesa come le onde sugli scogli.
    Quello che a Roxas sfuggiva era il perché.
    Quando un Revenant cadeva a terra, si rialzava all'istante e portava con sé un'altra decina di Nessuno prima di cadere di nuovo. Ai loro piedi si ergeva un monticello di cadaveri, e se a quelli si aggiungevano le vittime degli arcieri, ormai dovevano aver sterminato almeno due quinti di quella forza. Probabilmente molti di più, dato che i Revenant erano tanto lesti a uccidere quanto i loro nemici a gettarglisi sulle lame. Ma Roxas continuava a non capire il senso di quell'assalto sconsiderato. I Revenant non potevano essere fermati: il combattimento procedeva ininterrotto da tre ore ormai, diversi arcieri erano scesi nel cortile per fare posto a forze fresche e riposare le braccia. Gli enormi scudi che i Nessuno avevano ammassato impedivano agli assedianti di rispondere al fuoco e i pochi che superavano la muraglia di picche venivano immediatamente uccisi dai Revenant che si trovavano dietro. Qual era lo scopo di quella lotta, dunque? Stancarli? Le loro forze erano ancora illese e pronte alla battaglia. I Revenant avrebbero combattuto finché l'esercito di Zexion non fosse stato completamente distrutto. E c'erano comunque almeno altri quattrocento maghi nella fortezza, pronti a fare il proprio dovere se le prime linee fossero state sfondate. Roxas ormai si era ben ripreso, ma lui e Cloud erano costretti a restare in disparte mentre i soldati immortali facevano il proprio dovere. Anche il Custode del Caos era comunque inquieto e sospettoso di fronte a quella situazione.
    Nessuno parlava.
    Tidus e Vanitas si erano avvicinati a loro, Allen era tornato sulle mura a dare manforte ai Revenant. Le urla che giungevano dai bastioni e gli ordini sempre meno concitati avvisavano che la battaglia volgeva chiaramente a loro favore. Che la strategia di Theresa fosse semplicemente lasciar infrangere l'attacco sui Revenant senza che altri innocenti perissero?
    Ogni tanto qualche Nessuno particolarmente temerario che riusciva a superare le picche saltava sulle mura, ma veniva prontamente abbattuto prima che potesse realmente fare qualunque danno. I proiettili dell'Innocence di Allen si rivelarono estremamente più utili della sua abilità di arciere. Alcuni nemici tentavano di aggirare le mura, ma i Revenant li intercettavano prima. Le vedette vollero comunque almeno venti uomini per ogni lato della cinta che fosse troppo vicino al campo di battaglia per evitare di essere presi alle spalle. Sul retro della fortezza non c'era nulla. Inoltre la conformazione del territorio non permetteva comunque un facile accerchiamento di Weisshaupt, e le forze di Zexion erano sempre più esigue di minuto in minuto.
    Eppure l'inquietudine non se ne andava. Roxas temeva di vedere da un momento all'altro altri diecimila soldati spuntare dalla strada per Ecclesia o per Vellond, saltare sulle mura e trucidarli tutti. Alcune Streghe si erano unite alle vedette per spezzare le illusioni, nel timore che il Burattinaio Mascherato avesse un'altra trappola in serbo per loro. Avrebbero retto un altro assalto? Le frecce iniziavano a scarseggiare: ormai erano state vuotate almeno dieci faretre, e gli arcieri dovevano darsi continuamente il cambio per riposare le braccia doloranti. Le catapulte ripresero a lanciare i pochi barili di pece e i massi che restavano, seminando la distruzione tra le fila nemiche. Tidus sembrava rallegrato dalla cosa: già immaginava l'esercito dei Nessuno che batteva in ritirata in tutta fretta, schiacciato dalla loro potenza. E probabilmente si vedeva corrergli dietro con la spada in pugno, falciando ogni fuggitivo che potesse raggiungere.
    - E' uno scenario che puoi scordarti - lo interruppe seccamente Vanitas. - I Nessuno e gli Heartless non sono dei fifoni come i soldati umani. Se scappano, è perché il loro padrone lo ordina. Altrimenti combatteranno fino all'ultimo armato rimasto. E se anche finissimo con loro... - indicò le montagne con un dito inguantato di nero - C'è Zexion tra quelle cime, con cinquecento Mangiamorte che ci faranno a pezzi prima che riusciamo a raggiungerli. Questa battaglia è ben lontana dall'essere vinta -
    Questo zittì il maggiore dei fratelli Highwind, mentre il minore continuava a pensare. Sicuramente la distruzione del suo esercito avrebbe reso Zexion decisamente più vulnerabile, ma non poteva dimenticarsi del potere che era in grado di esercitare. Aveva illuso un'intera fortezza, e se non fosse stato per Allen sarebbero stati tutti massacrati sulle mura ancor prima di accorgersi di cosa stesse succedendo.
    - La sconfitta a Minas Tirith è stata un brutto colpo - intervenne Cloud controllando la sua Buster Sword. Il pendaglio con la testa di lupo che una volta era stato il Drago Nythera lampeggiava sotto gli incantesimi che si abbattevano sulla barriera. - Trecentomila Heartless trucidati. E ancor prima a Midgar, altri duecentomila. Xigbar parla di diversi milioni di Heartless e Nessuno al loro servizio, ma volevano solo bluffare davanti a me. Sicuramente hanno ancora una gran quantità di forze, ma non le sprecheranno contro l'Enclave. Xemnas deve difendersi da pericoli ben peggiori -
    - Hironeiden? - azzardò Roxas con gli avambracci poggiati alle cosce, pensoso.
    - L'intera Bersia - rispose Cloud. - Se tutte le forze del continente dovessero unirsi contro di lui, Xemnas si ritroverebbe completamente circondato. Per questo starà sicuramente presidiando tutti i confini di Mordor, allargandoli dove può. Un passo falso e si ritroverebbe centinaia di migliaia di soldati inferociti alle porte del Castello Bianco -
    - Il Castello Bianco? - ripeté Tidus.
    - E' così che si chiama la sua fortezza - spiegò Vanitas. - Una mostruosità fluttuante tutta torri e bastioni, alta almeno dieci volte Weisshaupt. Riesce a superare in altezza persino Barad-Dur, e dentro è ancora peggio. Un labirinto di stanze, corridoi, cunicoli e passaggi segreti... è impossibile espugnarla con metodi tradizionali. Si fa prima a raderla al suolo, possibilmente coi suoi abitanti dentro -
    Una prospettiva che di certo Roxas non avrebbe evitato di considerare. Non pensava più di tanto al futuro di quella guerra, ma sapeva che la battaglia finale sarebbe stata lì, a Bersia. Tutti non facevano che ripeterlo. A Bersia si sarebbe conclusa la guerra, in un modo o nell'altro. "Due consanguinei..."
    Roxas guardò Cloud, perplesso. Erano consanguinei, dopotutto: ma solo per uno scherzo dei mondi possibili. Roxas era ancora troppo giovane per essere davvero il padre di Cloud.
    "Mi ha chiamato papà..." quel pensiero lo faceva sorridere. Non riusciva a perdonargli il male che aveva fatto, ma il suo presunto figlio si stava rivelando una compagnia più piacevole dei suoi tempi all'Organizzazione. Doveva davvero dare tutta la colpa a Rixfern?
    - Ma Xemnas ha la sua Organizzazione... - disse Tidus distogliendolo dai suoi pensieri.
    - E un miserabile principino di Nabradia ha tagliato Saix in due. Sì, possono tornare... ma non come prima - rispose Cloud, che sembrava quasi divertirsi a fare sentire Tidus un perfetto idiota.
    - Anche se l'Organizzazione si è ricomposta, non è più quella che era una volta. Si sono indeboliti. Nemmeno loro possono fronteggiare gli eserciti di tutto il mondo da soli - continuò Vanitas. - Il Frutto dell'Eden ha solo richiamato dei residui, quello che restava di loro nel Flusso Vitale -
    - In poche parole, l'Organizzazione è alla frutta - concluse Cloud stiracchiando le lunghe braccia muscolose. - Quindi cerchiamo di trovare Zexion e togliercelo dalle palle -
    - E' probabile che ci sia Lexaeus con lui - avvisò Roxas.
    - Secondo me ci dorme, con Lexaeus - sbuffò il Custode del Caos. - Non li ho mai visti separati neanche una volta. Ma non importa, li ammazzeremo tutti e due. Quel tuo fabbro azzurro ha finito? -
    - Celeste - corresse Roxas. - E no, altrimenti mi avrebbe mandato a chiamare - il furore della battaglia gli aveva fatto dimenticare Yiazmat, per qualche ora, ma ripensare a Cysero che lavorava alla Forgia Celeste gli riportò in mente il sorriso del Drago dell'Equilibrio di fronte alla sua fine imminente. Dovette fare a pugni con se stesso per non piangere davanti a Cloud.
    - Be', spero che ti chiami presto - Cloud si alzò, osservando i Revenant che impedivano a qualunque nemico di passare. - Con quel tagliacarte nabradiano, sei del tutto inutile -


    Il viso rugoso di Flemeth si increspò maggiormente al dire della Profetessa. Era serena, un sorriso enigmatico a decorarle il volto affilato del colore dell'ebano. Teneva le mani ossute sul palantìr, con apparente noncuranza verso tutto il resto.
    - Zexion ha perso più di metà del suo esercito - disse guardando nel globo nero. Un'ombra bluastra vorticava al suo interno, ma Theresa sembrava in grado di leggervi dentro. - Immagino ci ritenesse prede più facili -
    I suoi occhi ciechi si fissarono sulla Strega, il cui volto divenne una contrita maschera di pietra. Le sue mani erano incerte sul palantìr, e sembrava incapace di parlare. Per lungo tempo nella sala tornò il silenzio. C'era già stato silenzio anche prima: dopo le parole di Theresa, una calma pesante e pregna di tensione era subentrata alla rilassata concentrazione che la precedeva. E dopo quelle parole, la temibile Strega delle Selve sembrava ridotta ad una bambina spaventata. - Concentrati di più, per favore. La barriera si sta assottigliando - le chiese con la consueta gentilezza. Flemeth tornò a concentrarsi e di nuovo lo scudo si erse possente e ineffabile. Theresa sorrise. - Non Vedo la fine di questa battaglia... -
    Le gambe di Flemeth parvero cedere sotto il suo insignificante peso. Anziana e potente com'era, non sembrava in grado di reggere quella tensione ancora a lungo. La tranquillità della Profetessa era ciò che la demoliva maggiormente.
    - Come? - domandò la Strega. La sua voce sembrò un belato rauco, ben lontano dalla maestosità del suo tono acido e sarcastico di fronte alla figlia.
    Lei sorrise ancora. Un'altra pugnalata nel cuore di Flemeth, nonostante tutti dicessero che non fosse un'opera facile. Secondo sua figlia, una lama doveva essere estremamente fortunata per trovare il suo cuore. Quella piccola stupida...
    - Una domanda sciocca - si rispose da sola, ricambiando il sorriso con una bruciante fitta di sensi di colpa ad avvolgerle le stanche viscere. - Lo sapevi da sempre - le sue dita bianche e smunte ebbero un sussulto. - Perché non mi hai uccisa? - le domandò. - Potevi fuggire... -
    - Penso di aver sopportato a sufficienza i dolori della vecchiaia - una risata delicata eruppe dalla voce velata di Theresa. Era un suono melodico, arcano. Che non faceva che aumentare il fardello che gravava sulle spalle della Mutaforma. Poteva trasformarsi in un drago, in un corvo gigante, in qualunque abominio partorito dalla terra. Ma non poteva ribellarsi a questo. - Dimmi solo una cosa, te ne prego - proseguì mentre vedeva i Revenant uccidere i Nessuno senza soste. - Come ha fatto? -
    Gli occhi di Flemeth divennero due pozze lucide.
    - Sono una madre - disse in un soffio. - E la mia unica figlia ed erede aveva un invisibile cappio al collo -
    - Sono passati cinquant'anni... - la voce di Theresa era incrinata dalla tristezza.
    - Forse aveva Visto prima di noi - rispose Flemeth. - O forse ha pensato che un'alleata forzata nell'Enclave delle Streghe gli sarebbe tornata utile. Indipendentemente dalle sue motivazioni, eccomi qui -
    - Cosa ti disse? - domandò Theresa, immobile come una statua.
    - Avrei rinunciato all'amore della mia unica figlia - parole incrinate uscirono dalle labbra della Strega delle Selve. - Sarei stata nient'altro che una creatura odiosa ai suoi occhi, o sarebbe morta davanti ai miei. E qualora avesse marciato contro di noi, se fossimo stati sul punto di avere la meglio... - una lacrima incespicò tra le rughe del suo volto.
    - Tu mi avresti uccisa, Sorella mia - completò Theresa senza tristezza.
    Nonostante la voce tremante e gli occhi arrossati, Flemeth si ergeva altera di fronte all'amica e compagna di battaglia. Erano le due principali consigliere della Divina Andraste, assieme a Road Kamelot. Theresa non aveva permesso che la Noah entrasse nell'Osservatorio con loro. Un membro delle Tre doveva restare in vita in assenza della Divina, per prendersi cura dell'Enclave.
    Un pugnale scattò nella mano della Strega, ricurvo e lungo, dalla bellissima lama bianca luccicante come un astro del mattino, l'impugnatura di acciaio rosso che si accomodava perfettamente tra le sue dita.
    - E sarei morta, senza dire mai a mia figlia la verità. C'è forse tormento peggiore per una madre? - avvicinò la lama al petto, fissando Theresa con dolore. - Ti getti in pasto alla morte, tu che sei la più potente di noi... -
    - Se la Vista mi abbandona, vuol dire che il mio tempo è giunto - rispose la Profetessa. - Io Vedo solo fin dove mi è concesso. E non mi è concesso oltre questa notte -
    Flemeth abbandonò il palantìr e si avvicinò a Theresa. Lei continuava a tenere le mani tese sul globo. Per tutto il tempo la Strega sperò che qualcuno intervenisse a fermarla.
    Le labbra di Theresa si incurvarono in un sorriso ancora più radioso, mentre i suoi occhi ciechi riflettevano la lama del pugnale che si muoveva verso di lei.


    Il combattimento volgeva inevitabilmente a loro favore. La falange di Revenant aveva fino a quel momento tenuto tutti i Nessuno al di là del confine della barriera, centinaia di nemici giacevano a terra morti, i loro corpi corrotti che andavano lentamente disfacendosi. I soldati dell'Enclave erano tutti sulle mura, tranne un'esigua forza di una cinquantina di uomini, compresi gli Highwind, Cloud e Vanitas. Non potevano fare altro che osservare i soldati non-morti fare tutto il lavoro e lasciarsi davanti cumuli di cadaveri, che calciavano periodicamente via per non permettere alle creature di usarli come trampolino. Le frecce continuavano a sibilare.
    Roxas si sentiva comunque inquieto oltre misura. La battaglia stava andando troppo bene: era impossibile, a suo parere, che Zexion avesse commesso un simile errore di calcolo. Dalle storie che gli raccontavano era un avversario subdolo e spietato, secondo solo a Xemnas. Nonostante fosse il numero VI, era temuto da superiori e inferiori e persino il Signore dell'Organizzazione lo guardava con maggiore rispetto. Cloud gli aveva raccontato della farsa che avevano inscenato per indurlo a sentirsi al sicuro, culminata con il suo smascheramento nella Torre di Ecthelion. Non poteva essere tanto semplice...
    Allen urlò.

    Ora tocca a me.

    Roxas spalancò gli occhi, in direzione delle comete che continuavano a saettare come un'ondata immane verso di loro. Continuavano a infrangersi sulla barriera, che si riempiva di crepe cristalline per poi rigenerarsi immediatamente. Il cuore del Custode dell'Equilibrio prese a battere forsennatamente, e mise d'istinto la mano alla spada. Narsil luccicò nuovamente alla luce degli incantesimi, ma tanta era l'improvvisa tensione che la sentiva tra le dita come un inutile pezzo di metallo. Non l'avrebbe difeso dagli incantesimi, dopotutto.
    - Roxas... - biascicò Tidus, terreo.
    Alzarono lo sguardo, e in breve un brusio orripilato pervase il cortile.
    La barriera si stava dissolvendo.

    In un reticolato confuso, rosso come il fuoco, la cupola che fino a quel momento aveva protetto Weisshaupt dagli attacchi implacabili dei Mangiamorte andò assottigliandosi sempre di più, fino a ridursi ad una matassa sfilacciosa e confusa di filamenti sanguigni che si disfacevano a velocità scoraggiante. Le Ninfe della Promessa si videro strappate alle loro crisalidi di cristallo, realizzando improvvisamente ciò che stava accadendo. E in un urlo assordante, simile agli stridii dei Nazgul ma carico di una sofferenza incontenibile, i Revenant si disgregarono in una nube di pulviscolo nero come un incubo. Quell'incubo che tutti loro si accorsero di stare vivendo.
    Roxas sentì distintamente qualcuno respirare a fatica, e si girò immediatamente per vedere chi fosse: stava già per chiamare Anders, quando si accorse che Cloud stava tremando.
    "Quello che gli ha fatto Zexion..."
    Anche Vanitas lo notò. Il Custode del Caos fissava il cielo con espressione assente, gli occhi spalancati sul reticolato distorto che una volta era la barriera. L'Unversed non perse tempo e la sua mano scattò a stringersi immediatamente alla sua, con una forza e un trasporto tale da risvegliare Cloud da quella trance momentanea. L'espressione che gli si dipinse sul volto era incerta, imbarazzata e spaventata, ma non gli permise di separarsi. E Vanitas non lo fece.
    Roxas riuscì a malapena a guardarli, a dare il tempo ai suoi occhi di recepire l'immagine, che una nuova pioggia di incantesimi sfolgoranti balenò nel cielo, stagliandosi minacciosa e terribile su di loro.
    - No... - riuscì solo a mormorare, con uno sconforto infinito nella voce.
    Qualcuno urlò, qualcun altro cercò di fuggire, alcuni maghi alzarono fragili scudi per difendere i compagni, ognuno muovendosi con una lentezza esasperante, soffocante, opprimente. Il tempo sembrava prendersi dieci secondi di tempo per farne scorrere uno solo. Le crudeli comete che fino a quel momento avevano ignorato formarono una continua, incessante cascata simile a lacrime splendenti, tracciarono un'elegante parabola nel cielo, andarono a posarsi con leggiadria per tutto il grande cortile e le mura.
    In un infinito battito del cuore, molti cessarono. Custodi, Magici e Cavalieri del Tempio furono avvolti da un'unica luce, terribile e impetuosa. Con inarrestabile violenza, essa inghiottì respiri, vite, spade e bastoni, uomini e donne. Per il tempo di un battito del cuore.
    Un boato fece tremare la terra e il cielo, con un'intensità dieci volte più grande di qualunque altro che avessero sentito prima. Il tuono rutilò ancora una volta, immenso e bramoso di sangue, ed esso proseguì l'opera della sua ancella, quella bianca luce che aveva avvolto Weisshaupt nel suo splendente oblio; ed esso fece sue le grida, le voci, i rumori che scaturivano dal terrore e dall'incertezza.
    Il rimbombo non aveva ancora finito di avvolgere l'antica pietra che arrivò l'ondata, rovente e distruttiva: il fuoco, devastante e spietato, dilagò in una vampata biancastra, facendo suoi la luce e il tuono, ruggendo e rotolando in immense volute sul cortile di Weisshaupt con inarrestabile e zelante rapidità. In breve le fiamme avvamparono ovunque, investendo i difensori, troppo lenti nei loro miseri tentativi di fuggire. Le mura furono colpite da un altro boato, ma che generò solo una poderosa esplosione d'aria rovente. I difensori sui bastioni, impreparati e molli nella loro speranza distrutta, furono facilmente sbaragliati e scaraventati nell'ampio cortile, molti verso la morte. I più furbi si ripararono dietro le invincibili merlature, ma troppo pochi perché potessero ancora proteggerle.
    Fu un battito del cuore, forse il più lungo mai sentito fino a quel momento. Un lungo, interminabile attimo di sconfitta.
    Il battito del cuore successivo le fiamme cavalcarono via, simili a possenti stalloni argento e arancio, lasciandosi dietro null'altro che tenebre e morte.

    Allen fu uno dei pochi che riuscirono a salvarsi riparandosi dietro le merlature. Il calore generato dall'esplosione d'aria fu tutt'altro che delicato sulla sua pelle: aveva la guancia destra bollente, forse ustionata, rossa come un rubino, e il suo braccio destro non riuscì a ripararlo in tempo. Vesciche e ustioni rossastre sbucavano dal cappotto da Esorcista sbrindellato. Gemette di dolore alzandosi, cercando le Ninfe e i Guaritori con lo sguardo. La guancia iniziò a pulsare, mentre il braccio gli dava i dolori dell'inferno. Si maledisse per essere stato tanto stupido da non coprirsi dal lato dell'Innocence, che avrebbe sicuramente retto il colpo. Timoroso e incerto sollevò la testa dalle merlature temendo un nuovo attacco, ma non arrivò: la pioggia splendente aveva alleggerito i loro ranghi, ma anche quelli degli invasori. Le carcasse lasciate dall'operato dei Revenant erano svanite in una tempesta di cenere, mentre nuovi corpi carbonizzati giacevano dimenticati dinanzi ai frantumi della porta.
    - Esorcista... - biascicò Greagoir reggendosi a quello che restava della garitta. L'esplosione aveva spazzato via il tetto, lasciando pochi pilastri di legno bruciato simili ai denti marciti di un vecchio. Allen arrancò fino a lui, solo per vedere che il Comandante dei Cavalieri del Tempio strisciava sui pezzi delle proprie gambe che avevano avuto la misericordia di restare attaccati al suo corpo. L'uomo era possente, con un fisico da guerriero, ma di tale forza restava poco: il dolore lo rendeva un fagotto di carne sofferente e riusciva a malapena a parlare.
    - Le trovo subito un guaritore - deglutì Allen, sentendo le membra gelarsi a quella visione. Aveva visto ogni genere di barbarie e atrocità sia come Esorcista che come aiutante dei Custodi, ma era impossibile abituarsi a spettacoli del genere. E in quel momento, si trovò a pensare a Linalee. Da qualche parte, in qualche modo, poteva esserci lei nello stato del Comandante... - Dov'è Meredith? - domandò senza preoccuparsi dei titoli.
    - Laggiù... credo - disse indicando in basso, verso il cortile. Meredith Stannard giaceva a faccia in giù in una pozza del proprio sangue, le ossa degli arti in una posa grottesca e orribile. Le mani di Allen perserò ogni calore. In un secondo l'Enclave aveva perso i suoi comandanti, Theresa e Flemeth avevano fatto cedere la barriera e quello che restava dell'esercito di Zexion si dirigeva di gran carriera verso di loro, spade e lance sguainate in una corsa che dilaniava le loro speranze ad ogni passo.
    - Greagoir, mi dica cosa... - cadde in ginocchio. Il Comandante aveva seguito la sua compagna di battaglia nel sonno eterno in un altro battito del cuore, l'ultimo. Le viscere di Allen divennero pesanti come piombo. Se le cariche dell'Enclave erano morte, chi poteva comandare la difesa? Lui? Ma lui non era mai stato fatto per comandare. Aveva sempre ubbidito, ai capi dell'Ordine Oscuro o ai propri istinti. Era completamente negato per il comando. - Archi... - e di nuovo fu interrotto. Diversi Simili e Spadaccini erano saltati con elegante maestria sui bastioni, cogliendo di sorpresa i soldati che faticavano ad alzarsi. In breve, i rimasugli della difesa delle mura furono costretti a un corpo a corpo totalmente a loro svantaggio.
    Allen gridò. Afferrò la mazza ferrata del Comandante Greagoir e la mulinò col braccio dell'Innocence, sfondando crani e casse toraciche di qualunque abominio gli si parasse di fronte. Ma l'arma era di metallo solido e robusto, troppo pesante persino per il suo arto nero e argento. Era stanco, il braccio ustionato continuava a pulsargli emanando il fetore della carne bruciata e del pus delle vesciche che andavano esplodendo una per una. Le dita tremavano, insensibili agli impulsi, ma non ebbe scelta: evoco Crown Clown, tirando nuovamente fuori la lunga spada nera, squadrata e spessa. Si era stancato dell'Enclave, dei loro capi incapaci di difendere chi gli si affidava. Stavano per vincere la battaglia!
    - Roxas - ringhiò muovendo il braccio in modo da atterrare uno Spadaccino con un fendente. - Mi serve Roxas. Ci serve Roxas! - l'impatto dell'arma contro la creatura gli procurò una violentissima fitta di dolore, ma non cedette. Doveva trovare il Custode dell'Equilibrio, e sperare che in quella sua testa oberata di pensieri inutili affiorasse l'idea giusta. - Giù dalle mura! - cercò di ordinare con una voce più simile a un belato che al tono di un capitano: il dolore stroncava qualunque sua pretesa al riguardo. - Ritiratevi verso il Castello! - e mentre seguitava a dare quell'ordine e proteggere la ritirata, menava dolorosi fendenti. Dovette arrangiarsi nell'usare la mano dell'Innocence, la sinistra, col risultato di dare colpi goffi e mal calibrati.
    I Nessuno inondarono l'ingresso, dilagando rapidi come sangue nell'acqua. Perdevano tempo nel dare il colpo di grazia a tutti i corpi inerti che si trovavano sul loro passaggio, ma avevano ormai guadagnato le porte...
    E finalmente lo vide. Gli abiti bianchi da Assassino erano sudici, ma sembrava illeso. Si stava rialzando, a fatica, da un punto vicino all'ingresso.
    Troppo vicino.
    - ROXAS! - gridò, correndo a perdifiato verso la garitta, ignorando il cadavere sanguinolento di Greagoir e schivando la sibilante katana di uno Spadaccino spiccò un salto disperato, nel tentativo di salvare la vita del compagno di battaglia. Suo fratello gli giaceva accanto, quasi in piedi. Ma non c'era traccia del traditore e della brutta copia di Sora.
    "Traditori", pensò.
    Un dolore acuto, insopportabile e angosciante si unì allo sferragliare di spade e armature: Allen capì di essere atterrato sui nemici, attirando la loro attenzione. Doveva fargli guadagnare tempo, solo un po'.
    Tirò un colpo dietro l'altro, gli occhi annebbiati dalle lacrime, il braccio ustionato che continuava a pulsare e bruciare.
    "Linalee..."
    Narsil scintillò nella notte. La voce di Roxas si levò, alta e limpida, pervasa di rabbia e paura, ma con una tale risolutezza da bloccare all'istante gli esseri che ormai avevano sopraffatto l'Esorcista. Spinto da un impulso nuovo e improvviso, Roxas era corso verso un nutrito gruppo di maghi che curava diversi Cavalieri. Non fu solo Narsil a scintillare, altri bagliori la seguirono: fiamme, ghiaccio, saette e lame di vento investirono come un torrente in piena qualunque Heartless o Nessuno che gli stesse addosso. Allen era a terra, sopraffatto dal dolore, sorpreso di poter rivedere il cielo. I corpi morti dei suoi nemici volarono come fantocci contro quelli ancora vivi, causando scompiglio tra le loro file, e la lama di Nabradia sibilò ancora.
    - CAVALIERI, CARICAAA! - ruggì Roxas puntando Narsil davanti a sé. Corse, circondato da un'aura bianca, la spada che fiammeggiava, alla testa di duecento Cavalieri. Tidus era al suo fianco, gridando assieme agli altri soldati in quell'assalto. Scudi, mazze e spade impattarono con uno schianto assordante, un rumore sgangherato di metallo contro metallo. Vide Morrigan roteare il suo bastone nodoso, sparando proiettili lucenti che colpivano ogni volta con incredibile precisione. Mani sconosciute afferrarono l'Esorcista trascinandolo via dallo scontro: era Anders, il capo dei Guaritori. Aveva gli occhi lucidi e arrossati, le vesti annerite e il volto coperto di fuliggine, ma sembrava illeso. Lo poggiò contro il muro, mentre maghi e streghe lanciavano incantesimi contro le creature che oltrepassavano la difesa.
    - Devo tornare... - biascicò Allen impossibilitato a muoversi. Anders gli forzò in bocca un'ampolla di un liquido dolciastro, dal gusto farinoso.
    - Non distrarmi - disse Anders. - Grace, impediscigli di buttare anche una goccia di questa pozione - gli occhi del Guaritore scintillarono d'azzurro elettrico, inquietando Allen. Spirali dello stesso colore gli avvilupparono le braccia, per poi trasmettere un'energia gelida sul suo arto ferito: l'Esorcista gridò come se lo stesse scuoiando, delirante. Sentiva il corpo in subbuglio, quasi in preda alle febbri. Quando la pozione terminò e Grace gliela tolse di bocca, arrivò a implorare di smetterla, di lasciare stare, di farlo guarire col tempo: tutto quello che ottenne fu un malrovescio da parte di Grace, una guaritrice dalla pelle olivastra, il naso dritto e i capelli castano scuro. Portava un tatuaggio all'occhio, due linee concentriche che ricalcavano la forma delle palpebre, però più ondeggianti e aggraziate.
    - Non distrarlo, ha detto - disse minacciosa. Ad Allen ricordò talmente tanto la brutta suora dell'Ordine Oscuro che afferrò il colletto del cappotto con i denti, e tirò nel tentativo di seppellire le urla. Il dolore era insopportabile: era come se Anders gli stesse tirando fuori ogni vaso sanguigno, come se gli stesse strappando la pelle per ricomporla subito dopo. Per diverse volte si sentiva sul punto di perdere i sensi, ma qualcosa glielo impediva. Iniziò a sospettare che quella pozione servisse allo scopo, per qualche motivo Anders aveva bisogno di lui sveglio e reattivo. Dopo qualche secondo ancora, il processo terminò. Gli occhi del Guaritore tornarono al loro consueto grigio-azzurro, privi di bagliori. Grace assistette il mago, che crollò seduto accanto a loro.
    - Dovresti essere a posto - sentenziò Anders accettando una fiaschetta di quello che pareva vino da Grace, che lo aiutò a rialzarsi subito dopo. - Grace, raduna i feriti dentro la fortezza, formiamo una catena. Tra poco qui sarà l'inferno -
    I due maghi si allontanarono da lui, lasciandolo con il braccio e la guancia completamente sanati, la spada accanto alle gambe distese e i dubbi che gli divoravano il cervello. Uno in particolare non gli lasciava tregua.
    Dov'era Cloud?
    Anche Roxas aveva questa domanda a tarlarlo, ma in quel momento ritrovò appieno tutta la grinta che aveva a Minas Tirith e pensò unicamente ai propri doveri. Più a suo agio quando oppresso dalle responsabilità che spensierato, il giovane Custode combatteva alla testa dei Cavalieri con una tale forza da rincuorare chiunque gli stesse accanto. Narsil fiammeggiava di bianco splendente, abbattendosi sui nemici come la lama del giudizio divino. I Cavalieri, scudi alzati e mazze che roteavano, lottavano fianco a fianco formando una linea difensiva nel tentativo di ricacciare indietro gli aggressori ancora una volta, ma sempre di più sfuggivano al loro schieramento. Il cortile era ormai pieno di cadaveri di entrambe le fazioni. Tidus era accanto a lui, che brandiva la sua lunga spada menando fendenti brutali. Aveva il viso rosso e sudato per la fatica e i muscoli gonfi, ma riusciva a reggere bene: Noctis e Lightning erano stati severi nell'addestrarlo, portando decisamente ottimi frutti.
    - Possiamo farcela, Tidus! - disse Roxas in mezzo alla battaglia, squarciando di netto il torace di un Heartless Cavaliere e calciandolo indietro. - Le forze di Zexion sono ridotte a meno di un quinto, ormai! -
    Un quinto voleva dire che c'erano a stento duemila soldati rimasti, se i calcoli delle streghe erano giusti. Ma quello che Roxas non voleva o non poteva vedere era che i Cavalieri del Tempio erano esausti, molti di loro erano feriti, e almeno un centinaio erano morti nell'impatto degli incantesimi dei Mangiamorte. Erano comunque inferiori numericamente, e parecchio. Se solo avesse potuto dare fondo alle proprie energie, avrebbe potuto chiudere in fretta lo scontro e permettere alle Streghe di prendere il volo, per affrontare i Nessuno magici. Ma Ventus continuava a sconsigliarglielo, era ancora troppo presto e non aveva recuperato abbastanza le energie: poteva solo permettersi di circondarsi di quella tenue aura argentea che faceva fiammeggiare la sua spada. Era quasi inutile in combattimento, ma sembrava che i soldati dell'Enclave, vedendola , avessero recuperato un po' di motivazione. E così combattevano e morivano al suo fianco, prontamente portati via se feriti, guariti e ributtati nella mischia. Ma stavano comunque cedendo.
    I Nessuno e gli Heartless rimasti erano comunque quattro volte il loro numero e continuavano a spingere, sfuggendo anche dalle loro lame per poi essere intercettati dai bastoni di maghi e streghe. Roxas vibrava fendenti con ardore, sempre in testa, sempre il primo ad incrociare la spada con gli altri, ma teneva d'occhio l'ingresso e la fortezza per preparare un'eventuale via di fuga.
    - Niente male, eh? - commentò Tidus spavaldo, atterrando un altro Spadaccino e dandogli il colpo di grazia. - Ho perso il conto di quanti ne ho uccisi -
    - Se continui così, potrai quasi sembrare un guerriero - lo punzecchiò Roxas, nascondendo un certo orgoglio. Era felice di combattere al fianco del fratello maggiore, e fino a quel momento aveva avuto dubbi sui suoi piani per Denzel. Ma vedendo con quale determinazione affondava la lama nei nemici e cercava di difenderlo, fu lentamente costretto a ricredersi. Tidus fece per rispondergli, mentre inchiodava un Simile al muro per poi farlo afflosciare a terra, ma le parole gli morirono in gola alla vista che si parò dinanzi alla fortezza. Roxas voltò istintivamente lo sguardo nella stessa direzione, sentendo un gelo improvviso pervadergli le membra. I suoi occhi si spalancarono nell'orrore.
    Alla testa di una riserva di almeno una trentina di Berserker, la gigantesca figura nera di Lexaeus si palesò nella notte. Alla mano teneva il suo enorme tomahawk rosso e nero con il filo della lama bianco e scintillante. Era avvolto da fiamme nere come la pece, il volto simile a pietra contratto in un'espressione arcigna e ponderante. A quella visione, diversi Cavalieri del Tempio iniziarono una lenta ritirata, indietreggiando con gli scudi alzati e gli sguardi spauriti.
    - Restate fermi! - intimò Roxas con autorità. Per qualche tempo i soldati interruppero la loro fuga, cercando di combattere e continuare ad assottigliare i ranghi dei Nessuno, ma con minore convinzione.
    Lexaeus grugnì, agitò l'enorme lama e la conficcò nella roccia dura, senza alcuna difficoltà: si inginocchiò come se stesse pregando, mentre le fiamme nere attorno a lui vorticavano impazzite. Dalla fenditura che aveva aperto con la sua arma iniziarono a fuoriuscire sfilacciosi filamenti neri, luccicanti di una sinistra luce verdastra; saettarono verso il cielo, frustando l'aria e sibilando come serpenti, intrecciandosi e percuotendo con violenza le rocce, i crinali, i pendii e persino le alte montagne.
    - Che diavolo fa..? - farfugliò Tidus a mezza voce.
    Lexaeus inarcò la schiena all'indietro e lanciò un urlo simile al barrito di un elefante infuriato, che riecheggiò per la catena di Nowart con echi insopportabili, come se cento Lexaeus fossero appostati in ogni anfratto, crepaccio e fenditura dei monti, ognuno dotato di quegli incredibili polmoni. Roxas strinse più forte l'impugnatura di Narsil, cercando di sovrastare il panico che gli montava in petto.
    Un altro grido, simile a un immane ruggito, fece nuovamente tremare la terra sotto i loro piedi: il castello sembrò sul punto di crollare come un insignificante giocattolo, quasi tutti si tapparono le orecchie atterriti, persino i loro nemici si bloccarono scuotendo le teste con aria infastidita e confusa. Poi, rumori confusi di pietra frantumata, penetranti e graffianti come spari. Enormi massi arrivarono da ogni parte, frustati dai filamenti neri che li tiravano verso il loro epicentro. Le rocce si scontravano, si disintegravano, rompevano e frammentavano per poi vorticare confusamente attorno al punto dove il tomahawk era conficcato, formando una colonna alta quasi tre volte il castello di Weisshaupt. Il ruggito continuava, incessante e dirompente, con pezzi di roccia che volavano da tutte le parti. Poi degli urti, mentre i filamenti sembravano prendere una forma umanoide, e furono ricoperti dalle centinaia di pietre che turbinavano attorno al tomahawk. Con una serie di schianti assordanti, le pietre si fissarono, si modellarono e fusero formando una primitiva corazza rocciosa, che terminava con enormi mani; gambe lunghissime furono ricoperte di spessa pietra, una prominente armatura pettorale ne proteggeva il torace. Una testa minuscola fu coperta da un grosso elmo cornuto. La grottesca sagoma umana prese forma, con le sembianze di un ciclopico cavaliere di pietra, talmente alto da superare ampiamente le cime delle montagne su cui sorgeva la fortezza. Alcuni filamenti si unirono fino a formare la una colossale spada, lunga quasi quanto tutto il suo corpo, presto ricoperta di pietra e modellata fino ad essere immensa e squadrata. La creatura voltò uno sguardo buio verso il cortile di Weisshaupt...
    E due occhi simili a inquietanti dischi azzurro-verdi, chiarissimi, si accesero illuminando un roccioso e inquietante sorriso a falce di luna.

    Anche Vanitas era tormentato dalla stessa domanda. L'esplosione e le fiamme li avevano colpiti duramente, anche se avevano avuto la fortuna di essere stati travolti da un tronco, finendo a terra. Roxas e Tidus ebbero una fortuna diversa: un mago cercò di alzare una barriera, riuscendo a difendere solo Tidus. I suoi resti carbonizzati giacevano a pochi centimetri da Roxas, che se ne allontanò annaspando una volta che si riprese dall'impatto. Il Custode dell'Equilibrio riuscì a ripararsi dietro delle rocce, cavandosela con qualche bruciatura prontamente guarita dall'energia di Ventus. Vanitas si accorse di essere rimasto da solo. Accanto a lui non c'era più Cloud, e non era nemmeno in mezzo alla battaglia. Ignorando qualunque altra cosa, l'Unversed si tirò su e si dileguò prima ancora che Allen saltasse per difendere il Custode dell'Equilibrio.
    Lo chiamò continuamente, cercandolo in ogni dove della fortezza: non guardò sul retro o sulle mura, poiché l'istinto glielo sconsigliava. Si spostò invece all'interno, ignorando i maghi che gli davano del codardo, cercando Cloud solo attraverso le proprie sensazioni. Come aveva fatto a sparire tanto in fretta, tra l'altro? Erano stati a terra solo pochi istanti e non l'aveva neppure sentito muoversi.
    "Non può essere fuggito..."
    Cloud non fuggiva. Mai. Anche durante la loro evasione era con la spada in pugno, nonostante fosse in fin di vita e Ike lo avesse rapidamente messo con le spalle al muro. Forse era ferito ed era andato a farsi curare, ma anche quello era improbabile. Cloud non era il tipo da abbandonare uno scontro simile solo perché sanguinante come una fontana da ogni parte del corpo. Ma allora che alternative restavano? Dando retta al suo istinto e alle sue conoscenze, l'unica conclusione era che Cloud si fosse semplicemente volatilizzato nel nulla. Ma quella era ovviamente del tutto inverosimile, dunque non si perse d'animo e continuò a sperare di vederlo da qualche parte in giro per il castello, così da poterlo riportare in mezzo alla battaglia come doveva essere.
    - Hai visto Cloud? - domandò a una giovane Ninfa dagli occhi color zaffiro, indaffarata mentre portava alcune faretre piene di frecce.
    - No - sbottò lei irritata. Lo guardò con disprezzo e gli sputò in faccia. - Ma dagli questo da parte mia, quando lo vedi -
    "Piccola sgualdrina", pensò Vanitas fissandola in cagnesco mentre si allontanava con le frecce che ticchettavano nei rozzi cilindri di cuoio duro. Non poté comunque fare a meno di pensare che uno sputo in faccia Cloud se lo meritasse, dopo essersi dileguato in quel modo da una battaglia cruciale. Inoltre, non era un mistero che tra i ranghi più infimi dell'Enclave Cloud venisse chiamato "Custode voltagabbana" mentre lui veniva chiamato da troppe persone "la puttana del traditore". Era stata Kururu a riferirglielo, e lui si arrabbiò tanto da tirarle uno schiaffo. Lei non se la prese, limitandosi a sorridergli mestamente.
    Correva e correva, ma di Cloud continuava a non esserci traccia. Aveva anche pensato di voltarsi di scatto, pensando che magari si fosse nascosto dietro di lui, ma era un'idea stupida e la sua ovvia conclusione fu che Vanitas si trovò a battere violentemente contro un pilastro mentre girava rapidamente la testa per cogliere il Custode in flagrante.
    - CLOUD, VIENI FUORI! - iniziò a gridare per i corridoi con una tale veemenza da farsi sentire in mezzo al frastuono delle battaglie. Nemmeno quello servì: continuò a non trovarlo, e si ridusse a cercare in ogni singolo anfratto e angolo del Castello, mentre fuori da quelle solide mura l'inferno si palesava sulla terra.

    - Fermi... FERMI! - ordinò Roxas puntando la spada, sentendo il sudore gelido gocciolargli viscido lungo la schiena come una processione di formiche. Cercò un po' di coraggio nella spada di Nabradia, ma Narsil tremava vistosamente come le sue gambe. A quella vista, il suo carisma si dissolse come le sterpaglie sotto un incendio e molti Cavalieri iniziarono una lenta ritirata, combattuti tra il dovere di lottare e il diritto di salvare le proprie vite come meglio potevano.
    Roxas annaspava bramando speranza. Il gigantesco mostro di pietra e magia oscura che si stagliava su di loro era qualcosa che non aveva mai neanche creduto di poter vedere. Forse, solo nei videogiochi di Sora. Era immenso, colossale, infinito. I due dischi azzurrognoli che costituivano gli occhi erano così alti e lontani da sembrare stelle. La sua malvagia e sorridente mezzaluna sogghignava come un predatore famelico di fronte al pasto imminente. La spada che reggeva avrebbe potuto spazzare via il castello con una singola falciata, mietere gli uomini e le donne dell'Enclave come spighe di grano. Non sembrava avere piedi: le gambe erano enormi pilastri pieghevoli che terminavano con una base ridicolmente piccola e squadrata. La creatura sembrava faticare a muovere un passo, come trattenuta da qualcosa, e all'inizio ciò diede agli uomini dell'Enclave la forza di combattere ancora. Ma quando le grottesche gambe superarono la cinta muraria, non tardò a dilagare il panico.
    - E' finita, Custode! - latrò un Cavaliere, incespicando sulla tonaca mentre gettava a terra scudo e mazza. - Muori tu, se tanto ci tieni! -
    E a quell'uomo ne seguirono altri, troppi altri. Le forze di Roxas, giù pesantemente provate dalla disperata carica al portone, persero così tante unità da non risultare più una forza combattiva degna di tale nome. I folli, gli ingenui e i coraggiosi erano rimasti al suo fianco, menando colpi fino a non sentire più le braccia o a morire trafitti da quattro spade consecutivamente. Roxas non poteva continuare a guardare quelli che se ne andavano, dunque tornò alla sua battaglia.
    Poi ci fu un urto.
    Si voltò di scatto, quando a quello seguì un lungo urlo di dolore: un frastuono metallico risuonò per gli scalini che conducevano al castello e quello che vide successivamente furono tre Cavalieri del Tempio riversi a terra. Uno, che aveva cercato di avanzare nuovamente, giaceva a faccia in giù nel proprio sangue, con le ossa del cranio fracassate.
    - Tornate indietro, vigliacchi! - ringhiò un soldato alto, massiccio. Era assai robusto, ma non poteva vederne il volto. Roxas avrebbe voluto avvicinarglisi e chiedergli cosa diavolo fosse successo. Nessuno di quelli che avevano cercato di scappare era riuscito a passare oltre le porte del Castello: due enormi Cavalieri del Tempio si stagliarono sull'ingresso come Revenant viventi, le mazze flangiate in pugno e gli scudi branditi come se dovessero affrontare una carica nemica.
    - Filia... maledetto! - sputò un altro soldato togliendosi l'elmo. Era biondo, con un pizzetto attorno alle labbra e il volto coperto di sangue e sudore. - Vuoi condannarci tutti?! -
    - Una volta che sarete entrati tutti farete la fine del topo - rispose l'uomo chiamato Filia, puntando la mazza contro il soldato. - E morirete le cento morti del codardo, essendo fuggiti da una battaglia. Sei un codardo, Cullen? Spero di sì, perché voglio avere il privilegio di ammazzarti la prima volta -
    Cullen si ritrasse con la paura negli occhi. Roxas non riuscì a vedere altro per un lungo lasso di tempo, dovendosi difendere da tre Spadaccini contemporaneamente. L'intervento di un vecchio Cavaliere lo salvò da una serie di attacchi stancanti e avvilenti, permettendogli così di continuare a combattere altrove.
    - Echtra, prendi parte anche tu a questa follia?! - Cullen tornò alla carica, tenendosi a debita distanza dai due e anche dai combattimenti. Si rivolgeva al secondo Cavaliere. La sua corporatura era più esile di quella del compagno, ma la mazza insanguinata del cranio del soldato morto era la sua. - Cerca di mettere un po' di sale in zucca a quest'idiota! - Nessuno dei Cavalieri osava avvicinarsi.
    - Fa' silenzio, Cullen. Il Castello non ti salverà a meno che non venga ordinata l'evacuazione. Ma se così non fosse, Zexion farà crollare tutta Weisshaupt con noi dentro - la voce di Echtra arrivò rapida e sferzante come una frustata. - In ogni caso, oggi si muore. Scegliete voi come ciò dovrà accadere -
    - E avete un bel fegato a lasciare un ragazzino a combattere da solo - aggiunse Filia con disprezzo, roteando la sua mazza. - Girate i tacchi e morite come si deve! Per cosa credevate di essere stati addestrati? -
    Roxas vide i soldati che avevano cercato di fuggire riprendere le armi e tornare a combattere, ma non c'era alcuna determinazione nelle loro voci, nessuna forza nei loro colpi: la battaglia divenne statica, fasulla. Nessuno di loro era disposto a dare battaglia, tantomeno a morire. Il morale era semplicemente inesistente.
    Zexion aveva vinto.

    - Era ora -
    Vanitas fu percorso da un brivido di sollievo quando trovò la figura rannicchiata nel buio. Era nelle cucine, nascosto tra alcuni barili di birra, con le mani e le gambe che tremavano incontrollate. Persino lì nell'oscurità sotterranea della fortezza dell'Enclave, i suoni e i tremori della battaglia trovavano il modo di passare, come se il Castello chiamasse a raccolta tutti i suoi difensori.
    Cloud Strife sollevò lo sguardo pallido e arrossato, cereo in viso. Aveva una brutta ustione al braccio sinistro e diversi tagli sparsi lungo le braccia e il viso. Quando lo vide, spostò le mani alle orecchie e si appallottolò nascondendo il volto dietro le gambe. Vanitas rimase allibito da quella reazione. Cloud non era nemmeno l'ombra del guerriero che aveva lottato neanche due ore prima al fianco di Roxas in quella difesa disperata. Quando la barriera cadde lui la seguì cadendo nel baratro del terrore, qualcosa di così grande e terribile per lui da impedirgli persino di sollevare la spada, abbandonata accanto ai bracieri come un inutile pezzo di ferro. L'Unversed non dubitava che in quelle circostanze la leggendaria Buster Sword si sarebbe frantumata come un grissino, ancor peggio dei Keyblade di Roxas.
    Cloud non diceva una parola. Restava lì immobile, terrorizzato come un bambino, probabilmente desiderando solo che quella battaglia finisse. E sapeva anche cosa temesse: di finire nuovamente nelle mani di Zexion, rivivere gli orrori che subiva ogni giorno, ogni notte, sempre. Poiché Zexion diceva che avrebbe terminato di torturare la sua vittima solo quando avesse sentito la gioia pervaderlo. Ma essendo senza cuore e dotato di un residuo infimo e meschino, tale sollievo non giungeva mai e chiunque capitasse tra le sue mani finiva per uccidersi negli incubi che provocava, pur di cessare quel tormento infinito.
    - Cloud? - chiamò gentilmente, chinandosi per prendergli una mano, ma il Custode si ritrasse con un gemito. Vanitas non se l'aspettava. Rimase a occhi sgranati a fissarlo come se davanti a lui ci fosse un estraneo. Dov'era l'uomo in grado di fronteggiare da solo un esercito?
    - Cloud, dobbiamo tornare - lo incitò afferrandogli un polso, guardandolo risoluto. Cloud si rannicchiò ancora di più, evidentemente incapace anche solo di concepire l'idea di tornare sul campo. - Roxas è là fuori da solo! -
    - Vattene... - disse un relitto devastato con la voce di Cloud. Non sollevò nemmeno lo sguardo. - Non dire a nessuno dove mi trovo. Lasciami qui... - pregò pronunciando ogni parola con rauca sofferenza, ogni parola simile a uno sforzo troppo grande da sopportare.
    - Qui? - Vanitas sbuffò quasi divertito dall'assurdità della faccenda. - Vuoi ubriacarti fino a morire, Cloud? Vuoi fuggire? -
    - Lasciami stare - ripeté il relitto senza dargli ascolto. Voleva solo che se ne andasse, Vanitas lo sapeva. Ma voleva davvero essere lasciato da solo con le proprie paure, con la propria tristezza? Non poteva credere che Cloud si fosse ridotto in quel modo nel giro di pochi minuti. Continuava a tremare e farfugliare come se fosse ancora sotto tortura, e nei suoi occhi non c'era più la minima traccia della sua vera forza.
    E in quel momento, Vanitas non aveva la minima idea di come comportarsi. Non pensava neppure che Cloud potesse mai dubitare di se stesso fino a quel punto. Era ancorato a un ideale di lui troppo diverso e forte per poterlo anche solo immaginare. E ora che era in quella situazione, si sentiva disperatamente solo e sotto pressione. Solo lui poteva risolvere la cosa, e lo sapeva. Era l'unico in grado di aiutarlo, escluso probabilmente Roxas, ma quest'ultimo era troppo lontano da loro perché potesse far tornare un po' di coraggio nel Custode del Caos. E fu in quel momento che si odiò per ciò che arrivò a pensare.
    "Cosa farebbe Sora?"
    Un profondo sconforto piombò nel suo cuore quando quella domanda gli venne in mente. Perché doveva rifarsi proprio a Sora come modello, nonostante cercasse costantemente di allontanarsene? Fu un affondo talmente violento nel suo orgoglio che per poco non riuscì più nemmeno a formulare un qualsivoglia ragionamento. Solo la determinazione di riportare Cloud in mezzo alla battaglia riuscì a farlo desistere dall'idea di mandare tutto al diavolo e andarsene anche lui.
    - No, non ti lascio stare - rispose Vanitas usando tutta la propria forza per sollevare lo sguardo di Cloud. Non ce ne fu bisogno: era talmente molle e derelitto da non avere nemmeno la forza di fare resistenza. Dovette inevitabilmente chiedersi se ci fosse davvero qualcosa che si potesse fare, se non porre fine ai suoi tormenti tagliandogli la gola. - Cloud, ti prego, devi ascoltarmi -
    Cloud faticava a sostenere il confronto di occhi con le sue stanche iridi azzurre, e solo in quel momento Vanitas si accorse che le ustioni che aveva sul corpo non guarivano da sole come ogni altra ferita. Era possibile che il Caos non riuscisse a guarirlo?
    - Se non combatti, non ci sarà un domani, né per me né per te - cercò di essere realista, di parlare con gentilezza nonostante il frastuono che filtrava dalle mura di pietra e l'ansia che gli pervadeva le viscere, stringendogliele in una morsa di ghiaccio. - Roxas non può farcela da solo, non ha nemmeno un Keyblade! A Minas Tirith avresti voluto combattere assieme a lui, non è così? -
    Era un pensiero timido e fallace, ma Vanitas sapeva che avesse un fondo di verità. Quando per quei pochi attimi aveva avuto in sé parte dell'essenza del Caos che ardeva nel Cuore di Cloud, aveva percepito quella piccola speranza. Cloud che voleva combattere al fianco di tutto ciò che poteva ancora ricordargli suo padre, la sua famiglia, tutto ciò che amava e per cui aveva incessantemente lottato per quei dieci interminabili anni. La prova che Cloud Strife non era stato inghiottito dalla rabbia e dal rancore di Rixfern, la prova che era ancora un essere umano. Completamente.
    - Io so cos'è che ti spaventa tanto - disse Vanitas prendendogli il volto tra le mani con dolcezza. Nonostante i guanti, sentiva il calore della sua pelle. Era confortante. - So che temi Zexion... non hai motivo di vergognartene o nasconderlo. Zexion è potente e pericoloso, anche a me fa paura. E so che dopo quello che ti ha fatto, l'idea di affrontarlo col rischio di cadere di nuovo nelle sue grinfie ti terrorizzi -
    Un barlume di vita riemerse sui pallidi laghi azzurrognoli che erano le iridi di Cloud. L'Unversed si sentì enormemente sollevato nel vederlo, sentendosi sulla strada giusta per aiutarlo. Tuttavia negli occhi del Custode comparve un lampo di rabbia.
    - Tu non sai niente - soffiò Cloud scostandosi debolmente dalla sua presa. - Tu non sai cosa voglia dire essere alla sua mercè... giorno dopo giorno... - qualcosa dentro Vanitas fremette in modo innaturale. - Per quanto lo supplicassi, non si fermava. Ogni giorno per quasi tutto il tempo... sempre... metteva le mani sulla mia testa, iniziava a farmi vedere cose orribili... tutto ciò che non volevo, e lui lo sapeva. Era nella mia testa... nella mia testa, Vanitas... lo sentivo scavare, lacerare, strappare i miei pensieri, mi faceva a pezzi e mi mostrava i brandelli... - Le braccia di Vanitas si strinsero attorno alle sue spalle, e Cloud iniziò a piangere.
    Ma non erano lacrime di dolore. Non c'era frustrazione nei suoi singhiozzi. Era una liberazione, il sollevamento di un pesante coperchio, l'apertura di quella porta cadente che tratteneva le emozioni sopite nel suo Cuore.
    - Non voglio, Vanitas... - gemette senza ribellarsi all'abbraccio, ansando mentre piangeva copiosamente sulla sua casacca nera. L'Unversed era confuso e incerto sul da farsi, ma rimase a stringerlo senza allontanarlo da sé un solo attimo. Sapeva che era la cosa giusta, che era ciò di cui Cloud necessitava in quel momento. Rimase in silenzio, lasciando che sfogasse la sua paura e la sua impotenza, cercando di incoraggiarlo con la propria mera presenza. Avrebbe voluto poter fare di più... si chiese quanto potesse essere efficace la testa di Zexion infilzata su una spada, come cura per quell'improvvisa fobia. - Non voglio che mi rimetta le mani addosso. Non voglio essere di nuovo torturato in quella segreta... - perché sapeva che Zexion non l'avrebbe certo ucciso e basta. Il Burattinaio Mascherato non uccideva senza aver prima cercato il proprio divertimento.
    - Non accadrà, Cloud - disse Vanitas sicuro, guardandolo intensamente. - Stavolta è diverso. Ci sono i maghi, ci sono io, c'è Roxas. Ti aiuteremo e ti difenderemo. Tu vedrai Zexion morire, te lo giuro. E smetterà di perseguitarti, non tornerai in quella segreta -
    - Ma non posso comunque combattere - insistette Cloud faticando per alzarsi. La sua gamba destra era claudicante e ad ogni passo accompagnava un guaito di sofferenza. - Tralasciando le mie ferite... ho troppa paura anche solo per avvicinarmici. Non posso affrontare Zexion, Vanitas -
    - I Keyblade di Roxas saranno presto pronti, credo - replicò l'Unversed preoccupato. - Per sistemare la Buster Sword ci mise poco. Chissà, magari in questo momento si sta affrettando per portarglieli - sperò con un sorriso incoraggiante. - E se così non sarà, affronterò io Zexion. Conosco il suo vero nome -
    - Ienzo - recitò il Custode in un sussurro tremante. - Il più giovane dell'Organizzazione XIII... -
    - Quando avrò finito con lui, non sapranno distinguerlo dal cibo per gatti - sbuffò Vanitas in tutta risposta, spavaldo. - Cloud, stare quaggiù ad autocommiserarti e fare il codardo so bene che non è da te. Se anche in questo momento Zexion dovesse morire, tu saresti comunque il vigliacco che non ha combattuto con gli altri, e non è una cosa che si addice a uno come te -
    - Uno come me - ripeté Cloud con un sorriso mesto. - Cosa pensi che sia io? -
    - Un guerriero - rispose Vanitas senza esitare. - Non un eroe o un salvatore... ma comunque, molto più di quello che Zexion ti fa credere di essere -
    Cloud lo guardò, afferrando la Buster Sword.
    - Io non so davvero cosa sono, in questo momento - disse a voce bassa, rabbuiato. - Ma hai ragione, purtroppo. Non sarà nascondendomi qui che vedrò il ghigno di Zexion sparire dalla faccia della terra - afferrò una caraffa d'acqua da uno dei tanti ripiani, fredda e rigenerante, bevendone una lunga sorsata e gettando via il vetro delicato. - E non posso fare la parte del vigliacco... quella del voltagabbana è più che sufficiente - concluse guardandolo per qualche istante, dritto negli occhi dorati.
    Vanitas sorrise. Fino a quel momento, Cloud gli aveva detto "grazie" una volta sola, ma ormai non aveva più bisogno di sentirselo dire. Quello sguardo fu più eloquente di mille ringraziamenti.

    - NON PENSATE A QUELLA COSA! - urlò Roxas roteando Narsil e atterrando un Heartless Cavaliere, mozzandogli la testa di netto. Non perse tempo per riflettere un istante, andando immediatamente a colpire il successivo. - NON LASCIATELI ENTRARE NEL CASTELLO! FATE RIENTRARE LE NINFE DELLA PROMESSA! - per tutto quel tempo le giovani protettrici dell'Enclave erano rimaste assediate nei torrioni: quelle lontane dal cancello erano riuscite a rientrare, ma quattro o cinque di loro erano ancora minacciate dall'orda di Zexion e i loro guardiani avevano barricato le porte delle torri, nell'attesa di un segnale per la ritirata. Ovviamente le loro difese erano ormai sul punto di cedere e avevano urgente bisogno d'aiuto. A ciò si sommava il terrore generale causato dalla comparsa della colossale statua di pietra: tuttavia essa non si muoveva, limitandosi a sostare in mezzo al cortile con la spada puntata a terra e gli occhi brillanti che trasudavano una silenziosa attesa. Tutt'intorno ad essa, i Cavalieri del Tempio e l'esercito nemico combattevano senza quartiere, con ben poche speranze di sopravvivere: Morrigan conduceva maghi e streghe da battaglia cercando di scalfire la pietra del colosso, ma tutti i loro incantesimi si infrangevano su di esso come le onde sugli scogli.
    Roxas era ormai arrivato alla disperazione più totale. La battaglia era chiaramente persa: i "suoi" soldati cadevano uno dopo l'altro, la loro difesa era labile, e i Mangiamorte non si erano ancora mostrati. Zexion li stava sicuramente tenendo per dare il colpo di grazia alle forze ormai dilaniate dell'Enclave, che combattevano giusto perché non avevano altra scelta. La sopravvivenza aveva abbandonato da tempo le loro speranze. Il Custode dell'Equilibrio cercava di incoraggiarli, continuando a combattere in testa ai loro ranghi, urlando incitamenti e uccidendo nemici a due a due, ma non era abbastanza. Erano tutti sfiniti, spaventati e dubbiosi. Lui stesso era incerto su tutto e la visione di quell'essere in mezzo al cortile, che sembrava solo attendere un segnale per porre fine allo scontro in maniera drastica e brutale, lo rendeva ancora più inquieto.
    Roxas non aveva più la forza di combattere. Le gambe gli tremavano pervase di acido lattico, le braccia gli bruciavano e dolevano, le mani erano talmente esauste e piene di contusioni da riuscire a stento a chiuderle attorno alla spada. Non poteva più continuare, e lo sapeva bene. La fuga sembrava l'unica via d'uscita da quella situazione, ma ovunque si girasse vedeva solo nemici, e sangue e morte.
    - Creatore... - mormorò cadendo in ginocchio. Non vedeva quasi più nulla. Aveva gli occhi stanchi e annebbiati, le orecchie invase da un'ovattato senso di pace. Doveva solo arrendersi... lasciarsi andare per pochi secondi.
    Era già morto una volta, dopotutto.
    I Cavalieri del Tempio iniziarono a ritirarsi senza guardare più niente e nessuno. Forse vide Allen da qualche parte tentare di richiamarli, sentiva le minacce confuse di Morrigan, intravedeva i lampi dei maghi.
    "Non voglio morire, Sora"
    L'aveva pensato quella volta, laggiù, nelle profondità dello Stretto tra Twilight Town e il continente di Midgar. Pensava a Sora. Pensava sempre a Sora, ma quel pensiero non gli dava forza. Cos'aveva fatto per Sora? Non era riuscito a difenderlo da nulla, e ora era lontano da lui. E poi Riku, Kairi, Naminé e Xion...
    Sarebbe morto lì, circondato da nemici, senza coloro che conosceva da metà della propria vita.
    Una fiammata viola investì il colosso.
     
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