Odore di sangue

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  1. Nik;
     
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    L'uomo deve poter scegliere tra bene e male, anche se sceglie il male. Se gli viene tolta questa scelta egli non è più un uomo, ma un'arancia meccanica.

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    Altra One shot per il secondo turno del famoso contest.
    è la prima volta che scrivo qualcosa di horror anche se qui, l'unica cosa horror è il livello dello scritto... comunque buona lettura!


    Odore di sangue

    Era una notte oscura e tenebrosa, la luna si ergeva nel cielo irradiando di una spettrale luce l’intero paese di Ronoa.
    Un piccolo ammasso di case, dove la vita scorre tranquilla e il tempo esercita il suo normale corso.
    Ma forse non tutto funziona come previsto.
    Un giovane ragazzo, Jean il figlio del macellaio, sembra abbia sviluppato un insano gusto per la carne, è molto probabile anche a mezzanotte che egli trituri e macelli la carne dei maiali nel negozio che gestisce insieme al padre.
    Il lunghi capelli biondi, unti e sporchi, gli ricadono sulle spalle negli occhi ha uno sguardo vitreo e assente.
    Ma quando si avvicina alla carne, quando l’odore del sangue fresco sale vorticando fino le narici, Jean si trasforma in un mostro.
    Non riesce a reprimere il gusto e fa a pezzi ogni parte di carne che gli si avvicini.
    In paese tutti lo sanno ma nessuno se ne cura, non aveva portato particolari problemi del resto.
    O almeno non aveva portato problemi fino a quella notte.
    Jean aveva finito i pezzi di carne, non aveva altro da macellare ma il suo istinto era impossibile da reprimere.
    “Non posso farlo, non devo farlo!” si diceva.
    Nella sua testa un cumulo di idee stavano lottando fra loro e Jean, sempre più indeciso, si abbandonò allo sconforto totale.
    Ore dopo però quando le resistenze, opposte involontariamente dal subconscio del ragazzo, crollarono la pazzia prese il definitivo soppravvento e Jean uscì in strada armato con il coltello che usava per sfilacciare la carne.
    Quella notte un demone girò per le strade del piccolo paese di montagna.
    Le porte venivano sfondate e, incurante degli urli e delle suppliche, Jean affondava il coltello nella carne, strappava i filamenti, graffiava le membra e rideva mentre attuava le sue torture.
    Rideva come solo i pazzi sanno fare, una risata priva di ilarità e crudele, come lo stridio continuo di miliardi di unghie su una lavagna.
    Quella notte il demonio che si abbatte sul villaggio portò la morte di tutta la popolazione, il sangue sgorgava a fiotti eppure Jean sentiva di non potersi fermare.
    Si diresse verso l’ultimo casolare del villaggio, quello in cui viveva con il padre e la sorellina, memore degli insegnamenti della madre.
    Aperta la porta Jean non ebbe problemi ad affondare il coltello nella carne del mentore, di colui che gli aveva dato tutto ma, arrivato davanti alla sorella, un moto di compassione si fece strada in cuor suo e in un attimo, un folgorante lampo di comprensione lo attraversò e Jean comprese ciò che aveva fatto.
    Prese un tizzone ardente dal camino, non gli importava se il fuoco lo stava ustionando.
    Con un’ultima fugace occhiata al paese che aveva distrutto da solo nel giro di due ore lanciò il tizzone nel suo giaciglio di paglia che, come previsto, prese immediatamente fuoco.
    Senza pensarci su Jean si sdraiò nel letto come se niente fosse accaduto e lasciò che le fiamme lambissero il suo corpo.
    “Se devo finire divorato nel fuoco dell’inferno, allora dovrò abituarmi.”

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